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www.ildialogo.org 7 marzo 2010,

Le omelie di padre Aldo Bergamaschi
7 marzo 2010

Pronunciata il 6 Marzo 1983 - Ciclo C


Luca 13,1-9 

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per avere subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Disse anche questa parabola: “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no lo taglierai”.
 
 
Ecco un Vangelo che non vorrei commentare, perché mi trovo mentalmente in un grave conflitto. Spero che abbiate ascoltato con una certa attenzione le letture. Camminano bene fino a un certo punto poi si deteriorano, e poi il testo evangelico che risolve i problemi posti nelle due letture anteriori. Voi capite come io possa trovarmi di fronte a questi testi in quanto essere pensante. Essere pensante cioè che è preoccupato della verità in assoluto, e che in quanto pensatore, come prima preoccupazione, non vuole cadere in contraddizione né vuole vedere fuori di sé il riemergere della contraddizione. Perché, la dove c'è contraddizione, verità non esiste. Questo è il precetto primo e fondamentale della mente umana. Detto questo inoltriamoci in questa selva oscura per vedere di trovare un poco di luce.
Badate che sul primo passo, ho fatto lunghe meditazione nel passato, poi oggi mi trovo a dover sconfessare quelle lunghe meditazioni perché le ho trovate falsificabili. Oggi vi narrerò questa sofferenza. Badate non partiamo dal presupposto assoluto che sia Dio a parlare a Mosè, perché se partiamo da questo presupposto rischiamo grosso. Oppure, se partiamo da questo presupposto allora dovremmo trovare poi tutto in ordine con il concetto di Dio, quale almeno abbiamo oggi, e quale noi abbiamo inteso che fosse rivelato da quelle tre parole di cui adesso parlerò.
“Io sono colui che è, io sono colui che sono”. Dio si presenta purtroppo in questa prima lettura come il Dio di una stirpe. Certo anche Gesù lo cita il Dio di Abramo, il Dio di Isacco il Dio di Giacobbe, per dire che è il Dio dei vivi. . Ma il senso in cui lo prende Pascal, e in cui lo prendo io, e in cui lo prendiamo noi quando citiamo questo passo, è diverso dal senso in cui era inteso da tutta la storiografia del Vecchio Testamento, e anche s. Paolo probabilmente era in questo errore storiografico. Dio si presenta come il Dio di una stirpe e non come il Dio di tutti gli uomini. Quando parliamo del Dio cristiano parliamo di un Dio in assoluto, che riguarda tutti gli uomini in assoluto, dunque deve cadere un Dio che è protettore, che è schierato con una stirpe. Ed ecco allora il primo dubbio.
Quando Dio osserva la miseria del suo popolo è un Dio che si schiera. Scende per liberarlo dalla mano dell'Egitto e questo non è il Dio di Gesù. Allora voi capite come il gruppo abbia attribuito a Dio la vittoria, così come Costantino attribuirà la vittoria su Massenzio al Ponte Milvio, al Dio cristiano, e peggio ancora a Cristo, contaminando così definitivamente l'immagine che Gesù aveva dato di Dio e di se stesso.
Mosè dice, "Il Dio dei vostri padri mi ha mandato". Avrebbe dovuto dire: “al popolo il Dio” dei vostri padri, e giustamente, qui c'è un senso critico, .... e come si chiama .... ma come non lo sapevate, il Dio di Giacobbe, il Dio di Abramo. Mi viene il sospetto che qui non ci sia una rivelazione originaria. E qui ci qui vedo una impennata della eliminazione della falsificabilità, come direbbe Popper. Allora, ecco la frase famosa, "Io sono colui che sono", questa è forse la rivelazione originaria.
Su questo punto il pensiero greco a cosa era arrivato, cito Parmenide, questo cervellone che ha dato origine a tutto il pensiero occidentale e che tuttora lo tiene in scacco. Vi ricorderete la frase di Parmenide: l'essere è, il non essere non è. Poi Parmenide era arrivato a questo estremo, il divenire, ciò che noi vediamo, appartiene al non essere dunque non esiste. Ed ecco il problema, la mia mente tende a pensare l'essere eterno, ma i miei sensi sono costretti ad ammettere che qui c'è il divenire. E siccome Parmenide non aveva il concetto di creazione è rimasto fermo su questa squalifica di tutta la realtà. Ancora oggi conosco un filosofo che è d'avviso che il divenire non sia evidente.Voi capite, assumersi la responsabilità di negare l'evidenza del divenire è una grossa responsabilità.
Ma continuiamo "Io sono colui che sono". Il gruppo tende a far dire a Dio che lui è il Dio della tribù di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Partiamo da questo presupposto: il Dio vero nel rivelarsi continua a dire che Lui è il Dio di tutti e non di una stirpe, un Dio che può essere scoperto da quella mente umana che voglia tentare di definirlo correttamente, questa io credo che sia la originaria rivelazione. "Io sono colui che sono". Ora vediamo da vicino quella formula.
Con questo passo dall'Esodo: "io sono, ... mi ha mandato a voi ... dirai il Dio dei nostri padri", si presenta la rivelazione del Dio vero, del Dio che è Dio di tutti gli uomini e non di una stirpe, viene elaborato dalla filosofia del gruppo, all'interno della celebrazione della propria stirpe. Questa sarebbe la lettura storicistica del vecchio testamento. Vedete Dio si è messo a capo di un popolo e lo ha liberato dalla schiavitù di un altro popolo.
