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21 febbraio 2011 - S. Pier Damiani - Anno XIX - n. 368


Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 21 febbraio 2011 - S. Pier Damiani - Anno XIX - n. 368
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Chiara Picciotti
«Le donne per strada danno alla luce un tempo nuovo». Faccio mia questa frase di adesione alla manifestazione se non ora, quando? inviata da Pilar Del Rio Saramago, perché mi sembra molto significativa per esprimere quello che è successo nelle piazze italiane (e non solo) domenica 13 febbraio. Perché le donne hanno sempre usato la loro fecondità sia fisica sia mentale e spirituale per dare il loro contributo alla vita della società intera. Si legge nella lettera-appello del gruppo di donne di Roma che hanno proposto la manifestazione: «Se non ora, quando indignarsi dal momento che il modello di relazione uomo-donna, sostenuto da una delle massime cariche dello stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni!»
Che cosa doveva succedere per indurre tanta gente a dire basta!, non vogliamo vedere il nostro paese trasformato in un’eterna telenovela? Curioso paese davvero il nostro: dove si conciliano strane deformità; dove si inneggia alla maternità, ma le donne che lavorano devono nascondere la gravidanza! Dove il tasso di occupazione femminile è il 46,5%, (67,5% quello maschile), ma a parità di livello le donne guadagnano il l6,8% in meno. Dove un quarto delle donne lascia il lavoro dopo una gravidanza. Dove le donne parlamentari non superano il 21% e in senato il 18%, e non esiste nessun segretario di partito donna. Dove la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa arriva al 6,8%, e le amministratrici delegate sono il 3,8%. Il gradino di un 30% obbligatorio, che sta creando onde riformatrici nei paesi dove viene applicato, in Italia viene osteggiato. Ma un paese che non tutela le quote rosa, ma le quote erotiche non è un paese civile! E ora, dopo l’inatteso successo delle manifestazioni nelle 250 piazze italiane e in una trentina di città del mondo, ciò che più conta è che si continuerà il lavoro dei gruppi promotori in modo da contribuire a concreti mutamenti futuri.
I Vescovi della Conferenza Episcopale Lombarda non hanno partecipato alle manifestazioni in piazza, ma qualche giorno prima hanno espresso in un documento il loro forte disagio per l’attuale situazione socio-politica.
L’immersione nei problemi del nostro paese non può farci scordare lo scenario mondiale. Segnalo due avvenimenti importanti. In Senegal lunedì 7 febbraio u.s. sono iniziati i lavori del X Forum Sociale mondiale: 1205 organizzazioni della società civile provenienti da 123 paesi (45 stati africani rappresentati su 53). È importante che simili manifestazioni vengano organizzate in città come Dakar perché ciò permetterà alla società civile africana di esprimersi, di prendere coscienza della propria forza e fare pressione sui governi.
A Trento, l’altro giorno, Kerry Kennedy e Cherie Blair per la prima volta in Italia hanno presentato l’attività delle loro due Fondazioni nel campo dei diritti umani, per promuovere la formazione femminile come presupposto per lo sviluppo dei paesi emergenti. Hanno detto: «Se vogliamo che le donne rivestano ruoli da leader dobbiamo educarle come tali, perché siano esse stesse modelli di riferimento per le loro sorelle e le loro figlie!»
 
