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«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)


Milano, 26 dicembre 2011 – s. Stefano - Anno XIX - n. 386


TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Giorgio Chiaffarino

La quinta manovra, la più pepata, è comunque archiviata. In fondo c'è anche un po' di sollievo, speriamolo, per lo scampato pericolo. C'è stato chi si è incaricato di farci vedere cosa sta succedendo in Grecia e cosa sarebbe potuto succedere a noi così vicini a quello stato di cose.

Ci siamo ripetuti enne volte che la democrazia non resiste a lungo senza i partiti e la loro mediazione a raccogliere le necessità, tradurle in soluzioni concrete, ma anche a creare spazi nuovi, innovazioni e prospettive. E invece con il governo Monti è avvenuto il contrario, come è stato detto, abbiamo avuto una certa democrazia senza i partiti

Così, a meno di sorprese per ora inimmaginabili, tutti questi elementi fanno pensare a un cammino relativamente morbido verso il 2013, quando ci saranno le elezioni.

Come si potrà presentare l'Italia politica a questo appuntamento è un buon tema di riflessione che ora dobbiamo porci.

Tutti i partiti della nuova maggioranza - quella antica estesa all'opposizione - hanno forti problemi interni e le dichiarazioni bellicose sono solo a uso interno, per evitare sbandamenti del gregge. Sale, sostanzialmente incontrastata, l'antipolitica. Meno partiti, meno mediazioni, lievitazione dei particolarismi e delle sempre potenti corporazioni.

La destra Pdl registra la fine definitiva del partito personale, di quelli del fare, del ghe pensi mi: si tenta una ricostruzione su diverse e più concrete basi.

La sinistra Pd, lo abbiamo detto tante volte, non ha fatto mai capire davvero che cosa voglia, limitandosi a ribattere le posizioni della maggioranza, lasciandole così stabilire il tracciato: un errore di prospettiva che ha regalato anni al berlusconismo. L'idea che prima venga il partito e dopo la politica non ha funzionato e, se gli uomini che la condividono sono sempre là, è difficile, impossibile, l'indispensabile cambiamento…

La sinistra estrema, fuori dal parlamento per la sua litigiosità interna, dà l'impressione di privilegiare la protesta alla proposta e non sembra in grado di coagulare consensi da giocare in una ipotesi di governo.

Ancora all'opposizione: la Lega, che cerca di occultare i dissensi interni e gli anni di rovinoso ossequio al berlusconismo, alza la posta - secessione? - ma su quella strada dà l'impressione di non essere seguita dai suoi sostenitori. E poi l' Idv che tenta la difficile scelta di speculare stando all'opposizione per raccogliere l'inevitabile dissenso alla manovra senza incorrere nel conseguente isolamento politico.

Se questo è il quadro, bisogna riconoscere che il massimo delle chances oggi, e probabilmente anche domani senza decise correzioni di rotta delle attuali formazioni, appartengono al centro, magari non nella attuale multi-configurazione, ma sfruttando il consenso, comunque sempre rilevante, del governo Monti, cooptando forse qualche suo esponente, e la voglia di partito dell'ufficialità cattolica.

E, per finire, credo di poter azzardare che, viste le difficoltà degli attuali partiti di diventare, come sarebbe necessario, partiti nuovi, c'è forse spazio per nuovi partiti che nascano distanti e lontani da una classe politica che non riesce più a occultare le sue incapacità.


 

in questo numero

U. Basso LIEVITO NELLA PASTA  Ricordiamo LUIGI POZZOLI  M. Zanol È UNA STORIA VERA  M. Canaletti MORALISTI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!  S. Fazi ANCORA SU MARCHIONNEechi sportivi E. Brunetti IN CAMPO SENZA FISCHIETTO  F. Colombo IL CENTUPLO Il Gallo da leggere u.b. sottovento g.c. segni di speranza m.z.  schede per leggere m.c. - a.m.  la cartella dei pretesti

LIEVITO NELLA PASTA

Ugo Basso

Il problema dei rapporti stato-chiesa ci sollecita proprio perché siamo convinti che i credenti cristiani possano essere di grande aiuto a costruire una società fondata sulla libertà, sulla partecipazione, sulla solidarietà impegnando nella attività politica uomini e donne che, proprio perché «nel mondo, ma non del mondo» possono garantire l’impe-gno come servizio e la passione senza ricerca di profitto personale. Il tutto sotto la bandiera della laicità, cioè senza avere, e rifiutandole agli altri, pretese di verità da imporre: vorremmo sentirli lievito nella pasta, alla ricerca della crescita comune senza pretendere compensi né visibilità, come insegna l’evangelo in cui cerchiamo di credere.

Nella storia degli ultimi millesettecento anni, purtroppo, i cristiani non sono stati questo. Le questioni sono complesse e molteplici e qui non si possono neppure accennare: intendo soltanto, per ora, rileggere l’intervista che l’autorevole presidente della Conferenza episcopale cardinale Bagnasco ha rilasciato al Corriere della sera lo scorso 17 dicembre per esprimere le mie considerazioni.

