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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org GIOACCHINO DA FIORE IL GENIUS LOCI DELLA CALABRIA E IL RIPUDIO DELLA GUERRA,di Raffaello Saffioti 

PROSEGUENDO SULLE ORME DI GIOACCHINO DA FIORE
 

GIOACCHINO DA FIORE IL GENIUS LOCI DELLA CALABRIA E IL RIPUDIO DELLA GUERRA

di Raffaello Saffioti
 

Noè … poi fece uscire di nuovo dall’arca la colomba,
la quale tornò da lui, verso sera;
ed ecco, essa aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo”.
Genesi 8, 10-11
SULLE ORME DI GIOACCHINO DA FIORE
IL RIPUDIO DELLA GUERRA
La mattina del 22 maggio scorso a San Giovanni in Fiore tre classi della Scuola Media intitolata a Gioacchino da Fiore, con l’insegnante di Religione Maria Smeriglio, hanno dato vita nel giardino della scuola ad una manifestazione col titolo “La Scuola Ripudia la Guerra”.
In un grande cartello si leggeva:
Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell’arte della guerra”.
(Isaia 2, 4)
Quella mattina riviveva lo spirito profetico dell’Abate Gioacchino e della Calabria.
Riviveva il messaggio di Gioacchino:
“… un grande ideale o sogno di Gioacchino: la cessazione delle guerre, la trasformazione delle armi in strumenti di lavoro e di benessere, la conversione dei popoli con il trionfo della pace”. (Francesco D’Elia, Gioacchino da Fiore. Un maestro della civiltà europea, Rubbettino, 1999, p. 72)
Agli studenti, prima che venisse messo a dimora un albero di abete con la denominazione di “albero della pace”, è stato rivolto un invito a studiare lo Stemma civico per cercare l’identità della Città.
Quel giorno la scuola si è aperta alla Città con la partecipazione dei genitori degli studenti e dell’Assessore comunale alla Cultura e alla Pubblica Istruzione.
In quella occasione è stato proposto all’Assessore l’inserimento nello Statuto Comunale di una norma specifica sul ripudio della guerra, con il compito del Comune di promuovere la cultura della pace, della nonviolenza e dei diritti umani, anche in collaborazione con le scuole e le associazioni.
Da quella giornata è nata l’Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo per portare avanti l’iniziativa del RIPUDIO DELLA GUERRA dalla Scuola alla Città.
L’articolo “Parole come semi di futuro nell’aula del rispetto reciproco” (www.ildialogo.org) racconta il mio incontro con una classe del Quinto Liceo classico, avvenuto il giorno dopo la manifestazione della Scuola Media, sempre sul tema “La scuola ripudia la guerra”.
Dalla collaborazione dell’Associazione con l’Amministrazione Comunale è nata la “ Prima Giornata della Pace”, celebrata il 9 agosto, anniversario dell’esplosione della bomba atomica sulla città giapponese di Nagasaki, e inserita nel programma “Estate in Fiore” della stessa Amministrazione Comunale.
La “Giornata” ha voluto dimostrare come si può attuare il principio di sussidiarietà, sancito nell’articolo 118 della Costituzione, collegato con l’articolo 11 della Costituzione stessa.
La scuola non è un’isola nella città ed è chiamata a interagire con la più vasta comunità sociale e civica. Il contributo che viene dalla società civile “per lo svolgimento di attività di interesse generale” è essenziale. Esso dà vita alla “nuova cittadinanza attiva” e “al nuovo modello dell’amministrazione condivisa, nel quale cittadini e amministrazioni collaborano nel prendersi cura dei beni comuni”.
Un’altra giornata dell’ “Estate in Fiore”, il 25 agosto, dedicata alla Prima edizione del Premio “Calabria – Sila – Gioacchino da Fiore”, può essere collegata alle tre giornate precedenti.
Padre FELICE SCALIA, gesuita, al quale è stato assegnato dalla Giuria il “Premio speciale”, ha parlato al popolo nella Piazza Abbazia della spiritualità di Gioacchino da Fiore.
RIFLESSIONE SU UNA ESPERIENZA
L’esperienza delle quattro giornate (22 e 23 maggio, 9 e 25 agosto) di quest’anno è stata nuova per la città di San Giovanni in Fiore, e merita una riflessione.
La riflessione può essere fatta ripercorrendo il cammino percorso, col tema del RIPUDIO DELLA GUERRA da una scuola alla Città, sulle orme di Gioacchino da Fiore.
Essa può servire per la ricerca della identità della Città e della Calabria, partendo da uno dei simboli raffigurati nello Stemma Civico: il ramoscello d’ulivo.
Si può elaborare una traccia di ricerca, scavando nella storia della regione calabrese.
UNA TRACCIA PER LA RICERCA DELLA NOSTRA IDENTITA’
Quel ramoscello d’ulivo nello stemma civico di San Giovanni in Fiore.
L’ulivo è considerato nella storia dell’umanità “simbolo trascendente di spiritualità e sacralità”.
La sua storia millenaria s’intreccia anche con la mitologia.
Varia è la sua simbologia.
Nella Bibbia è simbolo di pace, sia nella tradizione ebraica che in quella cristiana.
Dopo il diluvio, leggiamo nel libro della “Genesi” (8, 10-11), la colomba torna nell’arca di Noè ed “ecco, essa aveva nel becco un ramoscello d’ulivo”.
Era l’annuncio della riconciliazione tra la terra e il cielo. L’ulivo era simbolo di pace che significava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini. Era anche simbolo di rigenerazione, dopo la distruzione causata dal diluvio, perché la terra tornava a fiorire.
