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www.ildialogo.org Il movimento gay in Italia, i gruppi cattolici omosessuali...,di Pasquale Quaranta (*)

Il movimento gay in Italia, i gruppi cattolici omosessuali...

di Pasquale Quaranta (*)

a colloquio con Gianni Vattimo


L'articolo è stato pubblicato su Tempi di fraternità di Novembre 2010. Ringraziamo la redazione per avercelo messo a disposizione.
Gianni Vattimo, classe 1936, è un intel­lettuale torinese che ha introdotto in filosofia il concetto di pensiero debole. Negli anni cinquanta ha lavorato ai programmi culturali della Rai. Ha insegnato Estetica in diversi atenei del mondo e per le sue opere ha ricevuto lauree honoris causa dalle università di La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional Mayor de San Mar-cos di Lima.
In questa intervista, realizzata in occasione del Salerno Pride 2005 e finora inedita, discutiamo di cristianesimo e secolarizzazione a partire dal suo libro “Credere di credere. È possibile esse­re cristiani nonostante la chiesa?” (Garzanti), e di come ha influito la sua omosessualità nell’ela­borazione del pensiero debole.
Nel suo libro “Credere di credere” parla di un rinnovato interesse per la religione.
«È vero. C’è una rinascita dell’interesse religio­so perché tanti problemi, come quelli della bioe­tica, dell’ambiente, danno l’idea che il mondo debba andare in rovina... Però poi questo inte­resse religioso è tutt’altro che un interesse di Chiesa. È più un interesse di temi: l’aldilà, il sen­so della storia, della morale, della bontà e del male... A questi interrogativi la Chiesa risponde molto male, anzi non risponde affatto».
È cambiato qualcosa nel suo pensiero dal giorno in cui ha pubblicato il libro?
«Ho cambiato solo questo: mi sono proposto di essere un po’ meno tenero con la Chiesa uffi­ciale. Perché questi qui, diciamoci la verità, sono dei gran figli di buona donna! [risate]».
Cioè?
«No, ma nel senso che... Io ho avuto molte cor­rispondenze con gente che lavora in Vaticano e questi fanno peste e corna, come in tutti i luoghi di potere. Ho scritto un testo per la Stampa intitolato: SCV [1] l’Azione Cattolica, vedevamo le auto del Vati­cano targate SCV (Stato Città del Vaticano ndr) e noi traducevamo con “Se Cristo vedesse...”. Per polemizzare contro la Chiesa cattolica trop­po avviluppata negli interessi temporali»., perché da piccolo, quando ero nel­
Secondo lei, la fede cristiana ha un ruolo da svolgere nella nostra società? Quale ruolo?
«La fede cristiana oggi dovrebbe purtroppo, prin­cipalmente, purificare la Chiesa. Non è che mi senta meglio del cardinal Ratzinger, di papa Ratzinger, però se la Chiesa va avanti così... vabbè uno dice: “Si fida del Padre Eterno, che ha promesso che la salvezza, Amen”. Però ci vorranno gli argani per tirarla su dall’abisso in cui sta cadendo!».
Punti di dissenso?
«Uno: non vuole fare preti le donne. E se non ci sono più preti, saranno costretti a importarli dal Ruanda, dalla Polonia, come già succede. La Dit­ta ha bisogno della manodopera. Due: predica cose veramente assurde a cui non credono nean­che coloro che vanno a messa tutte le mattine, ovvero il preservativo in tempo di Aids, l’em­brione, la famiglia...».
I credenti non credono?
«A me non me ne frega niente che la gente non ci creda... Però la questione è che a furia di pre­dicare cose assurde, la gente non crederà nean­che a coloro che predicano la resurrezione del­la carne, cioè si scredita completamente tutto... Io per esempio, che sono cresciuto nell’Azione Cattolica, ho sempre creduto di credere ma quando sento queste cose...».
Non crede più?
«Questi qui mi hanno tolto la voglia... Mi dico­no cose così straordinariamente inverosimili. Al­lora, dove credono di arrivare? Questa è una minaccia per la Chiesa. Io sono convinto che deve cambiare qualcosa profondamente...».
