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Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
12 dicembre 2010

Pronunciata l’11 dicembre 1977


2 dicembre 2010
Pronunciata l’11 dicembre 1977
III Domenica di Avvento ciclo A

Matteo 11,2-11

In quel tempo Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere di Cristo, mandò a dirgli per opera dei suoi discepoli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?”. Gesù rispose: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete. I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti i sordi riacquistano l'udito, i morti resuscitano, ai poveri è predicata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me”. Mentre questi se ne andavano Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto ? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Si, vi dico, anche più di un profeta. Egli e colui, del quale sta scritto: “Ecco io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te". In verità vi dico: “Tra i nati da donna non è sorto uno come Giovanni Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.

Vi leggo la quarta preghiera che trovate sul foglietto e che si dovrebbe recitare dopo il Vangelo: “Perché i cristiani nella fattiva coerenza della loro fede preparino come Giovanni Battista la via a Cristo Signore”. Sembra difficile individuare l’errore che contiene questa preghiera, ma molto facile se guardate la chiusura del passo: “…Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui.”...
No, oramai non bisogna più “preparare” come Giovanni Battista, se cristiani siamo, un salto di qualità dobbiamo avere fatto. Se siamo veramente i cultori del Regno dei cieli, allora siamo più grandi di lui, ed è chiuso questo paragone. Anche questa è una maniera per chiudere il discorso della metanoia.
Ma procediamo con ordine. Prendiamo il fatto che uno nasca cieco, voi direte che il discorso si allontana, ma no, perché anche qui si parla di ciechi che vedono, e di storpi che camminano. Vi faccio notare che la situazione dei ciechi nati l’abbiamo tra noi a partire dall'anno trecento, a partire dalla conversione di Costantino, e prima presso il popolo ebraico.
La mentalità moderna avrebbe qualcosa da obbiettare a questa situazione. Allora il mondo romano, o il mondo greco, avrebbe potuto dire al mondo cristiano: voi vi lamentate di una cosa di cui siete colpevoli, noi quando nascono questi bambini li uccidiamo. Chi è colpevole di questo fatto che in una civiltà ci siano ciechi nati? É indubbiamente una visione del mondo, ma questa visione del mondo è giusta o non è giusta? La situazione però è che, voi li avrete o non avrete, facendo qualcosa per averli o per non averli, in ogni caso, una visione del mondo dobbiamo scegliere.
La civiltà romana è durata più o meno mille anni, in quegli anni, dei ciechi nati per la strada non se ne vedevano perché il paterfamilias aveva la facoltà di sopprimere il bambino entro cinque giorni dalla nascita. Nel mondo romano e greco, il fatto che uno nascesse cieco era un errore della natura, dunque dovevano eliminarlo. Voi fate così con i frutti e qualcuno lo fa anche con gli animali, la natura ha sbagliato il suo corso, peggio per lei, via, si sopprime l'individuo che non è in ordine con la natura.
In una civiltà invece in cui questi ciechi ci sono dobbiamo coinvolgere Dio. Perché se gli ebrei si fermano di fronte a un cieco nato e non lo distruggono come i romani, avranno in testa un mito. Riagganciando la situazione a Dio si pongono questo problema: Dio lo ha reso tale, rispettiamo la sua volontà, sottointeso: anche nell'ambito dell'ebraismo, lo sappiamo dal testo evangelico, questo fatto di nascere cieco è un castigo dovuto a lui oppure ai genitori per qualche peccato misterioso. Gesù dirà che la colpa non è, né dell'uno né dell'altro. Ecco il problema che si pone: lo dobbiamo rispettare come un dato naturale o dobbiamo fare qualcosa per risanare la situazione?
Questo Messia che dà la vista ai ciechi, allora può essere accusato di violare una legge divina, anche se il singolo che riceve il beneficio se ne rallegra. Costui però ha violato una legge divina: il predicare la buona novella anche alla gente comune, alla gente che non conta, poiché non è vero che appartengono al rango delle bestie, così erano considerati gli schiavi e anche i poveri storici. Anche là dunque c'è la possibilità di potere costruire una umanità nuova. E questa mi pare la prima rivoluzione di Cristo, non quella di Giovanni. Ora ho capito bene la frase: “...beati coloro che non si scandalizzano di me”, se comincio a predicare questa novità esistenziale.
