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7 febbraio 2011 - S. Riccardo - Anno XIX - n. 367


Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 7 febbraio 2011 - S. Riccardo - Anno XIX - n. 367
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Giorgio Chiaffarino
Come si fa a evitare di fare i conti con il macigno che ci è piombato addosso?
L'aspetto su cui però ora vorrei riflettere è la posizione della mia chiesa. Ho pensato -se posso permettermi la relazione abusiva- al dopo elezioni, di tanti anni fa. Si ricorderà quando, con motivazioni diverse, tutti i partiti in campo si dichiaravano soddisfatti, in qualche modo vincitori. La morale allora e oggi è: se tutti vincono, vuol dire che in realtà tutti hanno perso.
Questo pensiero mi è venuto quando ho letto le reazioni al recente discorso del cardinale Bagnasco, per il quale, dopo tanto silenzio, si erano condensate grandissime attese nella speranza di una parola, più che politica, profetica. In una situazione di generale sfacelo civile e morale (se ci saranno anche implicazioni penali lo decideranno i giudici) il generale consenso all’intervento, sia dagli attaccanti che dai difensori del potere oggi costituito e delle sue irriferibili gesta, significa che tutti hanno perso ma, soprattutto, che ha perso la chiesa e la sua credibilità.
Nella scrittura ci sono pagine illuminanti. A parte la più facile sul linguaggio (sia sì, se è sì e no, se è no) e sulla impossibilità di servire due padroni (Dio e Mammona), viene alla mente quella sulle guide cieche (guai a voi…).
Pretendevamo forse che il card. Bagnasco fosse Giovanni Battista? Non lo è stato, travolto, forse, anche dalle pressioni esercitate dalle potentissime organizzazioni cattoliche che al potere erano e contano di restare sempre ben legate. Nessuno pretendeva che in quella sede i vescovi dessero precise indicazioni, anche se, dopo averne date tante per anni a totale beneficio della destra e nessuno dovrebbe aver dimenticato gli attacchi a Prodi -il cattolico adulto tra i pochi presentabili di questo tempo- ora finalmente una certa equidistanza sarebbe stata necessaria. Tra l'altro a nessuno di certo sarà sfuggita la grande differenza tra i forti interventi fatti per esempio contro i dico, o a favore dei cosiddetti valori non negoziabili e una certa flebilità che si rileva a proposito della morale che, evidentemente, per la chiesa oggi è un valore negoziabilissimo e da contestualizzare!
Nel complesso un testo (troppo) lungo: si arriva quasi in fine, al punto 7, e si legge: «Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci -veri o presunti- di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l'ingente mole di strumenti di indagine. In tale modo passando da una situazione abnorme all'altra, è l'equilibrio generale che ne risente in maniera progressiva, nonché l'immagine generale del paese. La collettività, infatti, guarda sgomenta…». Finalmente l'equivalenza che salva tutti, mentre i giudici, esibite le cifre, ci dicono che davanti a una frana gigantesca, gli strumenti di indagine necessariamente ingenti non erano certo eccessivi. Conclusione: per non turbare l'equilibrio e l'immagine, è soprattutto necessario non indagare, non far sapere: si fa ma non si dice, un antico ritornello che si sperava respinto almeno dai vertici della chiesa.
 
in questo numero                             
U. Basso PARLARE SÌ, PARLARE NO u NOI, CRISTIANI DELLA COMUNITÀ DEI SANTI PIETRO E PAOLO… uG. Chiaffarino MENTRE ESPLODE IL NORD AFRICAu andar per mostre E. Brunetti SALVADOR DALÌ, IL SOGNO SI AVVICINA u D. Beruto LA LOGICA DEL GRIGIO u F. Colombo QUALE FAMIGLIA? u Il Gallo da leggere u.b.unel deserto m.z.u segni di speranza s.f. u schede per leggere m.c. u la cartella dei pretesti


PARLARE SÌ, PARLARE NO
Ugo Basso
È vero che spesso, quando la voce della chiesa interviene sulla politica nazionale, denunciamo le interferenze o pressioni lobbistiche, come vogliamo chiamarle; quando non si pronuncia su una situazione civile (o incivile) che fa vergogna ai cittadini denunciamo complicità. Vorrei tentare qualche chiarimento dopo una premessa.
Le dichiarazioni dei dirigenti della chiesa, dalla segreteria di stato alla presidenza della CEI, che si sono espressi nella presente situazione di grave disagio -chiamiamolo così anche noi- che condividiamo con tanta parte di cittadini, hanno offerto finalmente un chiarimento: i dirigenti del cattolicesimo italiano abbandonano la neutralità dichiarata in passato rispetto alle forze politiche e sostengono il governo, magari con qualche richiamo per i suoi uomini più in vista a non esagerare, ma abbiamo capito che la linea politica non può essere messa in discussione dall’immoralità privata. La mia frequenza con il cosiddetto mondo cattolico italiano, nelle persone e nella pubblicistica, mi fa fortunatamente certo che questo sostegno, di cui non mi piace ripetere le ragioni peraltro ben note, non è condiviso da una consistente parte di quello stesso mondo, magari afona, timida, non amante di contrasti, ma comunque dissenziente.
Chiuso sul presente, vorrei appunto dire quale sia il mio auspicio sul parlare degli uomini -qui delle donne non ci sta- della chiesa. Ritengo senz’altro inopportuno da parte degli uomini della chiesa esprimere valutazioni o giudizi sull’attività politica, parlamentare o di governo, sia per appoggiarla, sia per contestarla. Parlo di opportunità evangelica, non certo della libertà costituzionale di espressione garantita a tutti. Su qualunque argomento: dal voto, ai dibattiti sui principi, compreso quello che riguarda la fine della vita o le grandi linee della politica dal federalismo all’accoglienza degli stranieri, e neppure sulla collocazione del crocifisso alle pareti dei locali pubblici. Credo che nessuno debba essere obbligato a dare conto delle scelte politiche a una chiesa, senza che questa si degradi a formazione politica tirata da una parte o dall’altra per interessi che dovrebbero esserle estranei.
