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Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
25 marzo 2012

Pronunciata il 28 Marzo 1982


Giovanni 12,20-33

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: “Signore, vogliamo vedere Gesù”,.

Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: “E giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà.

Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!”. La folla che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”.

Rispose Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.

Vediamo di affrontare questo passo di san Giovanni, che come al solito è riassuntivo di tutta l'azione di Gesù nel mondo.

Nel romanzo di Dostoevskij, Ossessi, vi è un certo personaggio il cui nome è Kirillov, il quale a un certo momento esce con questa affermazione: "Ho cercato per tre anni l'attributo della mia divinità e l'ho trovato nella mia volontà. Tutto ciò con cui posso mostrare al mio punto massimo, la mia insubordinazione e la mia terribile novità è esattamente la libertà. E per dimostrare questa insubordinazione ecco che io mi uccido. Mi uccido per affermare la mia propria “libertà".

Bene, potrebbe essere anche questa una scelta. Cristo però muore per adeguarsi a una volontà divina, non per fare passivamente una volontà divina quasi stabilita senza il suo consenso, ma perché questa volontà divina è attuazione ultima del progetto esistenziale che è anche suo.

Ad accettare una volontà divina ineluttabile c'erano arrivati anche gli stoici, ma il renderci conto che il disegno divino su di noi è la nostra vera celebrazione, la celebrazione del nostro essere, questo probabilmente, appartiene ad una singolarità cristiana. Dunque, per fare la volontà del Padre.

L'anima mia è turbata che cosa devo dire salvami da quest'ora Padre, no ma proprio per questo sono venuto a quest'ora, allora Padre glorifica mediante la mia azione il tuo nome”. In questo caso il primum non è la libertà, come nel caso del personaggio di Dostoevskij, ma il primum è la verità. Una buona libertà, una retta libertà, una significativa libertà è quella che si consuma per raggiungere la verità. Una libertà che si assolutizza diventa una divinità sterile e autodistruttiva di se stessa. Soltanto glorificando Dio, attuando cioè un disegno che io ho scoperto essere la mia profonda vocazione, io porterò anche frutti di salvezza.

Quando facciamo degli esercizi spirituali o quando abbiamo degli incontri a livello ascetico, generalmente si dice che il fine dell'uomo è la felicità. In questo modo di pensare sono rimasto irretito io pure per parecchi anni. Poi un bel giorno ho riflettuto, anche ovviamente sul dato evangelico, mi sono convinto che questa è una strada sbagliata.

Se voi ammettete che il fine dell'uomo è la felicità, allora non vi resta che stabilire in che cosa consiste questa felicità.

Allora si faranno avanti le varie scuole e vi diranno che la felicità consiste in questo e quest'altro e ci troveremo profondamente divisi. Si farà avanti il credente cattolico e dirà che la felicità non è nel piacere, non è nel dovere, non è nell'osservanza: la felicità è il possesso di Dio. Sembrerebbe anche tutto giusto, molti la pensano in questo modo. Se non che, forse ci troviamo di fronte a un errore teologico. Se voi dite che Dio è la felicità per l'uomo, allora avete strumentalizzato Dio e lo avete ridotto ad essere un servitore dell'uomo. Ecco in che cosa consiste l'errore subdolo. Dio diventerebbe lo sgabello della mia felicità.

Allora bisognerà tornare indietro, riprendere il discorso da capo e interrogarci a fondo per vedere se il fine ultimo dell'uomo è la felicità o è qualche cosa d'altro. Ebbene, il fine ultimo dell'uomo non è la felicità ma è, diciamolo in termini teologici, la gloria di Dio, in parole più povere, è uno stato di servizio, è il raggiungimento di una perfezione. Ma, mi direte: questa felicità, che è oggetto della nostra cacciagione, dove va dunque a finire in questa visione del mondo? Va a finire al suo posto preciso, vale a dire, è un fine secondario che noi ci ritroveremo in mano quando noi avremo raggiunto questa nostra perfezione, che è esattamente quella di rendere gloria a Dio.

