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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org UNA GIORNATA FUNESTA,di Francesco Comina

OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE.
UNA GIORNATA FUNESTA

di Francesco Comina

[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: francesco.comina@gmail.com) per questo intervento.
Francesco Comina (Bolzano, 1967), giornalista professionista, scrittore. Ha fondato il Centro per la Pace del Comune di Bolzano, di cui oggi e' il coordinatore delle attivita' culturali. E' stato il promotore del progetto politico altoatesino "Pace e Diritti - Insieme a Sinistra". Per un anno (2008) e' stato anche assessore provinciale e vicepresidente della Regione Trentino Alto Adige dove ha portato avanti l'azione nonviolenta anche sul piano istituzionale. Nell'ambito di questo impegno ha fatto pubblicare, come Regione Trentino Alto Adige, il libro di Johan Galtung, La trasformazione nonviolenta dei conflitti con mezzi pacifici. Oltre a collaborare con "Mosaico di Pace", a curare la rubrica "Nonviolenza attiva" per il Notiziario della Rete Radie' Resch e a scrivere sui giornali della provincia di Bolzano, fa parte del comitato editoriale della casa editrice il Margine di Trento. Ha scritto vari libri fra cui ricordiamo: Non giuro a Hitler. La testimonianza di Josef Mayr-Nusser (San Paolo, 2000); con Martin Lintner e C. Fink, Due mondi, una vita. La testimonianza di Luis Lintner (Emi 2004); con Marcelo Barros, Il sapore della liberta' (La Meridiana 2005); con Arturo Paoli, Qui la meta e' partire (La Meridiana, 2005); Il monaco che amava il jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti (Il Margine 2006); Sulle strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti (Il Margine 2008); con Eduardo "Mono" Carrasco, Inti Illimani. Storia e mito (Il Margine, 2010); Il cerchio di Panikkar (Il Margine 2011). Ha anche contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e ad AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna 1999. Si veda anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 288]

