- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (309) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org LA PERSONA OMOSESSUALE: riflessioni., di Perin Nadir Giuseppe

Sinodo sulla famiglia
LA PERSONA OMOSESSUALE: riflessioni.

 di Perin Nadir Giuseppe

Perin Nadir Giuseppe : dottore in teologia dogmatica e morale, prete eterosessuale-sposato sacramentalmente da quasi cinquant’anni, che negli anni di esercizio del suo ministero presbiterale, ha avuto modo d’incontrare e “seguire pastoralmente” delle persone omosessuali.

Nel recente sinodo straordinario sulla famiglia, ancora in corso, l’omosessualità è stata una delle questioni più controverse, non tanto perché i padri sinodali volessero esaminare, approfondire teoricamente “il concetto” dell’ omosessualità, per trovarne le cause ed eventualmente per cercarne una “terapia”, in modo da aiutare le persone omosessuali ad uscirne.
Invece, i “padri partecipanti al sinodo”, dal momento che la dottrina della Chiesa esclude, “senza se e senza ma”, l’esistenza di ogni fondamento per assimilare o stabilire delle analogie, anche remote, tra le “unioni omosessuali” e il matrimonio e la famiglia, hanno cercato di comprendere quale “attenzione pastorale” bisognerebbe avere nei confronti delle “persone omosessualiche sono creature di Dio, come qualsiasi altra persona “eterosessuale” esistente sulla faccia della terra.
Per quanto riguarda “l’attenzione pastorale” da dare alle persone omosessuali, la Chiesa ribadisce che, nonostante tutto, gli uomini e le donne con tendenza omosessuale devono essere “accolti” con rispetto e delicatezza, evitando ogni marchio di ingiusta discriminazione.
La Chiesa riconosce che le persone omosessuali hanno doti e qualità da “offrire alla comunità ecclesiale” e che tali persone desiderano incontrare una Chiesa che sia una “casa accogliente” anche per loro.
Proprio per questo, la Chiesa s’interroga se le varie comunità ecclesiali parrocchiali e diocesane (cioè il “popolo di Dio”) siano in grado di “accogliere” queste persone, “condividendo” con loro uno spazio di fraternità al loro interno, “accettando” il loro orientamento sessuale ?
La Chiesa s’interroga, inoltre, come elaborare dei cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica, integrando la dimensione sessuale, fermo restando che le unioni fra le persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra un uomo ed una donna.
Perché, Dio, nel suo disegno sull’uomo, anche se espresso con un linguaggio “umano” che rispecchia la “cultura” di quel tempo, nel racconto ispirato della creazione, contenuto nel libro della Genesi, afferma: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18).
Con queste parole, il libro della Genesi introduce la creazione di Eva, la prima donna ed indica che gli esseri umani, creati “maschio e femmina” sono ad immagine e somiglianza di Dio ( Gn 1,26) e sono chiamati ad una comunione di amore : “Dio li benedisse e disse loro: “siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela e abbiate dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e su tutte le fiere che strisciano sulla terra” ( Gn1,27-28).
Perciò l’uomo abbandona il padre e la madre e si unisce alla sua donna e i due diventeranno una sola carne ( Gn 2,24).
La complementarietà tra uomo e donna - riflesso dell’ “interiore unità del Creatore”- è orientata a questa comunione e fin dal principio della creazione dei nostri progenitori, le relazioni sessuali hanno sempre avuto il significato di essere una fondamentale espressione dell’amore umano al servizio della fecondità nella famiglia e dell’unità tra marito e moglie.
Per questo, la Chiesa “celebra nel sacramento del matrimonio, il disegno divino dell’unione amorosa e donatrice di vita dell ‘uomo e della donna”.
Quando i farisei posero una domanda a Gesù sul divorzio, prendendo le mosse da un principio di legalità : “ E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo ?” ( Mt 19,3), la risposta di Gesù non si arenò su una questione di legalità o di liceità, ma toccò il cuore di un’intenzione e intuizione profonda : quella della creazione che si riflette e realizza in ogni esperienza di amore.
Non avete letto che il Creatore da principio […] (Mt 19,4)…
Che cosa c’insegna Gesù nel Vangelo ?
Per affrontare e risolvere i vari problemi che possono sorgere nella vita degli esseri umani, bisogna ritornare continuamente “al principiosenza cadere nella trappola dorata di principi astratti per quanto assoluti.