La chiesa, in questo contesto intendo quella cattolica romana, ha altri doveri: con il suo magistero, con i suoi preti, con i suoi documenti ha il dovere incessante di predicare il vangelo, di formare sul vangelo, di aiutare a farne di continuo pietra di paragone: certo, anche scendendo nel concreto del sociale, come nei richiami del Battista: dico la giustizia, l’equità nella distribuzione delle ricchezze, la tutela dell’ambiente; la fedeltà coniugale, i doveri verso i figli e l’impegno professionale e sociale; come pure le scelte davanti ai gravi problemi della vita, ma lasciando al singolo, la decisione finale rispetto alle scelte individuali e, a maggior ragione, a quelle politiche. Questo non significa che un prete, ma anche un vescovo, a livello personale non possa dichiarare la proprie posizioni che, quanto più il soggetto è autorevole tanto più costituiranno elemento di riflessione, ma senza dichiarazioni pubbliche con toni di non negoziabilità o pretese di vincolo.
Il giudizio di merito e il conseguente atteggiamento da tenere nelle singole circostanze, quando mantenere la limpidezza del principio e quando far prevalere la logica del male minore, quando compromettersi per mantenere un’alleanza o una società e quando far parte per se stessi mettendo in difficoltà il gruppo sono scelte a esclusiva responsabilità di chi le compie e di cui ciascuno sa di dover rendere conto, ma non alla chiesa. Mi pare che il vangelo si esprima in diverse occasioni in questo senso: dall’invito di Gesù al pagamento del tributo, al sempre inquietante monito «chi ascolta voi, ascolta me».
Eccezioni mi sembrano accettabili solo di fronte a problemi così gravi da mettere in discussione i fondamenti stessi della convivenza come, per esempio, nel caso dell’enci-clica Mit brennender sorge (Con crescente dolore) con cui Pio XI nel 1937 denunciava la pretesa del nazismo di divinizzare il Fürer e che lo stesso Hitler proibì ai vescovi di leggere nelle chiese tedesche. Una coscienza formata, attenta, responsabile saprà prendere le proprie decisioni appunto con responsabilità, anche se non univoche, perché la complessità dei problemi e delle circostanze è tale che anche con la stessa formazione e con genuina buona fede -quella che il vangelo chiama «purezza di cuore»- si può pervenire a conclusioni diverse. Se poi gli individui non sapranno comportarsi e sceglieranno per capriccio e interessi e non nella libertà responsabile della coscienza, su questo dovranno interrogarsi gli uomini della chiesa e sulle ragioni del loro fallimento. Il discorso religioso, impegnativo e radicale in ogni aspetto della vita, in ogni momento della giornata, deve sempre porsi come interlocuzione alla personale libertà.
 

Dall’amico Carlo Bianca riceviamo questo comunicato elaborato dalla parrocchia dei santi Pietro e Paolo di Catania: lo proponiamo ai nostri lettori, condividendolo e con l’auspicio che possa essere modello per altri.
Noi, cristiani della comunità dei Santi Pietro e Paolo di Catania, insieme a tanti altri fratelli nella fede in ogni parte d’Italia, siamo non poco turbati per quanto sta avvenendo in questi giorni nel Paese in cui viviamo, nel Paese che amiamo, al bene del quale vogliamo concorrere con la nostra collaborazione e la testimonianza della nostra vita.
E ciò, non per malinteso senso di moralismo. Sappiamo bene infatti come il potere e il denaro, sempre, nella storia, abbiano saputo approfittare della loro forza di corruzione per soddisfare nei ricchi e nei potenti, i loro più bassi istinti.
Quello che ci preoccupa è l’appoggio dato dalla nostra chiesa a uomini politici che possono permettersi di tutto purché dicano a parole di difendere i valori cristiani, “le radici cristiane dell’Europa”, i “principi non negoziabili”, e purché finanzino generosamente istituzioni ecclesiastiche e opere di bene.
Sarebbe nostro vivo desiderio che la nostra chiesa, che amiamo ed alla quale con gioia apparteniamo, fosse, come sposa di Cristo, libera, giovane e bella, e non cedesse mai ai ricatti ed alle lusinghe dei ricchi e dei potenti di ogni colore.
Solo così potrebbe guardare, senza lasciarsi coinvolgere, le colpe degli uomini con gli occhi di Dio e di Dio annunziare liberamente il Regno.
Per tutto questo ci sentiamo uniti a tutti quei cristiani che, in questi giorni, hanno preso le distanze non dai peccati di un uomo, ma da uno stile di vita conclamato e propagandato come modello da proporre alla giovani generazioni che di tutt’altro hanno bisogno, per la loro vita, per il loro futuro, in questi momenti così difficili della nostra storia. E siamo lieti che, fra realismo, prudenze e ritardi, anche dalle alte gerarchie vaticane sia finalmente venuto un richiamo alla moralità, alla giustizia e alla legalità.                                   Catania 23 gennaio 2011

MENTRE ESPLODE IL NORD AFRICA
Giorgio Chiaffarino
Giorni addietro, proprio all'indomani della fuga del dittatore tunisino, incontro Ibrahim, un amico egiziano da oltre dieci anni in Italia, la persona che riesce a tenere in ordine l'ufficio dove lavoro. Inevitabile parlare dell'attualità: le dittature o i regimi autoritari che controllano il nord Africa e dintorni, il grande incendio che si è innescato e che, secondo lui, continuerà a espandersi nell'area.
