- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (488) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org NON E’ VERO CHE TUTTI VOGLIAMO LA PACE,di Raffaello Saffioti

4 NOVEMBRE
NON E’ VERO CHE TUTTI VOGLIAMO LA PACE

di Raffaello Saffioti

QUEL FRONTE CHE PASSA ATTRAVERSO NOI STESSI
IL 4 NOVEMBRE COME RICORDARE I CADUTI IN GUERRA?
UNA LAPIDE CON L’ISCRIZIONE “LA GUERRA E’ FOLLIA!”
IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI.
SE IL FINE E’ LA PACE I MEZZI DEVONO ESSERE PACIFICI.
Le manifestazioni celebrative tradizionali del 4 novembre, per commemorare i caduti della Prima Guerra Mondiale con la Festa delle Forze Armate e della Vittoria, appaiono sempre più anacronistiche. La ricerca di un’alternativa non è facile, ma l’esempio dato due anni fa dal Sindaco di Messina, Renato Accorinti, dimostra che il cambiamento di quelle manifestazioni è possibile. La prima volta fece scandalo, suscitando grande scalpore, l’intervento con l’esposizione della bandiera della pace e il richiamo al ripudio della guerra, secondo l’articolo 11 della Costituzione. Quell’intervento provocò l’abbandono della cerimonia da parte di due generali dei carabinieri, ma lo scorso anno non provocò alcuna reazione e i militari presenti rimasero al loro posto.
La ricerca dell’alternativa deve continuare, ma serve una riflessione sulle incomprensioni e gli ostacoli che s’incontrano. Vale la pena porre la questione del rapporto tra i mezzi e il fine.
E’ molto famosa l’antica sentenza latina, presente in vari autori, “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”). Essa contiene un grande errore, una grande mistificazione.
Ed è stata confutata dai Maestri della nonviolenza.
GANDHI (1869-1948) sostenne che è un errore dire che non c’è rapporto tra mezzi e fine. Sostenne, invece, con vari esempi concreti che un fine buono può essere raggiunto soltanto con mezzi buoni. Tra l’altro ha scritto:
I mezzi possono essere paragonati al seme, e il fine all’albero; tra i mezzi e il fine vi è lo stesso inviolabile rapporto che esiste tra il seme e l’albero. Non è possibile che io raggiunga il fine ispiratomi dalla venerazione di Dio prostrandomi davanti a Satana. Se qualcuno dicesse: «Voglio venerare Dio; cosa importa che lo faccia usando i mezzi di Satana?» sarebbe giudicato un pazzo. Raccogliamo quello che seminiamo”.1
Dopo Gandhi, la questione del rapporto tra mezzi e fine fu affrontata anche da ALDO CAPITINI (1899-1968) e MARTIN LUTHER KING (1929-1968).
CAPITINI scrisse:
Il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile ‘Se vuoi la pace, prepara la guerra’, ma attraverso un’altra legge: ‘Durante la pace, prepara la pace’”. 2
Col metodo di Gandhi le armi le abbiamo già, e possiamo cominciare subito la rivoluzione, le armi dell’unione con altri, della solidarietà, della protesta nonviolenta, dello sciopero a rovescio, della non collaborazione col male, del sacrificio; e queste armi le hanno in maggiore efficienza i poveri, i deboli, i sofferenti, gli ultimi”. 3
KING, nel famoso discorso per Natale del 1967, disse:
Se vogliamo avere pace in questo mondo, uomini e nazioni devono accettare l’affermazione nonviolenta che il fine e i mezzi devono essere coerenti. Una delle dispute più grandi nella storia della filosofia si è combattuta sulla questione del fine e dei mezzi. E ci sono sempre stati coloro che hanno insistito che il fine giustifica i mezzi, e che i mezzi non hanno importanza: ciò che importa è raggiungere il fine.