Ritornando “al principio” possiamo trovare la forza e la luce per dare un fondamento, nel presente, alle nostre scelte, che non sia solo “conservativo”, ma fondamentalmente vitale.
Ma, io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima1, e ne sposa un’altra, commette adulterio” ( Mt 19,9).
Quando si sceglie, davanti a Dio e secondo il cuore stesso del Vangelo, di promettere l’amore e la fedeltà a una persona, non si può più ragionare in termini di legalità o di liceità, ma bisogna riscegliere, ogni mattina, talora con fatica enorme, di ritornare al principio, per trovare il modo di essere creativamente fedeli alla concretezza di un amore che non solo non è mai scontato, ma non è mai semplicemente definibile.
Nel Vangelo, Gesù ci fa capire due cose : la prima riguarda la fedeltà alla promessa di amore e la seconda, riguarda la fatica di trovare un modo per impegnarsi veramente in una relazione, tenendo conto della complessità di se stessi : “ Non tutti capiscono questa parabola, ma solo coloro ai quali è stato concesso […] (Mt 10,11).
Il primo passo di ogni fedeltà è la memoria verace e audace di se stessi.
Si tratta di ricominciare sempre “da principio”, non daccapo, nella coscienza che questo principio, in realtà è più grande delle nostre convinzioni ed è più ampio delle nostre scelte.
La Chiesa, forse, nell’oggi della sua storia, dovrebbe “convertirsi” dall’atteggiamento dei farisei e dei dottori della Legge che si sentono investiti della responsabilità di “dirigere il traffico della vita”, all’atteggiamento evangelico del Signore Gesù che si coinvolge personalmente nel traffico, talora, caotico della vita, senza guardare nessuno dall’alto al basso, ma vivendo una reale compromissione con la vita di tutti e di ciascuno.
Se la fedeltà nell’amicizia è il dramma dei più giovani, la fedeltà all’amore e la perseveranza nell’amore è ciò che maggiormente segna il cuore dei più adulti.
Su questo aspetto fondamentale della vita -“la fedeltà”- i farisei interrogarono Gesù sulla “liceità di ripudiare la propria moglie” ( Mc 10,2) e Gesù riportò l’attenzione all’inizio della creazione ( Mc 10,6) che è un modo anche per indicare l’inizio dell’amore.
Gesù non riportò l’attenzione sui motivi che indurrebbero ad abbandonare il proprio coniuge ! Ma, è dall’inizio che bisogna ricominciare ed è all’inizio
di ogni amore che bisogna saper ritornare, per fare memoria di ciò che ha acceso il desiderio e la speranza di poter condividere la vita.
E, questo non solo quando ci fa comodo ( Sir 6,8), ma anche nel giorno della sventura ( Sir 6,10).
E, quale sventura più grande di quella di smarrire il fuoco dell’amore, sentendolo languire nel proprio cuore o vedendolo raffreddare nel cuore dell’altro?
Non bisogna nascondersi dietro la maschera del “lecito” ( Mc 10,2), ma uscire allo scoperto di ciò che si sceglie di volere ancora più liberamente e più consapevolmente.
Consapevolezza e sofferenza sono unite in matrimonio ben al di là delle scelte di vita, delle costrizioni della vita e di quelle che possono essere le nuove-scelte di vita.
Ciascuno di noi ha bisogno prima di tutto di “trovare casa” che normalmente si identifica con il desiderio di “mettere su casa”.
E, la casa non è una semplice tana per animali.
La casa è uno spazio che delimita l’ambito della vita e di una vita condivisa in cui si affronta la fatica di essere vivi e talora si deve pure far fronte all’esperienza di molte, diverse e rinnovate morti.
Se è vero che la sessualità, nella realtà, è l’incontro di due persone nella loro diversità di maschio e di femmina, da cui nasce la fecondità, non bisogna dimenticare che l’attrazione amorosa, si situa ben al di là dei corpi, delle differenze morfologiche tra l’uomo e la donna, anche se non devono essere trascurate, perché si tratta di un “incontro dell’altro come persona”, nella sua identità propria ed unica.
Non si deve limitare la sessualità solamente alla sua realtà carnale, ma la sessualità abbraccia l’intera persona, “anima e corpo” perché solo “nella persona” considerata nella sua interezza, l’amore raggiunge il suo spessore umano.
Se la fecondità con i figli è legata alle differenze morfologiche di due persone (maschio e femmina) ed è una dimensione particolarmente importante della sessualità, tuttavia non ne limita, per questo, l’apertura e lo sviluppo, perché la creatività di due esseri umani, che può essere grande e diversificata, quando viene condivisa nella vita, stimola e vivifica la realizzazione e gli impegni sociali, artistici, umanitari.
