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www.ildialogo.org Il valore cristiano della visibilitą,di Emanuele Macca

Omosessualitą
Il valore cristiano della visibilitą

di Emanuele Macca

In questo mio percorso di riavvicinamento alla Chiesa Cattolica e alla sua universalità, affronto anche il tema del mio orientamento sessuale e spesso mi viene posta la domanda “Ma è proprio necessario dirlo?”.
Ho altresì letto alcuni articoli in riviste cattoliche divulgative che ricalcano questa questione e certuni arrivano a definire il dichiararsi come un'ostentazione e una moda che indica come ormai si sia superato il senso del “pudore”.
Da qui mi è venuto lo spunto di affrontare in modo sistematico in questo articolo una risposta all'obiezione sopra citata.
Innanzitutto trovo davvero insufficiente porre una critica a un “evento” senza definire dei criteri chiari che contestualizzino l'evento stesso.
Il “dichiararsi con un orientamento sessuale diverso da quello etero” può essere fatto in vari modi e quando io parlo di visibilità sottintendo tutto i modi possibili con cui una persona può essere visibile.
I criteri di valutazione nel definire un atto sono : le motivazioni che spingono a scegliere di compierlo, la scelta del destinatario della comunicazione, il contesto in cui viene compiuta, le modalità con cui si comunica.
Non intendo essere pedante e quindi non voglio parlare di tutte le variabili sopra elencate. Però vorrei porre in luce alcune riflessioni su questi punti.
Spesso quando si parla di visibilità si tende a pensare al Gay Pride oppure si associa la visibilità all'ostentazione. Non posso negare che trovo fastidiose nei Pride la parodia del Papa o di altre figure del clero se non addirittura di figure come Gesù o la Madonna. Queste parodie, portando spesso dietro di sé l'attacco all'istituzione, sono indubbiamente parodie aggressive e non bonarie e capisco benissimo come questa modalità di svolgere i Pride urti la sensibilità di tanti cattolici.
Devo dire di più! Avendo partecipato al Pride di Milano del 2010, l'aver visto in quell'occasione i fischi rivolti al Duomo nel citare le vittime della pedofilia del clero ha significato per me vivere un momento di lacerazione emotiva. Innanzitutto per il contesto : era come sparare sulla Croce Rossa visto quanto si parlava di pedofilia nei mass media, era un accodarsi a un bombardamento di critiche che facevano diventare soggetti stigmatizzati tutti quei rappresentanti del clero inquisiti al di là del fatto che la colpa l'abbiano commessa davvero o no. Dato che pongo al centro della mia valutazione la persona e non la categoria trovo urtante qualsiasi critica verso le categorie e le istituzioni che le rappresentano.
Ma la visibilità in fondo è solo far presente alle altre persone che si è omosessuali o bisessuali. Questa condizione ti rende una persona che è socialmente a rischio di “stigma” e che può scegliere non dichiarandosi di evitare i rischi dello stigmatizzazione stessa (crisi in famiglia che può sfociare in diatribe continue o nella creazione di tabù comunicativi o addirittura nell'allontanamento da casa; rottura di rapporti amicali e/o parentali sia attraverso discussioni aperte sia con un graduale ma continuo distacco; deprivazione di incarichi di responsabilità in strutture ecclesiali; rischio di perdita del posto di lavoro anche semplicemente scegliendo di non rinnovare il contratto).
Io stesso so benissimo che qualora mi trovo di fronte a una persona che mi fa capire con le parole e con il comportamento che la variabile dell'orientamento sessuale è per lui indifferente non ho bisogno di dichiararmi, banalmente perché non ho bisogno di nascondergli nulla (se ho un compagno o meno, se esco con amici in un locale notoriamente frequentato per lo più da gay).
E poi dipende anche dal tipo di affetto che ho nei confronti di quella persona e da quanto tempo passo con lei. Se è un amico importante non posso non dirglielo perché altrimenti sarebbe un'amicizia falsata , non in equilibrio (io so tutto di lui perché sento che lui ama confidarsi con me, ma lui non sa tutto di me perché non riesco ad essere aperto come lo è lui nei miei confronti).
E se quell'amico era amico da ben prima che io prendessi coscienza del mio orientamento sessuale, come pormi con lui se capisco che faticherebbe ad accettare la questione? Stesso discorso vale per un parente stretto! Riuscirei a sopportare un rifiuto netto o graduale da parte sua?
Quest'amico poi potrebbe essere anche un'intera comunità con cui ho scelto di condividere gran parte delle mie giornate. La comunità è qualcosa di più dell'amicizia; essa è un famiglia che ho fortemente voluto. Quindi qui ciò che si mette in gioco è forse ancora più forte!