Gesù invece dice - sto rispondendo a questa implicanza - "Prima che Abramo fosse, io sono". Vedete che qui si scavalca quell'Abramo che nella storiografia veterotestamentaria era stato preso come il capo della stirpe. Gesù dice "prima che Abramo fosse io sono". Non 'ero', io sono. E Gesù intende, il vero Dio è quello di cui io sono il rivelatore, io sono prima che Abramo fosse, e questo Dio di cui io sono il rivelatore è il Dio di tutti, non il Dio di una stirpe, perché se Dio è Dio di una stirpe, noi non potremo mai e poi mai avere la pace su questa terra.
Adesso concedetemi una piccola analisi di queste parole famose: "Io sono Colui che è". In latino è ancora più preciso il discorso "ego sum qui sum". Che cosa vuol dire in termini filosofici: “Io sono Colui che è al di fuori del divenire". Noi siamo, ma c'è stato un tempo in cui non eravamo, siamo nati, e poi ci sarà un tempo in cui non saremo. Sotto questo profilo si capisce, non parliamo della immortalità dell'anima.
Ma, in ogni caso noi siamo in un tempo in cui non siamo, poi nel tempo in cui siamo, poi nel tempo in cui non siamo ancora, ecco la nostra discesa, Colui che è, ha dato origine a coloro che divengono, dunque noi siamo e non siamo. Se dovessimo rispondere con esattezza - da un punto di vista filosofico - dovremmo dire siamo e non siamo, cioè la nostra esistenza rimanda all'essenza.
Vediamo allora la proposizione: io sono un uomo, questa è la proposizione più alta che noi possiamo dire di noi stessi. Con 'io sono' affermo la mia esistenza, con quell'altra parola 'un uomo' affermo la mia essenza. Potremmo tradurre così: io posseggo l'essenza umana, io, direbbero gli esistenzialisti, vorrei non ricevere me stesso se non da me stesso. Ecco l'ideale, cioè il sogno dell'uomo, essere il creatore di se stesso. Questo sarebbe il sogno, ma nell'atto in cui lo si enuncia ecco che noi scandiamo in due momenti il nostro essere. Da un lato l'esistenza, dall'altro l'essenza.
Allora, solo in Dio l'essenza è inseparabile dall'esistenza, o come si dice è indiscernibile dalla essenza: io sono colui che sono. Faccio tre traduzioni, perché sia chiaro il discorso che ho fatto prima.
Primo "io sono colui che sono" è uguale a: è nell'essenza di Dio di esistere. Purtroppo non è nell'essenza nostra perché c'è stato un tempo in cui non esistevamo.
Secondo, Dio è necessariamente esistente. Ritorniamo a Parmenide: "l'essere è". Certo questa è stata la più grande affermazione della mente umana.
Ultima proposizione: è contraddittorio che Dio possa non esistere, perché se non esistesse bisognerebbe liberarsi dalla contraddizione di questa realtà che noi vediamo.
Questa contraddizione, direbbe un filosofo italiano che considero una grande mente, il divenire è questo: il foglio è qui poi non è più qui è là. Fra l'essere qui e il non essere più qui, c'è una contraddizione che la mente umana potrà risolvere solo ipotizzando il principio - dice questo filosofo - di creazione. Ecco allora il senso della frase: 'è contraddittorio che Dio possa non esistere'.
Il pericolo dunque della definizione di Dio, come Dio di una stirpe è che qualcuno veda Gesù come un nuovo capitolo in cui Dio si sceglie un’altro popolo, invece di vedere Gesù che corregge questa solenne sbandata della teologia ebraica. La quale sbandata poi, dal punto di vista laico, si chiamerà storicismo hegeliano.
Il discorso di Gesù ci trascina da un'altra parte. Non furono peggiori degli altri coloro che morirono durante un sacrificio uccisi da Pilato, non furono peggiori degli altri abitanti di Gerusalemme coloro che rimasero sotto il crollo di una torre, quindi, bando a questo incastro di Dio all'interno delle nostre stupidità umane.
E Paolo, purtroppo lo vedete, cito: "della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto", presentando questo come opera di Dio. Siccome Paolo scrive le proprie lettere prima che i Vangeli fossero scritti, mi viene il dubbio che non avesse udito tutta la rivelazione fatta dai discepoli, di Gesù.
Infine quelle parole di Gesù: "se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo" vuol dire che noi siamo lasciati storicamente a noi stessi, senza una concezione pulita di Dio, creiamo dei sistemi entro cui ci autodistruggiamo, vedi il problema della pace, vedi il problema della giustizia sociale. Dentro quel sistema ci auto distruggiamo; ma quel sistema non lo ha fatto Dio, come non è vero che li abbia abbattuti nel deserto, nel deserto sono morti per la loro stupidità e nulla più.
Allora se il sistema è un imbuto, convertirsi vuol dire stare fuori, impedire che questo imbuto si formi, perché se si entra non c'è più nulla al mondo che possa salvarci dalle stupidità di cui siamo vittime.
 
6 marzo 1983


Luned́ 08 Marzo,2010 Ore: 14:46
 
 
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