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www.ildialogo.org Chi teme le donne della jihad?,di Maria Teresa D'Antea

Chi teme le donne della jihad?

di Maria Teresa D'Antea

Ringraziamo Maria Teresa D'Antea per averci inviato questa sua riflessione pubblicata sul settimanale diocesano Confronto della DELLA DIOCESI DI PITIGLIANO SOVANA ORBETELLO del 4 giugno 2017.
La jihad, come tutti sanno, è la guerra combattuta dal radicalismo islamico contro il mondo occidentale. Ed è una guerra sui generis, in quanto non prevede l’aggressione armata di un esercito, ma l’offensiva costituita da attacchi imprevisti e, ahimè, imprevedibili, nonostante la storica presenza, in tutti i paesi europei, dei servizi segreti, chiamati, non si capisce perché, intelligence. Questi attacchi sono definiti da noi occidentali terrorismo, mentre per chi li compie sono missioni di martiri.
Non scrivo questo pezzo per scaldare gli animi come succede nei teatrini televisivi. Scrivo solo per riflettere in un momento di generale confusione e perché il mio animo è reso stranamente quieto dallo sgomento. Mi sgomenta infatti assistere ogni giorno alla violenza verbale delle interpretazioni della politica da quattro soldi, quella che ignora tutto di un fenomeno che sta diventando sempre più esteso e complesso. Si ignorano, infatti, non solo la cultura islamica e la sua religione, degne di ogni rispetto, ma soprattutto si è del tutto all’oscuro dei trattati che vengono scritti dagli ideologi jihadisti per cooptare cittadini europei di fede musulmana nel loro fondamentalismo.
Succede un po’ quello che successe quando Hitler scrisse Mein Kampf e pochi, oltre i confini della Germania, lo lessero, con le conseguenze che tutti conosciamo. Oltre a ciò, la nostra ignoranza diventa veramente grande e grave quando nessuno c’informa su quello che noi europei facciamo con le armi prodotte dalle nostre industrie e con le alleanze strette per cinico affarismo con i paesi dell’Oriente. Ci siamo mai chiesti perché in tempi di così terribile crisi le uniche industrie a non fallire siano state quelle delle armi? Dove vanno le nostre bombe, i nostri cacciabombardieri, i cingolati, le portaerei?
Ad attentare la vita di qualcuno dovranno pur andare se l’industria delle armi è in piena fioritura.
E questo lo vogliamo chiamare terrorismo oppure cristiana beneficenza della befana occidentale?
Nell’arruolamento delle nuove leve jihadiste si è verificato, dal 2005 ad oggi, un fenomeno nuovo: giovanissime donne di origini musulmane o convertite all’Islam, ma di cittadinanza europea, vengono addestrate da Isis, Daesh o al-Qaeda per farsi saltare in aria in attentati terroristici. È un fenomeno in continua crescita e si tratta di donne quasi tutte al di sotto dei vent’anni, espertissime di social media. Ci vogliamo scandalizzare oppure ci chiediamo anche perché oltre duemila giovani donne hanno scelto il loro futuro nella Marina militare italiana?
Mi auguro che nessuno voglia avventurarsi a questo punto nella discussione ottocentesca sull’uso giusto o ingiusto delle armi, perché la violenza, specie se armata, è sempre ingiusta, in quanto la guerra è il più grande disonore dell’uomo e della donna, riducendoli di fatto alla dimensione bestiale. La guerra non è da uomini. Tantomeno da donne. Eppure con sorprendente faccia di bronzo, qualcuno ha voluto parlare di femminismo sia a proposito delle jihadiste che delle donne delle nostre forze armate, come se il femminismo derivasse dalla frustrazione femminile di non essere bene integrate in tutti i ranghi della cultura patriarcale, a cominciare dai più disonorevoli. Il femminismo è una lenta e lunghissima rivoluzione culturale che realizzeranno donne e uomini insieme, smettendo di ridurlo solo a una questione femminile che impedisce di vedere la faccia speculare del problema e cioè una cieca, ottusa, mastodontica questione maschile, di cui la guerra è parte integrante. Il femminismo, se non è guardato con gli occhi di pollo delle categorie patriarcali, è soprattutto una faticosa e costante costruzione di pace che mira a demolire la prima sperequazione della storia, quella tra uomo e donna, la più ingiusta e la più offensiva nei confronti dell’Altissimo, il quale non ci volle automi programmati per rigidi ruoli di maschio o di femmina, ma ci fece persone, col dono inalienabile della libertà, esattamente come Lui.
Fino a quando questa sperequazione non sarà superata, non ci saranno realmente né giustizia, né democrazia, né pace. Non solo in Oriente, ma soprattutto in Occidente.

Maria Teresa D’Antea




Giovedì 01 Giugno,2017 Ore: 19:55
 
 
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