Gesù non dice i ciechi vedono, gli zoppi camminano, come non dice parallelamente i poveri diventano ricchi. Ci deve fare riflettere la contrapposizione fra il povero storico e il ricco storico, in ogni caso il povero ipotizzato da Gesù, che è il mendicante delle spirito. Questo povero non è orientato a diventare ricco, ma Gesù dice: “ai poveri è predicata la buona novella”. Specifichiamo allora, ai poveri storici è dato da questo momento, lo strumento per risolvere nella ecclesia la carenza umana della loro condizione storica. Ci vorrebbe un'ora per sviluppare tutto il pensiero, che ho concentrato in una formula. Lo strumento per risolvere si capisce, non per fare quella lettura medioevale del povero che rappresenta il Cristo crocefisso. Orribile, questo tipo di lettura, diciamo, simbolica.
Il ricco non è il livello più alto dell'uomo per Gesù, ma la sua degradazione, perché per essere tale, ha bisogno che qualcuno non lo sia, così come, il sole brilla meglio se ci sono le tenebre accanto, o se c'è il cosiddetto scuro che da risalto al chiaro. No, perché la luce del sole, per la verità, non è costruita sulle tenebre, la luce del sole vale per se stessa in ogni caso, e per costruire il suo fulgore non ha bisogno delle tenebre. E invece, socialmente parlando, accade proprio cosi, il ricco è tale perché c'è qualcuno che ricco non è, c'è qualcuno che paga questa ricchezza con altrettanta povertà. Ma Gesù non si schiera né dall'una né dall'altra parte, perché sono uno effetto e causa dell'altro.
Chiama a raccolta i poveri, volete che siano i poveri storici? Ve lo posso anche concedere a patto che essi abbiano capito il significato del Suo messaggio. Allora fra di loro, uniti nella ecclesia, sono chiamati a dare un saggio su come si vincono i disastri compiuti dal peccato originale che ha condotto a questa bella situazione storica, cioè di avere davanti due mostri: i ricchi storici e i poveri storici. Costoro, debbono dare il saggio di sapersi unire per mostrare come la buona novella, operando nel loro cuore e nel loro cervello, dia loro la possibilità di risolvere quei problemi di cui essi sono vittime, di risolvere cioè il rapporto fra capitale e lavoro fra di loro. Voi mi direte che capitale non hanno allo stato attuale, quindi non è più un problema, il capitale l'hanno anche loro, solo che, chiamati a metterlo insieme per potere iniziare un lavoro in una unità diversa fra di loro, ahimè, a questo punto, non si danno da fare e preferiscono invece la lotta di classe.
Vediamo un esempio. Nell'ambiente sociale dell'alta e ricca borghesia, il ragazzo come parla e pensa in termini di gite all'estero, di gite sul Monte Bianco a vedere la neve come è fatta lassù, poi di vestiti che ci vogliono per andarci, poi vuole le scarpe in un certo modo, poi ci vogliono gli sci anche fatti in un certo modo e così via. E invece gli altri ragionano in termini di bollette del gas, dell'acqua e della luce che devono essere pagate, sarebbe meglio parlare di scii e del Monte Bianco.
Il ragazzo è già alienato, e lo si aliena definitivamente convogliando le sue ansie e i suoi risentimenti contro la classe che lo opprime anziché farlo riflettere sul perché ci sono le classi. Questo è un discorso che non ho ancora trovato nella mente di alcun educatore. Anche i cattolici, smarriti mi domandano cosa si deve fare, ecco qui una piccola indicazione. Sfugge il fatto che questo ragazzo è uguale all'altro, anche se in apparenza è disuguale e ha addosso “il cappotto della famiglia”. Sottile questo discorso, ma abbastanza chiaro.
Bisognerebbe a questo punto ipotizzare una situazione che io chiamo di assolutezza. Immaginiamo che resti al mondo soltanto la borgata romana, che non ci siano più gli esattori, che non ci sia più la classe opprimente senza potere costituito, e vediamo adesso come costruiamo il nostro spazio insieme.
Non dovendo più parlare in termini di contrapposizione dualistica, ma costretti a costruire positivamente il nostro stare insieme, allora vedrete che siamo privi di una qualsiasi fantasia. Siamo spauriti, non abbiamo più qualcuno da uccidere, non siamo più capaci di dare un giudizio sulla nostra situazione. Mentre abbiamo sempre qualcuno da uccidere o qualcuno da convincere, il qualcuno da uccidere è il capitalista, il qualcuno da convincere è il servo della gleba che deve assorbirsi il discorso di Menenio Agrippa, tanto per intenderci. Allora, o abbiamo qualcuno da uccidere o qualcuno da convincere, per sentirci dalla parte del giusto, ma giusti non vogliamo diventare.
Adesso voglio vedere quei ragazzi - ecco qui il punto interessante di una eventuale scuola nuova - come, mettendo a frutto le loro meningi, risolveranno il caso delle bollette, il caso cioè che li riguarda come unici superstiti della razza umana, voglio vedere come se la caveranno.
Ed è qui che entra di impeto il discorso di Gesù, il quale dice che il più piccolo, nel Regno dei cieli, il più piccolo fra quelli che hanno capito il significato della sua rivoluzione, cioè quello di costruire la “Ecclesia” fra coloro che hanno percepito il suo Messaggio, sarà il più grande.



Domenica 12 Dicembre,2010 Ore: 07:50
 
 
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