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www.ildialogo.org Il Grande Mosaico del Tempio di Sava,di Gianmarco Pisa

Il Grande Mosaico del Tempio di Sava

di Gianmarco Pisa

Il lavoro di settanta artisti, serbi e russi; milioni di pezzi da comporre e un peso complessivo di ben 40 tonnellate; un costo quantificato in quattro milioni di euro per un’opera che definire «monumentale» potrebbe persino sembrare riduttivo e che si carica di un valore e di un significato non solo eminentemente culturali, ma anche specificamente politici. È stato collocato, giovedì 22 febbraio, il colossale mosaico destinato alla cupola principale del tempio di S. Sava a Belgrado, mosaico dedicato e raffigurante l’immagine dell’Ascensione di Cristo, alla presenza delle massime autorità serbe e russe, contestualmente impegnate in una due giorni di incontri di stato, e convenute nel tempio belgradese per questa importante occasione.
Per avere un’idea dell’ampiezza e della magnificenza dell’opera, destinata davvero a rappresentare un «luogo culturale» importante per l’arte musiva ed ecclesiastica contemporanea, basta scorrere la galleria fotografica realizzata per l’occasione, disponibile sul portale di informazione on-line B92, all’indirizzo: www.b92.net. La squadra di artisti, sotto la guida del direttore artistico, il russo Nikolaj Mukhin, ha lavorato per anni, per un’opera che si segnala, senza dubbio, non solo per l’ampiezza dei numeri e delle proporzioni, ma anche per la foggia e per i caratteri, assai impegnativi. Peraltro, l’intento dell’opera può dirsi ampiamente conseguito, se lo scopo della composizione era quello di coniugare la magnificenza delle forme con la raffinatezza dello stile.
Il soggetto dell’opera, ovviamente, non è stato scelto a caso: nella Chiesa ortodossa, cui appartengono sia il rito serbo sia il rito russo, l’Ascensione costituisce una delle dodici feste maggiori del ciclo liturgico e i termini greci con i quali è tradizionalmente designata ne rendono chiaro il doppio significato, per così dire, “terreno” e “celeste”, rappresentando tanto una «ascensione» (o un’approssimazione trascendentale alla divinità) come nel termine analepsis (ascendere), quanto una «salvezza» (quindi una manifestazione dell’intervento divino, per i credenti), come nel termine episozomene. Per il tempio belgradese di S. Sava si tratta dunque di una scelta doppiamente simbolica: costituisce un punto di arrivo nel lunghissimo lavoro di completamento, ma anche un punto di ripartenza, che rilancia la maestosità e la funzionalità del tempio.
Quello di S. Sava è propriamente un Tempio (Hram) per la cristianità serbo-ortodossa: dopo il Tempio di S. Salvatore a Mosca, infatti, S. Sava è la seconda più grande chiesa ortodossa del mondo, con la sua pianta centrale a croce greca, i suoi 82 metri complessivi di altezza (che la stagliano letteralmente in posizione dominante su Belgrado, a circa 130 metri sul livello del mare) e i suoi 3500 metri quadrati di superficie (che le consentono una capienza di diecimila persone). La vicenda costruttiva del tempio, a sua volta, è una vera e propria epopea, ed anche per questo, oltre che per il suo significato e le sue caratteristiche, può essere a buon diritto annoverata tra i simboli della capitale, ed è anche un simbolo contro la guerra: la costruzione cominciò nel 1939, ma fu rapidamente interrotta nel 1941, all’indomani dell’aggressione e dell’occupazione nazista; il primo progetto costruttivo risale tuttavia al 1905, ma, anche in questo caso, lo scoppio di una guerra (la prima guerra balcanica, datata al 1912) giunse a impedire lo sviluppo dei progetti di costruzione.
Solo nel 1935 l’idea della costruzione del tempio riprese vigore e, dopo l’interruzione della guerra e l’abbandono del progetto nel periodo titino, i lavori ripresero nel 1985: era il 390° anniversario del rogo delle reliquie di S. Sava, ad opera degli Ottomani, a seguito dell’insurrezione serba del 1594, rogo che avvenne proprio sulla spianata di Vračar, il luogo su cui è stato poi eretto il tempio, che assolve così, sin dalla sua ideazione, anche una specifica funzione «memoriale». Come ha ben messo in evidenza la recente mostra (2016) presso il Museo Storico di Serbia, a Belgrado, dal titolo «S. Sava di Serbia», dedicata alla vita e all’opera di questa figura, S. Sava era figlio di Stefan Nemanja, capostipite della dinastia Nemanjić e fondatore dello stato serbo; fratello di Stefan Prvovenčani, primo re serbo; monaco a Monte Athos e fondatore del Monastero di Hilandar; protagonista dell’autocefalia della Chiesa serba (1219) e primo arcivescovo serbo; organizzatore della chiesa e diplomatico dello stato; autore di opere letterarie e giuridiche (il fondamentale Zakonopravilo o Nomocanone di S. Sava) ed artefice di opere artistiche e architettoniche (il monastero di Žiča), che lo hanno reso, secondo alcuni, «la figura più significativa della storia serba».
Il Tempio è dunque un simbolo, nazionale e liturgico, senza dubbio, ma anche culturale e di incontro, e tale aspetto è stato messo in luce anche in occasione della cerimonia del 22 febbraio, quando il presidente serbo, Aleksander Vučić, ha richiamato la tessitura di «milioni di pezzi in un unico messaggio di fratellanza e di solidarietà». Il Tempio di S. Sava, al tempo stesso simbolo di una lunga vicenda contro la guerra e luogo di memorie collettive per la comunità che vi si riconosce, amplifica il proprio messaggio sociale e culturale.



Martedì 27 Febbraio,2018 Ore: 12:51
 
 
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