in questo numero 
U. Basso DAI CATTOLICI IL SOSTEGNO ALLA DESTRA uM. Canaletti RICORDARE, RACCONTARE uG. ChiaffarinoADOZIONI: UNA DOMANDA u F. Colombo SE NON ORA, QUANDO? u A. Gabai INTERNET LIBERTÀ E CONFUSIONE u F. Mandelli LA LETTERA DI PEYRETTI AL VESCOVO DI TORINO u film in giro F. Colombo IN UN MONDO MIGLIORE  film insieme E. Brunetti INVICTUS usottovento g.c.u segni di speranza s.f. u  la buca della posta u la cartella dei pretesti
DAI CATTOLICI IL SOSTEGNO ALLA DESTRA
Ugo Basso
Dagli anni della dissoluzione del partito cattolico, i primi anni novanta del secolo scorso, che hanno segnato la fine di quella che si usa chiamare prima repubblica, gli esponenti della chiesa romana che seguono la politica italiana hanno dichiarato di non voler dare indicazioni di voto agli elettori cattolici, e le molte eccezioni si sono mantenute a livello personale o di circuiti di breve raggio. Questa neutralità è stata via via abbandonata negli ultimi anni di Giovanni Paolo II coincidenti con il progressivo affermarsi del paganesimo clericale berlusconiano-leghista e della adesione dei movimenti creati da Silvio Berlusconi al Partito Popolare Europeo. L’appoggio ai governi della destra è stato continuo e determinato, attraverso i noti strumenti –interventi CEI, Avvenire e stampa locale, spesso anche omelie e perfino interventi episcopali e pontifici-, ma all’ombra di una formalmente confermata imparzialità fra i due schieramenti che ormai dominavano la quasi totalità della scena politica.
L’avvicinamento alla destra è stato progressivo con la reiterata presidenza del cardinale Ruini alla CEI che, nella logica del do ut des, pattuiva l’appoggio al governo in cambio di scelte economiche e etiche favorevoli dalle esenzioni fiscali al sostegno alle scuole cattoliche, ai famosi principi non negoziabili sulla fecondazione e sulla fine della vita al rifiuto di legalizzazione delle convivenze non fondate sul matrimonio. Dopo l’ele-zione di Ratzinger e i cambiamenti alla segreteria di stato e alla presidenza della CEI si è parlato espressamente di obblighi dei parlamentari cattolici a votare secondo le direttive vaticane che di fatto rappresentavano un sostegno ai governi di destra e un’oppo-sizione al centrosinistra: ricordiamo le continue polemiche con Prodi. Tuttavia ancora nell’ultima campagna elettorale nazionale formalmente le autorità vaticane dichiaravano neutralità, mentre i sostegni alla destra berlusconiana e leghista erano alla luce del sole, e più espliciti nelle diverse tornate delle elezioni amministrative.
La neutralità è stata nella sostanza abbandonata –per fortuna, per quel che mi risulta, ancora senza minacce canoniche per chi non vota a destra- con le dichiarazioni del vescovo Fisichella sulla convergenza fra alcuni principi cristiani e quelli leghisti e con i documenti seguiti agli ultimi scandali di cui è stato protagonista il presidente del consiglio che respingono un giudizio moralistico sulla conduzione politica e esprimono perplessità nei confronti della magistratura, pur riconoscendo un diffuso disagio.
Mi scuso di questa ricostruzione piuttosto sommaria, ma è necessaria per giungere al centro della mia riflessione mossa invece dai ripetuti sondaggi che indicano proprio nei cattolici lo zoccolo duro del sostegno alla destra berlusconiana e leghista, sostegno peraltro verificabile anche empiricamente attraverso le conversazioni con le persone. Non credo che occorra analizzare con gli amici lettori lo scostamento del berlusconismo e del leghismo non dico dallo spirito dell’evangelo, ma anche da un cristianesimo di superficie: vorrei però capire che cosa può spiegare il voto cattolico in quella direzione.
Riesco a individuare alcuni motivi.
§ Le indicazioni gerarchiche su quelli che sono fatti passare per valori non negoziabili e che prendono molto emotivamente (caso Englaro per tutti): seguire quelle indicazioni nelle scelte politiche serve a fare identità. 
§ Un ossequio dichiarato a usi e tradizioni (crocifisso alle pareti, presepio nei luoghi pubblici, devozioni a santi) che danno illusioni di sicurezza, ma non comportano stili di vita.
§ Posizioni che si crede facciano comodo (non pagare le tasse, respingere rom e stranieri, intrattenimento televisivo lontano da qualunque problematica e forse ormai anche l’assoluta libertà in campo sessuale) non creano difficoltà di coscienza se sono accettate dalla chiesa, come si dice nel linguaggio comune.
§ La mancanza di conoscenza dell’evangelo e della spiritualità cristiana, ma anche di autorevoli documenti della chiesa –dagli atti del concilio Vaticano II fino all’ul-tima enciclica di Benedetto XVI- e la conseguente incapacità di riconoscere la necessità di uno stile di vita da parte del credente, che peraltro ha ben capito che contestualizzando e liberando dai moralismi si può ottenere assoluzione per qualunque comportamento.
In sostanza è dominante un cattolicesimo cultuale, folcloristico e di tradizione, tanto più gradito quanto meno impegnativo che apprezza i privilegi in cambio della libertà di pensiero; che preferisce supplire con proprie organizzazioni, anche molto positive nel-l’esercizio della carità, alla ricerca della giustizia; che preferisce appiattirsi sul pensiero imposto dai media che darsi la briga di un’informazione fondata. È quello che passano sia i movimenti preoccupati di difendere precisi interessi –e penso in primo luogo a CL- sia tantissime parrocchie preoccupate di perdere i frequentatori in diminuzione, quando non siano i parroci stessi a condividere le posizioni a cui ho fatto cenno.
Naturalmente ciascuno dei punti toccati chiede analisi e verifiche, a partire dal chiedersi che cosa si debba intendere per cattolico, e senza ignorare quanti altri cattolici, preti e probabilmente anche vescovi, sono su posizioni ben diverse. Ma i punti indicati credo che possano rappresentare l’occasione di una riflessione, di un esame di coscienza, per interrogarci se è possibile almeno aprire una discussione negli ambienti che frequentiamo.

