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Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
15 gennaio 2012

Pronunciata 19 Gennaio 2003


Giovanni 1,35-42

“Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l'agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: ,”Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete,”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno del due, che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo” e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuoi dire Pietro”.

Sembrerebbe un Vangelo scarno di concetti e puro racconto, invece contiene un frase detta da Giovanni Battista nei confronti di Gesù che ha un valore altissimo: “Ecco l’Agnello di Dio”. Poi le parole di Andrea “Abbiamo trovato il Messia..”. Da questo spaccato brevissimo della vita di Gesù veniamo a sapere che Egli aveva una casetta (fatta di canne forse), e che probabilmente se la era costruita con le sue mani. Siamo nel Giordano, fa tenerezza, e in un altro passo Gesù dirà che il Figlio dell’uomo non ha di dove posare il capo. In questa casetta Gesù aveva ricevuto questi primi discepoli dove è avvenuto il dialogo. Veniamo anche a sapere che si era staccato dalla Madre.

Voglio affrontare la questione che sta sotto le frasi: “Ecco l’agnello di Dio” e “Abbiamo trovato il Messia”. Sarà una lezione, una catechesi e mi appello alla vostra attenzione poiché devo affrontare il problema più radicale del mondo moderno e cioè di definire le cose e la realtà senza tener conto che dietro alla realtà visibile c’è un creatore. Non punto il dito contro coloro che non credono, però siccome i non credenti si esprimono mediante ragionamenti; anch’io ho la pretesa di dire la mia opinione.

Negli esseri umani di cui abbiamo conoscenza, distinguiamo due principi che per correttezza dovrei chiamare “metafisici”, ma lasciamo la parola, che potrebbe imbrogliare il modo di capire. I due principi sono questi: l’essenza e l’esistenza. L’essenza è ciò che un essere è; questo è un foglio di carta; io sono un essere umano (uomo donna), ricordate quando si danno le ceneri si dice: “memento homo” homo inteso come persona; posseggo l’essenza umana.

L’esistenza è ciò che attualizza l’essenza. Quando dico: io sono un uomo. Con “sono” affermo l’esistenza. Quando dico: io sono un “uomo”, indico l’essenza. Tutto ciò, accade negli esseri umani, accade in tutta la realtà e cade sotto la nostra conoscenza. L’unico essere in cui non si può distinguere l’essenza dalla esistenza è Dio.

Vi ricordo un episodio di Socrate, quattrocento anni prima di Cristo, costui era diventato indigesto ai suoi concittadini, perché aveva la mania di andare a cercare la definizione delle cose. Andò dai giudici (questioni attuali) chiese loro: per favore mi sapete dire che cosa è la giustizia? Risposta: la giustizia è quella che facciamo noi! Vieni in un tribunale e vedrai. Socrate: io non voglio sapere i singoli atti della giustizia, voglio sapere che cosa è la giustizia, dovete definirla. Voi amministrate la giustizia e non sapete che cosa è, Atene andrà sempre di male in peggio.

Passa ai politici e chiede: che cosa è la politica? Risposta: la politica è quella che facciamo noi! Socrate: ma voi siete in lite continua tra di voi. Voglio sapere che cosa è la politica, facendo ridere i suoi discepoli. Intanto la classe politica se la prese con lui.

Socrate andò anche dagli artigiani che era il luogo chiamato “il ceramico” dove si lavorava la terracotta, e chiese a un gruppetto di operai: cosa fate? Risposta: facciamo dei vasi! Socrate: per favore che cosa è un vaso? E questi rispose: è ciò che vedi e che stiamo facendo noi. Socrate: voi dovete darmi la definizione del vaso. Attenzione, riprende Socrate, in queste condizioni voi siete vittima dei primi mestatori che verranno in città e costoro vi faranno credere che l’asino è un cavallo e un cavallo è un asino; a loro discrezione, perché non siete capaci di definire le cose e neanche quelle che voi fate. Questo per ricordarvi il motivo per cui Socrate fu costretto a bere la cicuta e per farvi notare l’importanza e la distinzione tra l’essenza e la esistenza.