Perciò, dicono costoro, se si vuole sviluppare una società giusta, l’importante è arrivarci, e i mezzi non contano. Qualunque mezzo andrà bene purché vi faccia arrivare allo scopo: possono essere mezzi violenti, possono essere menzogne, possono essere anche ingiustizie per raggiungere la giustizia. Di gente che l’ha pensata così ce n’è molta nella storia: ma noi non avremo mai pace su questa terra finché gli uomini non si renderanno conto dovunque che il fine non è mai separato dai mezzi, poiché i mezzi rappresentano l’ideale in atto, e non si può raggiungere un fine buono con mezzi non buoni, come non si può avere un albero buono da semi cattivi.
E’ strano come tutti i grandi geni militari del mondo abbiano parlato di pace. Gli antichi conquistatori che uccidevano per raggiungere la pace, Alessandro, Giulio Cesare, Carlomagno, Napoleone, tutti a parole desideravano un ordine pacifico. Se leggete attentamente Mein Kampf, scoprirete che Hitler insisteva che tutto ciò che faceva in Germania era per raggiungere la pace. E l’eloquenza di coloro che muovono il mondo oggi è meravigliosa quando tratta di pace: ogni volta che noi lasciamo cadere le nostre bombe nel Nord Vietnam il presidente Johnson parla di pace.
Dove sta il problema? Tutti costoro parlano della pace come di una mèta lontana, come di un fine a cui un giorno o l’altro si arriverà, ma noi sappiamo che si dovrà presto arrivare a considerare la pace non soltanto come una mèta, ma anche come il mezzo con cui si può arrivare alla mèta stessa. Dobbiamo raggiungere fini pacifici con mezzi pacifici. E questo equivale a dire che il fine e i mezzi devono essere coerenti, perché il fine preesiste nei mezzi, e mezzi distruttivi non potranno mai raggiungere un fine costruttivo.
Ora mi sia concesso di affermare che se vogliamo la pace sulla terra e la buona volontà verso tutti gli uomini, dobbiamo accettare il principio del carattere sacro di ogni vita umana”.4
DANILO DOLCI ha dato un contributo originale alla teoria e alla pratica della nonviolenza del ventesimo secolo. Scrisse parole che sono di straordinaria attualità, lette o rilette oggi, mentre in varie parti del mondo sta avvenendo quella che, ormai, è chiamata, dopo Papa Francesco, “terza guerra mondiale”, combattuta “a pezzi”.
Non è vero che tutti vogliamo la pace. [il grassetto è nostro] Bisogna avere il chiaro coraggio di individuare chi organizza e chi alimenta la preparazione delle guerre per sopraffare coloro che vuole sfruttare; di scoprire dove passa il fronte fra il parassitismo di ogni genere e chi è impedito nel suo sviluppo da emorragie di ogni genere, tra la violenza di chi difende il proprio parassitismo e la coraggiosa energia di chi difende la vita; veder chiaro quando e dove questo fronte passa attraverso noi stessi.
E non possiamo confondere l’impegno per realizzare la pace con la preoccupazione di mantenersi equidistanti da tutti.
Ogni comportamento – individuale, di gruppo, di massa – che tende sostanzialmente a mantenere la situazione come è, o ad ammettere il cambiamento se lentissimo, di fatto non è impegno di pace”. 5
QUELLI CHE NON VOGLIONO LA PACE.
C’è un grande bisogno di cercare i comportamenti che, di fatto, non sono impegni di pace.
Si dovrebbe sapere quante difficoltà incontrino tutti quelli che sono impegnati a promuovere la cultura della pace nella scuola e fuori della scuola.
Quanti sono nelle scuole gli autentici educatori alla pace?
Quanti sono, cattolici e non cattolici, quelli che, come l’ex-ministro della difesa Mario Mauro, pensano e dicono che “per amare la pace, bisogna armare la pace” e vanno pure in Piazza San Pietro per pregare, con Papa Francesco, contro la guerra?