Governo Monti. La prima risposta del cardinale, «Non spetta alla Chiesa formulare una valutazione politica», da una parte implica che esista un’autorità della chiesa (il presidente della cei?) che ha gli strumenti e il potere per esprimere un giudizio politico a nome della chiesa; dall’altra è ipocrita perché sappiamo bene come anche nel recentissimo passato dirigenti della chiesa abbiano ben chiaramente espresso valutazioni pro o contro governi della repubblica, con la pretesa di determinarne il successo o la caduta. Se queste valutazioni non fossero norma, certamente non sarebbe neppure stata formulata la domanda e nell’ipotesi che giornalisti sprovveduti l’avessero maldestramente posta, l’interlocutore avrebbe risposto che ciascun battezzato si esprime in politica come crede dando poi spazio al proprio soggettivo parere. E mi sarei atteso una valutazione attenta e informata che presentasse, rispetto ai valori di riferimento, luci e ombre per aiutare i lettori a formarsi un giudizio proprio.

La sobrietà. Il cardinale, sollecitato a pronunciarsi sulla crisi e sui sacrifici che ne conseguono, ragiona sui pericoli di una società che è vissuta al di sopra delle proprie possibilità e precisa che «la sobrietà non è il frutto di una scelta imposta dall’esterno. Corrisponde a una visione dell’esistenza che privilegia i beni relazionali rispetto a quelli materiali». Mi sembra molto bello: sintetizza una visione della vita di sapore cristiano, ma per essere credibile dovrebbe in primo luogo essere la divisa di ogni giorno per gli uomini della chiesa a partire dai paludamenti e dalle titolature episcopali e, in secondo luogo, essere al centro della predicazione. Ne sentiamo parlare nelle omelie domenicali? Qualche pulpito ci spiega – non predica - che è più bello comunicare che comprare una macchina più potente o cambiare il telefonino ogni anno?

Retribuzioni del clero. Data per scontata la positività dell’ottopermille, il cardinale dichiara la chiesa (ma è un problema di chiesa?) disponibile «a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti» a proposito dell’ici. Personalmente sono convinto che molte delle cose dette a proposito dell’ ici non pagata da istituzioni legate alla chiesa siano gonfiate dall’enfasi anticlericale e che sia difficilissimo fare dei conti significativi - e le cifre indicate infatti non sono coerenti -, ma non mi pare che un problema fiscale debba essere pattuito: in uno stato di diritto le leggi le fa il parlamento e tutti ubbidiscono. Infine sua Eminenza, illustrando come viene distribuito il gettito dell’ottopermille fornisce le cifre della retribuzione dei preti e dei vescovi che ricevono 1.300 euro al mese con evidenti «sperequazioni rispetto ad altre strutture gerarchiche». Constatazione evidente, ma due note occorre aggiungere: la prima è che parliamo di persone che per vocazione sono ministri ordinati di una chiesa (questa volta è giusto il riferimento all’istituzione nel suo complesso) che pone come valore se non vogliamo dire la povertà certamente la sobrietà; e, la seconda, che chi percepisce queste retribuzioni ha comunque un’esistenza garantita, dispone di alloggio riscaldato fornito dalla parrocchia o dalla diocesi. Con questo non dico che preti e vescovi se la passino alla grande, se non dispongono di altro reddito personale, ma che non hanno i problemi quotidiani della grande maggioranza dei cittadini.

Io sarò anche troppo amaro, come qualche amico sostiene: ma tutto questo, Eminenza, non fa lievitare proprio nulla.

Ricordiamo LUIGI POZZOLI

È morto don Luigi Pozzoli, amico di alcuni di noi e studioso del rapporto fra religione e letteratura, alla ricerca di tracce di spiritualità anche nei testi contemporanei fino ad affermare che il Novecento è il secolo con il maggior numero di opere letterarie di argomento religioso. Ma soprattutto ricordiamo don Luigi come prete capace, per dirla con parole sue, di «far danzare le verità». Lo ricordiamo con un curioso episodio che racconta nel suo blog in data 30 giugno 2011: riguarda un pellegrinaggio a Einsiedeln con compagni seminaristi e docenti nel 1953.

Eravamo in prossimità della meta quando udimmo la voce di un professore che ci invitava a prestare attenzione a un cartello stradale che avremmo trovato sulla nostra destra. Si procedeva lentamente in quel tratto di strada e quindi tutti ebbero la possibilità di assecondare il desiderio del nostro grande maestro.

Due erano le note informative che venivano trasmesse. La prima riguardava l’orario festivo delle S. Messe. L’altra era segnalata da un vistoso WC seguito da un segno che ne indicava la ubicazione nella piazza della chiesa.

Ma perché i due avvisi erano strettamente legati tra loro quando nel riquadro del cartello c’era tanto spazio che avrebbe permesso di tenerli ben distinti? E soprattutto, perché quel profano WC doveva campeggiare proprio sotto la dicitura S. Messe del primo avviso?

È un fatto che tutti vi avevano colto un intento dissacrante («blasfemo» addirittura, come ebbe a suggerire qualcuno). Si può capire pertanto quale fu la nostra sorpresa quando, riprendendo la parola, il nostro maestro ci confidò di non potere condividere le nostre impressioni.

Se è vero infatti che due sono le dimensioni costitutive dell’essere umano, quella spirituale e quella materiale, fisica, carnale, non era possibile privilegiare la prima mortificando la seconda, entrambe dovevano essere riconosciute e rispettate.

Era il caso di citare a questo proposito un detto famoso del grande Pascal: «Chi vuol fare l’angelo, fa la bestia».

È UNA STORIA VERA

Margherita Zanol

Nella Milano della fretta e dell'apparire, nella Milano degli sgomberi degli zingari (più di 200, diceva Letizia Moratti in campagna elettorale; in realtà lo stesso 200 volte, dato che si trattava sempre delle stesse persone), si è sviluppata una storia stupenda e stupefacente. È iniziata nell’estate del 2008, in un campo Rom abusivo in via Rubattino, un lungo viale, costeggiato da aree industriali dismesse, dove si erano insediati prima qualche decina, poi qualche centinaio di Rom romeni.