Ridurre l’omosessualità, priva di fecondità, soltanto ad una ricerca del simile, è ingiusto e fa perdere di valore, perché anche le persone gay e le persone lesbiche devono avere, da parte della società, di cui fanno parte, anche se la maggioranza delle persone che la compongono sono eterosessuali, il riconoscimento della loro dignità e dei loro diritti.
Nessuno può negare che ci sono dei cristiani omosessuali che danno testimonianza di un amore vero e fedele, così come di una fede viva e solidale 2.
Il messaggio evangelico ci invita, pertanto, a riconoscere l’altro, gli altri, nella loro diversità e a non giudicare i comportamenti altrui.
Abbiamo abbastanza da spazzare davanti alla nostra porta.
Quando delle persone, sia nell’adolescenza che nell’età adulta o anche una volta sposati, prendono coscienza che sono omosessuali, per loro e non solo, è uno choc, una ferita e spesso è causa di una grande solitudine.
L’omosessualità, indipendentemente da ogni giudizio morale, in una società dove la “natura” così come la conosciamo, ha dotato circa i nove decimi degli uomini di una propensione eterosessuale, mentre una minoranza è dotata di una sessualità e di una affettività omosessuale predominante, costituisce un fenomeno che turba, sconcerta ed è facilmente qualificato come “antinaturale”.
Per questo, anche nel proprio ambiente, non è facile trovare ascolto e dialogo, essendo gli stessi parenti disorientati da questa situazione inattesa.
Molto spesso, per non dire quasi sempre, non ci si rende conto delle reazioni di disprezzo, di rigetto e persino di condanna, ancora così frequenti, che gli omosessuali devono subire, per cui, molti si vedono costretti a vivere la loro sensibilità, la loro affettività, il loro equilibrio e il loro sviluppo sessuale, in un contesto sociale che resta a loro, ancora largamente ostile.
Con molta leggerezza, pur non conoscendo con esattezza l’origine e le cause di una sessualità e di una affettività omosessuale predominante, imputiamo questa “modalità di essere” di alcune persone a lacune che affondano le loro radici nell’educazione, ritenendo, quindi, che la volontà del soggetto, ben orientata, potrebbe anche dominare questa sua sessualità ed affettività omosessuale, se opportunamente educata.
L’omosessualità – come sostenuto da molti - non è una scelta: o si è omosessuali o non si è !
Credo che, sia l’eterosessualità come l’omosessualità, si possono e si devono “dominare”, stabilendo un equilibrio nel nostro comportamento che sia rispettoso della libertà dell’altro, altrimenti la sessualità diventerebbe “violenza”. Infatti, due sono gli orientamenti affettivi e sessuali (eterosessuale ed omosessuale), ma poi nella vita un aspetto diventa dominante sull’altro.
L’ignoranza e persino la condanna dell’omosessualità, sono particolarmente difficili da vivere, dalle persone omosessuali, proprio perché sono già in minoranza per la situazione di particolarità, in un mondo in cui l’eterosessualità si estende dappertutto.
Per questo, il rigetto della minoranza omosessuale, da parte di quelli che hanno ereditato un modello di affettività e di eterosessualità dominante, costituisce una forma di segregazione e di razzismo che particolarmente impoverisce.
Questo rigetto, dal momento che è particolarmente difficile viverlo, spinge, spesso, un certo numero di adolescenti al suicidio.
Già l’adolescenza è un’età in cui non è facile accettarsi, figuriamoci quando nel loro isolamento, qualche adolescente scopre la sua situazione di eccezione.
Bisogna partire dalla realtà che la gente vive: i fallimenti matrimoniali, le questioni di genere, la scoperta della propria e dell’altrui omosessualità, la fatica per molti a gestire la propria emozionalità e la propria pulsionalità.
Bisogna imparare a leggere la sessualità senza la lente “clericale”.
Il matrimonio è un sacramento sessuale” che ha la sua espressione più completa nel rapporto sessuale. E, per raggiungere l’armonia è necessario riuscire a coltivare il desiderio ed anche un sano erotismo.
Finchè la sessualità è temuta o al massimo tollerata, entro limiti stretti e rigorosamente di sospetto nei confronti del godimento sessuale, sarà difficile considerare l’unione sessuale anche tra gli sposi come parte essenziale della loro spiritualità!