Mi vien da dire che la protezione che l'occidente ha sempre fornito a questi stati, con l'obbiettivo di garantire affari e frenare problemi, sarà una bella difficoltà in più per trovare nuove relazioni nel futuro. Per l'Italia la Tunisia è stata politicamente e economicamente un quasi protettorato e così si spiega bene che il primo paese toccato nella fuga dell’ex presidente sia stato proprio il nostro (a Cagliari), con una smentita che vale più di una conferma.
E il discorso cade sull'Egitto. Solo al Cairo, mi dice, ci sono molti più abitanti di tutta la Tunisia (18 / 20 milioni), la dittatura è pesantemente feroce, gli oppositori a migliaia e migliaia sono in carcere. La tensione è al massimo, ma gli egiziani non cercano certo un cambio politico, prima di tutto è assolutamente la fame che li fa muovere. Secondo lui, più del 70% della popolazione vive al di sotto di un livello di assoluta povertà. L'aumento dei prezzi la soffoca. I più poveri vivono di espedienti e dormono al cimitero (?).
Proprio mentre parliamo sono cominciate le prime scaramucce. La polizia spara, i morti sono largamente più numerosi di quanto non si sappia da noi.
Ma, domando, ora che cosa accadrà? Speriamo che riescano a ucciderlo prima che fugga e riesca a portare via le ultime valute oltre a quelle che già sono in Svizzera… Ibrahim teme per la sua famiglia che è ancora laggiù anche se in una periferia che lui spera riesca a restare ai margini dei disordini. Siamo un paese molto ricco, abbiamo il petrolio, abbiamo il Canale di Suez e invece siamo poverissimi e disperati. Un paese che fa tre raccolti all'anno, manca addirittura dei beni alimentari di base… Ci lasciamo per tornare al nostro quotidiano. Nei giorni successivi si è poi puntualmente verificato quello che Ibrahim prevedeva e, in un certo senso, temeva.
Vien da riflettere che, in assenza di una opposizione organizzata e priva di leader riconosciuti, se la rivolta dovesse prevalere sarà drammatico il ristabilimento di un minimo di legalità. Se invece dovesse venir soffocata, sarà una carneficina di cui sono inimmaginabili le proporzioni. Dove potranno espandersi gli effetti di questo incendio? In Giordania? Dove altrove? E in ogni caso quali pressioni dovremo preparaci a gestire domani?
andar per mostre
SALVADOR DALÌ, IL SOGNO SI AVVICINA
Milano, Palazzo Reale, 22 settembre 2010 – 30 gennaio 2011
Enrica Brunetti
La consistente fila in attesa di ingresso anche nelle gelide e nebbiose giornate di fine gennaio attesta la persistenza di interesse per questo autore che continua a fare notizia. Personaggio eccentrico, provocatorio, imprevedibile, eccessivo, perfetto regista di se stesso e della personale esposizione mediatica secondo il principio che l’umiltà non genera gloria, Salvador Dalì (1904-1983) resta pittore suggestivo, capace di affascinare con rappresentazioni surreali e arcane, immagini che generano immagini, elementi del reale oniricamente ricomposti in visionari paesaggi interiori. E proprio al paesaggio, storico, autobiografico, dell’assenza è dedicata la mostra, fino all’epilogo che riassume i dati del percorso espositivo nei sei minuti del cortometraggio Destino -e dei suoi bozzetti- recentemente recuperato dalla Disney.
Si comincia con la classicità della Venere di Milo a cassetti (1936), segreti accessibili solo alla psicanalisi di Freud, dai pomelli di pelliccia come provocazione tattile ai desideri della sessualità repressa. Si incontrano più in là le riflessioni sulla guerra –non condizionate dalle invece ambigue posizioni politiche-, ora volto terrificato nel deserto, assalito da serpi e abitato da lugubri teschi nelle cavità spalancate (Il volto della guerra, 1940), ora classicità sezionata, i cui pezzi lievitano ancora nel deserto tra enigmatiche figure metafisiche, espressione di sconcerto per la devastazione dell’atomica (Smaterializzazione del naso di Nerone, 1947). Si collezionano citazioni, frammenti di Velázquez, Vermeer, El Greco, Raffaello, De Chirico…, mixati a persistenze della memoria, riproposti in sintesi altre, desolate, limpide e nitide nei dettagli quasi per un soffio gelido di tramontana. Molti i simboli disseminati per incongrua associazione: elefanti dalle lunghe zampe filiformi -«L'elefante rappresenta la distorsione dello spazio» ha spiegato una volta Dalí,«le zampe lunghe ed esili contrastano l'idea dell'assenza di peso con la struttura»-, formiche a segnale di morte, chiocciole a rappresentare la testa umana, locuste per dire distruzione…, ma anche elementi gastronomici –per Dalì la vita era infatti «gastronomica, spermatica ed esistenziale»-, come uova del tipo fritte in padella, richiamo alla vita uterina, o pani portati come copricapo -«Tutti i miei gusti corrispondono alle idee che avevo già da bambino. Per esempio il pane che mi metto spesso sulla testa è un cappello con il quale mi presentai a casa quando avevo sei anni»-. Del resto pare che anche i famosi e caratteristici orologi molli non siano soltanto un modo per rendere la relatività di Einstein, ma anche la suggestione di una forma di Camembert in discioglimento o il ritratto del bacon fritto delle colazioni statunitensi.