Per ora è possibile essere cristiani nonostante la Chie­sa cattolica?
«Sì, per ora è possibile essere credenti nonostante la Chiesa, perché se uno dà retta alla Chiesa cattolica abbandona im­mediatamente ogni pratica religiosa. È solo un problema di scandalo-non scandalo. Per quello mi sono ricordato del det­to “Se Cristo vedesse”, perché nella tradizione cattolica c’è sempre questa diffidenza per il prete che si scopa la perpe­tua, per il papa che è troppo ricco, perché è la prima cosa che ci viene in mente! Ci hanno anche predicato che bisogna resistere a questo scandalo ma “usque tandem”? Nel senso che Lutero, forse, non aveva tutti i torti nel dire che Roma era una santiera di vizi. Davvero è diverso adesso?».
È accaduto qualcosa nella sua vita che le ha fatto assu­mere toni così polemici?
«C’è questo di vero: sono convinto che, se non ci fosse stata la Chiesa a trasmettermi la Sacra Scrittura, non so chi me l’avrebbe spiegata. Tutto sommato che ci sia un’Isti­tuzione che fa questo mi va bene. Non saprei come sosti­tuirla. Però, certo che... [sbotta] adesso credo davvero che l’unico compito della fede sia quello di protestare, di dis­sentire da tutta questa struttura. Ma pensate un po’ a Ruini e Pera, sembra un film dell’orrore! C’è Pera, Ruini e Ve­spa: cose da pazzi! Allucinazione pura! Ora, la Chiesa deve essere questo? Il guaio è che quando io ero piccolo, per esempio negli anni ‘50 - ‘60, c’era chi protestava! C’era un [don Primo] Mazzolari, c’era il dissenso. Adesso la Chiesa è stata silenziata con e dopo Giovanni Paolo II. Non c’è più nessuno che alzi la voce. Possibile che Pera e Ruini si­ano culo e camicia? Qualcuno dei due sarà la camicia! [risate] E que­sto è un problema!».
Lei sostiene che “la secolarizzazio­ne è la riscrittura del cristianesi­mo”: come si concretizza questo pensiero nella vita quotidiana?
«L’idea di dissolvere la sacralità è fondamentale per tutti. È come lotta­re contro le superstizioni, contro la legge del mercato, contro le pretese della sovranità della famiglia. Abbat­tere gli idoli è il compito del cristia­no. Questa è la secolarizzazione. Gesù Cristo è venuto non per farci sapere che il diavolo è molto potente e che bisognava stare attenti ma che il diavolo non c’è! Allora tutti quelli che ci continuano a predicare che c’è il diavolo, che dobbiamo stare atten­ti, è gente che ci vuole fregare!».
Qual è il senso del Cristianesimo per lei?
«È la dissoluzione del sacro come roba terribile, lumino­sa, misteriosa... In verità noi non sappiamo niente... Ma figuriamoci se Dio deve essere concepito come un vec­chio zio pazzoide di cui non si sa bene cosa voglia! È irragionevole, come noi. Allora, per favore, non fateci cre­dere questo. Sotto questa storia del “mistero della fede” è passato ogni genere di turpitudine. Quindi il senso del Cri­stianesimo, oggi, è l’abbattimento degli idoli, che consi­ste nel non farsi imporre come “naturali” delle leggi della società che sono quelle della proprietà, ecc. Che poi gira e gira è questo il senso del naturalismo ecclesiastico: “Chi è nato maschio è nato maschio...”, “L’uomo è uomo e deve andare in guerra...”. Allora, tutte queste essenze naturali che manifestano la volontà di Dio sono delle grandi caz­zate! La filosofia ha spiegato questo».
Ma lei si è allontanato dal Cristianesimo, come spiega nel libro, poi lo ha riscoperto, giusto? Può raccontar­mi questo suo percorso?
