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Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
28 novembre 2010

Pronunciata il 27 Novembre 1977


(I domenica di Avvento ciclo A)
 Matteo 24,37-44
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come fu ai giorni di Noe, così sarà la venuta dei Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano e prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, cosi sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà”.
 
Questo ricordo della situazione in cui vennero a trovarsi gli uomini alla vigilia del diluvio, mette conto ricordarla un momento, anche se gli ascoltatori ai quali Gesù si rivolgeva sapevano meglio di noi le cose.
Dio rivela a Noè il castigo che pensa di infliggere agli uomini per i loro delitti, conoscendo la pazienza di Dio significa averne fatte certamente delle grosse. Lo so, molti di noi invocano, a volte, la potenza divina. É bene essere cauti perché non so in quanti rimarremmo in questo mondo. Sarà meglio non invocarla, perché nessuno di noi, forse, ha la percezione di essere disonesto quanto lo è in realtà, per cui, meglio ascoltare i suoi insegnamenti anziché invocare la sua onnipotenza.
Dunque, per più di cento anni Noé si fa predicatore della giustizia divina; aveva preso una distanza abbastanza lunga, ma nessuno lo ascolta, nemmeno durante gli ultimi sette giorni quando questo povero uomo comincia a tirare gli animali dentro alla famosa arca. Siamo alle strette, diceva, ma nemmeno il mattino in cui comincia il diluvio.
Dice la scrittura che questi uomini erano assorbiti dai loro affari e dai loro piaceri. Piaceri e affari, c'è un po' di assonanza, pare che siano chiusi dentro alla stessa finalità. Lavoriamo per guadagnare, perché bisogna guadagnare per vivere, ma la realtà è un'altra, tanto è vero che a ognuno di noi non basterebbe un miliardo al giorno, se proprio dovessimo accondiscendere a tutti i nostri desideri. Così furono sorpresi nonostante gli avvisi. Questo vuol dire allora, che il nostro cervello ha delle difficoltà a cogliere i messaggi finalistici e tende a chiudere tutte le finalità dentro all'orbita del proprio io e non oltre la propria singola esistenza.
Ora, ciò che stupisce, non è che il presente ci assorba, guai a noi se non mettessimo attenzione alle cose che facciamo, sarebbe un disastro, guai se il manovratore non mettesse attenzione al volante, guai a noi se non abbiamo attenzione al presente, ciò che stupisce non è che il presente ci assorba più del futuro, ecco l'altro termine, ma che si viva senza tenere conto alcuno di questo futuro, anzi, lasciandoci assorbire a tal punto dal presente immaginando e convincendoci che c'e il solo presente e non il futuro.
Allora si assorbe tutto il futuro nel presente e, in questo caso, mi chiedo cosa può diventare ognuno di noi e cosa potrà diventare la sua città intera. Il male è nel non mettere in conto il futuro in alcun modo, o se nel conto lo si mette, facciamo l'appendice, lo mettiamo a mo' di rito, a mo' di pratica magica, andiamo ad accendere la candela, oppure andiamo dalla chiromante. E allora le parole di Gesù, in questo caso, rientrano nell'ambito della religiosità naturale e servono eventualmente a risolvere il nostro caso personale in extremis, senza che mai questo futuro abbia una sua incidenza sul presente, e così la nostra vita è dominata dal destino.
In una società dominata dal destino non c'è posto per la conversione, capito? Non ha significato alcuno cambiare vita, dare una progettazione diversa alla propria vita, giacché tutti finiremo allo stesso modo. Conosco una persona di un certo ceto, che ha sbagliato tutte le scelte della vita, quando ha sentito della morte di La Pira ha detto: è morto anche lui, così siamo tutti eguali. La preoccupazione di quest’uomo è di ridurre tutto alle proprie dimensioni, come se La Pira avesse sbagliato tutta la sua esistenza anche lui. Questo gusto tragico di riportare tutti a quelle dimensioni del fallimento vuol dire questo: che la propria vita è tutta condizionata dal dominio interiore del concetto del destino o di destino e in queste condizioni non c'è posto per la conversione. Dante vale quanto un asino, si perché alla fine quando voi andate a cercare nella tomba le ossa dell'uno, poco più poco meno, sono assomiglianti alle ossa dell'altro.