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

RICORDARE, RACCONTARE
Mariella Canaletti
Ricordi tristi, ricordi lieti: con il passare del tempo, nella parte avanzata della vita, spesso anche i ricordi lieti portano, con il rimpianto, una qualche tristezza. Certamente, per chi ha avuto dolori profondi o comunque incisivi e laceranti del proprio vissuto, ricorre insistente, con il ricordo, la domanda: perché?, grido di sofferenza, di ribellione, o spinta a riflettere e a riconsiderare il passato: domanda che dà luogo, comunque, a una vastissima gamma di risposte. Ma forse proprio da questo nodo può sorgere una rinascita, o una nuova, diversa valutazione della propria vita.
Per chi è in cammino alla ricerca di un senso, per chi crede di averlo trovato, ma sa che dietro l’angolo si può celare il nulla; per chi vuole sentire, pur senza lunga prospettiva, che i propri giorni e il proprio essere possono ancora testimoniare il valore dell’umano, mi pare illuminante il teologo Carlo Molari quando esorta a «essere presenti pienamente a se stessi nel piccolo spazio della libertà», e a «imparare a raccogliere tutto il passato, purificandone la memoria»; sarà possibile allora alla persona, che è il risultato delle esperienze compiute, degli errori commessi, delle gioie vissute, «riconoscere i doni che ci sono stati offerti e che forse per ignoranza, superficialità o pigrizia non sono stati accolti». È un invito che rasserena, nella prospettiva di trasformare e assimilare innumerevoli errori; di valorizzare scelte felici; forse anche di accogliere in serenità, per quanto possibile, mali incolpevoli, inspiegabili, inaccettabili.
Il bagaglio del passato, che pensiamo solo intimamente nostro, può diventare speciale con la condivisione, nelle forme che il caso offre a ciascuno. E se il ricordo e lo scambio di esperienze è per tutti una grande ricchezza, se offerti con spirito di dono, messaggi commoventi possono venire anche dagli occhi spalancati di un bambino quando racconti eventi lontani realmente accaduti; da un giovane adulto che risente narrare storie che lo hanno visto protagonista; dal sorriso che affiora sulle labbra di un anziano infermo e immobilizzato quando si evocano i tempi della sua attiva maturità.
Ma il ricordo e il racconto non si fermano ai vivi; tutti noi, che abbiamo provato a perdere persone care, sappiamo quanto conti richiamarne la presenza, in un ininterrotto colloquio che spiega a chi non c’é più le incomprensioni e le difficoltà passate; la felicità di momenti; l’essenzialità degli insegnamenti. Parlare con i nostri morti è pensarli viventi, in una dimensione reale e quasi palpabile che, forse, prefigura quella resurrezione in cui facciamo tanta fatica a credere.
Infine, è importante, né può essere ignorato, e non solo da chi ama frequentare le sacre Scritture, che all’origine dei testi è il ricordo, che oggi leggiamo espresso in varie forme e da diverse angolature, di eventi fondanti; si tratta di fatti forse storicamente non accaduti, ma tramandati e infissi nel cuore come realtà che si attualizzano nel presente di chi li evoca. Così per gli ebrei lo Shemà Yisra’el, ricorda Israele è memoria del Dio liberatore e invito all’azione e alla conversione; così la Cena celebrata dai cristiani è memoria di Gesù, del dono supremo del suo amore; è invito agli uomini di buona volontà alla comunione, e a seguirne l’esempio. Tutto si attua nell’oggi: che ne sarebbe della nostra fede di cristiani se i testimoni non avessero ricordato «ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo?» (Lc 24,19); se non ci avessero raccontato ciò che avevano visto, e non ci avessero insegnato a farne appunto memoria?
 
ADOZIONI:UNA DOMANDA
Giorgio Chiaffarino
Questa piccola nota è una domanda a chi ne sa di più sul tema, nel nostro gruppo o tra gli amici lettori. E il tema è quello in questi giorni su tutte le pagine: l'adozione di bambini da parte di persone singole. Dice una sentenza della Cassazione che anche il nostro paese dovrebbe cautamente riesaminare il loro caso come potenziali genitori adottivi. C'è addirittura un analogo positivo orientamento in Europa. Grande discussione, come è giusto, tra i favorevoli, i contrari e, tra questi ultimi, la chiesa cattolica.
Qualche considerazione di un incompetente. Siamo di fronte a una questione delicatissima che esige le massime cautele. La prima preoccupazione mi sembra debba essere l'interesse, il bene del bambino. A chiunque dotato di un minimo di attenzione non deve essere sfuggito, e non solo nell'adozione, che spesso un bambino, un figlio non è una scelta di amore, ma la speranza di una soluzione per altri diversi problemi. È abbastanza scontato che il meglio per un bambino siano due genitori e non uno solo, ma a patto che siano davvero una coppia e che diano umanamente le necessarie garanzie.
Detto questo, però, debitamente valutata la maturità e la consapevolezza, siamo proprio così sicuri che un solo genitore adottivo sia peggio del ricovero in un istituto? Anche qui a chiunque dotato di un minimo di attenzione non deve essere sfuggito quanto troppo spesso siano inadeguate, tristi, persino lugubri certe organizzazioni. Vien da chiedersi se alla base di tanti rifiuti non ci sia forse la paura di perdere clientela.
Mi permetto una citazione da Avvenire (15 febbraio 2011):
Non esiste un diritto dell’adulto all’adozione –dice Belletti, presidente del Forum delle Famiglie– ma esiste soltanto il diritto del bambino ad essere educato in una famiglia. Per questo va garantita la completa genitorialità, il fatto cioè di avere un padre e una madre, a chi è già stato così duramente colpito dalla vita.
Alla prima parte, direi: lapalissiana; ma la coda è omissiva: non c'è traccia dell'istituto. È questo preferibile a una pur incompleta genitorialità?
A parte che il dissesto famiglia è grosso e non si sa bene da che parte iniziare per curarne tutte le malattie. Anche qui, abbiamo visto penose vicende -remember family day?- e forse tutti dovremmo prenderci una pausa di riflessione. Sembra proprio che, agli effetti dell'adozione, qualche singolo ben formato sia addirittura meglio di tante coppie, solide alla apparenza e incerte nella sostanza.
 