Si arriva quindi alla Stanza di Mae West (1935) -star sex symbol, genere Marilyn Monroe di trent’anni prima- che trasforma un quadro in un ambiente: il volto dell’attrice è dato da uno spazio dove gli elementi d’arredo sono i suoi capelli (le tende), i suoi occhi (i quadri), il suo naso (il camino) e la sua bocca (il divano); se ci si siede sulle labbra rosse e carnose del sofà Dalilips, si diviene parte della composizione, riproposta in diretta su uno schermo tv come antesignano reality. Anticipata è anche la pop art alla Andy Warhol: di Dalì è il logo dei Chupa Chups come di Warhol quello della zuppa Campbell's, mentre di entrambi è l’idea che l’arte può proficuamente produrre  gadget.
Dal virtuosismo pop kich e sensuale, passando per un Cristo crocefisso senza croce, dal volto opposto a chi guarda, luminoso e sospeso sui colori lividi di un ulteriore deserto dove sosta un pensoso donchisciottesco cavaliere, si approda a visioni sempre più rarefatte. La figura umana si fa miniatura e si allontana nella prepotenza del deserto ormai dilagante (Paesaggio con fanciulla che salta alla corda, 1936), per poi sfumare, assimilarsi al paesaggio, o scomparire del tutto in scenari dal gusto astratto e fantascientifico (Il cammino dell’enigma, 1981).
Di stanza in stanza, qua e là, alcuni video raccontano Dalì, i baffi come griffe, il personaggio, l’uomo e l’artista, attraverso servizi d’epoca, interviste sue e su di lui, ambienti e performances. Si documenta anche il suo rapporto con il cinema, ammirato perché la macchina da presa non rappresenta solo le cose in sé, ma le può trasformare con creativa immaginazione fotografica. Si ritrova la collaborazione con Luis Buñuel -Un cane andaluso (1929)e L’età dell’oro (1930), esempi del modo in cui Dalì riporta nel mondo reale l’immaginario dei sogni e il mondo dell’inconscio, ora per spiazzare lo spettatore ora per corrodere i pilastri del vivere sociale- e con Alfred Hitchcock per rendere le scene oniriche di Io ti salverò (1945). In seguito completerà solo un altro film, Impresiones de Mongolia Superior (1975), il racconto di una spedizione organizzata per cercare, guarda caso, degli strani ed enormi funghi allucinogeni.
E proprio nel segno del cinema si conclude la mostra nell’ultima stanza dedicata a Destino, un’idea di cartone animatonata nel 1945 dal connubio tra due opposti, Walt Disney e Dalì: uno americanamente sostenitore di ferree regole morali e l’altro artisticamente eccentrico e senza limiti, amante dei soldi e dell’audacia. Un’unione fra arti diverse: da un lato la tela o la carta -paradossalmente questa parte classica tocca a Dalì- e dall’altra il supporto video, destinato a evolversi dall’analogico al digitale. Il progetto si interrompe per la crisi economica della guerra, disegni e bozzetti restano inutilizzati fino al 1999, quando il nipote Disney, Roy Edward, lavorando alla realizzazione di Fantasia 2000, li recupera, completando il lavoro con gli animatori degli studios Disney di Parigi, aiutati nella decifrazione dei criptici storyboard anche dai diari scritti dalla moglie di Dalì, Gala: il risultato (2003) mescola elementi di animazione tradizionale e ritocchi apportati con la computer grafica. Si racconta una storia d’amore in stile Disney, il viaggio di una ballerina che, cercando l’amore, vaga per paesaggi inquietanti e desertici -repertorio dei quadri fin qui ammirati in esposizione- entra nel mondo dei sogni, partecipa del delirio surrealista, si perde e si fonde con l’amato, «come se il pennello del pittore catalano avesse inghiottito entrambi per dare pieno spazio al mondo di simboli e metafore che caratterizzano il suo genio artistico sempre al limite della ragione», mentre la suggestione delle immagini, che scivolano e trasmutano una sull’altra, è accompagnata dalla voce di Dora Luz, interprete dell’omonima canzone del compositore messicano Armando Dominguez.
Walt Disney diceva: «Tutto inizia con un sogno: credici e potrai realizzarlo» e, forse, in questa chiave dalla prospettiva spiccatamente individualistica si può riassumere anche la mostra di Dalì. Chi non l’avrà vista, potrà almeno ritrovarne traccia in Destino, recuperabile su Youtube o nell’edizione blu-ray di Fantasia-Fantasia 2000.

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

 
LA LOGICA DEL GRIGIO
Dario Beruto
Ci accompagna in tutti i settori della nostra ventura umana. Esiste anche quando l’attrazione esercitata su di noi da un certo obiettivo e/o persona è più grande delle nostre resistenze, diventa paralizzante quando l’ostacolo ci supera. Chi si interessa di evoluzione delle popolazioni umane osserva che tale dubbio non è il residuo di paure ancestrali, ma può essere uno dei meccanismi con cui lavorano i nostri neuroni. Se è così non solo è grigia l’esperienza del mondo che facciamo, ma anche gli occhiali che ogni osservatore utilizza per vederla hanno lenti grigie.
Gli anglosassoni chiamano questa situazione fuzzy, un termine che in italiano alla lettera significa coperto di pelo, sfumato, indistinto; in francese flou e in spagnolo borroso
Il lettore che desidera informarsi sul potenziale innovativo della logica fuzzy può leggere la recente traduzione italiana, pubblicata nel 2010 dalla Baldini Castoldi Dalai editore, del libro di Bart Kosko Il fuzzy pensiero.