In questo contesto la Comunità di Sant’Egidio ha promosso e favorito un processo di inserimento dei Rom nella società: cercando lavoro e abitazione per le famiglie, accompagnando i bambini a scuola, seguendo le persone e aiutandole a superare i disagi dell'inserimento. I primi bambini sono stati accompagnati nell’anno scolastico 2008-2009 alla scuola elementare del quartiere di via Feltre, una zona di Milano nord-est, abitata da famiglie giovani, nei nuovi insediamenti urbani. Raccontano che erano timidi, spaventati, con gli occhi bassi. Lentamente hanno fatto amicizia con gli altri bambini e lentamente le mamme e i papà hanno imparato a conoscersi e hanno familiarizzato tra loro. Alla fine dell'anno i bambini si erano ambientati, erano felici; i genitori avevano costruito una relazione. «Quando salutavo Costel era per me il papà di un bambino della classe di mio figlio. Sapevo che mi avrebbe stretto la mano, non sfilato il portafoglio», racconta uno dei papà di via Feltre.

Ma l'anno scolastico 2009-2010 inizia in un clima più preoccupato: si parla di sgomberi con sempre maggiore insistenza. Finché il 19 novembre, la mattina presto, in una giornata di neve, la vigilia del giorno in cui a Palazzo Marino si sarebbe celebrata la giornata dei diritti dei bambini, squillano i cellulari di maestre e mamme della scuola: stanno arrivando le ruspe e i carabinieri. Le maestre (la nostra amica Flaviana Robbiati è tra le più impegnate) corrono al campo per cercare di proteggere i bambini da quell'esperienza. La Comunità di Sant'Egidio, gli scout, le parrocchie si attivano per trovare riparo; la stagione è inclemente e la neve non perdona.

I genitori degli altri bambini si attivano per cercare di raccogliere abiti e coperte e, questo è l’inizio della parte stupenda, aprono le loro case: per offrire ospitalità ai piccoli scolari e alle mamme, per dare loro la possibilità di una doccia, un letto, un pasto caldo. «Ero in studio quando lo ho saputo – racconta una mamma - e mi sono detta: se stai zitta ora, non potrai più parlare». Da quel giorno si è tessuto un intreccio di relazioni tra quei Rom, ormai dispersi in tutta la città dopo la cancellazione del campo, e il quartiere.

Abbiamo ora tra le mani un libro che racconta quanto è accaduto fin qui. Si chiama I Rom di via Rubattino a cura di Elisa Giunipero, della Comunità di Sant’Egidio, e Flaviana Robbiati, Ed. Paoline. Costa 17,50 € che vanno a sostenere questo progetto. Si parla di tutti i protagonisti: dei Rom di Romania, ma anche delle maestre, dei genitori e dei bambini della scuola del quartiere. È descritto con asciutta, meneghina completezza il ruolo della Comunità di Sant'Egidio, del cardinale Tettamanzi, della Casa della Carità, delle parrocchie, degli scout e di molte altre associazioni, non solo di Milano. Sono riportate le testimonianze delle persone coinvolte. «Non ho fatto niente, me li sono trovati» dice Flaviana, che ammette però di avere scompigliato i ritmi della sua famiglia e la ringrazia per questo. Sono riportate le riflessioni dei bambini: «Dovete risolvere questo problema! Non avete cuore?» Scrivono al sindaco. Le chiedono anche una moratoria nei mesi invernali, ma lei, Letizia Moratti, dice che la legalità non conosce stagioni. Poco dopo un suo collaboratore è arrestato per corruzione.

Ho letto questo libro con commozione ed emozione. È una storia forte per la natura dei perseguitati, oggetto quasi inamovibile dei nostri pregiudizi; è forte anche per la vitalità della ribellione al sopruso, da parte delle famiglie del quartiere. Sono persone come noi, che mettono a disposizione il loro privato, nel nome dell’amicizia nata con questa comunità emarginata. È una storia bella, che ha fatto nascere altre iniziative simili in altre zone della città. Non è finita e, forse non finirà mai. I Rom sono la parte estrema degli ultimi e non è facile accoglierli. Ma è una storia vera e ancora in atto.

Zingaropoli? Sì, chiamiamola così.

MORALISTI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!

Mariella Canaletti

In Italia, troppo spesso le leggi non vengono rispettate. È una triste constatazione, che comporta anche la classica domanda: che fare?

Nei giorni passati sono state rilanciate via e-mail alcune norme, anche costituzionali, clamorosamente disattese da alcuni ministri e da molti dei nostri parlamentari, che si fanno beffe della Repubblica, della Costituzione, della bandiera italiana: sottintesa la domanda se si può sempre lasciar passare, non vedere. Devono ovviamente essere sanzionati: ma come?

Se tali comportamenti rientrino nella fattispecie di alcuni reati non ho competenza per dirlo; spetterà alla magistratura vagliare i singoli casi. Osservo comunque che abbiamo una classe politica molto malandata, e quanto sta succedendo mi sembra il fondo di una deriva morale che viene da molto lontano.

Il discorso, ovviamente molto complesso, non può essere affrontato in poche righe; per limitarci ai casi sopra citati, confesso di non condividere l’opinione che si debba affidare ai giudici la soluzione di problemi che appaiono eminentemente politici e culturali; senza considerare che ciò potrebbe essere, oggi, un modo di esporre il potere giudiziario a rinnovati attacchi, contribuendo a dividere, fare confusione, screditare.

