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www.ildialogo.org L'omelia del 13 aprile 2014,di p. Aldo Bergamschi

L'omelia del 13 aprile 2014

Pronunciata il 20 aprile 2005


di p. Aldo Bergamschi

Passione secondo Matteo 26,14-27.66
Cerco una spiegazione al grido di Gesù prima di spirare: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” In un convegno tenuto a Reggio Emilia, dove si discuteva del dialogo tra le religioni, uno degli oratori ha affermato che Gesù Cristo è morto disperato e che sono disperati coloro che credono in Lui.
Mi sono sentito colpito nel profondo, perché anzitutto, Dio, in Gesù, ha assunto in toto l’umanità, eccetto nel peccato, e la disperazione per il cristiano è un peccato. Gesù non è morto disperato ed è esattamente il riferimento a questa invocazione che porta a pensarlo e che io dovrò correggere.
Personalmente non credo che Gesù abbia mai detto quelle parole, anche se vedo che la liturgia le mette in primo piano. Io entro nei testi evangelici con il Principio di non Contraddizione. Tutti e quattro gli evangelisti parlano delle ultime parole di Gesù, senonché due, S. Matteo e S. Marco, hanno la medesima formulazione, l’unica diversità è che, mentre S. Marco cita le parole di Gesù in aramaico, Matteo le cita in ebraico e sono: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”.
L’evangelista S. Luca, dice di avere udito questa espressione: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito”. Nella versione di S. Matteo, invece, Gesù si rivolge a Dio: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” mentre in S. Luca si rivolge al “Padre”; e io credo più a S. Luca che non a S. Matteo e S. Marco.
La versione più attendibile al testo però, penso sia quella di S. Giovanni, perché è l’unico presente ai fatti - ed è piuttosto simile a quella di S. Luca – dove si dice che dopo avere ricevuto in refrigerio l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto”. E anche qui non vedo disperazione!
Per utilizzare il Principio di non Contraddizione, mi affido al fatto che tutti e quattro gli evangelisti affermano che: “dopo aver pronunciato quelle parole, Gesù chinato il capo, spirò”. Come qualcuno mi suggerisce, potrebbe averle dette poco prima, in un momento di sconforto, ma questo non può essere, perché tutti gli evangelisti si riferiscono al momento in cui, subito dopo, chinò il capo e spirò; dopo quelle parole non ve ne sono altre.
Le due prime versioni “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?” sono in contrasto con quelle di S. Luca e S. Giovanni; dunque la mente deve scegliere, ecco dove è la contraddizione. Il contraddittorio è: bianco-non bianco; e non, bianco-verde o rosso….; quella non è contraddizione. Se si dice bianco (e qui Matteo fa dire non bianco con queste parole a Gesù), mi dispiace, la mente deve seguire il Principio di non contraddizione. La spiegazione eventualmente è semplice: la non presenza ai fatti. L’inganno è il riferimento alla morte di Gesù facendo uso delle scritture, nel salmo 22 infatti si dicono quelle parole, l’etichetta - oggi si direbbe culturale - è sovrapposta e non prettamente naturale. Ecco come mi oriento attualmente di fronte a questo passo.
Voglio concedere quello che non è possibile concedere, e cioè che Gesù abbia detto realmente quelle parole, però andiamo allora a vedere quale è la traduzione che ne fa S. Girolamo nella Vulgata, dove interpreta: Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?”, che tradotta in latino con regole fondamentali, egli traduce il perché, non con un cur in senso inquisitorio, ma con: “ut quid me reliquisti”, vale a dire ut quid - per quale motivo profondo - che non è il cur inquisitorio, ma è la domanda: “per quale motivo profondo Io sono in questa situazione?” Si può spiegare questa situazione, giacché la redenzione esige il versamento di sangue come ha fatto Gesù volontariamente.
Questa traduzione potrebbe anche passare nei testi liturgici, cosa che non si fa da secoli. Nell’ipotesi che non si voglia accettare la mia posizione sull’uso del Principio di non Contraddizione, per dire che Gesù non ha detto quelle parole, si faccia almeno una traduzione corretta.
Pure accettando anche questa traduzione, vedete che siamo sempre fuori dall’area della disperazione, nella quale alle volte cadiamo anche noi. Molte anime cadono in questa forma di disperazione e molti confessori citano le parole riferite dall’evangelista S. Matteo, facendoci cadere in una condizione trionfalistica oppure catastrofica e non finalistica delle azioni di Gesù, soprattutto in questo momento della Sua vita. A tutti coloro che cadono in disperazione nel momento del dolore, citerò le parole di una catecumena, credo la più grande filosofessa del secolo XX, Simone Weil, eccole: “Il Cristianesimo non è venuto a togliere la sofferenza, ma a insegnarci un impiego sublime della sofferenza”.



Venerdì 11 Aprile,2014 Ore: 21:50
 
 
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