E’ ancora attuale la lezione magistrale di Padre ERNESTO BALDUCCI nel primo convegno della rivista “Testimonianze” a Firenze nel 1982, col titolo “Se vuoi la pace prepara la pace”.
Padre Balducci disse:
Se ne accorga o meno, la scuola è ancora un organo di diffusione della cultura padronale che è, per forza di cose, cultura di guerra […]. E le riforme della scuola saranno semplici palliativi finché non scenderanno a questa profondità, per mettere in questione il presupposto antropologico che ha fatto da dogma latente della cultura occidentale. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.
Uno dei modi con cui la scuola può inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi è la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante.. Ed è un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredità.
Tutto ciò che, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dell’utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato come ingenuo o poeticamente evasivo.
E’ razionale solo ciò che è reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere.
La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco più che interpunzioni nel ‘continuo’ del divenire bellicoso della civiltà”.6
LA RAGIONE UMANA NELL’ERA ATOMICA.
Il dogma hegeliano (e, in genere, della storia della filosofia occidentale, da Eraclito in poi) della razionalità della guerra è stato sfatato dall’Enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, del 1963, che affermò “alienum est a ratione”, riferendosi alla guerra (“bellum”).7
La pace è razionale. La guerra è folle.
L’Enciclica giovannea espone la sua concezione della pace seguendo il procedere della storia e nasce dal corso stesso delle cose. Ognuna delle sue prime tre parti si conclude con la ricerca dei “Segni dei tempi”. Si ritiene che questa sia la sua novità rivoluzionaria.
La parola “ragione” fornisce una delle possibili chiavi di lettura dell’intera Enciclica. Essa appartiene al dizionario di filosofia, ha una sua storia, ed ha pure vari significati. Ma appartiene pure al linguaggio comune ed ha un senso pure comune, per tutti gli uomini, di tutti i continenti, di tutte le culture. Per questo, l’Enciclica è indirizzata “a tutti gli uomini di buona volontà”.
Alcuni richiami al testo dell’Enciclica:
La legge umana in tanto è tale in quanto conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza”.
“… al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisce il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità. E’ un obiettivo reclamato dalla ragione. E’ evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante”.
“… nella nostra era, che si vanta della potenza atomica, è fuori della ragione che la guerra possa essere atta a risarcire i diritti violati”. [il grassetto è nostro]
Le linee dottrinali tracciate nel presente documento scaturiscono o sono suggerite da esigenze insite nella stessa natura umana, e rientrano, per lo più, nella sfera del diritto naturale. Offrono quindi ai cattolici un vasto campo di incontri e di intese tanto con i cristiani separati da questa Sede apostolica quanto con esseri umani non illuminati dalla fede in Gesù Cristo, nei quali è però presente la luce della ragione ed è pure presente e operante l’onestà naturale”.
Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?”.
LA SCUOLA PER LA PACE.
La scuola è una delle principali agenzie educative che, per il suo ruolo istituzionale, dovrebbe educare alla pace, educando a pensare. E’ stato EINSTEIN a dire che nell’era atomica bisogna cambiare il modo di pensare. Anche la pace, dopo Hiroshima, deve essere pensata in modo nuovo.
Ci sovviene il Preambolo dell’Atto costitutivo dell’UNESCO che così recita:
“… poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.
Quindi possiamo dire che una via per costruire la pace è quella dell’educazione e tradurre il motto “Se vuoi la pace, prepara la pace”, nel motto “Se vuoi la pace, educa alla pace”.
LA PACE SI STUDIA, LA PACE S’IMPARA.
Il CENTRO GANDHI ha proposto per il prossimo 4 novembre la collocazione, ai piedi dei Monumenti ai Caduti, di una lapide con la iscrizione “La guerra è follia!”. La proposta è stata condivisa dall’Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo, di San Giovanni in Fiore, e dal giornale on line “il dialogo”, in occasione della presentazione del libro “La montagna, la luce e il fiore”, il 19 agosto scorso. L’iscrizione proposta per la lapide, come già sanno i lettori de “il dialogo”, ha ripreso l’omelia di Papa Francesco del 13 settembre dell’anno scorso a Redipuglia.