«Mi sono allontanato, nel senso che ho cominciato a non andare più a messa quando stavo in Germania, perché non leggevo più i giornali italiani! [risate] A quell’epoca era­vamo molto impegnati religiosamente e sociopoliticamen-te. Non credo mai di essere stato anticristiano, intima­mente, però non davo più tanta importanza alla messa, alla confessione, ecc. Adesso, per esempio, se voglio fac­cio la comunione e non mi confesso perché non posso promettere di non commetterne più, andiamo! È come se mi tagliassi tutti gli organi o quel poco che mi è rimasto da settantenne! [risate]»
Qual è, professore, il nesso tra religione e ragione?
«Mi sembra, più o meno, che non ci siano verità razionali indiscuti­bili. La razionalità è sempre forma­le cioè: “Se vuoi questo, devi fare questo”, così come la intendeva anche Weber. La fede è come un avvio, cioè... noi cominciamo sem­pre con lo sguardo di qualcuno: Gesù Cristo che incontra il giovane ricco e gli dice cosa deve fare, ad esempio. Alla base di tutte le nostre argomentazioni ci sono delle assun­zioni relativamente immediate che sono legate al nostro essere finiti. Prima di tutto, noi nasciamo in un’epoca che ci proietta già con dei criteri di vero e di falso. Essere ra­gionevoli, oggi, vuol dire argomen­tare sulla base di una serie di pre­supposti che abbiamo ereditato nel nostro linguaggio, nella politica, ecc. che poi intanto li mettiamo in discussione, questi pre­supposti, li confrontiamo, però, certo, non c’è l’essenza assoluta della verità».
Spesso si confonde una verità di fede per verità di scienza...
«Le verità di scienza sono verità argomentabili. La fede ha a che fare con una specie di adesione originale, come la pre-comprensione. Ti trovi sempre dentro un orizzon­te storico che ti fornisce anche dei criteri di vero e di falso. Ma tu sai se non esistono vampiri? No, perché non ci pensiamo più. Fino a duecento anni fa la gente crede­va ai vampiri, bruciava le streghe e nessuno ha mai di­mostrato definitivamente che non esistono i vampiri, sem­plicemente si è consumato il mito. Io non mi metterei a fare una ricerca sui vampiri però questo mi serve per dire che ci sono delle appartenenze che sono la nostra storicità, che non ci legano proprio conformisticamente però, certo, è da lì che partiamo».
Noi argomentiamo sempre sulla base di argomenti disponibili nel nostro patrimonio culturale ma non in assoluto dimenticando tutto quello che è stato.
«Ecco, anch’io non mi sono fatto da me, sono stato fatto da qualcun altro rispetto a cui sono come un recettore, uno che deve svilupparsi. Mi posso ribellare ma sempre da lì parto. E questo è importante perché la fede è una roba di questo genere. Naturalmente poi uno può dire: “Ti puoi converti­re”. Ma se tu nasci buddista, punto. Anche qui la religione ha più da fare con le nostre basi storiche che sono finite. Pensa a quanti pasticci ha creato lo spirito missionario! I missionari partivano per l’America convinti che questi po­veri selvaggi non si salvano se non vengono battezzati, così li minacciano e loro si convertono. È tutto un discorso così... fondato su un facile universalismo del Cristianesimo che vuol salvare tutti. Anche oggi, quando il Papa incontra il Dalai Lama, tu credi che poi si ritiri nella sua cappella a pregare per lui perché andrà all’Inferno? Mi sembra ridico­lo! Però se prendi sul serio l’idea che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza, effettivamente mi fa un po’ ridere tutta questa pretesa di unificazione, anche per la salvezza della Chiesa».
Come interpreta l’attuale chiusura della Santa Sede riguardo le relazioni d’amore gay e lesbiche?
«Attuale? Secolare! [risate] Una volta non si usava par­larne, oggi non passa giorno che un vescovo o un cardina­le parli contro di noi. La Chiesa è stata sempre sessuofoba perché colpire la gente sul sesso era un modo per tenerla legata. Cioè se tu, come dire, ogni volta che scopri un senso di colpa devi andarti a confessare, beh!, è un modo per essere legato, per indurre paura, penitenza. Allora la sessuofobia è un po’ finita, in generale, ma è rimasta l’omo-fobia, che poi è particolarmente importante per la Chiesa perché predica attraverso comunità maschili... quindi è anche omofobia interiorizzata».