Ricorrere al potere giudiziario come se fosse una bacchetta magica, poi, mi pare essere l’ antico vizio di voler cambiare le cose per lasciarle, alla fine, immutate. Da un lato, infatti, non spetta, né può essere addossato ai magistrati, come a volte è richiesto, il compito prioritario di mettere ordine nel complesso della legislazione italiana che, fra riforme non perfezionate, leggi vecchissime mai abrogate, leggi speciali per ogni situazioni di emergenza, è formata da troppe norme farraginose, a volte incomprensibili o addirittura contraddittorie, sia in campo civile che penale.

Dall’altro, credo sia utopico ritenere che l’intervento della magistratura possa raddrizzare i costumi di una società che va perdendo ogni senso morale. È infatti sotto gli occhi di tutti che ciò non è avvenuto né avviene, tanto da far dubitare che la mancata riforma dell’ordine giudiziario, auspicata da tutti, magistrati compresi, sia funzionale a chi del diritto si fa gioco, prima, durante e dopo il processo, pur se si conclude con una condanna.

Sono opinioni ovviamente personali, che forse non saranno condivise da molti; rimane comunque, sempre riguardo agli episodi sopra ricordati, la domanda sul che fare?, visto che indifferenti non si può rimanere.

Senza la pretesa di soluzioni miracolistiche, una chiave mi sembra di scorgerla nell’al-larme lanciato da Stéphane Hessel lo scorso anno con il suo Indignatevi!; nel grido delle donne che hanno numerosissime manifestato il loro se non ora, quando?; nella recente presa di posizione di Stefano Rodotà, che ha scritto un Elogio del moralismo (Laterza, 2011) in aperta polemica con il significato negativo che oggi si vuol dare a ogni discorso che richiami al rispetto della morale: contro malaffare e illegalità dice l’auto-re, servono regole severe e istituzioni decise ad applicarle; serve soprattutto una diffusa e costante intransigenza morale, un'azione convinta di cittadini che non abbiano il timore d'essere definiti moralisti, che ricordino in ogni momento che la vita pubblica esige rigore e correttezza.

In questo discorso mi ritrovo totalmente, mentre leggo, con stupore misto a entusiasmo, che una manager in pensione, Gigliola Ibba, di età vicino alla mia e felicemente nonna, ha affittato una pagina del Corriere della Sera per un appello-denuncia. Dice di aver sentito l’obbligo di esprimere la sua indignazione contro la protervia dei politici che in questi giorni, quando sono richiesti a tutti sacrifici economici «per salvare l’Italia», sta emergendo con assoluta evidenza; e, dopo aver aperto un suo blog, ha ricevuto un mare di adesioni.

Senza guardare alle manifestazioni che in lidi lontani stanno cambiando il mondo, possiamo ricordare le dimissioni del sindaco di Parma, ottenute dalle reiterate manifestazioni di protesta dei suoi cittadini contro la sua inefficiente e corrotta amministrazione. Così, vorrei concludere queste brevi riflessioni con un personale impegno a denunciare, sempre e ovunque, ogni tipo di illegalità e immoralità, mentre faccio mio l’invito che Rodotà, sconsigliato poi dall’editore, voleva mettere in copertina del suo libro: moralisti di tutto il mondo, unitevi!

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

ANCORA SU MARCHIONNE

Sandro Fazi

Mi riferisco alla rubrica sottovento di Notam 383 dove si legge che Marchionne già salutato come un salvatore è risultato, come prevedibile, un affossatore. Salvatore non so che cosa significhi, ma affossatore certamente lo è stato. Affossatore di un sindacato sclerotico e decotto, di una Confindustria inefficace e costosa, di una mentalità di gestione aziendale decrepita che ci penalizza in Europa e nel mondo. Che gli operai italiani siano i meno pagati tra gli europei e i nostri prodotti invece siano i più cari, forse qualche domanda la pone. Abbiamo sentito parlare di efficienza ed efficacia: non è poco; specialmente in Italia. Ma disfarsi delle consuetudini e privilegi è naturalmente difficile, specialmente se non si sgancia il bagaglio ideologico, per quanto obsoleto, con annessa presunzione, che orgogliosamente ci portiamo dietro. Quindi ci sta che a Marchionne continuino ad arrivare sassi.

D’altra parte il progetto finanziario si è sviluppato come previsto, ma quello industriale non altrettanto. Secondo i piani entro il 2014 la produzione in Italia doveva passare da circa mezzo milione a più di 1,4 con quote di produzione distribuite tra i vari poli produttivi. A poco più di un anno di distanza, di quel progetto è lecito forse dubitare: a fine 2008 la Società prevedeva di toccare il fondo della crisi con 1,8 milioni di auto. Ma Marchionne prevede oggi che a dicembre scenda a 1,7. La ripresa ritarda e probabilmente ritarderà ancora.

Le quote di mercato perse a favore dei concorrenti (Germania e Francia innanzitutto) saranno forse difficilmente recuperate. Ci sta quindi che la Fiat non sia credibile sul piano industriale. I nuovi modelli entreranno sul mercato nel 2012; quindi era fin dall’inizio un piano non così irruento come quello finanziario.