Nella Proposta è scritto:
“La guerra viene preparata lavorando in anticipo sull’immaginario collettivo, costruendo dei miti su cui si fonda una retorica della guerra. Si opera una violenza culturale che serve a giustificare la violenza diretta della guerra. La partecipazione dell’Italia alla I guerra mondiale, di cui ricorre quest’anno il centenario, fu favorita alimentando la retorica della necessità di portare a compimento il Risorgimento italiano. Nel dopoguerra il fascismo, preso il potere con la violenza, sulla commemorazione dei caduti della prima guerra mondiale, contadini inconsapevoli mandati a farsi massacrare in trincea, sviluppò la sua speciale retorica bellica, favoleggiando sulla vocazione imperiale dell’Italia in una prospettiva di affermazione come grande potenza coloniale.
Partendo dalla retorica del Milite ignoto e del ricordo dei morti della prima guerra mondiale, il regime fascista volle costruire ovunque, dalle grandi città ai piccoli borghi, un monumento ai caduti, intorno a cui costruì una sua ritualità e una forma di idolatria della patria, che favorì il clima culturale per l’avvio di un nuovo ciclo di guerre: la campagna coloniale del 1935-36 in Etiopia, il sostegno italiano al generale Franco durante la guerra civile spagnola, infine la partecipazione a fianco della Germania nella seconda guerra mondiale.
L’Italia democratica e repubblicana non ha saputo tradurre in atti artistici e simbolici il monito dell’art. 11 della Costituzione: ‘L’Italia ripudia la guerra’!”.
Ribadiamo che il 4 novembre dovrebbe servire per una nuova lezione di storia, per fare conoscere agli studenti quanto è ormai acquisito dagli studi storici sulla prima Guerra mondiale. Come pure per fare conoscere la storia della istituzione della festa del 4 novembre da parte del fascismo.
La conoscenza è il migliore antidoto ai falsi miti dell’eroismo e del patriottismo, costruiti dalla propaganda fascista con la cultura della guerra e la dottrina del “CREDERE OBBEDIRE COMBATTERE” e “LIBRO E MOSCHETTO STUDENTE PERFETTO”.
Il soffio delle guerre in corso fa avvertire il pericolo del rinascente militarismo.
Quale seguito avrà la Proposta della lapide con l’iscrizione “LA GUERRA E’ FOLLIA!”?
Palmi, 25 ottobre 2015
Raffaello Saffioti
Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo
Centro Gandhi
raffaello.saffioti@gmail.com
NOTE
1 M. K. GANDHI, Teoria e pratica della non-violenza, Einaudi, 1996, pp. 44-45.
2 A. CAPITINI, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, 1967, p. 11.
3 A. CAPITINI, Rivoluzione aperta, Firenze, Parenti, 1956, p. 15.
4 MARTIN LUTHER KING, Il fronte della coscienza, SEI, 1968.
5 DANILO DOLCI, Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari-Roma, 1974.
6 E. BALDUCCI-L. GRASSI, La pace. Realismo di un’utopia, Principato, Milano, 1983, p. 12.
7 “Pacem in terris”: “Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda”. Parte III.
Eraclito (540 circa – 480 circa a. C.): “Polemos (la guerra) di tutte le cose è padre e di tutte il re, e gli uni rivela dèi, gli altri uomini; gli uni fa schiavi, gli altri liberi”. (IPPOLITO, Ref. IX, 9,4, in I Presocratici. Frammenti e testimonianze, Giulio Einaudi Editore, 1958, p. 178).



Domenica 25 Ottobre,2015 Ore: 22:13
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Educazione alla pace

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info