 
SE NON ORA, QUANDO?
Franca Colombo
Aveva 16 anni mia figlia quando frequentava gruppi di femministe e io guardavo con trepidazione e sospetto queste frequentazioni che sovvertivano l’ordine costituito nel mondo femminile: niente più protezione né soggezione maschile, «il corpo è mio e lo gestisco io», «riappropriamoci della notte» ecc. ecc. Il dialogo era molto difficile e il femminismo acuiva la contestazione adolescenziale. Un giorno però mia figlia vinse le sue riserve: «Ci sarà una manifestazione di donne al Palasport, dovresti venire anche tu!» Era l’8 marzo 1977. Stupita e lusingata da quell’invito, mi precipitai al Palasport e venni travolta da una miriade di donne, allegre e vocianti, che si salutavano da una parte all’altra del tendone ed esplodevano in canti che io non conoscevo ancora. Le donne che parlavano dal palco, venivano continuamente interrotte da applausi scroscianti. Io me ne stavo accucciata per terra in un angolino, sperando che non si vedesse che «non ero una di loro». Tuttavia l’energia che circolava nella sala, l’entusiasmo che si sprigionava da quelle donne era tale che dopo poco mi trovai coinvolta, senza accorgermi, battevo le mani alle rivendicazioni di libertà, anche sessuale o all’enfasi sulla autodeterminazione. Ebbi la netta sensazione di trovarmi di fronte a un evento storico, una rivoluzione che andava diritta al cuore della nostra società: le donne valevano, anche senza gli uomini, il mondo stava cambiando per merito delle donne e un brivido mi percorreva la schiena.
A distanza di tanti anni sono tornate. È tornato il medesimo invito: «Dovresti venire anche tu!» Certo, «Se non ora, quando?» Le rivedo ormai cinquantenni, con mariti, compagni e figlie adolescenti. Con la grinta di allora gridano dal palco la loro volontà di non lasciarsi strumentalizzare dai maschi, urlano che la libertà sessuale conquistata non vuole dire sottrarsi a un padre padrone per finire alla mercé di un «papi» buffone. Reclamano la loro dignità di donne, soggetti pensanti e non oggetti scambiati, venduti e poi accantonati.
Una folla immensa. Non organizzata. Una fiumana di gente che confluisce da tutte le vie in una piazza piuttosto piccola, insolita per queste manifestazioni. Forse anche le organizzatrici non si aspettavano tanto consenso. Non c’è una esplanade che possa contenere tutta la folla, non c’è un palco sopraelevato a sufficienza, non c’è un impianto sonoro adeguato alla vastità dell’uditorio. C’è una fontana che zampilla alta, alberi e aiuole verdi. Mi sembra un segnale di diversità e di creatività femminile. Lo spazio della convention non ha confini e si espande in tutte la direzioni: forse non contano tanto i discorsi delle persone sul palco, quanto le presenze che animano la piazza, le vie, l’in-tera città. Tutte le strade confluenti sono letteralmente invase. Le donne si muovono, si salutano, si rincorrono con i cellulari e spesso si abbracciano per la gioia di ritrovarsi, ancora combattive, con gli stessi ideali di anni prima. Le giovanissime invece hanno un’aria stranita, si aggirano per la piazza in branchi e si interrogano: «Cosa diciamo domani alla prof?» Forse per loro è tutto scontato. Forse non sanno che anche questi spazi, gestiti autonomamente, questa assenza di bandiere di partito e questa capacità di risollevarsi da una umiliazione collettiva, senza prendere ordini dall’alto, ma per una comune esigenza interiore sono il risultato di una lunga lotta evolutiva avvenuta nella coscienza delle donne, ancorché lontana dagli schermi televisivi. Riuscire a mobilitare milioni di persone solo per difendere la dignità della donna normale è un vittoria. Il ministro Brambilla dice che questo è un obiettivo ideologico e che le donne dovrebbero mobilitarsi per ottenere interventi più concreti, in difesa della loro vita e del loro lavoro. Ok, ma il ministro non capisce che, fino a quando la donna viene considerata una bambolina per i giochetti dell’uomo, le sue proposte saranno sempre guardate con sufficienza o accantonate o saranno ancora una volta prese in considerazione in base alla benevolenza del principe.
Alle giovanissime consigliamo quindi di riferire alla prof di aver assistito a un evento storico, un momento che segnerà una svolta, se non nella politica gestita dagli uomini almeno nella consapevolezza delle donne di essere ancora una forza e quindi avere ancora un potere da spendere per risollevare le sorti del nostro paese.
 