La simbologia dell’ulivo si ritrova nel racconto evangelico degli ultimi giorni di Gesù e del suo ingresso messianico a Gerusalemme, con l’accoglienza calorosa della folla.
Il Monte detto degli Ulivi, dove Gesù si ritira a pregare, lo troviamo anche nel racconto della sua passione e morte.
I due simboli, pace e resurrezione, si ritrovano nella festa cristiana della Domenica delle Palme, con la distribuzione ai fedeli del ramo d’ulivo.
L’ulivo è pianta della Terra promessa; è anche segno di benessere e abbondanza ed è uno dei suoi sette prodotti principali, come si legge nel “Deuteronomio” (8, 8) e nel “Secondo libro dei Re” (18,32).
“Ulivo verde, maestoso, / era il nome che il Signore ti aveva imposto”, dice Geremia di Israele, popolo eletto (Geremia 11, 16).
E Osea, Israele “avrà la bellezza dell’olivo”, come simbolo di vita e fertilità (14, 7).
L’immagine dei due ulivi, segno della speranza, di cui dice il profeta Zaccaria (4, 1a-3), ritorna, infine, nel libro dell’ “Apocalisse” (11, 3-11).
LA CALABRIA E L’ULIVO
Lo scrittore DOMENICO ZAPPONE (Palmi, 1911 – 1976) scrisse:
“Viene incontro al treno la campagna coi suoi filari di ulivi. Si badi bene, i veri ulivi sono qui, nel sud. (…) La razza forte, i giganti sono qui …
… L’ulivo qua è sacro, è la stessa anima della Calabria e ne simboleggia la storia e il pensiero attraverso il tempo. Che qua non si conta a lustri o a decenni. E come il pensiero abbisogna per maturare di lunghi anni, a volte di secoli, ma, una volta maturato, sfida i secoli, così l’ulivo dà frutto dopo decine di anni. I padri, una volta piantato nel solco l’alberello di olivo, se ne dimenticano; essi affidano la tenera pianticella al tempo, come una specie di retaggio, un congedo, un palpito che andranno dopo la morte” 1.
L’ulivo che si chiama Calabria” (Leonida Répaci).
Lo scrittore LEONIDA REPACI (Palmi, 1898 – Pietrasanta,1985), fondatore del Premio Viareggio, cantò l’ulivo nel poemetto Calabria:
Debbono a voi, ulivi colonèi,
Telesio Campanella e Gioacchino
se il messaggio affidato all’avvenire
ebbe coscienza di sapersi nato
e strutturato come cattedrale
in terra di giganti,
debbono a voi il bisogno
di scavalcare il tempo con la loro
verità o profezia,
seppero di misurar con metro eterno
il genio la fatica la pazienza
la speranza l’estasi la fede
la vittoria la pena la sconfitta
sulla vostra dolente maestà”2.
C’è un ulivo in cima allo scoglio della Tonnara di Palmi, città natale di Répaci, e l’ulivo nella sua opera letteraria diventa simbolo e metafora dell’intera Calabria.
“Più che alla realtà, la Calabria appartiene per me alla geografia dell’anima” 3, scriveva in Taccuino segreto.
“Esser nato in Calabria costituisce per me un privilegio … Come artista e come uomo debbo il meglio di me alla culla. Per me Calabria significa categoria morale, prima che espressione geografica”4.
Gioacchino da Fiore tra “le palme gigantesche” della Calabria.
Considerando la storia della Calabria, Répaci scrive:
“Nella civiltà della Calabria … sono molti i secoli in cui la nostra storia, come Sibari sotto il letto del Crati, appare interrata.
Avviene della storia come dell’archeologia. Bisogna fare gli scavi per nutrirla, per colmare i vuoti, per correggere l’usura delle idee invecchiate, delle soluzioni interessate, per trovare, nei momenti e nelle mode delle civiltà umane dissepolte, quel tanto di universale e di perfezionante che rappresenta la giustificazione delle pene durate dagli uomini su questa terra per realizzare il progresso.
Sonno secolare, abbiamo detto, interramento di reliquie che equivale per la Calabria a un’assenza dalla storia.
Ma, da questa assenza, simile a un tappeto di lava, caduto su ogni cosa creata per spegnerla, ecco improvvisamente sorgere, di tanto in tanto, una palma gigantesca, svettante con la sua cima tra le nuvole, ecco rizzarsi una torre che dà la vertigine dell’altezza. Quella palma, quella torre, si chiama ora Cassiodoro e ora San Nilo, ora Gioacchino da Fiore e ora San Francesco di Paola, ora Telesio e ora Campanella. Sono gli uomini universali, gli uomini necessari, gli uomini chiave, nel cui genio, nella cui fede, nella cui opera si riconosce un secolo e, a volte, un’era, sono i vertici della piramide della civiltà; sono i fiori più rari della pianta umana; son coloro che riassumono nel loro messaggio il travaglio oscuro delle generazioni che li precedettero; sono il mare dove tanti fiumi, tanti torrenti, tanti ruscelli, tante sorgenti, versano la loro acqua, e, con l’acqua, i torpori, le febbri, le desolazioni, i rigogli, i profumi, gl’incanti delle terre che attraversano.
… C’è nel pensiero e nell’azione di questo ‘calabrese di Dio’ [di Gioacchino da Fiore] come uno scatto frenato, un bisogno di eludere attraverso la spiritualità dell’indagine storico-escatologica una realtà umana e dolente. Nel respingere il presente per un futuro che già s’intravede, Gioacchino ha il viso rivolto verso l’avvenire, è un rivoluzionario” 5.
