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www.ildialogo.org LA DOTTRINA DELLA CHIESA E LA GUERRA.,di Maria Teresa D’Antea

Mai più la guerra
LA DOTTRINA DELLA CHIESA E LA GUERRA.

di Maria Teresa D’Antea

Riceviamo questo articolo da Maria Teresa D’Antea, che vivamente ringraziamo, del gruppo "Mai più la guerra" operante nella diocesi di Pigliano-Sovana-Orbetello. Questo articolo, come gli altri che di seguito pubblicheremo, sono stati pubblicati sul Settimanale diocesano Confronto (per info vedi http://www.toscanaoggi.it/Edizioni-locali/Pitigliano)
E’ davvero sorprendente come noi, pur restando sul piano della ragione, possiamo sragionare fino a riconoscere come giusti ed etici concetti in clamorosa opposizione tra loro. Questo succede se andiamo a vedere la dottrina della Chiesa in tema di guerra. Restiamo allora sconcertati e disorientati quando apprendiamo che ancora oggi la Chiesa, nel suo magistero, può ritenere “giusta” ed “etica” una guerra se questa è combattuta in difesa di alti ideali quali la vita, la patria, i propri beni e il proprio territorio. Una simile giustificazione della guerra si fa risalire a S. Agostino e al suo maestro S. Ambrogio, i quali la mutuarono pari pari dal diritto romano, senza farla passare al vaglio non solo dell’Antico Testamento (dove pare che la guerra possa anche essere “santa” e non è così!), ma soprattutto senza neanche porsi il problema di quanto in tema di pace sia stato affermato dalle parole e dall’esempio del protagonista del Nuovo Testamento, ossia Gesù. Quando Gesù dice “Vi do la mia pace, non come la dà il mondo la do io a voi” intendeva esattamente dire che la sua pace non era quella del più forte, ossia quella dell’impero romano con la cui complicità fu messo a morte, ma intendeva bandire ogni guerra dal cuore dell’uomo, che non deve nemmeno odiare i suoi nemici, ma amarli; non deve preoccuparsi di salvare la sua vita, perché solo donandola la ritroverà; non deve agitarsi per difendere i beni materiali perché c’è Chi provvede a tutto, anche a vestire di porpora i gigli dei campi. Per S. Agostino invece la guerra è un mezzo per raggiungere la pace, in totale aderenza alla logica non evangelica ma romana, secondo la quale “si vis pacem, para bellum” , ossia se vuoi la pace prepara una guerra. Altri pensatori cattolici nel corso dei secoli si espressero in tema di guerra, senza mai condannarla in toto, ma sottilmente disquisendo sulla sua “necessità” quando si deve riparare a un torto subito ( quindi mai dare l’altra guancia! ) o quando si deve far fronte ad una guerra offensiva. Tra questi pensatori spiccano S. Tommaso D’Aquino, S. Bonaventura da Bagnoregio, Francisco de Vitoria, domenicano, e Francisco Suarez, gesuita, i quali consumarono litri di inchiostro per spiegare la liceità d’una guerra, distinguendo ( che sottigliezza! ) tra “jus ad bellum”, cioè diritto alla guerra, sempre dato per scontato, e “jus in bello”, cioè l’osservanza di regole etiche nel corso di una guerra, come se la guerra non fosse l’affossamento di ogni etica, contemplando la distruzione dell’umano e del divino nell’uomo. Quando ci si trova di fronte a teste così acrobatiche nel districare e annodare contemporaneamente i fili del bene e del male, viene spontaneo pensare alla testa del polpo, dove materia grigia e intestini convivono. Fermo restando tutto il nostro rispetto per il polpo.
In tempi più recenti, la Chiesa ha dovuto rivedere il suo atteggiamento di fronte alla guerra, specie dopo il Concilio Vaticano II, anche se non è intervenuta con documenti ufficiali. Il Concilio Vaticano II ha però rimesso in campo il tema evangelico dell’amore per i propri nemici quando ha tolto dalle celebrazioni pasquali la condanna degli ebrei come popolo deicida, cominciando a parlare di essi come fratelli. Sarebbe tuttavia opportuno un autorevole intervento che riveda la discutibile dottrina della Chiesa in tema di guerra, perché il suo impegno a favore della pace sia più coerente e, soprattutto, più credibile. Tra gli ultimi papi si ricordano infatti le palesi contraddizioni di Paolo VI, il quale ebbe la forza di dire “Jamais plus la guerre!” (“Mai più la guerra”) alla tribuna dell’ONU il 4 ottobre 1965, ma in altre occasioni ribadì il concetto di S. Agostino: “In vista della pace, anche le guerre si fanno. La Chiesa non può negare che la guerra possa essere necessaria, che possa essere l’arma della giustizia, che possa assurgere a dovere magnanimo ed eroico…”. Di fronte a simili affermazioni, cosa dobbiamo dire a Gesù che ci guarda dalla croce? Dovremmo forse dirgli: “Sei stato un ingenuo, hai proprio sbagliato tutto, scendi e ritorna a fare il falegname”?
Giovanni Paolo II invece durante il giubileo del 2000 ebbe occasione di dire: “La pace è un fondamentale diritto di ogni uomo, che va continuamente promosso, tenendo conto che gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo”. Non è forse lo stesso che dire: “Promuoviamo a parole la pace, ma nei fatti continuiamo a fare la guerra”?
Uno psichiatra direbbe che questo è un comportamento schizoide, ma forse la cosa è molto più semplice.
Un cristiano autentico di fronte alla guerra dovrebbe tener presente un solo libro, il vangelo.
Invece succede che, specie tra i nostri pastori, di libri se ne tengano presenti due: il vangelo di Cristo e “Il Principe” di Machiavelli. Il primo è un libro per sacerdoti, l’altro per capi di stato. Non è difficile orientarsi, si tratta solo di scegliere, o l’uno o l’altro. Anche un polpo lo capirebbe.
Maria Teresa D’Antea



Martedì 20 Settembre,2016 Ore: 17:08
 
 
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Educazione alla pace

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