Nonostante tutto, questo e altro ancora, non dimentichiamo che da una industria decotta e screditata quale era, ora la Fiat-Chrysler è accreditata per entrare in quel club di sei o sette produttori che si prevede sopravvivano dopo questo lungo periodo di crisi, in un settore superaffollato da troppi competitori. Ma le ragioni per cui l’uomo è stato e ancora può essere una grande opportunità per il nostro paese non sono legate ai piani di sviluppo, comunque già di per sé coraggiosi ed apprezzabili, quanto ai criteri di gestione e conduzione aziendale. Concetti vecchi ma non frequentati in Fiat come partecipazione, corresponsabilità, fare squadra, essere competitivi nel mondo, essere meno chiusi e provinciali.

Non ho seguito da vicino le mosse di Marchionne, ma credo che le idee che ha proposto abbiano una carica di buon senso e di speranza valido non solo per la sua azienda, ma per tutto il mondo industriale italiano affumicato, a dispetto di quanti temono di perdere privilegi e consuetudini acquisiti. Che nessuno osi metterli in discussione.

ERRATA - CORRIGE

Nello scorso numero 385 in calce all’articolo di Manuela Poggiato Una casa privata abbiamo dimenticato l’apertura antimeridiana della casa museo: ce ne scusiamo con i potenziali visitatori del mattino e riportiamo di nuovo tutte le indicazioni:

La CASA MUSEO BOSCHI DI STEFANO, sita in un palazzo anni ’30 progettato dall’arch. Portaluppi, conserva oltre duemila opere del’900 raccolte da Marieda Di Stefano e Antonio Boschi, coniugi collezionisti, si trova a Milano in via Jan (II piano), ang. Via Aldrovandi – Tram 33, Bus 60-199, M1 Lima. L’apertura gratuita, realizzata grazie alla collaborazione dei Volontari del Touring, è dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 18.

echi sportivi

IN CAMPO SENZA FISCHIETTO

Enrica Brunetti

Il calcio è un gioco, per molti una passione giocata o partecipata, per tanti anche un’os-sessione, considerato il business che vi gira intorno e lo scambio non solo metaforico tra vita vissuta e vita sognata. Già quasi in culla il piccolo alimenta scalciando speranze genitoriali da mettere presto in prova sui campetti disponibili, in versione informale o organizzata, nei tornei dell’oratorio o della Federcalcio che prevede una categoria pulcini per i ragazzini dagli 8 ai 10 anni (segue poi quella di esordienti dai 10 ai 12 anni).

Se negli stadi del calcio adulto si affacciano troppo spesso la violenza degli ultras e gli interessi del malaffare, timidamente si tenta una qualche inversione di rotta con l’esordio dei più piccoli, quando «ci deve essere solo il piacere di calciare il pallone e niente altro».

I pulcini tesserati in Italia sono tanti, 211mila, di cui 36 mila in Lombardia e 6500 a Milano, e l’idea di coinvolgerli in chiave educativa, già da un po’ in cantiere della Federcalcio, è ora partita, patrocinata da un campione di lungo corso quale Gianni Rivera, dal 2010 presidente del Settore Giovanile e Scolastico della Federazione. Il progetto è semplice: si gioca senza arbitro. Le regole restano quelle del calcio, ma a prendere ogni decisione in campo sono gli stessi minigiocatori. Da questa stagione, dunque, niente più adulto in funzione arbitrale, allenatore o dirigente che sia, ma, nei tre tempi - di quindici minuti l’uno – sono i bambini, o le bambine, a decidere in ogni questione di partita, dai rigori al fuorigioco. L’ipotesi è altrettanto interessante: se le regole insegnate vengono poi fatte mettere in pratica proprio da chi deve rispettarle, può darsi che si riesca a evitare zuffe e isterismi del momento.

All’inizio di stagione, in un’intervista alla Stampa, Rivera spiegava che «per avere un calcio dei grandi più responsabile, più educato e con meno tensioni in campo non ci sono alternative: bisogna cominciare a lavorare su quelli che saranno i giocatori, i tifosi e magari anche i giornalisti di domani». In altri termini, per lui si tratta di responsabilizzare, insegnare regole e comportamenti dentro e fuori dal campo, far capire quanto sia arduo il compito di un arbitro che in un attimo deve prendere decisioni determinanti.

Pare che i ragazzini abbiano accolto benissimo la novità e sappiano cavarsela egregiamente, mentre a recriminare restino da bordo campo i papà e le mamme abituati a insultare e a contestare per l’intera partita.

Continua Rivera: «Io i ragazzini vorrei addirittura vederli correre dietro a un pallone in un campo senza linee. Liberi di trovare il ruolo e la collocazione più appropriati. Mi accontento, per ora, di abituarli ad autogestirsi le partite. Se i genitori li lasceranno fare, cresceranno più in fretta. Non solo come sportivi. Avremo persone migliori. E un calcio più bello».

Difficile dire se l’esperimento si manterrà e si estenderà nel tempo lungo, per il momento resta una piccola speranza di Natale che si affaccia sui propositi dell’anno nuovo.

IL CENTUPLO

Franca Colombo

Non me lo aspettavo, veramente. Per tanti anni ho accudito i figli per la gioia di vederli crescere e incamminarsi nella vita, ma non immaginavo che sarebbe arrivato il momento di gustare la gioia di essere accudita da loro. In una situazione di malattia sperimento una gioia grande, vera. La loro tenerezza è una sorpresa che mi strappa lacrime di commozione.

È certamente opera tua, Signore, questo flusso di amore che ritorna. Tu hai completato quel che io ho fatto per loro. Quante volte mi sono rimproverata di non essere capace di trasmettere loro il tuo amore, la tua parola, la fede nella tua presenza e di aver dato una educazione troppo laica, troppo liberale e forse sbrigativa, più preoccupata di rispettare la loro autonomia che di coltivare i buoni sentimenti. Nei momenti di contrasto o di fronte a qualche scelta critica, ero tentata di vincolarli con il mio amore: «Fa’ questo per me, non fare quello per non darmi dispiacere» e così via.