Cosa significa, per lei, essere cristiano e omosessuale?
«Per me è una vocazione speciale. Una volta che ho sco­perto che questa è una vocazione cerco di farlo seriamen­te, cerco di prendere sul serio questa roba. Lotto per i di­ritti delle minoranze ma non come Pasolini, lui era esage­rato; si sentiva come un Gesù crocifisso... dai suoi nemi­ci. Io non la vivo così. Certo ci sono delle specie di verità in una condizione marginale che uno può esercitare per darne un senso, oppure prendendola come un modo di non accettare le cose come stanno, di vedere l’ingiustizia at­traverso il proprio punto di vista. È vero che l’ingiustizia per me, tra le altre cose, è non aver mai potuto corteggiare i miei compagni di scuola. Per esempio il fatto che uno di loro potesse corteggiare una compagna di scuola, scriver­le poesie, ecc. Io no, io dovevo andare nei giardinetti e, cazzo, questa non è un’ingiustizia? È questa un’ingiusti­zia di cui abbiamo sofferto tutti... Allora, il Cristianesimo dà come vivere, dà la spinta per combattere le ingiustizie. Questo non mi sembra tanto inverosimile».
Qual è il senso che il Vangelo ha per lei?
«Per me è un libro che parla di un personaggio di cui, ultimamente, ho una grande ammirazione. Mi piace. Sai, qualche volta non ho voglia di leggerlo perché è lo stes­so libro che legge Ratzinger, che legge Ruini, che finge di leggere Pera, del resto Pera non ha mai capito un acci­dente!».
Molti ragazzi omosessuali lamentano una certa superficialità dei propri simili nel relazionarsi tra di loro: “Cambiano spesso partners - dicono -, tradiscono, non vogliono impegnarsi in un rapporto sentimentale serio alla scoperta della persona nel suo profondo...”. Secondo lei, una relazione d’amore presuppone comunque un’etica?
«Bah, un po’ sì... O almeno la crea. Non sono così morali­sta da dire che uno a diciotto anni deve legarsi a un altro per l’eternità. Anche su questo ho qualche dubbio persino sul matrimonio gay. Voglio dire, imitare proprio totalmente la famiglia, appiattirsi sul modello della famiglia... È vero che uno non può vivere tutta la vita come una farfallina! [risa­te] Nella cultura omosessuale che si vede qualche volta anche ai Gay Pride, che c’è tutto questo travestitismo, il sedere, ecco questo mi imbarazza un po’... Per ragioni au­tentiche, cioè sociali, mi imbarazza vedere questa checcac-cia con le piume sul sedere anche se poi sono più amico di una checca che di altri che la demonizzano! Come tutte le culture minoritarie, come i drogati. I drogati potrebbero avere una cultura civile come tutti gli altri ma siccome sono respinti nella clandestinità, si rotolano nella fanga con de­linquenti, coi trafficanti, ecc... Lo stesso talvolta capita per noi, un po’ meno devo dire, ma un ragazzo sedicenne che viene cacciato di casa dai suoi genitori perché è gay, cosa fa? Se ha un po’ di soldi sopravvive, sennò si prostituisce. C’è un circolo della puttanaggine... [ride] Ma se io non posso proporre a un mio amico di sposarlo, mettiamo che io mi innamoro di un mio allievo di venticinque anni. Fosse una ragazza conoscerei anche i suoi genitori ma essendo un ma­schio cosa devo fare? Far finta di niente, perché non c’è un progetto di vita e questo è un guaio! Sono convinto che la famiglia non è l’unico progetto di vita possibile... però di­ciamo che sono abbastanza conformista per desiderare che sia possibile, vale a dire che a me piacerebbe davvero non fare un matrimonio gay ma potermi legare a una persona con gli stessi caratteri della famiglia, la famiglia sua, la fa­miglia mia... Quando mai questo è possibile? Tutto questo è chiuso nella porcheria generale del fatto che siamo consi­derati dei puttanieri!».