IL SENSO DEI LUOGHI, di VITO TETI
L’antropologo Vito Teti, nella Introduzione a Il senso dei luoghi6:
Non ricordo bene quando ebbi per la prima volta la sensazione che i luoghi avessero un loro senso, un loro sentimento … I luoghi rispondono con generosità al legame che con essi decidiamo di intrattenere … Quella sensazione è diventata materia di riflessione e di vita, di ricerca di sé e degli altri, di esistenza.
… Le nostre sensazioni, le nostre percezioni, la nostra memoria, la nostra vita non possono che essere raccontate e rappresentate rispetto a un luogo. Noi siamo il nostro luogo, i nostri luoghi: tutti i luoghi, reali o immaginari, che abbiamo vissuto, accettato, scartato, combinato, rimosso, inventato. Noi siamo anche il rapporto che abbiamo saputo e voluto stabilire con i luoghi.
Quando parlo di sentimento dei luoghi, … non intendo costruire una metafisica dei luoghi, collocarli in una sorta di immobilità e di storicità. I luoghi hanno una loro posizione geografica, spaziale, ma sono sempre, ovunque una costruzione antropologica. Hanno sempre una loro storia, anche quando non facilmente decifrabile; sono il risultato dei rapporti tra le persone. Hanno una loro vita: nascono, vengono fondati, si modificano, mutano, possono morire, vengono abbandonati, possono rinascere. Poche terre come la Calabria, attraversata fin da epoche preistoriche dai popoli più diversi, segnata dal succedersi di civiltà, da abbandoni e da ricostruzioni, possono raccontare la mobilità e la storicità dei luoghi.
… Il luogo è, certo, quello in cui siamo nati, ma anche quelli in cui siamo vissuti, quelli che abbiamo sfiorato. Il luogo è il nostro corpo, la nostra vita, i nostri incontri, i nostri legami. Il luogo muta e bisogna cercare sempre un centro.
(pp. 3-5, 20)
GIOACCHINO DA FIORE COME GENIUS LOCI
Avendo visitato San Giovanni in Fiore e i paesi vicini, TETI scrive:
Questo è uno dei luoghi dove maggiormente ho avvertito nelle persone la nostalgia del passato, il senso della fine, l’attesa di tempi migliori. E Gioacchino da Fiore mi sembra un genius loci. Il suo più grande interprete o forse il suo più grande inventore. E tanti Gioacchino, anonimi, meno noti e meno consapevoli, si aggirano tra questi ruderi, tra questi luoghi. (p. 514)
Anche se la sua concezione della storia e le sue profezie non sembrano legate ai luoghi in cui visse, Gioacchino è stato percepito sempre come l’abate calabrese e questa appartenenza ha avuto una connotazione marcata, fuori e dentro la regione. Nella grande tradizione intellettuale calabrese, da Campanella ad Alvaro, Gioacchino viene collegato all’antropologia della sua terra, e gli viene riconosciuto il merito di aver inserito la regione nell’ambito del pensiero occidentale moderno. Il riferimento a Gioacchino è costante, ricorrente tra le élites regionali e locali, che spesso lo assumono, magari frequentando poco le sue opere, come emblema di una centralità della Calabria. Spesso però in modo retorico e di maniera. Il verso di Dante, su “lo calabrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato”, ripetuto pigramente, ha in qualche modo contribuito a imbalsamare il grande pensatore, cristallizzando un topos che non dà il senso del suo spessore intellettuale e della sua originalità.
L’evocazione di un mondo nuovo, di libertà e di giustizia, il sentimento dell’attesa e del rinnovamento, il senso della fine del vecchio e la speranza di un nuovo ordine, il riferimento a un tempo in cui i malvagi verranno puniti e in cui i bisognosi troveranno pace e giustizia, un’oscillazione tra passato e presente, tradizione e rinnovamento, il richiamo a ciò che è stato e la fiduciosa attesa nel mondo che verrà: questi aspetti, presenti in Gioacchino, o comunque a lui attribuiti, collegano, in maniera profonda e definitiva il grande pensatore all’antropologia segreta e profonda della regione. L’abate è il primo di una teoria di grandi uomini calabresi che, dice Alvaro, “dominano questa regione come segni di quel genio tutto proprio della regione di abbracciare le grandi idee di abnegazione, di impersonare la missione dell’uomo nel viaggio verso la giustizia, l’ordine, la gerarchia, e l’universo considerato come una sola famiglia” (Alvaro 1967).
Verità, consolazione, gioia eterna, serenità, riposo, pace, giustizia, fine dell’iniquità. Sono parole e concetti che giungono anche dalla storia e dall’antropologia della Calabria e che in esse ricadono, per mille vie, generando frutti puri e impuri, alimentando sogni, speranze, attese. Un ordine di pace e di abbondanza ritroviamo, con intenti e modi diversi, nelle grandi utopie dei calabresi (primo fra tutti Campanella) e nelle “sconosciute” e non scritte utopie , nei sogni di abbondanza e di prosperità, nei canti e nelle immagini di mondo alla rovescia, che accompagnano i ceti popolari calabresi, sognatori, ribelli, briganti, emigranti.
L’abate calabrese è certamente una delle figure più originali e più complesse di una percezione identitaria che sa cogliere gli elementi dinamici e contrastanti dei processi di rappresentazione e autorappresentazione dei popoli. Pur avendo scritto poco del luogo Calabria, esso penetra profondamente nelle opere di Gioacchino ed egli ce lo consegna con una maggiore consapevolezza e senso di sé. (pp. 516-7)
Le concezioni di Gioacchino, anche quelle a lui attribuite, la circolazione delle sue profezie e della sua simbologia attraverso divulgazioni di vario genere hanno certamente segnato la cultura delle popolazioni calabresi. (p. 519)
DANILO DOLCI IN CALABRIA
La tradizione culturale calabrese è stata rinverdita alla fine del secolo scorso da DANILO DOLCI (1924-1997). Egli, negli ultimi anni della sua vita, dalla fine del 1986, ha soggiornato per lunghi e frequenti periodi nella nostra regione, spostandovi dalla Sicilia il baricentro della sua attività, intervallata da viaggi in varie parti del mondo. Di quella tradizione è stato un geniale interprete e maieuta, svolgendo una intensa attività, documentata da una ricca bibliografia.