Ogni volta mi trattenevo perché affiorava alla coscienza quella magnifica figura di Padre della parabola di Luca 15. Questo Padre non ferma il figlio che sceglie la sua libertà e lo lascia andare «in un paese lontano» senza recriminazioni né rimproveri. Questo Padre sa che l’amore è un fiore delicato che cresce solo nella libertà, anche se la libertà è un porcile che offre solo le ghiande dei maiali. Infatti, la libertà è un rischio fino a quando non diventa responsabilità. E ogni volta correvo questo rischio trattenendo il fiato e salendo di continuo sulla torre per scrutare l’orizzonte, sperando di vederli ritornare.

L’attesa si riempiva di dubbi, sensi di colpa, speranze e preghiere. Eppure il loro cammino verso la libertà ha fatto crescere anche me, mi ha dato la consapevolezza del mio limite e la certezza che Dio li ama molto più e molto meglio di me. È un Padre vero, Lui, un Padre che non fa mancare ciò di cui i suoi figli hanno bisogno per crescere. «Di che cosa vi preoccupate?… Guardate i gigli del campo… gli uccelli del cielo… Dio li nutre e li veste… meglio di Salomone» e sa attendere il momento in cui siamo in grado di accogliere il suo dono.

E allora è festa grande. Come oggi che, per merito di una malattia, mi ritrovo attorniata da creature più belle e più ricche di quelle che avevo nutrito e allevato e mi vedo rivestita da un mantello di cure e di tenerezze molto più splendente di quello che avevo saputo tessere io per loro. Perché Dio non si lascia battere in amore: Lui dà il centuplo.

Il Gallo da leggere u.b.

Con gli auguri di Natale il Gallo di dicembre!

  • per la sezione religiosa, fra l’altro:

  • ampia presentazione del carteggio Bobbio-Peyretti;

  • considerazioni di Giovanni Rizzi sullo studio della Bibbia dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini;

  • presentazione di Mariella Canaletti di Io e Dio di Vito Mancuso;

  • Nella sezione attualità e comunicazione, oltre alle consuete rubriche:

  • Maurizio Siena avvia una nuova rubrica sulla costituzione della repubblica;

  • Maria Rosa Zerega prosegue le riflessioni sul problema del salario garantito;

  • Marco Canani illustra l’indignazione nell’ironia dei letterati inglesi del Settecento;

  • Dario Beruto discute opportunità e rischi dell’aumento della popolazione mondiale a settemiliardi di individui.

  • Le pagine centrali rileggono alcune poesie di Alfonso Gatto proposte da Germano Beringheli

sottovento g.c.

A Natale un segno da Dio - Vorrei dire una parola per ricordare agli amici una realtà importante che vive a Milano dal 1998 e ci auguriamo che continui, addirittura sviluppi sempre più la sua presenza e la sua azione. Lo faccio prendendo al volo l'occasione degli auguri per il Natale 2011 che sono stati appena diffusi. Si tratta del Consiglio delle Chiese Cristiane che è una comunione di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Sacre Scritture. Attualmente le chiese che partecipano sono 18, guidate a turno da un presidente espresso dalle diverse confessioni.

Nel testo della loro bella riflessione leggiamo: «…Fuori dal palazzo di Erode, lontano dal tempio, in una stalla, una mangiatoia, un bimbo, una giovane madre, alcuni pastori: questo è bastato, e tuttora basta a Dio per dare il segno atteso della sua venuta per salvarci». La scelta di Dio non è nel senso del mondo nel quale siamo immersi, che ci chiede piuttosto di resistere al richiamo di un Natale di sobrietà e di essenzialità evangelica. «Crisi e difficoltà di questi nostri tempi - conclude il testo - ci richiamino al bisogno di quanti sono il nostro prossimo in difficoltà: diamo loro del nostro, in vicinanza, comprensione e solidarietà». È questo l'impegno che ci consentirà di vivere quella serenità e quella pace che è così necessaria.

La chiesa e gli altri: iccì… salute! - In tempi di vacche magre, magrissime addirittura per alcune categorie, era inevitabile la polemica per delle esenzioni, non solo alla chiesa cattolica, ma anche a tante istituzioni simil-culturali la cui destinazione - come sappiamo bene anche tutti noi - è certamente commerciale.

Quando i toni si fanno particolarmente alti interviene il card. Bagnasco che dice che sì, anche la chiesa farà delle verifiche, e lascia capire che potrebbe anche pagare… qualcosa.

Chissà quello che è davvero successo in Vaticano, dietro alla cortina di incenso (in chiaro: tra Cei e Segreteria di Stato), se dopo pochi giorni, sul Corrierone, in una intervista lunga una pagina, interviene ancora il cardinale e io la capisco così: sostanzialmente la chiesa, quando è dovuta, l'ici la paga già e allora non c'è nessuna verifica da fare!

Bisognerebbe rovesciare il sistema: prima no a tutte le esenzioni e poi qualcuno (chi?) si incarica di fare degli accertamenti, ma tutti pagano l' ici (o come ora la chiameranno) e poi, solo dopo domanda - e relativa verifica - qualcuno sarà esentato.