Citerò ora il punto più alto della speculazione del mondo antico, poi vi citerò che cosa pensa su questo punto il, forse più grande genio del cristianesimo, Origene. Avrete così la discriminante esatta tra quello che è il modo di pensare l’esistenza da parte di un cristiano, e il modo di pensare invece l'esistenza di chi cristiano non è.
Il culmine della concezione delle vita dominata dal destino, lo troviamo in Seneca, che è anche citato da Marco Aurelio nel suoi "Pensieri", egli dice: “In ogni tempo lo spettacolo del mondo fu identico - vi ricordo che è un filosofo che parla, quindi frasi altamente elaborate - ricordati queste due verità in ogni tempo, lo spettacolo del mondo fu identico, tutto si evolve secondo un ritmo circolare, colui che muore giovane non perde più di colui che è vissuto molto a lungo”. Questo è il culmine del pensiero romano, e molti di noi probabilmente sono inseriti in questa mentalità.
Il pensiero cristiano insorge contro questa concezione ciclica del mondo e del tempo. Ecco il testo di Origene: "Le anime non sono costrette da nessuna forza estrinseca a compiere unciclo per ritornare poi allo stesso punto. Non è ciò, che le spinge a fare tale o tal altra cosa, non è dunque questa predeterminazione del ciclo, che le costringe a fare tale o tal altra cosa, ma là dove tende la libertà del loro proprio genio, ivi si dirige il corso delle loro azioni. La dove dunque, le conduce la libertà del proprio genio”. Ecco, è qui dove si lega il discorso della fine costruito da Gesù.
Questo genio, altamente libero, può costruire ciò che gli aggrada, abbiamo scardinato la nostra esistenza dall'incubo del destino, ne siamo noi i costruttori a livello personale. A livello personale, sto pensando qui al dramma degli sposi, se l'altra parte fosse vittima del destino, dico mentalmente, cosa faccio io? Due i casi: o io resto macinato nell'anima e nel corpo, pazienza il corpo ma nell'anima, e allora Cristo non è più salvatore per me. Oppure esco da questo ciclo, ritrovo la mia sovrana libertà e guardo l'altra parte con estrema pietà. Perché allora, è l'altra parte che distrugge se stessa e si distrugge nel ciclo delle ripetizioni: mangiavano bevevano si sposavano. E poi? Quando le due anime non sono più in sintonia non c'è dubbio, è un dramma. E allora andiamo dalla chiromante oppure ad accendere una candelina, oserei dire da nessuna parte!
Rimeditiamo invece ciò che Gesù ci dice: “State pronti”. Vi faccio notare che Gesù non dice: attenzione! Ma: state pronti. É dunque una disponibilità interiore, non un cartello che può servire anche per le pecore e i buoi. State pronti a un richiamo, a un cervello, a un'anima, che secondo la visone di Origene, che in questo caso si attaglia perfettamente con la visione del cristianesimo: “La libertà del loro proprio genio è al centro della loro esistenza”.
Come mai Gesù cita le cose buone di diritto, è una cosa buona e di diritto il mangiare e il bere, e cosi lo sposarsi. Però queste cose, proprio perché sono buone di diritto, in quanto cioè chi le ha create le ha create nell'ambito di una finalità, ahimè, in nome di quella potenza dell'anima che segue il proprio genio di cui parlava Origene, possiamo anche definalizzarle: “Tutto questo che è buono di diritto può essere definalizzato”.
Gesù non dice: poi facevano guerra, rubavano uccidevano. Già, perché questo è male in sé, tutto questo siamo pronti a condannarlo, ma invece rischiamo di celebrare oltre il dovuto, anzi, contro il dovuto, dunque anche le cose buone in sé possono essere deturpate.
Ebbene, il buon ladrone - ritorna il discorso - faceva cose negative: rubava, uccideva e fu salvo. Qui invece pur facendo cose buone di diritto come il mangiare il bere lo sposarsi ci si autodistrugge.
Gli uomini dell'epoca di Noè erano piombati nella ripetizione ciclica. Un disco rotto ripete all'infinito le stesse cose. Ora un'anima che deve seguire il proprio genio si trova schifata di fronte a ripetizioni cosi monotone
Invece, il buon ladrone è grande perché intuisce che la storia insegnata da Gesù non è una storia ciclica, ed egli è grande ed entra nel paradiso perché, a differenza degli uomini dell'epoca di Noè, spezza questo ritmo ciclico e riassume in toto la responsabilità della sua libertà.


Sabato 27 Novembre,2010 Ore: 22:26
 
 
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