Quindi si sposerebbe, se fosse possibile?
«A me non piace vivere da solo. Sì, se istituissero il matri­monio gay magari mi sposerei... Sarei sicuramente cornu­to perché non sposerei sicuramente un signore della mia età, allora questo qui, dopo un po’, comincerebbe a diver­tirsi. Ma sarei esattamente nella condizione di molti si­gnori sessantacinquenni e oltre, che sposano delle perso­ne più giovani ma... cazzi miei!».
Il movimento gay è stato un’opportunità di crescita per la comunità gay e lesbica in Italia? Quali altri compiti ha da svolgere l’associazionismo gay e lesbico?
«Questa è una domanda interessante perché ho l’im­pressione che, per esempio in certe zone del Nord, l’as­sociazionismo gay e lesbico si configuri talmente con una rivendicazione un po’ petulante del “politically cor-rect”, un po’ lagnosa. Non credo che sia fuori attualità del tutto, ovviamente, perché c’è ancora un sacco di gente che ha ancora dei problemi personali intorno a questa tematica, quindi serve come punto di riferimen­to. A Torino c’è il circolo Maurice dell’Arcigay che è un punto di riferimento per la gente di questi orienta­menti che a un certo punto ci va, si riunisce. Per il resto c’è da stare attenti a una cultura di ghetto che in ogni piccola questione rivede la propria situazione di discri­minati. Non so, mettiamo: in questi tempi ho avuto una disputa un po’ secca con degli amici ebrei che sosten­gono che io, essendo contro Sharon, sia antisemita. È un po’ quello che succede con il movimento gay. Se tu, capisci, qualunque cosa ti dia fastidio, se tu gridi per caso contro una mucca che è stragay molto più di me e quando ti taglia la strada urli: “Ricchio’!”, saresti fla­gellato nella pubblica piazza per un personaggio come [Angelo] Pezzana, mettiamo, no? Pezzana è una gran­de figura del movimento di liberazione gay ma adesso è diventata una vecchia zitella che se non ci sono per­secuzioni bisogna inventarsele per poter fare qualcosa! Direi che bisogna il più possibile lasciar perdere tutte queste cose per rivendicare diritti concreti, per esem­pio le unioni civili, che sono una questione seria e poli­tica. Ma allora bisogna che il movimento diventi da un lato un movimento associazionistico di gente che ha voglia di trovarsi con i propri simili, perché non deve nascondersi, poi magari si trova anche bene, temo solo che nelle associazioni gay si trovino solo vecchi come me, i gay veri sono altrove...».
Come dovrebbero evolversi i gruppi gay credenti in Ita­lia per avere maggior rilievo dentro e fuori la Chiesa?
«Hanno già un notevole peso perché rompono le scatole alla Gerarchia cattolica, nel senso che costituiscono una specie di spina del fianco. Hanno una grande importanza nella Chiesa ma devono farsi sentire di più altrimenti que­sta pretaglia ci rovina la vita! Perché mai uno davvero deve essere messo fuori dalla comunità cristiana se ha voglia di starci dentro? Anch’io ho sempre sentito impor­tante il professarsi credente e gay per sfidare la situazio­ne. Ad esempio il consiglio della castità, che è il voto dei religiosi, però non è obbligatorio per nessuno, perché per me dovrebbe esserlo?