Non c'è contraddizione con quanto diciamo da sempre: lo stato non foraggi nessuno (in linea generale, ammesse solo eccezioni minime e pubbliche), però non chieda tasse a chi veramente si impegna per la solidarietà, la cultura, le fedi religiose eccetera. Proprio l'opposto del sistema di comprare il consenso con la spesa corrente diffusa a pioggia o con l'invito a delinquere, garantendo l'assenza di controlli: fai quello che credi e io - stato - mi volto dall'altra parte, come di fatto è avvenuto in questi anni.

Si riuscirà mai a convincere gli italiani al rispetto delle regole? Oltre alla battaglia contro l'evasione fiscale, riusciremo mai a vincere quella contro i furbi?

segni di speranza m.z.

RALLEGRATI, POPOLO SANTO!

«Rallegrati, popolo santo, viene il tuo Salvatore». È la domenica dell’incarnazione. L’ultima domenica dell’avvento ambrosiano è dedicata a Maria, portale di ingresso della liturgia del Natale. Dio si fa uomo, portatore di una grande rivoluzione, genitore del grande Mistero. «Questa notte non è più notte, davanti a te» è stato cantato all’ingresso della messa. La donazione di Dio che si fa uomo è alla nostra porta.

Il vangelo (Luca, cap. 1) è quello dell’annunciazione. Parla di una persona normale che dice sì a qualcosa che difficilmente capisce. Noi, come lei, non riusciamo a capire. Ma riusciamo ad accettare? Diciamo il nostro sì all’incomprensibile? Da secoli l’uomo è chiamato a dare la sua risposta, da secoli il presepe ci pone la domanda. Noi, presi dalla monotonia del nostro andirivieni, abbiamo corso nel niente, e dedicato alla natività esausti ritagli di tempo.

«Fratelli, siate lieti nel Signore; ve lo ripeto, siate lieti» esorta san Paolo nell’epistola. I tempi non aiutano. Il nostro mondo è in una apparente fase di marcata decadenza, il nostro futuro si mostra incerto.

Siamo un po’ tutti spaventati, in questa società fatta di laici disorientati e atei devoti, di precari, bamboccioni, indignati. Sono le definizioni sociali del XXI secolo, sconosciute o nettamente minoritarie fino a pochi anni fa. Il contesto è molto cambiato: bisogni materiali diversi, l’informazione ci ha sopraffatti, abbiamo le orecchie piene di musica e poco tempo per riflettere. Il presepe della mia parrocchia è fatto con gli ologrammi. Ha senso ricordare la nascita del Bambino? C’è ancora posto per lui?

VI domenica dell’Avvento ambrosiano B

schede per leggere m.c.

 Il noto scrittore lombardo Andrea Vitali, con il suo Zia Antonia sapeva di menta (Garzanti 2011, pp 147, euro 13,90), ha, come sempre, il pregio di divertire. Al centro di questo testo è Bellano, sul lago di Como, dove, nonostante la tranquillità del luogo e l’aria buona, comunque si muore, e si invecchia; e si può, se necessario, trovare ricovero in una Casa di Riposo. Così è per Antonia, vecchia zia assistita amorevolmente da Ernesto, nipote pio e onesto operaio, e completamente ignorata dall’altro, Antonio, bidello dai costumi non proprio specchiati.

Zia Antonia sapeva di menta, visti i mentini che era solita masticare in continuazione, e l’odore di aglio nella sua stanza mette in sospetto Ernesto e suor Speranza, onnipotente direttrice della struttura. La sparizione dell’estratto conto che la banca locale recapitava puntualmente all’anziana signora dà origine a una vicenda in cui entrano in gioco il rabbioso digiuno di Antonia, l’alta pressione di Antonio, curata con dosi massicce di aglio, e l’indagine del medico, involontario inquisitore delle finanze altrui.

Si tratta di una piccola storia, scritta con raffinata arguzia; un gradevole passatempo che, nell’ironia, non dimentica la pasta di cui, davanti al denaro, è spesso fatto anche l’uomo migliore.

 Rimane sempre viva l’attenzione per Irène Némirovsky, già ampiamente citata da Notam (da ultimo al n. 354 del 2010): originale e profonda scrittrice, cresciuta a Parigi e morta giovane in campo di concentramento nazista, è ora riscoperta e fatta rivivere, con la pubblicazione di tutte le sue opere, voluta dall’amore delle figlie. L’ultimo libro uscito in Italia, Il signore delle anime (Adelphi 2011, pp 233, euro 18,00) riprende il tema di chi si sente «straniero in patria», tema particolarmente caro a chi, come lei, aveva dovuto lasciare, dopo la rivoluzione bolscevica, la sua Ucraina.

Protagonista è il dott. Dario Asfar, un meteco, un immigrato appunto, che dalla Grecia, terra natale, ha cercato in Francia riscatto dalla fame e dalle umiliazioni. Qui la sua speranza di integrazione viene brutalmente delusa, e in lui maturerà la piena consapevolezza della sua diversità, rivelata da quell’aspetto levantino impossibile da celare.

Per uscire dalla miseria, e dare una vita di agiatezza alla giovane moglie e al figlio, il dott. Asfar, allora, ricorrerà a ogni mezzo, con una determinazione priva di scrupoli; raggiungerà il successo professionale, e sarà per la società parigina dell’epoca il medico che salva da fobie e schiavitù dell’anima, diventandone appunto il signore: ma non riuscirà a liberarsi da un destino inevitabilmente segnato dalle sue origini.