Ho citato esemplificativamente delle situazioni tipiche. Ma in tutte queste situazioni il dichiararsi è una scelta che si fa nel momento in cui si percepisce che una parte di sé potrebbe non essere accettata dall'altro. Altrimenti non è un dichiararsi, ma un semplice comunicare situazioni di fatto o emozioni al pari di altre situazioni ed emozioni.
Se uno si dichiara vuol dire che si è già posto la domanda : “Ma come reagirà lui, come reagiranno loro se vengono a sapere di me? Mi accetteranno o no?” E' chiarissimo quanto il semplice porsi questa domanda sia causa di insicurezza e di sofferenza!
Nel rapportarsi con una persona il discorso è duale... Io e lei e basta! Ma noi come individui ci rapportiamo anche con una comunità più o meno stretta. Per lo più viviamo in relazioni estese comunitarie con continuità (se non scegliamo comunità rigidamente chiuse o l'eremitaggio). E allora ecco che in questo contesto l'”essere visibili” assume una significato più ampio; significa parlare di sé comunicando con persone con cui non si hanno relazioni effettive.
La scelta di essere visibili a questo livello assume valori diversi a seconda della motivazione.
Può diventare sì un'ostentazione, può essere una semplice liberazione personale da un vissuto di sofferenza, può essere effettuata con rabbia e rancore contro contesti o istituzioni che si ritengono nemiche.
Ma può anche essere un voler condividere un'esperienza o un vissuto con colui con cui non entrerai mai in contatto a livello personale, ma che sta vivendo quel dolore che tu stai rielaborando. Può essere un dono per aiutare degli sconosciuti a capire. Può essere un modo di attuare la cattolicità ovvero la universalità della comunicazione tanto da diventare un segno di amore anche verso gli “sconosciuti” o verso le persone ostili.
Certo è che per dare un valore positivo a questa “visibilità comunitaria” è importante saperlo fare e avere ben chiara in mente la motivazione di fondo. Se la motivazione è l'aiuto verso le altre persone devo capire che l' “altro” non è solo il simile a me, ma è anche il “diverso da me” e quindi la persona ostile.
Non credo proprio che né un genitore che non accetta suo figlio né una comunità che allontana da sé un suo appartenente vivano nella gioia del "vincente" e in fondo non credo si senta davvero un vincente neppure il bullo della scuola che offende un ragazzo presunto gay …. Quando non sappiamo ascoltarci siamo forse tutti vittime di uno stesso unico dolore!
Consapevoli di questo allora dobbiamo capire che nella scelta della “visibilità verso la comunità” dobbiamo poter parlare con la stessa attenzione alla persona omo o bisessuale che sta vivendo lontano da noi un'esperienza di sofferenza tanto quanto alla persona e all'istituzione che almeno pubblicamente dichiara di non accettare la diversità dell'orientamento sessuale.
Dovremmo quindi comunicare solo quando abbiamo imparato a pulire da noi quel rancore che ci farebbe essere inutilmente aggressivi e non ci farebbe capire che anche chi non sa accettare e accogliere completamente soffre!
Come tutte le peculiarità, anche l'omosessualità può essere vissuta come fonte, come punto di partenza e non come una situazione fine a se stessa. Così solo possiamo non trasformarla in una ossessione individuale. Cristianamente oserei dire che può essere una vocazione specifica : cioè una vocazione che ci porta a capire tutte quelle altre situazioni in cui le persone portano dentro di sé una “diversità potenzialmente causa di stigma e non visibile” e quindi che si pongono la domanda “Cosa succede se lo dico? Sarò ancora accolto ed accettato come lo sono adesso?”.
Cito il caso delle persone sieropositive o di coloro che si convertono a religioni minoritarie e talora anche socialmente perseguitate!
Al di là dei casi specifici, ascoltando il racconto di persone a noi care chissà in quante altre situazioni si vive un simile disagio (si pensi al bambino che nasconde di aver preso un brutto voto, allo studente universitario che finge di continuare a dare esami mentre nella realtà ha avuto un blocco, a chi porta dentro di sé qualsiasi patologia non visibile ad occhio nudo, a chi sta seguendo un percorso di disintossicazione da dipendenze auto-distruttive)!
Per questo personalmente ringrazio il Signore di avermi creato anche con la mia omosessualità e sono giunto alla conclusione che la volontà di condividere il più possibile questo mio percorso non è altro che uno dei modi per ringraziarLo!
Non intendo ringraziarLo dell'omosessualità in sé e per sé – che in quanto tale potrebbe essere un fatto neutro - ma della crescita umana e delle esperienze che attraverso essa oggi sto vivendo!
Emanuele Macca
Pavia