Tra le opere di Dolci che documentano l’attività svolta in Calabria, sono notevoli, da segnalare:
  • Occhi ancora rimangono sepolti, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 1987;
  • Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino, 1988;
  • Se gli occhi fioriscono, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 1990;
  • Variazioni sul tema Comunicare, Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991;
  • Gente semplice, Camunia, Milano, 1993;
  • Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1997.
Da segnalare inoltre:
  • Antonio Mangano (a cura di), Frammenti della “città” futura, Piero Lacaita editore, Manduria-Bari-Roma, 1990;
  • Danilo Dolci (a cura di),Variazioni sul tema Comunicare, Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991, 2 voll.;
  • Danilo Dolci (a cura di), Sorgente e progetto. Per una ricerca autoanalitica dall’intima Calabria all’industria del Nord, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 1991.
L’opera di Dolci in Calabria è stata proposta nelle giornate rievocate in questo testo dal giovane sangiovannese GIUSEPPE TRICOCI che ha conseguito la laurea quest’anno con una tesi su “La pedagogia di Danilo Dolci. Un metodo al servizio della Calabria”.
Tricoci ha avuto il merito di cogliere il valore della personalità e dell’opera di Dolci, considerandolo “un maieuta planetario”, “una delle figure più significative del movimento pacifista internazionale”. Con la sua ricerca ha scoperto e fatto venire alla luce i semi sparsi da Dolci anche nella città di San Giovanni in Fiore, da lui visitata nel lontano 1991. Quei semi alcuni sono germogliati, altri no.
Ha scritto: “Ogni incontro che Dolci realizzava nelle scuole e non solo, ha resuscitato un modo di pensare, di percepire, di sentire, di ascoltare che si era messo da parte, in anni di rassegnazione, ingiustizie e parassitismo. Non faceva niente di speciale, ascoltava al posto di parlare, … esperienze vere.
… Credo che questa tesi serva soprattutto a far riflettere, anche la mia città, che si è resa partecipe di un metodo, di un’azione, quella di Dolci, per gli immortali ideali di libertà, pace e giustizia, di cui non solo il singolo ha bisogno, ma l’intera collettività”.
DANILO DOLCI SU GIOACCHINO DA FIORE
In una delle opere prima segnalate, Sorgente e progetto. Per una ricerca autoanalitica dall’intima Calabria all’industria del Nord, Dolci ha scritto:
Nell’era atomica non è la pace, nonviolenta espressione dei conflitti, quel nuovo vitale bisogno che può promuovere, attraverso la realizzazione di nuovi rapporti – anche produttivi – la sana trasformazione del mondo? (p. 6)
E su Gioacchino da Fiore:
E’ utile il profeta, la scoperta del dire meditante che ricerca e interpreta presagi? E’ come domandarsi se il vedere – nelle ampie prospettive dei diversi spazi e tempi – giova.
… Si può discutere un interpretare ma fra le ginestre di Corazzo e i boschi di San Giovanni in Fiore otto secoli fa è germinata una nuova ermeneutica del mondo, che rischiamo ignorare, dissipare. L’economia – ci avvisa – è la scienza-arte della salute: di ciascuno, insieme. (p. 76)
Dell’oscura Calabria Gioacchino e Francesco sono soltanto due dei profeti, seppure eccezionali di splendore.
Se il veggente esprime il desiderio di strutture pacifiche del mondo, nel secolo in cui Gandhi solidifica gli strumenti di lotta e innovazione pacifica, dalla Calabria ancora rigermogliano esperienze concrete a illuminarci. (p. 79)
Se i futurologi – sempre esistiti nei più diversi modi – studiano tendenze, chi attento al vicino e al più lontano con gli occhi dell’ascesi comunitaria osserva pur studiando alternative necessarie, è un costruttore etico, un poeta dell’etica profonda. Tra quelle di Agostino e Bonaventura, non è ancora esaurita l’ermeneutica del calabrese abate Gioacchino: l’annunzio che inventa costruendo il comunicare. (p. 219)
DOLCI E GLI ULIVI DI CALABRIA.
Dolci non fu solo interprete della tradizione culturale della Calabria, ma anche della sua natura.
Fu affascinato dagli ulivi della Piana di Gioia Tauro che furono per lui uno dei motivi ispiratori del poema Occhi ancora rimangono sepolti. Su quegli ulivi incombeva il pericolo della loro distruzione, derivante dal progetto della costruzione di una Centrale a carbone.
L’ulivo e il fiore, anche con le immagini, sono molta parte del poema.
In esso la “voce narrante” forse esprime “la coscienza della terra, intesa come espressione della particolare cultura locale (comprensiva dunque prospetticamente anche di chi qui appare), saggezza profonda di questa terra”.
DOLCI E L’IDEA DI “CALABRIA, PARCO DI PACE TRA DUE MARI”.
I due volumi di Variazioni sul tema Comunicare, una delle opere prima segnalate, contengono “contributi e verifiche di gruppo” sulla Bozza di Manifesto, di Danilo Dolci.
Furono innumerevoli gli incontri, i seminari, nelle scuole e nei paesi, in cui Dolci sottopose a discussione la sua Bozza di Manifesto.