La sessualità è una modalità di comunicazione, radicata nell’esistenza di persone concrete. Non si tratta di casi da studiare, protocollare ed eventualmente archiviare come dossier più o meno pietosi, più o meno gravi.
Pensando alla convivenza di persone omosessuali, “senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali”, si è osato aprire un finestra di intelligenza e di amore, prendendo atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners”.
Tali aperture aderiscono a due principi fondamentali:
1-Ogni famiglia ferita va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore, facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus.
La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri ( sacerdoti, religiosi, laici) a questa arte dell’accompagnamento, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro ( cfr. Es.3,5).
E’ necessario dare a questo cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di “compassione” che nel medesimo tempo sani, liberi, incoraggi a maturare nella vita cristiana (EG,169).
Tutta la vita di Gesù è stata una vita “mossa a compassione”.
Egli sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati (Mt 14,14)
Gesù andava attorno per tutte le città e villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando la buona notizia del regno e curando ogni malattia ed infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” ( Mt 9,35.36).
Ma, la compassione di Gesù, non è una reazione emotiva slegata dalle cause, ridotta ad un momento preciso e basata sul rapporto benefattore-beneficato, ma costituisce un suo modo di essere, nei confronti di chi si trova in difficoltà, che diventa una forma radicale di critica, nei confronti di tutti coloro ( nessuno escluso) che con il loro comportamento provocano la situazione di dolore, di sofferenza e emarginazione dell’altro.
Con la sua vita “mossa a compassione”, Gesù annuncia che ogni dolore deve essere preso sul serio, che nessuna ingiustizia e sofferenza deve essere “naturalizzata”, concepita cioè come qualcosa di normale o naturale, ma che l’ingiustizia e la sofferenza che provoca è sempre una situazione inaccettabile dall’umanità.
Se il popolo cristiano viene interpellato nella maniera giusta, esso risponderà nella maniera giusta e il Papa poi troverà le formule per restituire al popolo cristiano ciò che il popolo cristiano gli avrà detto.
Si potrà fare esperienza che la consapevolezza cristiana non è unitaria.
Ma, l’attitudine al coinvolgimento, che si riconosce nell’immagine di una Chiesa che deve essere nel mondo come un ospedale da campo, si deve ora trasformare nell’immagine di Chiesa come una “casa per tutti”, senza condizioni di ingresso, quale ambito di conversione a partire da una previa accettazione.
Molte delle nostre case in cui vivono gli uomini e le donne del nostro tempo, con i loro bambini e i loro vecchi, non assomigliano più né alla casa di Nazareth, né a quella di Betania, ma alla casa di Levi, cioè ad un luogo di passaggio di amici, conoscenti, gente con cui si condivide una storia.
Quando Gesù chiama Levi (Matteo) a seguirlo non gli chiede di cambiare compagnia, anzi sembra persino che non gli chieda, nemmeno, di abbandonare i suoi amici e le sue abitudini.
Dove ci saremo aspettati una rottura assoluta con il suo mondo di relazioni e di abitudini, troviamo invece che Levi preparò a Gesù un grande banchetto nella sua casa.
C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente che erano con loro a tavola ( Lc 5,29).
Quando le nostre case sono il luogo in cui convengono e convergono storie diverse e non sempre facili, tanto da scandalizzare ed imbarazzare, come avvenne per i farisei alla vista di Gesù che entra in casa di Levi, il Signore si fa presente con la sua benedizione che non approva tutto, ma non giudica nessuno e siede accanto a tutti come un medico ( Lc 5,31) che non solo prescrive le cure necessarie, ma sa pure aspettare i tempi e i modi della guarigione di ciascuno.
Si potrebbe anche dire che molte delle nostre case dove gli uomini e le donne del nostro tempo vivono con i loro piccoli e i loro anziani, dovrebbero assomigliare di più alla casa di Zaccheo.
Come lui cerchiamo di arrampicarci su un sicomoro per non essere visti, ma nello stesso tempo poter vedere, col desiderio di trovare un indizio di speranza per la nostra vita, apparentemente piena di tante cose, oppure talora segnata da un vuoto insopportabile.
Il Signore ci sorprende più con il suo invitarsi a casa nostra che con il suo accoglierci : “ Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua( Lc 19,5).
E’ proprio il Signore a riportarci a casa nostra, permettendoci così di riconciliarci con le nostre ferite, con i nostri fallimenti relazionali, con i nostri errori e persino con il male che abbiamo fatto agli altri nel disperato tentativo di superare il nostro complesso di inferiorità ( era piccolo di statura Lc 19,3).