 
INTERNET LIBERTÀ E CONFUSIONE
Anna Gabai
A volte cerco di ricordarmi come era la mia vita prima dell'arrivo di internet: c'era un'altra organizzazione del tempo. Gli orari del treno andavo a prenderli in stazione, il programma del festival cinematografico si ritirava al foyer, per ordinare un libro in biblioteca si usava un sistema di foglietti e carta carbone e i tempi d'attesa erano un po' più lunghi. Questi ricordi evidenziano che internet è per me innanzitutto una fonte di informazioni legate alla gestione del quotidiano, inoltre è un indispensabile strumento di lavoro, visto che tutte le biblioteche sono ormai automatizzate, ci si iscrive agli esami attraverso i portali di facoltà (dei siti internet che offrono informazioni e servizi agli utenti, questi ricevono un nome e una parola chiave che gli permetterà di usufruire delle offerte individualmente) e si scelgono i corsi da seguire sulle guide online, cioè in rete.
La mia tesi di laurea si occupava di un tema attuale, quindi non è stato possibile trovare molti libri a riguardo, ho lavorato soprattutto con articoli di riviste scientifiche. Questi erano messi a disposizione in banche dati digitali che raccolgono lavori da tutto il mondo. All'inizio scaricavo articoli su articoli, perché i titoli erano accattivanti e perché la sensazione di avere tutto quel materiale a disposizione mi dava un po' alla testa. Così i byte (le unità di misura della quantità di informazione informatica) si accumulavano nel mio portatile, fino a quando ho scoperto cartelle e cartelle di cose non ancora lette e mi sono sentita come se avessi una pila di libri sulla scrivania. Mi assalì lo scoramento di sapere che non ce l'avrei mai fatta a leggere tutto nei tempi previsti, quindi iniziai a scremare ed effettivamente non mi serviva tutto quello che avevo recuperato. Questo succede spesso quando si naviga, visto il mare di informazioni in cui ci si ritrova. Parlando anche con colleghi, siamo giunti alla conclusione che a volte bisogna disconnettersi e rielaborare offline (sconnessi da internet) il materiale raccolto.
Dopo le ore di lavoro ci si ricollega e magari si guarda un film in streaming, cioè attraverso delle pagine internet che trasmettono programmi, serie tv o film... anche appena usciti al cinema. Non ho ancora capito quanto legale sia questa pratica. Brevemente, essa si basa sulla trasmissione in flusso (stream in inglese) continuo dei dati che vengono rielaborati solo nel momento in cui l'utente li richiede. Credo che a volte in internet ci si muova in un limbo tra legalità e illegalità e potremmo riutilizzare un'altra metafora marinara: alcuni siti battono bandiere straniere per permettersi affari poco puliti. Allo stesso tempo ci sono dei siti bellissimi in cui si può ascoltare musica, vedere filmati e leggere libri i cui diritti d'autore godono di licenze alternative, tipo la Creative Commons, che in italiano significa beni comuni creativi. In questo caso il materiale messo a disposizione è condivisibile e riproducibile a patto che l'ideatore venga citato.
A parere mio, internet sta creando una nuova forma di creatività, spesso basata sulla condivisione piuttosto che sull'appropriazione. Tornando all'aspetto della legalità, credo che alcuni di noi giovani troveranno delle possibilità di lavoro proprio nell'ideazione delle nuove forme legali e commerciali (ammesso e concesso che il governo italiano capisca l'importanza della ricerca, se no, sarà giustificata la fuga dei cervelli).
Ora vorrei dire qualcosa riguardo ai famosi social networks, le reti sociali: io non sono su facebook (traducibile come libro delle facce), perché credo che la mia curiosità mi porterebbe a perdere troppo tempo passando da una pagina all'altra. I miei sospetti sono stati confermati da molti amici che invece sono iscritti a quella rete, alla quale occorre, se si desidera essere presenti, iscriversi. Pochi di loro riescono a mantenere una relazione distaccata con il mezzo e alcuni di loro hanno cancellato il proprio profilo. Inoltre le notizie sulla vendita di foto e di dati personali hanno creato un certo disagio in molti utenti. Mi sembra che ci sia una ridefinizione della sfera privata, ma non saprei dire in che direzione: si restringerà o si amplierà?
Un aspetto che avrebbe bisogno di un articolo a sé, è l'uso di internet in paesi governati da dittature: l'anno scorso in Iran, precedentemente in Iraq e quest'anno in Tunisia, i blogs e i social networks sono stati ripetutamente bloccati in seguito alla diffusione di informazioni sui regimi in questione. Sicuramente la grande libertà che offre internet ha favorito i dissidenti di quei paesi e quindi si pone la questione di come creare un quadro legale che non impedisca denunce e appelli di aiuto, sebbene ritenuti illegali da alcuni regimi.
 
 
LA LETTERA DI PEYRETTI AL VESCOVO DI TORINO
Fioretta Mandelli
Enrico Peyretti, che conosciamo amico di Notam, ha mandato al suo vescovo appena nominato una lettera (www.nicodemo.net), che ha fatto conoscere anche agli amici con cui condivide le sue idee.
Io non appartengo alla chiesa cattolica, ma forse vorrei condividere con Peyretti, come lui dice, l’appartenenza alla «invisibile chiesa che sale alle stelle».
Come laica sono però consapevole del peso grandissimo che ha la chiesa cattolica per ognuno di noi se non altro come italiani. Sono stata colpita dall’importanza di alcune sue osservazioni che hanno a che fare con l’influenza educativa, appunto della chiesa, su noi come cittadini. 
Parlando della nomina del vescovo, vediamo che, in un paese come il nostro, la cui carenza più grave è la mancanza di partecipazione civile, proprio la Comunità che si pone a esempio per tutte le altre, sceglie il vescovo, che dovrebbe essere educatore e leader nel senso più alto, senza neppure che la gente a cui è inviato lo conosca, come «uno sposo sconosciuto a una sposa ignara».
La chiesa organizzata continua a dare un esempio di «classismo sacro clericale», che appare in tutti gli aspetti organizzativi, si riflette nel lusso cerimoniale, nella incertezza quando si tratta di schierarsi davvero dalla parte dei poveri e degli emarginati. La chiesa offre l’immagine di una comunità che non decide, che non dibatte, che non sceglie, che ostenta solo un potere che deve sempre apparire senza crepe. Non appare certo come un ambito in cui le persone crescono come buoni cristiani e buoni cittadini. Anche la parrocchia, la faccia più vicina alla popolazione della comunità ecclesiale, è diventata per lo più una meritevole dispensatrice di servizi pubblici. Le comunità che cercano di vivere una fede profonda e una vera preghiera comune non coincidono con le parrocchie, ma spesso vi sono sopportate quando non osteggiate.
Dice Peyretti che una conseguenza grave di questo è anche la totale indifferenza e ignoranza delle nuove generazioni verso ogni interesse religioso. È vero che anche i ragazzi che frequentano la parrocchia, cioè l’oratorio, vengono tenuti fuori dalla strada (ottima cosa), imparano a giocare al calcio, nei casi migliori vengono coinvolti in servizi sociali, ma raramente ricevono una testimonianza adulta che li orienti verso una vita in cui lo spirito abbia la sua parte, che li prepari a scelte significative nella libertà e nella responsabilità.
La conseguenza più preoccupante, non solo per i giovani, è, come scrive Peyretti, che nel nostro paese la chiesa, per la gente comune, è diventata «un oggetto tele-visivo, cioè che si vede da lontano, sullo schermo delle cose imponenti e false, o finte», come si vedono vicende della vita politica deteriore. Queste carenze e questi difetti di quella chiesa che dovrebbe essere per tutti, anche per i laici, un punto di orientamento e anche di aiuto a non perdere i valori umani contribuiscono a determinare il disagio, l’indi-gnazione, il vuoto o, ancora peggio, l’indifferenza con cui la grande maggioranza delle persone in Italia vive i momenti orribili che stiamo attraversando. Non esito a dire che, secondo me, il modo in cui appare alla massa la chiesa, che i più identificano con la religione, costituisce una delle cause che allontana proprio i piccoli e i deboli dalle vie dello spirito: questo anche per una comunità civile è molto grave, e la chiesa cattolica così profondamente radicata sia storicamente che moralmente nella cultura italiana, ne porta una parte notevole di responsabilità.
Se guardiamo poi a gravi aspetti che riguardano la politica, penso che la chiesa abbia davvero contribuito alla interessata follia che sembra avere colto la maggioranza degli italiani. «L’odierno catto-berlusconismo della gerarchia cattolica italiana è pari al catto-fascismo del ventennio violento, che fu il fallimento dei pastori e l’abbandono dei fedeli al potere malvagio e falso (...). La libertà religiosa (…) è inutile e sprecata se non è una sfida evangelica ai potenti».
Come cittadina italiana mi preoccupa profondamente il modo in cui la presenza della chiesa cattolica oggi abbia per lo più effetti negativi sulla nostra situazione politica e morale. Ancora più dolorosa penso sia questa situazione per chi ama la chiesa, e nella chiesa vorrebbe vedere una comunità come quella che Cristo prefigura secondo i Vangeli.
Mi sento dunque solidale profondamente con la sofferenza e l’indignazione che Peyretti esprime e che tanti amici condividono con lui.
 