Si tratta di un testo duro, che non lascia spazio alla compassione: l’aspirazione verso una vita degna, che pure è spinta insopprimibile di Dario, rimane chiusa nel sogno di una donna lontana, irraggiungibile; sarà sempre presente, invece, la sua propensione alla falsità, in una società malata di razzismo dove sembrano strade percorribili solo spregiudicatezza e inganno; mentre il mondo stava camminando verso l’orrore della seconda guerra mondiale. Consapevole di questo, l’autrice sembra presagire la tragedia che travolgerà, qualche anno più tardi, la sua vita.

Le tate nere - Chi non ricorda la schiava nera Mammy di Via col vento? O l’atmo-sfera cupa delle prime lotte per l’emancipazione dei neri descritte nel film Mississippi burning? O le altre tate nere nelle case dei ceti alti Newyorkesi? Pensavo che un presidente nero in usa fosse un segnale evidente che ormai la questione razziale fosse, se non risolta, per lo meno notevolmente cambiata.

Parlando con varie persone che sono originarie o hanno vissuto negli stati del sud degli usa o in Messico o in Brasile ho appreso dalle loro testimonianze che oggi in quei paesi la posizione delle tate nere è tale e quale a quella di cinquanta anni fa! Alle domestiche nere si affidano i bambini, ma si teme che rubino le posate d’argento; si addossa loro l’andamento della casa, dalla pulizia alla cucina, ma devono essere invisibili se non sono interpellate. Non a parole ma nei fatti sono una razza inferiore e anche considerate potenzialmente portatrici di malattie.

La situazione è ben descritta nel libro L’aiuto (Mondadori 2009, 522 pp, euro 20,00 ) tradotto dal bestseller americano The Help di Kathryn Stockett. Dal libro è stato tratto anche un film. Ambientato negli anni 1960 in una cittadina del Mississippi, il romanzo descrive i rapporti tra le domestiche nere e le loro padrone bianche, narrati a più voci ora dalle tate ora dalle loro signore. Nel romanzo una giovane bianca che aspira a essere una scrittrice, pensa di intervistare le domestiche nere, per dare voce alle loro persone. Ne segue uno scombussolamento della società locale che si ripercuote in modo diverso sui vari personaggi.

Il libro tradotto sconcerta nei primi capitoli scritti con errori grammaticali e parole storpiate che cercano di riprodurre il gergo delle domestiche nere, ma poi la narrazione continua con le voci delle signore bianche. Ben presto si è presi dalla trama che si fa sempre più avvincente. Questo libro merita veramente d’essere letto, sia perché ben scritto sia perché dà un’idea della situazione razziale, purtroppo ancora esistente in larghe zone del mondo in maniera così diversa da come noi crediamo. a.m.

la cartella dei pretesti

Le barriere giovano soltanto a impoverire i popoli, a inferocirli gli uni contro gli altri, a far parlare a ciascuno di essi uno strano e incomprensibile linguaggio di spazio vitale, di necessità geopolitiche e a far pronunciare a ognuno di essi esclusivamente scomuniche contro gli immigrati stranieri, quasi che fossero lebbrosi e quasi il restringimento feroce di ogni popolo in se stesso potesse, invece di miseria e malcontento, creare ricchezza e potenza.

LUIGI EINAUDI, all’Assemblea costituente il 29 luglio 1947.

L’attentato alle Torri Gemelle di New York costituisce la drammatica messa in scena fatta da un soggetto politico che, paradossalmente, con quel gesto dimostra la sua forza, ma anche la sua debolezza. L’islam, infatti, non verrà più visto come una possibile bandiera di liberazione di interi popoli, bensì come l’esaltazione parossistica della volontà di morte. Così, una religione viva diventa caput mortuorum, una religione contaminata, una scheggia impazzita, che trasmette in giro per il mondo l’idea di una religione violenta, fanatica e intollerante. Immagine che alla fine risulta intollerabile per moltitudini di persone. Anche agli occhi dei musulmani puri di cuore, la deriva violenta dei movimenti armati che praticano il terrorismo e il suicidio offensivo finisce con l’essere giudicata una falsa alternativa.

ENZO PACE, Movimento di riforma, Nigrizia, aprile 2011.

I medesimi personaggi che gridano allo scippo della democrazia con annessa congiura plutocratico-massonica trovavano conveniente fino a ieri affidare il governo del paese a un miliardario ex affiliato a una loggia segreta, sorretto da un parlamento di nominati. Gli stessi che ora blaterano di dittatura, senza però avere neppure il coraggio di bloccare l’azione del governo Monti. Perché non osano? Perché la crisi li ha letteralmente storditi, ne ha fatto emergere la plateale inadeguatezza, e sperano che i tecnocrati tolgano loro le castagne dal fuoco, per poi ritornare a fare i propri comodi.

GAD LERNER, I finti indignati, Nigrizia, dicembre 2011.

[Gli uomini] non vogliono capire che la sola salvezza è nella povertà come tu [Gesù] ci hai mostrato. Povertà come virtù. Che non è la miseria, bensì la liberazione dal superfluo, una ritrovata misura del necessario. E se ricominciassimo dal gesto che smuove la zolla?

ERMANNO OLMI , Letterina a Gesù Bambino, Domenicale ilSole24ore, 24 dicembre 2011.

Hanno siglato: Ugo Basso, Giorgio Chiaffarino, Mariella Canaletti, Andrea Mandelli, Margherita Zanol.

Notam, lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam

quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Marisa Piano, Chiara Picciotti, Margherita Zanol

Corrispondenza: info@notam.it

Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano  Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano

Pro manuscripto

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L’invio del prossimo numero 387 è previsto per LUNEDI 16 gennaio 2012



Martedì 27 Dicembre,2011 Ore: 16:27
 
 
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