Spesso, come Zaccheo, siamo in fuga da tutto ciò che nonostante le apparenze ci tiene in uno stato di soggezione nei confronti della vita.
Gesù s’invita, incondizionatamente, nella nostra casa, così com’è, per renderla un luogo di vera condivisione, con un’attenzione reciproca ed una capacità, prima ancora di perdonare, di lasciarsi generosamente perdonare.
La vera sfida non é esprimere un giudizio sulla natura di una serie di percezioni di se stessi da parte delle persone e della loro interconnessione relazionale, quanto piuttosto affrontare la fatica di riscrivere – anche se in modo provvisorio – le regole che permettano un incontro sereno, rispettoso, costruttivo tra il desiderio del singolo soggetto e il desiderio degli altri.
Perché il desiderio di riconoscere e vivere il proprio e l’altrui desiderio deve essere necessariamente aperto e limitato dall’esistenza e le esigenze degli altri.
L’impegno della coscienza credente, forse, dovrebbe concentrarsi piuttosto sul laboratorio di reinvenzione di questo processo più che sulla “definizione di un principio” in base al quale ognuno di noi decide chi si può accogliere o va radicalmente rifiutato.
La prima cosa che bisognerebbe ammettere è che sia effettivamente possibile uno sfasamento tra l’identità sessuale – normalmente chiara e definita – e l’identità di “genere”.
Di fatto si nasce come maschi e femmine.
Si tratta di un dato scritto nel corpo di ciascuno di noi che, più che un destino, è un segnale che esige un lavoro – più o meno facile, drammatico e doloroso, di costruirsi ed offrirsi come persone.
In questo processo, necessario per tutti e da cui nessuno è realmente esente, la cosa più importante non è la salvaguardia del dato di natura, ma il potenziamento della capacità di simbolizzazione attraverso cui si costruisce la percezione e l’offerta di personalità di ciascuno.
Ciò che è più gravoso non è la negazione o la legalizzazione di certe situazioni, ma la fatica spirituale di pensare insieme l’uguale e il diverso, su cui si fonda il cammino che permette di percepire l’altro “uguale in umanità” 3.
E’ necessario prima di tutto imparare che il soggetto (“ciascuno è… ciascuno costruisce”) non si fonda in modo autoreferenziale su se stesso, ma sulla fatica di una relazione fatta non solo di rispetto delle diversità, ma anche della necessaria assunzione del limite.
L’assunzione del limite e del desiderio come legge, comporta e esige il saper far fronte a qualche limitazione nella percezione e nell’esercizio della propria personalità, che è sempre un’esperienza intima e al contempo di partecipazione.
Essere umani” è una questione che tocca il “dentro” e il “fuori” di ciascuno di noi e il compito della Chiesa non è quello di definire accuratamente i due ambiti (dentro e fuori) ma creare ed accompagnare percorsi e processi capaci di creare armonia e permettere a ciascuno di conoscere la salvezza.
Ogni individuo è un “essere di discordia” perché in ciascuno si intrecciano aspirazioni eterogenee e talora perfino in conflitto tra loro, perché ad ognuno è preso dalla sfida di costituirsi come persona a partire da ciò che gli è esteriore ( ambiente, pressioni sociali, ambito culturale) e da ciò che è percepito sempre più come interiore ( il proprio corpo, le proprie convinzioni, le tendenze emotive).
L’umano che noi siamo e siamo chiamati a diventare è contemporaneamente un “essereche viene, contemporaneamente, da dentro e da fuori di noi.
Costituire l’unità è il lavoro che ciascuno deve fare per ricevere se stessi, in modo più ampio, rispetto a se stessi.
 
NOTE
1 Più che ad un orizzonte di legalità, questa andrebbe ricondotta a tutto ciò che ferisce la dignità della persona, fino a fare dell’altro un mezzo e non un fine.
2 Jacques Gaillot, Alice Gombault, Pierre de Locht, Un catechismo per la libertà, Edizioni la meridiana, Molfetta ( BA) 2005, p. 31. Titolo originale : Un chatéchisme au goût de liberté.
3 Fratel MichaelDavide, Le chiavi di casa, appunti tra un sinodo e l’altro, Edizioni la Meridiana, Molfetta (BA), 2015.



Sabato 17 Ottobre,2015 Ore: 22:56
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Cristianesimo ed omosessualita'

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info