Anche nel campo della fede la logica del grigio apre nuovi spazi di riflessione. Nei confronti dell’esistenza o non esistenza di una realtà invisibile, oltre questa che stiamo vivendo, gli atteggiamenti degli uomini sono atei, agnostici o credenti. Tra questi solo gli atteggiamenti agnostici si possono considerare elementi fuzzy, perché essi appartengono in una certa misura a insiemi diversi. Ognuno di noi è ateo e credente nello stesso tempo: il dubbio è strutturale con la condizione umana, con i nostri percorsi mentali razionali ed emotivi. Si può parlare di fede, ma in modo approssimato, così come si può negarla, ma in modo approssimato. Gli atei al 100%, come i credenti al 100%, sono casi limite del mondo fuzzy. Ma allora, come mai il mondo reale non è costituito in prevalenza da agnostici? Forse il mondo reale non è il mondo fuzzy? Il mondo fuzzy perde il suo significato quando i suoi elementi raggiungono lo stato di maggioranza? Può esistere solo all’interno del microcosmo?
Si tratta di interrogativi complessi che possono far prendere alla nostra mente percorsi astratti e comprensibili, talvolta, solo a chi li fa. Si tratta di domande che la nostra mente può affrontare solo tenendo i piedi per terra. Ma che cosa è questa àncora che ci garantisce di avere un’esistenza feconda senza comprendere a pieno e completamente la nostra vita?
Non può essere il dubbio, ma deve essere una certezza, un fatto reale, come la testimonianza che diamo e riceviamo da e verso gli altri uomini e verso la natura. Questa testimonianza è la sola via di comunicazione possibile per trasmettere la fede di tipo religioso nella vita, quella di tipo ateo e quella di tipo agnostico.
La fede è dunque essa stessa un campo grigio in cui alcuni si muovono con passo lento e grave, altri vi viaggiano più liberi e solo pochi giullari di dio lo considerano come una sala da ballo ove si può ballare nudi con un partner su cui non ci sono prove che esista o che non esista.
Se si potesse scattare, con macchine che colgono le varie tonalità di grigio, una serie di fotografie agli abitanti di questo campo grigio a tempi diversi, il confronto di queste immagini forse metterebbe in evidenza che ciò che definiamo come ateo, credente e agnostico non sono categorie immutabili. Esse dipendono dal tempo e dallo spazio che vive colui che fa l’esperienza di fede, ma la cui possibilità, ossia probabilità di accadere, è sempre conseguenza di un sì fondamentale alla vita e di un no altrettanto fondamentale che rifiuta il nichilismo
Hans Küng conclude il suo ultimo lavoro, Ciò in cui credo (presentato in Notam 357 del 13 settembre 2010 da Mariella Canaletti), con: «spero ciò che credo». In questa posizione c’è tutta la tensione di un uomo che desidera che la sua speranza sia comprensibile alla sua ragione.
da Il Gallo, n. 709, febbraio 2011
 
 
QUALE FAMIGLIA?
Franca Colombo
Ogni anno la liturgia ci ripropone la festa della famiglia. Ma quale famiglia? Guardiamoci attorno: famiglie regolari o famiglie di fatto? Famiglie spezzate, divise, ricomposte. Famiglie monogenitoriali e pluriparentali, famiglie miste, bianche e nere, cattoliche e musulmane, omo e eterosessuali. Decisamente superato il modello monolitico borghese dell’’800, dobbiamo fare i conti oggi con una molteplicità di modelli familiari che si sfiorano, si incrociano e si sovrappongono. Nei raduni delle recenti feste natalizie molti gruppi familiari credo abbiano verificato queste contaminazioni. Gli anziani scuotono la testa e i bambini si muovono con curiosità in questo caos relazionale: «Laura è la moglie o la compagna dello zio Riccardo? Maria è la figlia della zia Rosy o del suo nuovo marito?»
Crescono con la percezione che la famiglia può essere allargata e provvisoria e anche quando non lo sperimentano direttamente avvertono un senso di precarietà nei legami familiari trasmesso dai compagni o dai media. A otto anni Carolina domanda: «Se il papà lavora fuori città così spesso, vuol dire che sta per separarsi?» e Giovanni impara presto a sfruttare la situazione di debolezza dei genitori separati: «Se vuole che vada da lui, deve comprarmi la macchina elettrica».
Il nostro papa Benedetto attribuisce la colpa di tutto ciò al laicismo dilagante, alla educazione sessuale nelle scuole, alla assenza dei simboli religiosi nei luoghi pubblici: ma allora oggi chi festeggiamo? Festeggiamo un nucleo ideale, esemplare, come la Chiesa ha sempre presentato la famiglia di Nazareth, che sembra una specie protetta in estinzione o festeggiamo la vera famiglia del falegname palestinese non molto diversa da quella macedonia di culture e di ruoli che sta dilagando a macchia d’olio nel nostro paese? 
La maternità irregolare di Maria, ragazza madre minorenne, la generosità di un uomo che accetta un figlio non suo, la nascita in una casa senza porte che crea comunanza con persone senza fissa dimora, come erano i pastori, la contaminazione con personaggi di altre culture, razza e religione, come i Magi, il viaggio migratorio in terra straniera. Tutti aspetti che possiamo ritrovare nelle nostre famiglie allargate. Per non parlare della contestazione dell’adolescente dodicenne che si stacca dalla famiglia, infliggendo sofferenza ai genitori, nella difficile ricerca della sua identità. Ma quando ritroviamo questo figlio, vent’anni dopo, che rifiuta di identificarsi come figlio del falegname, o come il cugino o il fratello di, e si oppone all’interferenza della madre nelle sue decisioni di adulto, capiamo che questo ragazzo, cresciuto in un contesto familiare allargato e contaminato da altre culture non è un bamboccione incapace di responsabilità.