Se la nostra vita, è l'attuazione di quella idea divina che ha presieduto alla nostra creazione, ecco allora noi raggiungeremo la perfezione e questo sarà il fine a cui dovremo mirare, sia che ci sia da soffrire sia che ci sia da star bene, tanto per parlare in termini concreti, così avremo rimesso il fine di questa esistenza nel raggiungimento di questa perfezione, che consiste poi nel dare una gloria a Dio perché si attua quella idea divina che Dio stesso aveva avuto di noi all'atto della sua creazione.

Attuata questa idea, si è perfetti, e da questa perfezione attuata, ecco il ritorno della parola felicità, che felicità non chiamiamo, da questa perfezione attuata, sgorgherà la, così detta, beatitudine.

Sarebbe appunto beatitudine la risonanza soggettiva di questa perfezione oggettiva raggiunta seguendo lo schema che in parole brevi chiamiamo appunto la gloria di Dio. É ovvio che la felicità sarà una risonanza interna successiva e se voi volete come i muli andare per quella strada, quella felicità che voi cercate non la troverete assolutamente mai. Non dobbiamo considerare la gioia, o la beatitudine come una specie di risarcimento di danni che Dio ci darà per le fatiche alle quali ci siamo sottoposti per osservare i suoi comandamenti e cosi via. No, sarà una necessaria conseguenza della perfezione che avremo raggiunto con l'attività morale, la quale può implicare anche la morte, la sofferenza il martirio. Se uno mi serve dice Gesù il Padre lo onorerà, non dice se uno mi serve sarà felice, secondo la valenza popolare usuale, ma certamente errata.

Gesù andrebbe a morire per ottenere la salvezza per gli uomini. Allora sorge il dualismo, da un lato il Dio creatore, dall’altro Zeus che incatena nel Caucaso Prometeo il salvatore, il quale miserabile illuso, aveva lottato contro gli dei per potere dare agli uomini la felicità, nel caso il fuoco. Non si dovrà nemmeno tradurre con felicità, ma piuttosto si dovrà tradurre con progresso, il quale appunto voleva dare agli uomini la civiltà e la evoluzione. Nel contrasto fra Zeus e Prometeo, qualche acuto studioso ha visto il contrasto di interessi in Atene fra due componenti della società, gli aristocratici che avevano come patrono Zeus.

Gesû si é preoccupato dell'incremento di civiltà? A risposta secca dovrei dire no. Se intendiamo con questo una diretta applicazione allo sviluppo dell'incremento della civiltà. Ma se per civiltà si intende oltre che le conquiste della gnosi anche la capacità di convivere alla maniera edenica, allora certamente c'é bisogno della sua salvezza. Gesù dice che l'uomo così com'è non potrà mai convivere felicemente, anche se farà progressi enormi sul piano delle conquiste scientifiche. Bene, nella visione cristiana, non sono gli dei ad essere cattivi e gli uomini buoni, ma viceversa, e Gesù é mandato per tentare esattamente questa impresa assai rischiosa.

Gli uomini lo uccidono perché vuole salvarli e dice loro che devono cambiare. Gesù lo dice agli Ebrei, lo dice ai greci, che vogliono parlare con lui, vogliono vedere qual’é la sua visione del mondo. Non risulta nemmeno che ci sia dibattito, Gesû fa delle affermazioni in cui la sua visione del mondo non fa più queste distinzioni fra Zeus, che é patrono degli aristocratici e Prometeo che é patrono dei lavoratori. Per Gesù esiste un uomo solo e questo uomo solo deve cambiare. Occorre rinunciare a ciò che siamo, e questo Gesù lo dice alla religione ebraica e lo dice ai Greci fiduciosi nella ragione. Rinascere, bisogna morire a se stessi par diventare ciò che non siamo e dobbiamo essere creature nuove.

E noi invece tendiamo a perfezionare vizi acquisiti e a istituzionalizzarli.



Domenica 25 Marzo,2012 Ore: 09:51
 
 
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