Da quegli incontri e da quei seminari emerse l’idea di “Calabria, parco di pace tra due mari”.
Ho curato una scelta di passi che riporto in Appendice a questo testo.
Vale a concludere questo cammino che continua sulle orme di Gioacchino da Fiore, a San Giovanni in Fiore, in Calabria, e oltre.
Palmi, 26 settembre 2013
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi

APPENDICE
L’IDEA DI CALABRIA
PARCO DI PACE TRA DUE MARI
REALISMO DI UN’UTOPIA
da
Variazioni sul tema Comunicare
a cura di
DANILO DOLCI
(edizioni Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991)
Passi scelti
da
Raffaello Saffioti
 
I
Le popolazioni calabresi hanno l’esigenza di essere riconosciute. Pensare alla Calabria come “parco di pace tra due mari” suscita emozione. Perché significa riconoscerla nella sua natura più vera e le popolazioni calabresi hanno esigenza di questo riconoscimento forse in maniera particolarmente acuta. Hanno un acuto bisogno di cittadinanza, di una cittadinanza non formale ma sincera, che rimuova dipendenze ed ingiustizie, non solo immaginarie. Vi è un altro aspetto in quella emozione, poiché essa indica in modo chiaro e pregnante una direzione comune di lavoro per i gruppi maieutici.
Francesco Tassone
 
II
Dignità della Calabria è la riappropriazione del futuro, cioè la riconquista e la difesa della propria identità.
La dignità quindi come senso delle radici e costruzione del futuro.
Un futuro di pace e lavoro, un’idea di pace e lavoro che trova nel parco la sua più completa realizzazione. La Calabria da progettare e realizzare come laborioso parco di pace tra due mari, perché solo recuperando una dimensione veramente economico-produttiva, finora negata, i calabresi potranno dare un contributo alla pace nel Mediterraneo e nel mondo.
Una proposta futuribile può essere trasformata in un programma per l’oggi. Come?
Ricominciando ad utilizzare le risorse disponibili (basti pensare ai giovani disoccupati) e riscoprendo il ruolo dell’artigianato produttivo, che non è affatto un settore marginale ed ha ottime prospettive di sviluppo.
Un piano di sviluppo quindi basato sulle esigenze e sulle risorse dei calabresi, non calato dall’alto come ennesimo “pacchetto Calabria”.
Pier Luigi Aceti
 
III
Non si impara a comunicare e a organizzarsi nel vuoto ma sui profondi interessi comuni. Un ampio territorio (…) deve imparare a gestirsi organicamente per difendere e sviluppare la sua vita: un Parco della Pace, necessità profonda, è possibile solo se avviene un profondo mutamento della mentalità, in cui l’antico cresce nel futuro.
Giuseppe Carbone
 
IV
Per costruire un mondo “Parco di Pace” si può partire dal luogo dove ognuno di noi vive e lavora.
L’ipotesi può apparire velleitaria, antistorica. Ma la storia non è solo quella che leggiamo sui libri. C’è la storia non scritta.
Ci sono le microstorie dei nostri paesi, delle nostre contrade. Sono storie molto più ricche, più vive di quelle scritte dai dominatori. La storia dei calabresi è soprattutto storia di gente pacifica per cultura e tradizione.
(…)
E’ difficile, partendo dai nostri luoghi di vita, contribuire a costruire la pace. Sono stati seminati i cattivi semi della violenza: la dipendenza, il parassitismo, la disoccupazione, l’emigrazione forzata, la trasmissione unidirezionale … Il mondo contadino era portatore di cultura e di competenze che si comunicavano al proprio interno. I riferimenti territoriali erano molto precisi. La sintonia con la natura mirabile. Il bisogno favoriva la solidarietà. I codici della convivenza sociale erano conosciuti, accettati, e rispettati da tutti. Si è ridotta molto la consapevolezza delle nostre risorse fisiche e morali.
Penso che bisogna assumere per intera la nostra condizione, compresa la nostra povertà, e recuperare i nostri rapporti, i nostri abitati, le nostre campagne.
Ma bisogna anche ricordare che non si può raggiungere alcuna pace senza lavorare per una maggiore giustizia. La pace può crescere se radicata nella fattività solidale, nella creatività, nella coesione di piccole comunità sparse sul territorio che si organizzano e si difendono dalle invasioni esterne, dai dominatori.
Antonio D’Agostino
 
V
La nostra gente vuole la pace e la comunicazione.
(…)
Ritornare a guardare e comprendere l’ambiente aiuterà a risolvere le nostre difficoltà. Dovremo però imparare a vedere il nostro territorio come unità. Imparare a superare le differenze e sentire un continuum fra città e campagna, fra paese e paese.
E’ uno sforzo enorme e nello stesso tempo lo sentiamo alla nostra portata proprio perché lo desideriamo tanto. Abbiamo visto a cosa porta darsi dei piccoli obiettivi limitati: porta alla separazione. Un grande obiettivo ha più probabilità di realizzarsi di uno piccolo. Il grande obiettivo è fatto dal raggiungimento intermedio di tanti piccoli obiettivi ed ognuno può partecipare anche ad uno solo di questi, ma sapendo che sta lavorando a quello più grande per il quale vale la pena di mettere in gioco tutto se stesso.
Lavorare per il progetto della Calabria come parco di pace, ha più possibilità di essere raggiunto che impegnarsi solo per migliorare i rapporti sociali a Vibo senza preoccuparsi di altro.
La proposta del parco della pace tra due mari, commuove ed entusiasma anche perché già qualcosa di straordinario sta avvenendo, ci stiamo incontrando e stiamo parlando. Se stiamo facendo questo, possiamo anche porci un obiettivo straordinario.