E allora festeggiamola questa famiglia, invochiamo la benedizione del Signore perché riesca a portare a maturità i suoi figli nonostante la frantumazione delle relazioni interne e la moltiplicazione delle relazioni esterne, nonostante la forza centrifuga esercitata da tutto ciò che giunge dal cyberspazio. Festeggiamo questi raduni allargati: forse stanno proponendo un modello familiare nuovo, dove non contano tanto i legami di sangue quanto la comunione di ideali e la scoperta di una fede per cui valga la pena di dare la vita.
Il Gallo da leggere                                                   u.b.  
È uscito Il Gallo di febbraio!
®       Nella sezione religiosa, fra l’altro:
    Jean-Pierre Jossua continua la sua originale presentazione dell’esperienza cristiana con considerazioni sulla sofferenza e sui criteri di lettura della Bibbia da parte del credente;
    Giovanni Rizzi, a proposito della luce nel prologo del vangelo di Giovanni, motiva la nuova traduzione: «le tenebre non l’hanno vinta» in sostituzione della tradizionale «accolta»;
    Isa e Gianfranco Monaca presentano la figura di Ernesto Buonaiuti (1881-1946) e ne illustrano la visione della chiesa che gli sembra avere incautamente affidato «il proprio destino ad una causa di conservazione che le dovrebbe essere per definizione estranea»;
    Bruno Segre, attraverso originali riferimenti biblici, svolge una riflessione laica sul valore religioso dell’ecologia.
®       Nella sezione attualità e comunicazione:
    Vito Capano delinea un’economia possibile fondata sullo sviluppo armonico della società, e quindi degli individui, e non sulla sopraffazione;
    Dario Beruto presenta e definisce il fuzzy pensiero, che riconosce l’importanza del grigio nella conoscenza scientifica e anche negli atteggiamenti di fede e di agnosticismo; 
    Maria Rosa Zerega discute gli strumenti di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali politici ai diversi livelli, mettendone in luce anche le possibili forzature e i rischi di svuotamento;
    Luigi Ghia conclude il diario del suo viaggio in Messico, con esperienze ed emozioni coinvolgenti. 
®       Le pagine centrali, accompagnate come sempre dalla sobria introduzione di Germano Beringheli, presentano un’antologia di testimonianze di sofferenze con o senza speranza.
nel deserto                                                            m.z.
LA NOSTRA LETTURA DEL LIBRO DEI NUMERI - cap. 10,12 - 13,33
«Il secondo anno, il secondo mese, il venti del mese» le tribù sono ancora peregrine nel deserto, sotto la guida di Mosè. Il Signore è sempre con loro: una nube sta sopra di loro durante il giorno, costantemente, per proteggerli.
Molto accade nei capitoli qui citati: altre popolazioni si uniscono alle tribù e «sono prese da bramosia». Anche gli Israeliti prendono a lamentarsi: rimpiangono «la carne, i pesci, i cocomeri, i meloni, i porri, le cipolle, l'aglio» che ricevevano gratuitamente in Egitto. Nel deserto hanno solo la manna, che cade ogni notte con la rugiada, per farne, il giorno seguente, delle focacce. Questo scontento suscita lo sdegno del Signore e la reazione di Mosè, che gli rinfaccia di essere stato caricato di troppa responsabilità e fatica. Gli Israeliti non sono figli suoi e la pressione che Mosè sente su di sé è tale, da fargli invocare la morte. Il Signore lo ascolta: gli offre di condividere questo peso con «settanta uomini tra gli anziani di Israele» e promette carne fino a che gli Israeliti non ne potranno più. Manda quaglie in grandissima quantità, suscitando l’ingordigia di molti, che lì ne muoiono. L’invidia è nel cuore di Aronne e Maria, che vengono puniti dal Signore, il quale ribadisce una volta in più che è Mosè il suo interlocutore per Israele. Accampatesi le tribù nel deserto di Paran, il Signore dà ordine a Mosè di inviare esploratori nella terra di Canaan, che sta per dare agli Israeliti. Al loro ritorno gli Israeliti apprendono che la terra è fertile, vi scorre latte e miele, ma il popolo che la abita è potente e possente, e le città fortificate. Altri dissensi si manifestano, questa volta tra coloro che vogliono comunque conquistare con la forza questa terra meravigliosa e gli esploratori mandati a vederne le condizioni e gli abitanti che rientrano spaventati dalla potenza militare e difensiva di quello che hanno visto.
L’andamento della storia è mantenuto lento, con molte elencazioni, ripetizioni, scansioni e dà spazio alla riflessione. La presenza del Signore è costante e le sue indicazioni sono dettagliate. Il rapporto Mosè-Signore è costantemente espresso nei dettagli e dimostra sempre sia la sua solidità che l’affetto del Signore per il suo interlocutore. Il lento respiro del testo è forse, ai nostri occhi, ripetitivo e pedante. Emerge l’umanità di questo non-ancora-popolo, che rimpiange il cibo avuto gratuitamente in schiavitù, dà segni di insofferenza, si sgretola in fazioni. I suoi rappresentanti più nobili e visibili, Mosé, Aronne, Maria, mostrano la loro umana debolezza: Mosè la manifesta al Signore, che gli dà l’aiuto richiesto; Aronne e Maria la vivono tra loro, ottenendone un risultato sterile. Nihil sub sole novum verrebbe da dire.
Le osservazioni e i commenti scaturiti hanno toccato molti aspetti; sembravano perdersi e, a volte, disorientarsi nel respiro ampio lasciato dal testo, forse difficile da godere e sperimentare pienamente, per le nostre abitudini concitate e televisive:
        È stato più facile far uscire il popolo dall’Egitto che l’Egitto dal popolo. Pare che, sotto il sole e in tutti i tempi, gli aspetti facili del nostro vissuto siano più affascinanti della sostanza che sta dietro alla fatica.