Per uno come me che studia filosofia, discutere questa tematica è come scoprire che non c’è una natura normati­va, non ci sono essenze da cui si traggono norme, ci sono disposizioni ma io naturalmente sono gay, vivo in una certa armonia con la mia società, non voglio scandalizzare tutti i giorni una mia vecchia zia... Ah, le vecchie zie! [risate] Ma con la religione questo non c’entra proprio nulla. È come dire che le donne non possono diventar preti. Ma dove sta scritto? Le cose bibliche contro l’omosessualità sono in gran parte leggende. È vero che di tutta la storia di Sodoma e Gomorra hanno già fatto svariate interpreta­zioni, è vero che san Paolo doveva affermare il Cristiane­simo contro quei greci che scopavano selvaggiamente fra di loro [risate] Che poi gli ebrei erano davvero contro la sodomia? Io non lo so. Perché uno dei posti più sfrenata­mente scoperecci, ricordo, erano le toilette delle fermate dell’autobus di Gerusalemme. C’erano questi qui col co­dino, il cappello nero, ortodossi, che si masturbavano re­ciprocamente, allegramente, senza nessun problema. Sono stato impressionato da questo. Io non so fino a che punto anche la tradizione giudaica sia così terribile contro la “gheiaggine”. San Paolo certamente lo è, lo è stato, chis­sà perché, magari aveva la spina nella carne, cioè gli pia­cevano i suoi colleghi apostoli, magari i discepoli, quelli più giovani. [risate]
Insomma, è sempre una storia di costume. Credo che l’unica cosa che le Leggi hanno è la carità più le regole del traffico. La morale è questa: tu devi amare il tuo pros­simo come te stesso. Così quando ti dicono: “Sì, ma devi amare Dio sopra ogni cosa”, rispondo: “Sì, ma Dio è nel tuo prossimo non è scritto, invece, nelle tavole della Chie­sa!”. E poi tutto il resto sono come le leggi dei semafori: in certe società: si passa col verde, in altre si passa col rosso. Anzi a Napoli, a quanto pare, se non passi col rosso rischi la vita! [risate]
Questo però è interessante. È sempre sulla riflessione sul fatto che io mi trovo a essere gay e qualcuno mi dice che è “contro natura”, che io scopro che non ci sono nor­me naturali assolute. Ci sono delle naturalità che derivano dall’abitudine. Cioè è naturale che non mi metta le dita nel naso in pubblico ma non è che è vietato dal diritto naturale, è così, è una convenzione. È convenzione persi­no l’omicidio: ci sono state lunghe tradizioni sociali in cui, se sei in guerra, ammazzi il nemico. Anche la Bibbia è piena di gente che si gloria di aver fatto fuori un sacco di nemici propri e del Padre Eterno. Allora, voglio dire, si capisce... l’omicidio è qualcosa di diverso. Io non uccido il prossimo perché non voglio togliergli la libertà. Ma mettiamo: se uno sta morendo di dolore e vuole essere fatto fuori eutanasicamente, in omaggio alla sua libertà, lo aiuto a farsi fuori! Non lo faccio perché non voglio andare incontro a troppi problemi legali, giuridici. Que­sto per dire che nemmeno l’uccidere il prossimo è una regola, una norma assoluta. Anche perché se la vita fosse un diritto naturale, beh, Dio sarebbe il massimo assassino del mondo! Ci ha fatti mortali, poteva farci immortali.
Come dire... C’è tutta una serie di riflessioni che nasco­no, per me almeno, da questa constatazione di una mia vocazione individuale, di una mia condizione individua­le. Se non fossi stato gay avrei avuto più spesso la tenta­zione di considerare naturale quello che tutti considerano ovvio: cioè si va con le donne, si fanno figli... no! Ho scoperto che queste cose delle leggi naturali sono delle accentuazioni di usi e costumi che poi la Chiesa ha adot­tato “in toto” perché gli era più comodo e quindi “Va a da’ via ‘l cul!”».
Quanto e come ha influito la sua omosessualità nell’elaborazione del pensiero debole?
«Appunto, per esempio, su questa teoria delle leggi di natu­ra in realtà, delle essenze naturali. Credo che predicare del­le essenze naturali che contengano delle norme sia filosofi­camente sbagliato. C‘è la storia della legge di Hume: dice­va che trarre una norma dal fatto è una contraddizione in termini. È come se mi dicono: “Sei un uomo?”. O lo sono o non lo sono! “Perché devi esserlo? Perché lo sei?”. Ma se lo sono, è inutile che mi sforzi di esserlo. Lo sono e basta. E chi è che fa questi giochi? Quelli che vogliono mantenere la situazione com’è... Ecco, se non fossi stato gay, tutta que­sta riflessione sulla non normatività delle essenze naturali, che è l’anima del pensiero debole, non l’avrei fatta. Quindi è vero che non è una filosofia particolarmente gaya però mi sembra che ci siano delle connessioni importanti».