 
film in giro
IN UN MONDO MIGLIORE
di Susanne Bier, Danimarca 2010, colore, 113 min.
Franca Colombo
Il titolo trae in inganno. Quelli di noi che ancora sperano nella possibilità di un mondo migliore resteranno delusi. I due mondi che il regista ci presenta, così diversi e così lontani geograficamente, sono lo specchio di un'unica realtà, che è la vera protagonista del film: la violenza dell’uomo sull’uomo.
La linda e ordinata Danimarca e l’infuocato villaggio dell’Africa, battuta dal vento, sono ugualmente abitati da violenza che, per quanto in forme diverse, infligge all’uomo la stessa sofferenza distruttiva.
Violenza più sottile e indiretta al nord, dove alligna il bullismo nelle scuole e la sopraffazione verso i più deboli e dove un padre trascura il figlio adolescente, che ha appena perso la madre, per inseguire carriera e denaro, senza accorgersi della rabbia violenta che si impadronisce della sua anima. Violenza fisica al sud, in Africa, dove i signori della guerra, mitra alla mano, taglieggiano gli abitanti inermi dei villaggi. Anello di congiunzione tra i due mondi, il medico danese, pacifista convinto, che lavora in Africa in un campo profughi e cura tutti i malati qualunque sia la loro provenienza. In patria sa offrire l’altra guancia a chi lo insulta e predica al figlio la forza della non violenza: eppure anche lui, di fronte alla violenza bestiale di un boss africano che sventra le giovani madri per vedere il sesso del nascituro, su cui scommette, non resiste alla tentazione della vendetta e abbandona il boss, ammalato, nelle mani della folla inferocita che lo massacra a bastonate.
Sarà tuttavia ancora lui che, in patria, rincorre il ragazzino violento, amico di suo figlio, che volendo vendicarsi di tutto il male del mondo fabbrica una bomba e mette in serio pericolo la vita del suo piccolo amico. Sarà ancora lui, con la sua parola di perdono e il suo abbraccio di pacificazione, che trattiene il ragazzino sull’orlo del baratro da cui sta per gettarsi.
Forse la violenza non si può eliminare dall’animo umano, ma il perdono si può coltivare. Forse è questo l’unico lumicino che ci fa intravedere un mondo migliore.
 