La cultura urbanistica ha constatato che il mondo moderno è qualificato dalla fine della tradizionale separazione tra città e campagna.
(…)
La città-territorio è oggi l’unica concreta realtà progettuale e su essa bisogna lavorare, operare, anche per la salvaguardia dell’esistente, dei centri storici e dei centri minori con le loro ricche tradizioni culturali e artistiche.
… E’ necessario considerare l’intera Calabria con le sue città più o meno grandi, i centri minori, le campagne, le fiumare, i laghetti, le montagne, il mare, come se fosse un’unica città ossia una città-territorio.
Non si può pensare di avere una città, ossia un’area urbanizzata dove è possibile comunicare, se non si connettono tutte le realtà di un territorio abbastanza ampio che comprenda uno spazio urbanizzato nel senso di costruito con la montagna, i fiumi, il mare e la campagna. Tutti questi elementi fra di loro in relazione costituiscono la vera città-territorio.
Angela Di Grandi-Salvatore Monteleone
 
VI
La Calabria, affascinante e misteriosa, potrebbe divenire un grande parco naturale tra mare e montagna. Le nostre tradizioni contadine offrono emozioni profonde a ognuno.
(…)
Purtroppo in questa terra esiste un problema che colpisce tutti: una minoranza di parassiti riesce a manovrare il resto (o quasi) della popolazione. Si può cambiare la situazione solo attraverso una lotta, anche morale, basata sull’unione della gente soggetta alle ingiustizie. Il cambiamento radicale, possibile per noi e per i nostri figli, possiamo definirlo “la reazione a catena delle valorizzazioni” del suolo e delle creature, per arrivare a una diversa vita.
Quale sarà la scintilla che farà iniziare la reazione e accenderà il coraggio di cominciare a lottare?
Credo che questa scintilla sia l’imparare a comunicare. Ci potrebbe aiutare a realizzare un grande fine: cominciando dal nostro, costruire un mondo come Parco di pace.
(…)
E’ una splendida terra fra due mari la Calabria, ma non si nascondono certo i gravissimi problemi che si ritrova.
(…)
E’ vero. “Le nostre popolazioni sono fondamentalmente pacifiche. Ove non c’è ingiustizia e parassitismo”.
Ma poche persone calpestano la dignità della società intera.
Per combattere la mafia penso che dobbiamo cambiare radicalmente: dire basta all’omertà, basta a credere alle promesse dall’alto. Noi giovani dobbiamo conquistare i nostri diritti.
Noi giovani dobbiamo cambiare e cambiare la Calabria.
(…)
Se vogliamo vivere, non dobbiamo evadere ma imparare a impegnarci tutti assieme a lottare per la nostra vita. Io credo che un giorno si possa vivere serenamente.
Io mi sento una vera calabrese. E con il mio amore per la Calabria voglio combattere per la dignità pura del mio Paese.
… Ora abbiamo chiaro che il parassitismo esiste ove esistono persone disposte, più o meno, a lasciarsi parassitare. Ma per trovare una vera risposta al problema bisogna guardarsi dentro e stabilire chiaramente se siamo disposti a lottare affinché la nostra regione divenga una terra di pace.
(…)
La vera Calabria è di gente con sentimenti profondi, gente che crede ancora nell’amicizia e nell’amore con la A maiuscola, crede nei valori della vita mentre altrove tendono a svanire.
(…)
Può contribuire la Calabria, diventando un parco di pace, a originare un mondo di pace? Sicuramente sì.
Quale spinta migliore di un parco della pace (interiore e della comunità in cui si vive) per mettere in moto un congegno prima territoriale poi nazionale e internazionale e infine mondiale per accomunare tutti i popoli nella crescita della vita?
(…)
Fare della propria terra un territorio di pace può contribuire che il mondo divenga un parco di pace.
Finché la gente non cercherà, non vorrà la pace, non vi sarà pace.
(…)
Solo imparando a comunicare e a organizzarci possiamo liberarci con dignità dai parassiti di diverso tipo e fare della Calabria proprio “un parco di pace tra due mari”.
(…)
Affinché nel mondo cresca la pace, ogni uomo deve prendere coscienza dei problemi suoi e di tutti e imparare a risolverli.
(…)
Perché il mondo possa diventare un parco di pace non basta condannare a parole la guerra mentre si approfondiscono gli abissi della miseria e della morte: occorre imparare a passare dallo sfruttamento alla valorizzazione organizzata avendo una meta degna di noi.
Studenti dell’Istituto per Geometri di Vibo Valentia
VII
La Calabria è piena di risorse da valorizzare partendo da una coscienza nuova. Dobbiamo salvaguardare e riscoprire immense ricchezze e bellezze, inosservate o nascoste.
(…)
La Calabria non è soltanto la terra dell’ignoranza, della violenza, della delinquenza. Ha molte risorse che aspettano soltanto di essere scoperte, doni da valorizzare. Bisogna smettere di compiangersi, e destarsi dallo stato di indifferenza verso tutti e tutto riscoprendo come ognuno di noi può dare un contributo per la crescita della società. Per arrivare al grandioso occorre che ognuno si impegni con coraggio dal suo piccolo.
(…)
Bisogna esaltare le risorse naturali della Sila, dell’Aspromonte e del Pollino, le bellezze costiere, attraverso progetti che realizzino il potenziale contenuto nel concepire la Calabria parco di pace. Occorre che divenga impopolare chi si oppone alla salute, alla valorizzazione. Smettere di tenere la natura al nostro servizio è avere rispetto anche per noi stessi, che ne facciamo parte.
