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Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
24 ottobre 2010

Pronunciata il 26 Novembre 1980.


Luca 18,9-14
In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregar: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava cosi tra se: O Dio ti ringrazio che non sono come gli altri uomini; ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimane e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
 
Se guardate il foglietto che avete davanti, nella introduzione al vangelo, si dice: Gesù esaudisce solo la preghiera del povero e dell'umile, non del presuntuoso e di chi si giustifica. Questo é un sintomo di un certo costume, vale a dire che oramai anche il mondo clericale, scusate il gergo, si butta in un certo classismo. La Chiesa dei poveri, dobbiamo stare con i poveri…
Gesù esaudisce solo la preghiera del povero e dell'umile. Ma se guardiamo bene questi due signori che vanno al tempio sono tutte e due ricchi e voi capite che non regge neanche la qualificazione. Il fariseo sappiamo chi é. I pubblicani erano coloro che in fondo maneggiavano il danaro, nel riscuotere le gabelle pubbliche e abbiamo l'esempio di Matteo e quello di Zaccheo i quali erano certamente ricchi. Allora lasciamo quindi stare questo stupido discorso, perché si potrebbero creare false distinzioni del mondo in poveri e ricchi, false e poi classiste. Proprio quei bravi cattolici che combattono il classismo un po’ alla volta loro stessi lo reintroducono, e siccome non hanno la soluzione al problema del classismo, un po’ alla volta storicamente si adeguano almeno al linguaggio.
Vediamo ora di indagare dentro al passo evangelico. Se il mondo non va bene di chi é la colpa maggiore? La colpa maggiore é dell'homo religiosus, perché Gesù ha preso di mira quello; Gesù non ha polemizzato con gli atei, non se l'è presa con gli atei, se l’é presa con coloro che si dichiarano religiosi, che credono in Dio e dicono che appunto soltanto che, chi crede in Dio ha la possibilità di potere fare andare meglio il mondo cominciando col fare andare meglio se stessi.
E chi non crede, provi a fare andare meglio il mondo, attenzione non pensando di uccidere coloro che non la pensano come loro, ma unendosi fra di loro. Stesso discorso, che faccio all’homo religiosus. Senonché mi dispiace signori atei, laddove voi siete partiti con il proposito di migliorare il mondo, voi avete ottenuto degli esiti tutt’altro che soddisfacenti, lo riconoscete anche voi. Allora dunque, c’é qualcosa che non funziona neanche nell’ateismo. L'homo ateus, non ha il punto di riferimento per battersi il petto. Questo é tragico, bisogna che ve lo dica. Non c’è Dio, dunque non c'é l'a1tro a cui io posso riferirmi per vedere che sono uno carogna. Ma dove si crede in Dio c'é il rischio di annullarlo come altro e quindi di inglobarlo nell’io. Il rischio dell’ateo è ignorare Dio, mentre l’homo religiosus lo mangia e lo utilizza.
Quegli uomini salgono al tempio, tutti e due credenti, lo deduco dal fatto che vanno nello stesso tempio e ci vanno per pregare. Nulla di più sublime, ciò significa in assoluto riconoscere il proprio limite, riconoscere un Padre comune, riconoscerci fratelli, questa sarebbe la preghiera.
Senonché dobbiamo vedere che cosa c'é dentro a quelle due teste. In quella di un Fariseo c'é una differenziazione assurda sulla quale Gesù ironizza, da uomini che sono ecco che si trasformano in fariseo; l'altro non è più uomo, é diventato un pubblicano, sparisce il sostantivo uomo, si mette l’aggettivo che fa comodo e si può procedere alle nostre operazioni.
Il rischio è nelle preghiere private, giustamente mi pare che lo dicesse già Seneca: “Per potere saggiare la bontà delle nostre preghiere dovremmo immaginare di poterle dire tutte in pubblico”.
Il Fariseo non ringrazia perché ha ricevuto, ma perché non é come gli altri, quindi non appartiene più alla serie umana per una specie di autocostruzione di sè stesso, oppure di creazione a parte, perciò voi sentite sotto una forma di razzismo. Quando si é falsato il concetto di preghiera, cioè quando la preghiera non é ascolto, questa parola é una celebrazione dell'io e togliamo la paternità divina a tutti gli esseri che ci stanno attorno. Abbiamo sconvolto il concetto di Dio e anche il concetto di prossimo.
Eppure a qualcuno sembra eccessiva la condanna che Gesù fa del fariseo. Tentiamo un recupero, le sue opere non sono poi cattive; non è rapace, non è ingiusto, non é adultero, digiuna due volte la settimana, paga puntualmente le tasse. Domanda: quanti sono oggi i cristiani, scusate, i cittadini della repubblica italiana capaci di pagare puntualmente le tasse, di non essere adulteri, rapaci? Mi domando quanti sono i cittadini italiani, ma dovrei dire quanti sono i cattolici della Repubblica Italiana capaci di compiere queste cinque opere.
Eppure, quest'uomo fa qualcosa che rende inqualificabili, inutili, senza significato alcuno, tutte queste cinque azioni. Badate sono cinque azioni, perché alla radice c'é anzitutto un errore teologico assai diffuso che consiste nel concepire la bontà come una serie di opere buone o di azioni cosi dette buone. Tanto che noi immaginiamo il giudizio di Dio come una specie di bilancia, molte volte vi é stato predicato probabilmente questo schema.
Dice S. Giacomo nelle Lettere che i comandamenti sono dieci, ma chi ne osserva nove è come non ne osservasse nemmeno uno. La bontà é un salto di qualità dell' io, non é un numero tot di azioni buone. Sarebbe come tradire la moglie e in cambio fare molte opere di carità. Tradire la moglie è colpire il comandamento del suo cuore: il primo prossimo è la moglie.
Se il fariseo compie cinque azioni formalmente buone d’accordo, ha però l'anima segnata da due punti neri. Si autoproclama, e fa degli altri il termine di paragone delle sue virtù, annullando il rapporto di similitudine tra primo e secondo comandamento. Il secondo comandamento dice che poi é simile al primo di amare il prossimo come se stessi e il fariseo dice che lui non è come gli altri. Ecco l'antipaternoster, il mio sostituisce il nostro, Padre mio anziché Padre nostro. Padre mio ridotto, scusate, a strumento.
Un uomo virtuoso, vale a dire rinnovato nell'intimo potrà compiere cinque o mille o duemila o una sola azione, ma le compirà perché é virtuoso appunto e non sarà virtuoso perché le compie, ecco la diversità. Le opere buone debbono essere tali perché frutto dell'io rinnovato. Per il fariseo invece sono uno scopo, sono una dimostrazione.
Il pubblicano é quello che è, d’accordo. Io non sono qui per dire che il pubblicano sia migliore nei fatti. Tutti e due arrivano alla preghiera, uno con l'anima a pezzi, e quell'altro non é che fosse migliore intendiamoci bene, no! Il pubblicano é quello che é, ma ha il vantaggio di riconoscerlo. Ecco il vantaggio sull’altro, e cosa interessante, assegna alla preghiera il suo vero significato, vale a dire, strumento di conversione e di rinnovamento.
Infatti, il primo va a casa soddisfatto, ma la soddisfazione appartiene alla psicologia, psicologicamente soddisfatto ma ontologicamente ancora al margine. Quell'altro invece é giustificato perché si riconosce peccatore, e da questo punto di partenza egli sarà in grado di ricostruire una nuova fratellanza.


Luned́ 25 Ottobre,2010 Ore: 16:51
 
 
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