film insieme
INVICTUS
di Clint Eastwood, USA 2009, uscita 26 febbraio 2010, colore, 134 min.
Enrica Brunetti
Che lo sport funzioni da tranfert e metafora in campo sociale e politico ce lo siamo già detti (vedi Notam 362 del 22 nov 2010), così, in tempi di difficili entusiasmi e delusioni che rasentano i 360° dell’orizzonte, ci siamo rivisti questo film dai toni epici e dall’andamento lineare, gratificante sul versante degli ideali e della speranza.
Il titolo, invincibile o, meglio, non vinto, viene da una poesia del 1875, scritta dal poeta inglese William Ernest Henley, più volte citata nel film:
[…]  Non importa quanto sia stretta la porta  […] It matters not how strait the gate
   quanto piena di castighi la vita    How charged with punishments the scroll
   io sono il padrone del mio destino:   I am the master of my fate:
   io sono il capitano della mia anima. I am the captain of my soul
La sceneggiatura è tratta dal romanzo di John Carlin, The Human Factor: Nelson Mandela and the Game That Changed a Nation (pubblicato nel 2009 in Italia da Sperling & Kupfer con il titolo Ama il tuo nemico. Nelson Mandela e il gioco che fece una Nazione). La vicenda è storia recente. Nelson Mandela, un abbondante ventennio di carcere duro nel tempo dell’apartheid, capo carismatico, onorato dai suoi con il titolo di Madiba, appena entrato nella carica di presidente (1995) intende compattare il popolo sudafricano, ancora diviso dall’odio fra neri e bianchi afrikaner, cogliendo una straordinaria occasione offerta dallo sport -la coppa del mondo rugby 1995 giocata proprio in Sudafrica-, sfruttando le profonde emozioni collettive generate da un evento condiviso con la stessa passione. La squadra nazionale, gli Springboks, orgoglio degli afrikaner e detestata dai neri, simbolo della spaccatura nazionale, bandita dagli anni ’80 dal campionato a causa delle differenze razziali, reduce da un lungo periodo di sconfitte, dovrà diventare la squadra di tutti per conquistare, oltre ogni speranza, la vittoria finale e contribuire così a rafforzare orgoglio nazionale e spirito di unità. Il film narra la vittoria e il suo percorso. Racconta di Mandela -un azzeccato Morgan Freeman-; di François Pienaar –un efficace Matt Damon-, capitano della squadra via via conquistato al senso della causa; della diffidenza di neri e di bianchi sciolta nell’entusiasmo del trasporto finale. Invictus è Mandela, invictus è lo sprone dato da lui al capitano per la vittoria della squadra perché sia della nazione. Riuscita epica, con qualche eccesso sportivo e qualche retorica: si celebra la grandezza nazionale in stile molto americano, ma, per una volta, è accettabile, trattandosi della Rainbow Nation -denominazione informale del Sudafrica-, nazione arcobaleno in controtendenza mondiale sulla tenuta delle diversità.
sottovento   g.c.  
La sicurezza fai da te - C'è uno scandaloso slogan pubblicitario, di marca governativa, che merita un commento.
Gli amici sanno che su queste pagine abbiamo più volte parlato di quella vergogna nazionale rappresentata dagli infortuni sul lavoro, innanzi tutto da quelli mortali, che ci assicurano nell'occidente un lugubre primato.
La frase dice: «La sicurezza sul lavoro la pretende chi si vuol bene». Vergogna! Certo chi lavora si vuol bene e cerca di rifiutare di morire anticipatamente o di rimanere permanentemente invalido e magari anche a carico della sua famiglia. Chi lavora si alza alla mattina per tornare a casa alla sera e non per andare invece all'ospedale o al cimitero.
La sicurezza sul lavoro non deve essere lasciata alle pretese di chi lavora, un indegno trasferimento di compiti. Deve essere garantita dal governo (dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (?), e dal parlamento, come avviene in qualsiasi paese civile. Proprio il contrario di quello che è avvenuto da noi dove il governo -viva la libera iniziativa!- si è affrettato a limare quello che in proposito avevano costruito gli estremisti che lo avevano preceduto.
Nostalgia? - Leggo sulla stampa (Avvenire 1 feb 2011) un peana al tempo dell'impegno. Meglio dirlo alla francese: l'engagement. Come in tutte le cose della vita, c'era di tutto un po': momenti forti, esaltanti, e altri confusi, materiali inservibili, di risulta. Tentativi -talvolta riusciti- di contrabbando. Ebbene: sono una ragione sufficiente per gettare tutto a mare e poi giustificare il nostro nulla attuale che ci sta distruggendo?
Certamente non era meglio ieri, un'epoca che era e non è più, è una pura illusione credere di poterla risuscitare. Ma non si cancella un tempo di sfide, di ricerca, di confronti anche duri tra le idee, di forti speranze…
Oggi, appunto, la realtà e i suoi problemi sono ben diversi, la tentazione di accontentarsi e limitarsi a galleggiare è fortissima e molti sembrano accettarla.
Forse non guastano le risorse che ci sono rimaste, che ci impongono di esserci anche quando apparentemente sembrerebbe inutile e continuare a portare, magari quasi invisibile, il nostro sassolino per un risveglio della coscienza, prima la nostra, perché il degrado non è ineluttabile, perché -forse- in altri è presente, anche se nascosto, lo stesso nostro desiderio.
 
la buca della posta

La notizia del bambino sottratto alla madre perché povera, che abbiamo rilanciato in Sottovento sul numero del 17 gennaio scorso, ci ha valso diversi consensi. Due amici ci hanno anche scritto.

Emanuele Curzel, direttore de Il Margine di Trento, ha aggiunto altre considerazioni:

La notizia… è stata oggetto di ampio dibattito sui quotidiani locali nell'estate scorsa, ma da quel che ho capito era, come minimo, incompleta. C'era dietro un dramma di proporzioni più ampie, che fu squadernato sulla stampa in modo, come spesso accade, distorto. Il mio sospetto è che l'obiettivo fosse il solito: aumentare il discredito del pubblico nei confronti di tutti coloro (educatori, assistenti sociali e soprattutto giudici) che pretendono di aver qualcosa da dire su quel che succede dentro le case private.

L'amica Francesca Flores scrive:

Purtroppo casi di questo genere sono molto frequenti: una delle cause probabilmente è che i giudici e anche molti operatori sociali sono persone più teoriche che pratiche, e perciò applicano la legge come è scritta, senza pensare che i destinatari (o vittime) sono persone con problemi e sentimenti e non articoli del codice. Bisognerebbe però fare qualche cosa. Anni fa ci fu un caso analogo a Bolzano, risolto però con una sorta di sollevazione popolare a mezzo stampa da parte di molte persone. Il provvedimento fu revocato.

