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www.ildialogo.org 25 dicembre 2012  ,di padre Aldo Bergamaschi

L'omelia del
25 dicembre 2012  

Pronunciata il 25 dicembre 1982


di padre Aldo Bergamaschi

Luca 2,1-14

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto decretò che si facesse il censimento su tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea e alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. E subito apparve con un angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.

Un miliardo di uomini credono formalmente al Natale di Cristo. Ma è dubbio il numero di coloro che conoscono di conoscenza riflessa il significato di quella nascita.

Natale di Cristo significa: Dio con noi, significa introduzione ufficiale, (in ciò l’unico vero miracolo) Dio nel ciclo della storia umana. Introduzione ufficiale per aiutare questa storia a salvarsi e a liberarsi dalle proprie contraddizioni. Soltanto un essere umano e divino insieme può porre le condizioni della salvezza totale degli uomini. Quando questi uomini, per usare un linguaggio accessibile, sono immersi nel peccato e nel dolore. Il peccato sarebbe un errato rapporto con Dio e con sé stesso, il dolore sarebbe un errato rapporto di questo uomo con Dio, con se stesso e con il cosmo.

Ma è evidente che l’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo, non sono fatti che possono ripetersi in ogni ciclo mondiale come un dramma a infinite repliche. S. Agostino ammonisce:“Dio ci guardi dal credere a queste cose” Perché? Perché Dio è nato e morto una volta sola per i nostri peccati e, risorgendo non morirà mai più. Ma proprio per questo la intelligenza classica respinge con indignazione l’idea della incarnazione. Perché l’incarnazione spacca in due la storia stessa. Essa implica, che in un certo momento del tempo, la bilancia della realtà, che prima traboccava verso il male, dopo aver stabilito il versante autentico del bene e del male, comincia a traboccare in linea di principio, verso il bene. Ma per chi pensa il mondo come un eterno ritorno, sempre delle medesime cose e dei medesimi eventi, tutto ciò è assurdo e impensabile, soprattutto è molto scomodo per la nostra pigrizia.

Anche nella nostra vita singola tendiamo a diventare ripetitivi, e più diventiamo anziani e più ci fossilizziamo in questa ripetitività. E l’idea della nuova nascita o della conversione ci spaventa perché introduciamo esattamente una spaccatura fra ciò che noi siamo e ciò che dobbiamo essere.

Quando un uomo comincia ad avere questo terrore di non essere in ordine con se stesso, perché il vero sé stesso non è quello che è ora, ma ciò che deve diventare, allora comincia il dramma del rifiuto del concetto di redenzione.

Ebbene nella concezione fatalistica dell’eterno ritorno il mondo, quindi anche le coscienze e quindi anche gli individui è in ogni momento il migliore dei mondi possibili. Non può quindi essere più o meno buono nelle differenti fasi della storia. Le cose girano esattamente nello stesso circolo, disse un pensatore anticristiano ai primi cristiani, i quali osavano parlare della redenzione e quindi, continuava questo oppositore: è necessario che secondo l’ordine immutabile dei cicli ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà, sia sempre lo stesso. Non ci fu una caduta, ecco la ribellione di fronte all’idea di un dover essere che comincia a tormentare il mio essere attuale. Non ci fu una caduta! Non c’è dunque redenzione, non c’è dunque una incarnazione. O Giudei o Cristiani, esclama questo pensatore, nessun Dio esiste con un figlio che venga a salvare gli uomini. Nessun figlio di Dio è mai venuto e mai verrà sulla terra a salvare gli uomini, perché la salvezza non ha significato alcuno, perché pone questo tormento dentro agli spiriti, prospettando loro di dover diventare ciò che non sono, mentre ciò che sono è esattamente la legge dell’eterno ritorno.

Ebbene vi confesso che mai come in queste fredde e solenni parole che risuonano cupamente nell’animo, si è meglio espressa la irriducibile antinomia dell’anima cristiana, tutta protesa verso la speranza e l’attesa, e dell’anima ellenica radicata nella rigida certezza che le istituzioni che esistono attualmente, avranno solamente dei mutamenti quantitativi, ma mai dei mutamenti di ordine qualitativo. Quindi le infinite ore del passato, saranno anche le infinite ore del futuro. Ebbene questa è la irriducibile antinomia della redenzione, e dell’eterno ritorno. Ma queste parole così drammatiche, così grandi, furono anche una sfida ai primi cristiani, i quali pur credendo nella redenzione non riuscivano a mostrare gli effetti sul piano storico. A questo punto cominciano tutti i nostri guai. Fu allora che in molti di loro, dico molti cristiani, nacque l’idea che Gesù fosse il fondatore di una nuova religione, che aveva il compito di sostituirsi per vittoria a tutte le altre.