Secondo lei, il discorso sull’omosessualità implica anche un discorso sulla laicità dello Stato?
«Beh, ovviamente sì. Nel senso che se lo Stato assume come base delle sue leggi qualche principio che gli sem­bra di diritto naturale, come “Il matrimonio è naturale, tutto il resto del sesso non va bene...” o “...si tollera ma di nascosto...”, questa è una non assunzione di laicità. In ge­nere uno Stato che adotta una morale cattolica o una mo­rale ideologica qualunque, non è laico. Anche se ci fosse uno Stato, diciamo, professatamene ateo sarebbe uno Sta­to non laico.
E questo è un problema attualmente dello Stato che si ripresenta continuamente. Perché è vero che le leggi sono difficili da fare partendo da zero, nessuna Costituzione nasce da zero, allora le leggi nascono da certe tradizioni pregresse che portano sempre con sé qualche cosa...
La lotta per la laicità non è mai finita. Perché o ci sono delle classi che comandano, dominano, sono ricche e vo­gliono far credere che il loro dominio è la naturalezza, “le cose stanno così e sono sempre state così e van benissimo così”. Ma io lo dico perché sono ricco abbastanza, se fos­si povero me ne fregherei!
La rivendicazione di una base naturale del diritto natu­rale mi va bene quando è uno strumento di lotta, quando è un principio per modificare il diritto positivo ma quando invece viene predicato come conservazione si vede subito la sua essenza ideologica. Se fossi vissuto nell’epoca del­la Rivoluzione francese sarei stato anch’io un giusnatura-lista, spero, però se fossi stato il figlio del Re mi sarei comportato diversamente, li avrei mandati a farsi fottere! Ancora una volta, dipende sempre da che condizione sto­rica tu ti trovi a vivere...
È vero che il mondo del proletariato è più buono dei capitalisti? Mah, non credo! Solo che io in quanto sono più proletario che capitalista sto con loro. E so benissi­mo che le lotte storiche non possono rivendicare dei di­ritti assoluti. Possono solo rivendicare dei diritti locali e tendenzialmente devono cercare di conciliarsi il meglio possibile ma, insomma, il liberalismo è sempre la cosa meno pericolosa».
Qual è il suo sogno più grande o per lo meno quello che si sente di condividere con noi?
«Che ne so! Questo è difficile dirlo. Sai, il sogno più gran­de... Hum... Ci sono delle ingiustizie naturali che vanno corrette. Allora, per esempio, se io trovassi qualcuno che mi toglie un po’ di pancia e un po’ di anni, sarei contento! No, voglio dire, che poi lo so benissimo che non è solo questo.
Sogno una società in cui possano vivere diverse comuni­tà, una società in cui ci siano gruppi che senza demoniz­zarsi reciprocamente presentano degli stili di vita che uno può condividere o no.
Ehh! Il mio sogno più grande... Il mio sogno più grande è di non morire. Ma non morire significa continuare a lotta­re per qualche cosa, non starsene con le mani in mano tutta l’eternità a contemplare chissà che. Allora il proble­ma vero è quello. Quando sogno una società in cui si tol­lerano, si comprendono comunità molteplici, anche se non si condividono totalmente, sogno, come in una galleria d’arte, la presenza di surrealisti, di iperrealisti, di dadai­sti, di quadri diversi».
 (*)www.p40.it, intervista realizzata in due giorni, il 24 e 25 giugno 2005


[1] Gianni Vattimo, “Gesù Cristo sarebbe fuggito con orrore”, la Stampa, 24 giugno 2005.
 


Giovedì 04 Novembre,2010 Ore: 14:18
 
 
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