In Alto Adige il 4 novembre e' sempre stata una giornata funesta. Lo fu (per i tedeschi)  il giorno in cui avvenne l'armistizio, lo fu per il calcolo delle vittime, ma ancora di piu' lo fu per il lungo conflitto nazionalistico che ebbe momenti drammatici nello scontro fra i due popoli. Il fascismo celebro' i fasti della vittoria con l'armamentario della supremazia e della denigrazione. Il monumento alla Vittoria del Piacentini, nella piazza omonima di Bolzano, ha sempre rappresentato il simbolo della persecuzione fascista contro il popolo tedesco. Sul frontone campeggia la frase dell'imperialismo e dell'offesa: "Hic patriae finae sista. Hinc ceteros excoluimus lingua, legibus, artibus". "Qui sono stati posti i confini della patria. Da qui abbiamo istruiti gli altri (i barbari) nella lingua, nel diritto e nelle arti". L'opera di italianizzazione forzata del Sudtirolo aveva nei simboli il potere dell'orgoglio e dell'imposizione culturale, ma politicamente avveniva con le delibere e con le campagne di sradicamento violento: l'immissione nel tessuto sociale di Bolzano di migliaia di operai provenienti dalle province italiane, l'obbligo di parlare in tutto il territorio soltanto in lingua italiana, la nomina di maestri e insegnanti che andassero ad insegnare nelle scuole solo l'italiano, il divieto assolto del tedesco anche come lingua veicolare (grandiosa la resistenza operata dal canonico Gamper che lancio' l'idea delle Katakombenschulen, le scuole delle catacombe, ossia la diffusione di lezioni in lingua tedesca nel nascondimento delle cantine, delle soffitte, dei sotterranei). Ma il momento piu' drammatico si ebbe nel 1939 quando Mussolini e Hitler firmarono a Berlino il cosiddetto Accordo delle Opzioni in cui si obbligavano i cittadini di madrelingua tedesca del Trentino Alto Adige e del Bellunese ad optare per l'Italia o la Germania, ossia se rimanere tedeschi e dunque emigrare nel Reich oppure se rimanere in Alto Adige e perdere totalmente il diritto alla lingua e alla cultura. Fu una decisione che ebbe effetti brutali sulla popolazione, divisa fra una opzione e l'altra e manipolata dalla propaganda nazista che dava la caccia ai traditori, i Walsche, gli italianacci imbastarditi. Di qui l'abbraccio a Hitler come liberatore nei confronti del persecutore fascista Mussolini (ci furono alcuni uomini e donne che si ribellarono a questa logica e fecero l'obiezione all'opzione, alcuni finirono nei lager, emblematico il caso di Josef Mayr-Nusser che disse no a Hitler e mori' il 24 febbraio del 1945. Fu costretto all'arruolamento nelle SS perche' si era dichiarato contro le opzioni).
Dopo la guerra il monumento alla vittoria e' diventato il cuore del conflitto etnico fra nazionalismi contrapposti, fra le destra italiana che ogni anno il 4 novembre teneva i suoi comizi per rivendicare l'italianita' del territorio e la destra tedesca che non perdeva l'occasione di contromanifestare. Dopo la promulgazione della quietanza liberatoria nel 1992 per lo statuto di autonomia, che metteva fine ad una lunga stagione di tensioni, la piazza com il relativo monumento alla vittoria hanno lentamente perso la forza simbolica che avevano avuto nel passato, anche se il tentativo di depotenziamento avviato dal sindaco Salghetti nel 2001 che aveva deciso per il cambio del nome della piazza (da piazza Vittoria a piazza Pace) venne travolto da un referendum voluto da Alleanza Nazionale per ripristinare immediatamente il vecchio nome. E cosi' nel giro di un anno si passo' da piazza Vittoria a piazza Pace e di nuovo a piazza Vittoria. Con nuove tensioni e nuove derive nazionalistiche.
Il 4 novembre quest'anno la Fondazione Michael Gamper, insieme al Centro Pace e al contributo di storici altoatesini organizzera' un convegno a Bolzano sul tema "Alto Adige e riconciliazione" in cui per la prima volta si ricordera' un passaggio della complessa vicenda altoatesina praticamente sconosciuto dalla storiografia e rimosso dalla politica, un passaggio che forse da' nuova luce alle "lotte" autonomistiche, non motivate da una preoccupazione violenta (la minaccia degli attentati, l'esasperazione della popolazione) ma da una ricerca nonviolenta.
Qui sotto il racconto del giorno in cui Magnago, Obmann della Svp e presidente della Provincia di Bolzano, ando' dal nipote di Gandhi, Rajmohan, per perlustrare l'ipotesi di una via diplomatica e nonviolenta alla querelle.
*
Quando Magnago ando' da Gandhi
C'e' anche una radice nonviolenta nella costruzione dell'autonomia altoatesina. Gli storici non se ne sono occupati piu' di tanto, i politici l'hanno fatta passare sotto silenzio, l'opinione pubblica cade dalle nuvole. Eppure c'e' di mezzo perfino il nipote di Gandhi. Magnago si affido' a lui per perlustrare l'ipotesi nonviolenta del conflitto, che rafforzasse la strategia politica, nel contenzioso con Roma. Da allora, sono parole dello stesso Magnago, "si creo' un clima distensivo, che ci dette maggiore coraggio".
E' una pagina di storia che va riletta e approfondita con passione, soprattutto in questo settembre 2011 in cui il movimento nonviolento celebra cinquant'anni di vita e in cui si ricorda la prima marcia per la pace Perugia-Assisi (il 25 settembre migliaia di persone si sono messe in marcia da tutta l'Italia per ricordare Aldo Capitini, il padre della nonviolenza italiana, sulle strade che da Perugia portano alla rocca di Assisi).