Se ogni scuola in Calabria, ogni ragazzo, ogni giovane prenderà coscienza di questo, e agirà di conseguenza, maturerà la nostra civiltà.
(…)
Per diventare la Calabria un parco di pace, secondo la sua natura, occorre reagire contro il dominio parassitario formando nuovi organismi e cooperative che possano concretamente ampliare e approfondire la vera comunicazione. Formando quelle condizioni che favoriscono la creatività e portino soprattutto noi giovani alla conoscenza delle nostre risorse. E’ necessario valorizzare il contributo di ciascuno.
(…)
Occorre che ognuno capisca quanto è bello vivere contando sulle proprie capacità anziché sfruttare le fatiche altrui, questo è “terra di pace”.
(…)
Dobbiamo imparare a far parte di un’unica struttura, pure se molto complessa: la struttura della vita.
(…)
Boschi, laghi, mari. Ma la bontà che vi è nei veri calabresi è superiore a queste bellezze.
Purtroppo il parassitismo invade la regione e la indebolisce. Ma si può anche osservare che nella nostra mancanza di forza organizzata il parassitismo trova l’occasione per penetrare.
Non basta ai nostri sogni avere strade senza buche e acqua tutto l’anno.
Non sappiamo sognare e progettare secondo le esigenze della nostra natura. Non sappiamo sognare con coraggio.
(…)
Quante bellezze sono imprigionate nel nostro paese: non solo i bellissimi laghi, le nostre poco conosciute montagne (tra cui l’Aspromonte, tanto discusso e disprezzato) il cui fascino desta stupore, le nostre invidiate coste, l’aria ancora pura e respirabile.
Ma dobbiamo imparare a liberarci, soprattutto liberare la nostra intima creatività imparando a comunicare concretamente, imparando a operare per il bene comune.
… La Calabria si può concepire come parco di pace se impariamo a interessarci, e a lavorare, alla gestione comune della vita.
… La Calabria è una terra di contrasti. Affinché riesca a concepirsi come parco di pace deve riscoprire le sue virtù tradizionali: lo spirito di sacrificio, la laboriosità, l’impegno.
… Il discorso non riguarda soltanto la Calabria. Per eliminare il parassitismo è necessario innanzi tutto cambiare la coscienza d’ognuno di noi, che ciascun individuo dal suo piccolo e ogni gruppo, si decida a fare il possibile senza aspettare cambiamenti spontanei.
(…)
E’ possibile liberarsi se iniziamo ad eliminare il parassitismo nel nostro piccolo habitat imparando a comunicare e a organizzarci.
Studenti dell’Istituto Commerciale di Nicastro
VIII
Le idee da noi espresse sul futuro della Calabria, vengono dal profondo. Più che speranze sono inizio di progetto per una terra di cui capiamo il valore, pensando ciò che è stata e ha rappresentato nel passato, e l’importanza che anche nel futuro potrebbe avere. Ma queste idee sono difficili da comprendere a chi non vive dall’intimo questa realtà. Pace e Libertà non sono impossibili a raggiungere: ma sono conquiste. Che si cominciano a fare dentro se stessi.
(…)
Noi non abbiamo voluto affatto mitizzare la nostra terra, ma l’abbiamo descritta così come la vediamo: le alture, gli immensi boschi silenziosi, le acque pure, le bellezze costiere, esistono veramente, così come realmente esistono molti calabresi onesti e laboriosi. Mafia e parassitismo sono malanni da guarire.
… Noi ragazzi abbiamo espresso il desiderio di avere una Calabria per certi aspetti cambiata, diversa. Una regione non più afflitta da mali che possono essere risolti, se cambia anche la mentalità dell’uomo. Non vediamo il nostro paese come un tunnel senza uscite. La Calabria ha tutte le risorse necessarie per essere diversa. Guardiamo la realtà per spiegarci in concreto quale a nostro avviso possa essere l’operato giusto, affinché la nostra terra possa risanare le sue ferite.
… Noi giovani e non soltanto in questa occasione, facciamo progetti da mettere in pratica per realizzare, trasformare la Calabria in terra di pace come voi adulti non avete saputo creare.
(…)
Perché non rendere la Calabria una terra di pace?
Ognuno di noi ha fatto una sua proposta, come ad esempio sviluppare una nuova coscienza, organizzare cooperative volte a più diverse attività sociali, combattere i soprusi del più forte, convivere in modo pacifico con la natura che ci circonda, trarre da essa l’amore a tutti noi necessario per imparare ad aiutare il prossimo anziché “rinchiuderci” ognuno nella nostra vita.
… La mafia è un fenomeno di delinquenza organizzata e come tale deve essere combattuta nelle sedi appropriate per mezzo delle istituzioni preposte a tale compito, ma essa è pure un modo di essere, di pensare, di agire: sotto questo aspetto può e deve essere contrastata a livello di ogni singolo, riscoprendo il senso autentico della comunità.
Naturalmente, tutto ciò non si crea in un attimo né s’improvvisa, ma si costruisce giorno dopo giorno, momento dopo momento.
Studenti della IV B dell’Istituto Commerciale di Nicastro
IX
Nel seminario tenuto a Gennaio, non abbiamo fatto della Calabria un mito perché non abbiamo detto che la Calabria è già una terra di pace, ma abbiamo detto che potrebbe essere così senza i suoi attuali mali. La Calabria non è una terra di morte e di violenza, poiché in essa non vi sono solo mafiosi e malfattori, ma anche tanta gente che vuole lavorare e vivere in pace: ed è la grande parte.