Perché lo spirito umano è portato ad affermare questo dualismo di principi? Per delle considerazioni di ordine scientifico e di ordine morale. La scienza ha come scopo quello di far conoscere, non già dei particolari, ma la specie. Non questo topo, ma il topo; non questa rosa, ma la rosa. Quando ero ragazzo e sui testi di quinta elementare si studiava “scienze”, era rappresentata la rosa, con pistilli ecc., ma non era un fiore singolo, era la specie. Oggi nei testi, oltre che a mettere la descrizione scientifica (specie), mettono anche la fotografia, che deve essere completa, con varie qualità di rose.

La seconda motivazione è di ordine morale, cioè, si può vivere senza il pensiero di dovere spiegare scientificamente il mondo, ma non è lo stesso per il problema morale che si pone in termini simili. Vivere moralmente cosa vuol dire? Il responso è univoco presso tutti i filosofi, cioè: vivere da uomo. Tutti i pensatori ammettono questa definizione, ma quale è l’uomo secondo il cui tipo io debbo vivere? Non può essere Caio o Sempronio, meno che meno Nerone o Caligola e tanti altri grandi della storia. Neppure può essere un individuo immaginario definibile come unità media, questo è un movimento del nostro pensiero. La morale è possibile solo a condizione di ammettere fuori dagli umani, col quale ci è dato di entrare in rapporto, il tipo stesso dell’umanità: l’essenza umana. Qui nasce il duplice modo di vedere l’uomo che ha un nome ben preciso: gli essezialisti, gli esistenzialisti.

Vi citerò il testo che capovolge il modo di leggere la realtà o le cose, potremmo intitolarlo: la scoperta dell’esistenza. Il volume di cui parlo è La Nausea di Sartre. L’eroe di questo romanzo è un signore che si chiama Rocanten, costui un giorno è seduto ai giardini pubblici di Parigi. “A un certo momento, la radice di un ippocastano, sprofondava nella terra proprio sotto il mio sedile – dice l’autore – non mi ricordavo più che era una radice. (Traduco: non mi ricordavo più la sua natura o la sua essenza). Ero lì solo di faccia a quella massa oscura, bruta (non elaborata dal pensiero) e mi incuteva paura (non sapevo più che cosa fosse)”. Se avesse detto: è una radice l’avrebbe fatta dipendere da una essenza e quindi collocata in una “classe”. Restava la successiva domanda: da dove viene questa radice? Ecco perché l’esistenzialismo blocca il discorso sull’origine delle cose in questo momento. Non sa più che cosa è questa cosa. Poi, finalmente la illuminazione: quella radice era impastata di esistenza. Signori: la magna carta del proscioglimento dall’essenza. Io sono un uomo dipendente da qualcosa, guai se dico ciò a un esistenzialista, perché ammetto la dipendenza da qualcosa, ma io sono ciò che sarò in piena libertà.

Da questo momento la definisco io la morale, i comportamenti li definisco io, in assoluta libertà, perché non ho più la catena della dipendenza dalla essenza. Ecco dove nascono le libertà assolute in ogni campo, dal sesso, al danaro, al potere. Io vorrei non derivare che da me stesso, l’esistenza ci è data solo per la conquista dell’essenza, questa frase è di un esistenzialista cristiano.

La vita dell’io è essenzialmente un progetto, sono d’accordo: “Ecco l’Agnello di Dio”; “Abbiamo trovato il Messia”. Gesù non orienta ad alcun esemplare, in tutto il Vangelo, non troverete mai una frase come questa: siate sapienti come Salomone, oppure come Davide ecc. Sono esclusi tutti i modelli umani e Gesù non porta l’attenzione neanche su se stesso, questo lo facciamo noi per induttanza, Lui indica come momento di perfezione il Padre: “Siate perfetti come il Padre che sta nei cieli”: ma il Padre è infinito. Se il Padre è infinito, via da noi l’idea di poter portare azioni a nostro favore e dire che sono buono, questo ce lo dobbiamo togliere dalla testa.

Un cristiano non ha mai un momento in cui possa dire neanche a se stesso di essere tranquillo, perché deve diventare perfetto come il Padre che sta nei cieli, ma il Padre è infinito, quindi cerca di tenerti orientato verso questo “Infinito”.



Sabato 14 Gennaio,2012 Ore: 15:27
 
 
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