Gli esperimenti altoatesini con la verita' risalgono al 1968. E' un anno cruciale. La Svp si trova impantanata nella querelle con Roma sull'assetto da dare alla provincia. Se non si riesce a mettere in moto un processo virtuoso con il governo per arrivare alla stesura di un pacchetto per l'autonomia, si rischia grosso. Fin dalla cosiddetta notte dei fuochi del giugno '61 una serie di atti dinamitardi avevano causato esplosioni in rifugi, caserme dei carabinieri, crolli di tralicci, atti drammatici come la cosiddetta strage di Cima Vallona.
L'Alto Adige era una polveriera accesa. O la politica affrettava i passi diplomatici o l'opzione violenta sarebbe apparsa ahime' come l'approdo ultimo alle aspettative disattese e alle frenesie di chi avrebbe voluto l'autodeterminazione.
E' a quel punto che si apre lo spiraglio nonviolento. L'Obmann della Svp viene a conoscenza che nella fortezza di Caux in Svizzera e' attivo un centro per il Riarmo morale (oggi ancora attivo sotto altro nome: "Initiatives of Change"), un centro internazionale per la diplomazia popolare. Vi era impegnato il nipote del Mahatma Gandhi, Rajamohan, docente all'universita' di New Delhi. Ogni anno il centro dedicava delle sessioni a conflitti in corso per trovare delle soluzioni alternative ed elaborare strategie di pace e nonviolenza. Prima del '68 si era occupato della situazione in Zimbabwe, in Tunisia, si era occupato del Vietnam, dell'Angola. Ma in quell'anno aveva deciso che fosse doveroso occuparsi della polveriera sudtirolese. Aveva invitato il presidente della Provincia e Obmann del partito, il vescovo della diocesi Joseph Gargitter insieme ad una delegazione di politici e amministratori della Democrazia cristiana.
Le cronache di Caux raccontano di un intervento, fatto in assemblea da Magnago, in cui l'Obmann chiedeva l'aiuto internazionale e concludeva dicendo: "Lo spirito di lavoro costruttivo che ha permesso di confrontarci, noi e gli esponenti del mondo italiano insieme agli amici di tutto il mondo qui convenuti a Caux, ci consente di sperare in una chiusura del contenzioso con Roma e l'apertura di una nuova fase di liberta' per il Sudtirolo".
Il vicepresidente del Consiglio regionale, Armando Bertorelle, saluto' quelle parole con grande partecipazione lasciandosi andare ad un intervento in tedesco, quasi a sottolineare che da allora sarebbe iniziato il disgelo. Un disgelo che porto', l'anno dopo, all'accoglimento da parte della Svp delle 137 norme che avrebbero formato l'ossatura portante del nuovo statuto di autonomia (1972).
"Ricordo molto bene quelle conferenze a Caux", mi ha raccontato alcuni anni fa l'ex sindaco di Bolzano Giorgio Pasquali, anch'egli presente a quell'incontro. "Sul lago vicino a Ginevra c'era questo luogo molto bello, suggestivo, questa fortezza che una volta era un grande albergo. E venivano organizzati questi incontri internazionali, che avevano come finalita' quella di arrivare ad un metodo di risoluzione nonviolenta per le controversie fra minoranze. Era un ambiente laico, ma rispettoso delle differenze religiose. Mantenemmo i contatti a lungo. Non dimentichiamo che nel '68 venivamo dalla lunga stagione dinamitarda e quindi c'era un grande interesse da parte degli osservatori internazionali sullo specifico caso altoatesino".
Il senatore della Svp Karl Mitterdorfer mi racconto' della presenza di Rajmohan Gandhi e del suo carisma: "Era interessante come, improvvisamente, i preconcetti e i pregiudizi dall'una e dall'altra parte cominciarono ad affievolirsi. Il nipote di Gandhi comincio' col chiedere ai referenti dell'una e dell'altra parte il luogo da cui provenivano e si scopriva che tutti avevano radici al di fuori di Bolzano, eppure vivevano in Sudtirolo come uomini e donne che cercavano una casa, una patria, una Heimat e dunque tutti condividevano una cosa comune. E su questo si inizio' a lavorare per stemperare i rancori, i pregiudizi, i preconcetti culturali, ideologici, politici".
Monsignor Gargitter rimase molto affascinato dagli incontri svizzeri, che erano frequentati anche dal cardinale di Vienna Franz Koenig.
Riuscii a raccogliere alcuni ricordi di Silvius Magnago nei giorni del suo novantesimo compleanno: "A Caux imparammo a capire che bisognava sviluppare le trattative per arrivare ad una soluzione. Si creo' un clima distensivo e questo e' un fatto importante, sia psicologicamente che culturalmente, mentre non so sul piano politico. Direi che in Svizzera riuscimmo a rivedere un poco le nostre posizioni per aprirci alla disponibilita' nuova a dialogare per venirci incontro".
Subito dopo la prima marcia Perugia-Assisi del settembre 1961, il padre della nonviolenza italiana, Aldo Capitini (di cui e' appena uscita una bellissima monografia scritta da Fabrizio Truini per il Margine dal titolo "Aldo Capitini, la forza della nonviolenza") disse: "Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nella solidarieta' che suscita, nelle proteste e nelle denunce, e' un grande risultato della marcia".
L'autonomia altoatesina si regge anche su questa grande forza della verita' che e' la nonviolenza attiva, ossia il coraggio di trasformare la realta' senza forza, senza violenza, ma con la determinazione, il dialogo e l'arte della diplomazia. Il rombo della notte dei fuochi, cinquant'anni fa, veniva rotto dalla brezza leggera della nonviolenza italiana, che iniziava la sua lunga marcia fra Perugia e Assisi. Anche in Alto Adige si capi' che bisognava fare i conti con il satyagraha gandhiano.

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 705 dell'11 ottobre 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/



Marted́ 11 Ottobre,2011 Ore: 15:58
 
 
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