(…)
La nostra Calabria è stata sempre una terra ospitale ed ecumenica, che ha accolto generosamente per anni popolazioni di profughi fuggiti dalle loro terre d’origine, trovando qui una nuova patria, pur mantenendo i propri costumi, le proprie tradizioni e le proprie lingue. Ai fattori negativi il popolo Calabrese, nella sua stragrande maggioranza, ha reagito e reagisce ricorrendo alle proprie virtù tradizionali, allo spirito di sacrificio, alla laboriosità, all’amore per la famiglia, che sono, col dono della fede, i capitali più preziosi dell’uomo.
(…)
Quelli che possono sembrare “buone intenzioni” o desideri utopistici in realtà sono obiettivi che ci proponiamo di realizzare concretamente, obiettivi che devono essere necessariamente presenti qualora si voglia operare per mutare una dura realtà. Il percorso da seguire è il seguente: una volta avvertita la necessità di un cambiamento delle condizioni di vita, è indispensabile avere un’idea chiara di quello che si vuole, fissare obiettivi, strumenti e metodi in funzione dei quali dispiegare tutte le risorse e le energie disponibili.
(…)
Il mutamento (cominciando a valorizzare con iniziative e proposte idonee le nostre risorse, le nostre energie, la nostra creatività) deve avvenire innanzitutto in noi calabresi.
Studenti della III B dell’Istituto Commerciale di Nicastro
X
Nelle pagine scritte dai ragazzi, a me pare ci sia, bellissimo, lo sforzo di riconoscere e di costruire una idea nuova di Calabria, come nuovo è il modo in cui si sta insieme, come nuovi i soggetti che la esprimono.
Quante volte nella storia della nostra terra la gente comune si è messa insieme per raccontarsi sogni e progetti di cambiamento?
(…)
Il contesto in cui nasce questa “verità del desiderio e del bisogno” non è da trascurare. La scoperta della verità porta ad un impegno, necessario, per cambiare.
(…)
Questa idea di Calabria che “si compone” negli interventi dei ragazzi, e non solo di questi, non è altro che una parte di noi, forse la più profonda, proiettata all’esterno, raccontata, donata agli altri.
Un pezzo di Calabria (“verde e con riflessi viola” anche) che ci scopriamo dentro e che ora ha bisogno di connettersi con gli altri frammenti, di crescere nel confronto concreto con la realtà, con gli altri.
Se non impariamo a desiderare profondamente, a costruire la realtà dei nostri desideri, bruciamo invano energie. Poiché l’accendersi dell’anima è un evento raro, non va sprecato ma valorizzato al massimo.
Rosellina Scarcella Fiorillo
XI
Maestri del silenzio inteso come apertura, dialogo e stupore sono stati i padri della grande tradizione spirituale della nostra terra: i solitari, i contemplativi e i sognatori delle laure bizantine, dei cenobi latini, dei mille eremi inerpicati sui nostri monti o disseminati ai margini dei nostri paesi.
Uomini che fecero del dialogo col passato una risposta alle atrocità del presente, che intesero il dialogo con il loro tempo come condivisione dell’insopportabile vita dei poveri, che vissero il dialogo col futuro come forza di immaginazione di giorni nuovi. Penso a Nilo di Rossano, a Brunone di Colonia, a Francesco di Paola. Penso agli uomini del silenzio e della tenerezza, della condivisione e del dialogo che anche nei nostri tempi hanno camminato in mezzo a noi.
Essere uomini riconciliati con noi stessi, con i padri, essere creativamente e criticamente fedeli a noi stessi e ai padri, può significare capacità di recupero di quelle che furono le strutture di solidarietà del nostro popolo, del sentimento e dei luoghi del dialogo, della partecipazione, della dignità: la famiglia, il rione, il paese, la confraternita, la cooperativa, in certi momenti il partito.
Essere uomini di pace oggi in Calabria può significare saper dialogare col presente nell’unica forma possibile, in quella cioè, del riconoscimento della pari dignità delle culture.
Essere uomini di pace oggi in Calabria può significare riprendere a dialogare col futuro, superare la tentazione della neghittosità assistita, dell’accettazione della storia come destino. Significa credere che, riprendendo a parlarci, avendo fiducia nella bellezza del reciproco fecondarsi dei diversi saperi del paese calabrese, quello del contadino, dell’artigiano, del professionista, del tecnico, dello studioso, della madre di famiglia, nell’incontro di civiltà diverse, in questa terra che fu sempre, per vocazione geografica, crocevia di civiltà, possiamo essere gli autori di un progetto di convivenza nuova e più umana.
Sebastiano Augruso
***
NOTE
1 Domenico Zappone, “L’isola prigioniera”, in “IL PONTE”, Anno VI, N. 9-10, Settembre-Ottobre 1950, La Nuova Italia Firenze, Bios Reprint, 1994.
2 Leonida Répaci, Poesie, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1999, pp. 121-122.
3 Geografia dell’anima è il pregiato volume pubblicato a cura dell’Associazione Amici Casa della Cultura “Leonida Répaci” di Palmi nel 2006, stampato dalla I.G.E.R Istituto Grafico Editoriale Romano.
Nel saggio introduttivo Maria Brancato scrive:
“ La Calabria narrata da Répaci corrisponde al paesaggio interiore dell’autore che egli riesce a comunicare ai calabresi. (…) Répaci mostra l’equilibrio emotivo che infonde la sicurezza di essere radicati e il profondo legame alla terra ed al passato nella gnoseologia e nella pratica della cultura calabrese” (pp. 11, 13).
4 Leonida Répaci, Calabria grande e amara, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2002, p. 29.
5 Ibidem, pp. 77-8, 81.
6 Vito Teti, Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati, Donzelli Editore, Roma, 2004.



Giovedì 26 Settembre,2013 Ore: 21:33
 
 
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