        Il Signore guida l’operato degli uomini, ma vuole una guida terrena per arrivare a loro. E le tribù, nomadi nel deserto e quasi alla deriva, hanno bisogno del Signore. Quanto è attuale questa visione? Che cosa è legittimo chiedere al Signore? Di che cosa si occupa e che cosa tocca a noi?
        Che cosa significa l’espressione «Dio è presente»? È una realtà o una metafora? Se è una realtà, quanto e che cosa possiamo o dobbiamo aspettarci da lui? Se è metafora, di che cosa?
        Il Signore del Primo Testamento interviene pesantemente nel quotidiano, con istruzioni dettagliate e sanzioni. Come possiamo vivere questo Dio, alla luce del messaggio di Gesù? Il Dio di Gesù ci accompagna e ci lascia più liberi; la sanzione ce la diamo noi stessi, ma anche Dio, è scritto, sanzionerà nel giudizio finale.
        Appare un’evoluzione dell’idea di Dio, che muta con le circostanze, la storia, la vita. È allora una simbologia della mente o una realtà? È una realtà dai molti volti; a noi appare sempre quello più coerente con il nostro vissuto.
La grandezza del tema, gli ampi spazi di riflessione e di interpretazione e la peculiarità di questo libro, attribuito a una redazione sacerdotale molti secoli dopo gli accadimenti narrati, ha suscitato reazioni multiple. Tra queste, il desiderio di più persone di ricordare che quanto narrato nella Sacra Scrittura non deve essere preso alla lettera e trova maggiore comprensibilità una lettura nel solco della cosiddetta teologia narrativa, cioè un racconto in cui cogliere sensi teologici. Il filo rosso è dato dal tipo di relazione uomo-dio, da come è vissuta la partecipazione del Signore alla vita dell’uomo, da come l’uomo vive la sua relazione con Dio. Nel racconto emerge che anche il più eroico non può agire in assoluta solitudine e autarchia. Tra le reazioni, è stato anche lanciato un grido di dolore sull’inadeguatezza delle nostre riflessioni. A conferma che il nostro pensare sulla Sacra Scrittura è solo un balbettio.

 
È disponibile il QUADERNO 7 di Notam
MALE COLPA PECCATO
convegno di Montebello 5-6 giugno 2010
Il gruppo del Gallo di Genova e Quelli di Notam di Milano si interrogano su diversi aspetti della realtà del male nell’esperienza dell’uomo nell’ordine esistenziale, psicologico, giuridico e religioso.
Interventi di
Fioretta Mandelli, Francesco Ghia, Vito Capano, Angelo Roncari,
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso

 
segni di speranza                                                                     s.f.  
SE NON VEDETE SEGNI E PRODIGI, VOI NON CREDETE
Giovanni, 4, 46-54
Da sempre l’uomo ha ritenuto di vedere all’opera forze sovrumane negli eventi che non sapeva spiegare con le sue conoscenze. Oggi la scienza ha compreso meglio i confini della natura e quindi ha ridotto il campo dei fenomeni che possono cadere fuori delle sue leggi, ma l’uomo non ha cessato di pensare a una forza trascendente onnipotente verso la quale poter alzare lo sguardo in ogni circostanza di emergenza e bisogno di aiuto. 
Solo in tempi vicini a noi la secolarizzazione, come chiamiamo quel grande movimento di pensiero che ha richiamato l’uomo a distaccarsi dall’universo religioso per il suo vivere quotidiano, ha suggerito all’uomo di sentirsi autonomo e responsabile nei confronti del mondo e della storia e al cristiano di non contare su di un Dio sostitutivo che lo esoneri dalle difficoltà della vita. In questo percorso di liberazione l’uomo ha trovato naturalmente la resistenza di un pensiero più conservatore che prospetta per lui un Dio immanente, arbitro onnipotente delle vicende degli uomini e del mondo. Il Dio che irrompe nella storia del mondo con Gesù Cristo è, invece, ormai lo sappiamo bene, solo il Dio silente del nascondimento e della croce che non si manifesta con prodigi e segni straordinari. Tuttavia senza questi segni per i primi che lo hanno incontrato, e talvolta anche per noi, è stato ed è difficile credere alla Sua presenza e cura per noi, quasi che preferissimo un Dio onnipotente, seduto su un trono, di cui saremmo disposti ad essere sudditi.
Forse vorremmo essere confermati, e confortati, da guarigioni, prodigi, apparizioni e sconvolgimenti straordinari perché spesso l’autonomia non ci piace, ci fa sentire soli; adulti sì, ma abbandonati. Ma la tomba era vuota; dobbiamo accettare questo cammino di liberazione con fiducia nel Signore che ha promesso di esserci vicino fino alla fine dei tempi, in un cammino di libertà e di verità. Forse solo dopo questa maturazione potremo incontrare gli altri uomini, le altre razze e riconoscerci coinvolti in una unica processione, un fluire nel tempo, vivendo in armonia e solidarietà.
Sappiamo che la potenza creatrice che ha generato l’universo è sempre attiva e l’evoluzione e il completamento dell’opera originaria iniziale è ancora in corso; si concretizza con l’apporto di tutti attraverso lo scambio reciproco delle nostre potenzialità. Non possiamo sapere quale possa essere la forma finale di questa evoluzione, ma supponiamo che l’assetto finale dovrebbe essere caratterizzato dall’armonia, la giustizia, l’uguaglianza, la pace fra gli uomini: un assetto che ora non sappiamo definire e chiamiamo forse salvezza.