Badate l’aspirazione a dominare tutta la realtà è tipica, voglio dire la situazione a dominare tutta la storia e quindi anche il movimento delle coscienze, è tipica di tutte le istituzioni politiche e religiose. Perché solo questo dominio, almeno in teoria, permette la soluzione dei problemi che non potranno mai essere risolti in una concezione pluralistica della vita sociale. Ecco il motivo per cui tutte le istituzioni politiche e religiose tentano il dominio di tutta la realtà e di tutte le coscienze, perché nel fondo noi cristiani siamo napoleonici e maomettani, non dico cristiani perché Gesù Cristo non aveva assolutamente questo modo di pensare.

Napoleone, Maometto e forse anche Budda aspiravano al dominio di tutte le istituzioni, esattamente perché una concezione pluralistica della vita sociale, non sarà mai possibile che risolva il problema della giustizia. Ebbene questa operazione è riuscita. È riuscita con grande mio sconforto, ma con grande conforto di tutta l’apologetica cristiana. Le istituzioni sono diventate cristiane in una certa epoca della storia, tradendo probabilmente il messaggio di Gesù, il quale non era orientato al dominio delle istituzioni. E allora si è ripresentato lo spettro della storia intesa come eterno ritorno. Quando l’istituzione con un colpo di mano si è (per così dire) imposta agli spiriti, ecco, da quel momento comincia ancora una storia concepita secondo il criterio dell’eterno ritorno.

Qualcuno ha tentato di esorcizzarlo questo eterno ritorno. Questo qualcuno si chiama Francesco di Assisi, ebbene, nel presepio di Greccio, quando - dice il biografo - si accostò al bambino sembrava che volesse svegliarlo dal suo sonno profondo, perché in molti cuori era morto e sepolto da dimenticanza. E questo dopo mille anni di civiltà cristiana, dopo che le istituzioni erano state occupate dal messaggio cristiano che era diventato religione tra religioni.

Ma di quel grido è rimasta soltanto la tradizione che ci porta ad utilizzare un angolo delle nostre chiese, per organizzare una piccola rappresentazione artistica, attorno ad una capanna occupata per metà da un asino e da un bue. Poi il dramma dell’eterno ritorno ha ripreso il suo corso finché gli spiriti hanno ritentato una nuova collocazione della figura di Cristo.

La perfezione umana, ideale - hanno cominciato a dire questi spiriti - è come un germe che si sviluppa attraverso molteplici incarnazioni di cui Cristo è un importante capitolo, ma non il capitolo definitivo. Gesù Cristo è soltanto colui che ha contribuito più degli altri a fare prendere coscienza agli uomini di ciò che sono in realtà e di ciò che il genere umano diventerà a lungo termine, per mezzo dello spiegamento delle sue proprie forze. Dunque con le sue proprie forze, non è necessario che Dio sia con noi, per darci una nuova forza capace di compiere il salto di qualità.

Dunque Gesù Cristo non è il verbo fatto carne inviato a salvare il mondo, e non lo è perché il concetto stesso di messia è assurdo, perché coloro che credono nel Messia non si distinguono in nulla da color che non vi credono, per quanto attiene si capisce ai rapporti essenziali della convivenza sociale, la quale è succube della teoria dell’eterno ritorno.

Se questa è la collocazione del pensiero cristico, non meno pesante è la collocazione del pensiero religioso nei confronti di Cristo. Citerò soltanto un passo del filosofo Maimonide che però non è mai stato smentito, il quale nel 1175, un secolo prima di S. Tommaso, scriveva: “Il Messia secondo i profeti avrebbe riscattato Israele e avrebbe radunato i dispersi, ma costui, Gesù Cristo, ha contribuito alla distruzione di Israele in quanto nazione, dunque non è il Messia”. “Ma però - dice il filosofo - la sua opera nefasta può rientrare nei disegni di Dio. Costui e altri come Lui fondatori di religioni. Ecco l’ottica che vede Gesù Cristo come un fondatore di religione, di nuova religione accanto alle altre, hanno contribuito ad appianare le vie per il vero Messia, che deve istituire il culto del Dio unico per tutti i popoli della terra come sta scritto nel profeta Sofonia”.

E dunque siamo così tornati ad un messia inteso come universalizzatore di un modello nazionale e come instauratore di culto unico per tutti, un Messia dunque teso a riproporre ed a impiantare di nuovo negli spiriti e nella realtà il ciclo dell’eterno ritorno.

Così religioni e ideologie rifiutano il Messia, perché il messia, così come si presenta nella rivelazione evangelica, spoltrisce la nostra natura, e vogliono uno invece, che mediante il dominio riduca tutta la storia ad un capitolo della meccanica celeste.

E la nostra epoca che vive l’esperienza del progresso ha la tentazione di affidare a questo progresso il mutamento qualitativo dell’uomo.




Mercoledì 26 Dicembre,2012 Ore: 10:06
 
 
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