Sabato 22 Gennaio,2011 Ore: 08:19
 
 
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Autore Cittą Giorno Ora
Giovanni Climaco Mapelli - Arcivescovo Inzago (Milano) 10/2/2011 16.46
Titolo:La testimonianza evangelica e' esigente: senza verità non c'è libertà...
Un articolo interessante, con vari spunti positivi, ma fragile sotto il profilo teologico della forza evangelica della " verità di se stessi".
Gesù disse "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi!" Dunque non vi e' alcuna libertà nella menzogna e nessuna costruzione della persona autentica nell'ipocrisia, quand'anche mantenuta ore paura o per poco coraggio...
La Chiesa cattolica , romana in particolare, e' tutta quanta costruita sulla negazione della verità di se stessi, ed e' pervasa da quella ipocrisia clericale tipica dei preti, che nascondono persino a se stessi il loro vero orientamento sessuale e la loro vera natura...
I laici cattolici con matrimoni di convenienza e di apparenza, i preti e i religiosi come pure tanti preti e suore con l'esaltazione indebita del celibato e della castità un bell'alibi per non dichiarare nulla ne a se' n'è agli altri e nemmeno al proprio Dio.
I preti in genere andavano in seminario a circa 11 e 12 anni... Cioè in una eta' in cui non si sa ancora cosa si desidera affettivamente e sessualmente.
La parte finale dell'intervento fa' poi dei paralleli impropri tra la malattia e l'omosessualità oppure tra comportamenti illeciti o poco etici e omosessualità, ebbene questo rischia di confondere ciò su cui si vuole fare chiarezza. Una testimonianza evangelica sull'omosessualità non può che essere lontana anni luce su ciò che questo Papa e questa Chiesa cattolica dicono da sempte sul tema stesso...
Infine anche l'omosessualità al pari delll'orientamento eterogenei e' un do o della natura, e per chi crede dunque di Dio... Non e' teologicamente parlando proprio un fatto in se neutro, come non lo e' nascere donna o uomo, poiché questo fatto condiziona poi tutto il percorso della vita fino alla morte.
E condiziona persino l'idea stessa che abbiamo di Dio e del mondo, persino in prospettiva logico- teleologica, cioè il senso e la finalità ... Lo scopo intrinseco della prtoprio esistenza.
Spesso si sente dire e va di moda dirlo, " a prescindere dal mio orientamento sessuale" ... No invece! Occorre affermare " proprio attraverso il mio orientamento sessuale", poiché quel linguaggio e' un residuato di pregiudizio eterosessista sociale, infatti sarebbe voce se una donna dicesse " a precindere o al di la' del mio essere donna, della mia femminilità..."
Non e' un dato irrilevante il genere sessuale e l'orientamento poche segna tutta quanta la propria esistenza, antropologicamente e teologicamente.
Una brutta teologia infatti si traduce in una brutta antropologia, e una butta visione della persona umana stessa.
Infatti Ratzinger
Occorre cambiare il linguaggio, poiché non e' solo parola ma traduzione della mentalità e del pensiero,anche inconscio e acquisito, e condizionamento sociale, e infine specchio della realtà...
Un cordiale saluto

Giovanni Climaco MAPELLI
arcivescovo Antico Cattolico (non romano)

Ai religiosi e preti di oggi: Una vita così, non può produrre granché di bene e di positivo a nessuno...

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