L'amica, esprimendo il suo consenso al nostro lavoro, ci inviterebbe anche a intervenire più direttamente (raccolta firme, raccolte fondi, contatti con la Caritas). Noi siamo un piccolo gruppo che, a parte ogni altra considerazione, non ha possibilità di simili iniziative. Ci riserviamo l'impegno di raccogliere e rilanciare le informazioni per aiutare la riflessione di coloro che hanno la pazienza di ascoltarci.  g.c.

segni di speranza s.f.  

 
AVVENGA A VOI SECONDO LA VOSTRA FEDE
Matteo 9 ,27-35
Due ciechi chiedevano di poter acquistare la vista e Gesù disse loro: «Credete voi che io possa fare ciò?» «Sì, Signore!» «Allora avvenga secondo la vostra fede». Forse è come dire che ottenere quello che desideriamo dipende da noi: se la nostra fiducia nel Signore al quale ci rivolgiamo è salda e sicura possiamo ricevere quanto desideriamo, se la fiducia è incerta e dubbiosa riceveremo in proporzione. I risultati, quindi, che otterremo saranno la misura della fede con cui abbiamo implorato. Una fede autentica e profonda potrebbe sempre essere ascoltata. In questa affermazione non c’è d’altra parte molto di nuovo se ricordiamo quanto sta scritto: se avessimo una fede grande come un granello di senape, potremmo dire ai monti di spostarsi e quelli obbedirebbero.
Ma di quale fede si parla? Quella dei mistici, degli asceti, di chi ha rinunciato al mondo? Non è possibile: dopo l’incarnazione di Gesù Cristo il mondo, l’uomo sono il luogo di Dio. Per avere notizie sul contatto con la trascendenza forse ognuno deve interpellare la sua interiorità, la sua coscienza e valutare con onestà se i desideri sono veramente esenti da egoismo, antagonismo, orgoglio, sentimenti comunque contrari all’in-contro dell’uomo con l’uomo.
Dobbiamo con pazienza cercare quella esperienza profonda dove Dio si fa presente nel profondo dell’anima. Un Dio muto, laico, mondano, spento, perdente, non gratificante, non sostitutivo. Ci ritroviamo così a ripetere riflessioni già elaborate altre volte con il richiamo a superare l’immagine di un Dio onnipotente che è un passaggio tra i più fondanti della nostra convinzione di fede ed è forse inevitabile ripetercelo con insistenza. In questo senso l’episodio può aprire gli occhi anche a noi sul Dio di Gesù Cristo.
Noi non possiamo dimenticare comunque, prima di cercare un aiuto trascendente, che siamo la generazione che si è formata con il principio di cercare un cristianesimo adulto, impegnata cioè a fare come se Dio non ci fosse. Ricordiamo la nota affermazione di Dietrich Bonhoeffer in Resistenza e resa: «con Dio e davanti a Dio noi dobbiamo vivere senza Dio», non per mettere Dio fuori della nostra storia, ma, al contrario, per metterlo al centro vitale e fondante di essa, fuori invece dalla questua quotidiana. Dobbiamo sempre più liberarci dalla immagine di un Dio che non ci introduca verso una vita di responsabilità, di libertà, di apertura al mondo.
Settima domenica ambrosiana dopo l’Epifania
la cartella dei pretesti 
L’unica cosa chiara è che al Grande Fratello si bestemmia. […] Molti hanno detto scandalizzati: «Non si bestemmia in televisione». Come se Dio avesse detto: «Non nominate il nome di Dio invano in televisione. Per il resto fate quel cavolo che vi pare». La televisione perdona e condanna, punisce a assolve. In presenza di una notevole crisi di vocazioni, ci pensano gli autori del Grande Fratello. Chiamano il bestemmiatore in confessionale. Un pater ave gloria. E vai con Dio.
CLAUDIO SABELLI FIORETTI, Bestemmia e assoluzione: è diverso in televisione?, Io donna, 22 gennaio 2011.
Ernesto Buonaiuti non volle mai considerarsi ex sacerdote nonostante la censura ecclesiastica abbattutasi su di lui per il suo modernismo, convinto del tradimento che talora la Chiesa storica poteva consumare, ma ancor più convinto che la salvezza avviene proprio nella stessa Chiesa storica.
GIANFRANCO RAVASI, il pantheon di Carlo Bo, Il Sole 24 ore-domenica, 23 gennaio 2011.
Non si protesta soltanto sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Anche dall’altra parte, in Italia, le piazze sono quasi ininterrottamente scenari della collera dei cittadini. Una settimana fa migliaia di italiani, con alla testa Umberto Eco e molte delle teste più apprezzate del Paese, chiedevano le dimissioni del loro premier. Domenica scorsa è stato un milione di donne e uomini che si sono messi in movimento contro l’immagine berlusconiana delle donne: di fuori attraenti, dentro vuote e in ogni caso comprabili, quanto più giovani, tanto meglio. Da decenni le emittenti di Berlusconi e il premier in persona propagano questa trista barzelletta da macho, il premier stesso la diffonde perfino durante gli incontri al vertice e la sua vita sessuale, che vi si adatta perfettamente, nel frattempo ha acquistato notorietà per via giudiziaria.
ANDREA DERNBACH (trad. di José F. Padova), Italiens Frauen demonstrieren gegen macho Berlusconi,  Der Tagesspiegel, 14 feb 2011.
Hanno siglato le rubriche: Giorgio Chiaffarino, Sandro Fazi,
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
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L’invio del prossimo numero 369 è previsto per LUNEDÌ 7 marzo 2011


Luned́ 21 Febbraio,2011 Ore: 16:06
 
 
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NOTAM - Lettera agli amici del gruppo del Gallo di Milano

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