Quinta domenica ambrosiana dopo l’Epifania
schede per leggere                                             m.c.   
Dopo il successo del romanzoCon le peggiori intenzioni, uscito nel 2005 (v. Notam 240), Alessandro Piperno ha pubblicato un nuovo testo dal titolo Persecuzione (Mondadori 2010, pagg. 416, euro 20,00), a cui seguirà un secondo, seguito della storia raccontata. La pausa di qualche anno che lo scrittore ha dichiarato essere stata di riflessione, e revisione del suo modo di scrivere, mi è sembrata una buona premessa per riprendere in mano un autore che, nonostante critiche molto favorevoli, non mi aveva del tutto entusiasmato.
Il racconto, che si muove nell’ambiente ebraico romano, si incentra sulle vicende di Leo Pontecorvo, illustre oncologo infantile noto per i trattamenti terapeutici di avanguardia adottati nel suo reparto ospedaliero. Sposato felicemente e padre di due figli, viene preso di mira da una inchiesta della Guardia di finanza, e perseguito in seguito anche per una accusa di molestie sessuali e stupro nei confronti della fidanzatina minorenne di un figlio. Annientato da quanto gli sta accadendo, frutto della sua superficialità caratteriale, si rifugia nel sotterraneo della sua villa, evita rapporti con chiunque, compresa la famiglia; non riesce a spiegare convincentemente la assoluta falsità delle accuse neppure all’amico avvocato che ne assume la difesa. Tutto finirà tragicamente.
La storia, quasi kafkiana, è avvincente, e resa comprensibile nel suo sviluppo dai rinvii al passato: l’educazione, gli studi, la classe sociale, che saranno influenti sulle persone, e determinanti nelle scelte di ognuno. Profonda è l’analisi dei rapporti, delle debolezze nascoste dalla solida posizione sociale, della fragilità di un carattere non temprato dalle avversità. In una prospettiva lontana, il protagonista sembra rispecchiare quella tragica inerzia che ha caratterizzato molti ebrei di fronte alle criminali decisioni del nazismo e del fascismo. 
La briscola in cinque (Sellerio 2007, pagg. 163, euro 8,00), Il gioco delle tre carte (Sellerio 2008, pagg, 208, euro 9,60) e Il re dei giochi (Sellerio 2010, pagg 192, euro 11,05) sono i tre testi che un giovane scrittore toscano, Marco Malvaldi, offre al pubblico appassionato gialli; in un mercato già abbastanza saturo, questi libri si distinguono però per il carattere leggero, a volte giocoso, senza quegli aspetti di truculenza e orrore che sembrano sempre più diventare di moda.
Ambientati a Pineta, un immaginario paesino vicino a Livorno, alcuni simpatici vecchietti quotidianamente si riuniscono per giocare, a carte o a biliardo, nel BarLume; proprietario dell’esercizio è il giovane Massimo, studioso di chimica, che ha preferito la gestione di un bar alla ricerca scientifica. Al suo intuito, sollecitato dalle discussioni interminabili che avvengono ai tavoli da gioco, dalla curiosità di un asilo senile scoppiettante di fantasiose ipotesi, sarà dovuta la soluzione dei casi delittuosi che avvengono nel circondario.
Si tratta di tre racconti che divertono, fanno sorridere, mentre ci parlano di un ambiente non ancora contaminato dagli stereotipi televisivi; e non mancano, qua e là, pesanti frecciate a questa società in progressivo disfacimento.        
la cartella dei pretesti 
Nessuno negli ultimi tre anni ha mai pensato a un museodedicato alla storia del Paese: ha sicuramente pesato la presenza della Lega e del suo anti-italianismo paranoico. Ma ha contato molto di più il provincialismo, la scarsa immaginazione e la pochezza culturale non dell’elettorato di destra, ma della stragrande maggioranza della classe politica, la sua mancanza di spessore e di visione, il timore di suscitare il sospetto di nostalgie imbarazzanti. […] Basterebbe che ci fosse un potere politico capace di pensare a queste cose. In grado di capire che per avere un avvenire un Paese ha anche bisogno di riconoscersi in un passato.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, Il grande museo Italia, Style, gen-feb 2011.
Quando in un paese si affermano leader che non dispongono delle qualità del comando, la prima responsabilità è delle élites che li hanno fatti emergere e non dei cittadini che li hanno votati.
SERGIO FABBRINI, citato in Il leader forte ringrazia le élite, Il sole 24 ore domenica, 16 gennaio 2011.
Che importa se Berlusconi mostra di ambire a una immoralità tutta pagana basata su una scienza onnipotente e un’illimitata forza del denaro? Che importa se si aggira disinvolto fra minorenni e prostitute? L’importante, come sostengono contriti gli esponenti del suo governo targati -Comunione e Liberazione-, è che prende i provvedimenti giusti: impedire pari diritti alle coppie di fatto, ad esempio, ostacolare l’adozione della pillola abortiva RU-486, evitar che la scure della legge finanziaria si abbatta sulle scuole cattoliche. Ecco perché alla vigilia del 14 dicembre abbiamo visto il cardinale Bertone offrire il suo plateale appoggio al Berlusconi pericolante, con una foto degna della peggiore alleanza tra Trono e Altare.
ANTONIO GIBELLI, La politica della Chiesa e Berlusconi. Strappi e timori del salto nel vuoto, Corriere della sera, 30 gennaio 2011.
Hanno siglato le rubriche: 
Ugo Basso, Sandro Fazi, Mariella Canaletti, Margherita Zanol
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
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L’invio del prossimo numero 368 è previsto per LUNEDÌ 21 febbraio 2011


Marted́ 08 Febbraio,2011 Ore: 14:54
 
 
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