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Notam

3 gennaio 2011 - S. Genoveffa - Anno XIX - n. 365


Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 3 gennaio 2011 - S. Genoveffa - Anno XIX - n. 365
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Aldo Badini
Nella rappresentazione dei media il 2010 si chiude, come accade ogni anno a fine dicembre, in una insistita ridondanza di cronache sul tempo atmosferico, quasi a voler sanare con la perenne certezza che d'inverno nevica e fa freddo, la dolorosa percezione di un tempo storico che si aggroviglia in mille strade e ci confonde e stordisce con l'immenso rumore di fondo delle sue mille vite. Del resto l'occuparsi di cronaca, non importa se di 15 giorni o di 15 secoli, ha sempre in sé qualcosa di insanabile, perché chi ne fa oggetto di riflessione deve scegliere, con il suo silenzio o la sua parola, tra la memoria dei fatti e l'oblio, tra la loro conservazione in un supplemento di vita, sia pure effimera e virtuale, e la definitiva cancellazione.
Naturalmente nel grande numero di notizie che i mezzi di informazione ci comunicano ogni giorno, la quasi totalità merita una pronta rimozione, perché non è di nessun vantaggio alla qualità della vita e alla sanità mentale la conservazione del-l'incessante e inconcludente chiacchiericcio della nostra classe politica, dei suoi scandali veri o presunti, dell'avvilente mercato di deputati che Leonardo Sciascia non avrebbe esitato a collocare sul gradino dei «quaquaraquà», ultimo dei cinque in cui un suo personaggio suddivideva gli esseri umani.
Si può opporre che al mondo succede di peggio, che l'accanimento contro la dissidenza politica sortisce altrove effetti ben più devastanti del fango mediatico impiegato oggi da noi, e che la persecuzione sistematica delle minoranze religiose è infinitamente più grave dell'uso distorto dell'autorevolezza male impiegata di qualche ecclesiastico nostrano. Ma anche in questi casi la memoria, benché necessaria e doverosa quando deve reggere l'indignazione, non conforta e non sana.
Consola, invece, rammentare altri fatti: per esempio la sensibilità e l'equilibrio del cardinale Tettamanzi nei confronti dei Rom, attento a coniugare le ragioni dell'assistenza con il rispetto della legalità, proprio nei giorni in cui il Comune di Milano sullo stesso scomodo argomento ha dato prova di singolare insipienza e disprezzo dei patti; oppure gli auguri di Natale, con la citazione coranica di Gesù e di Maria, inviati dalla comunità islamica di Brescia a rappresentanti politici, istituzioni e concittadini; o ancora l'emersione, dopo anni di silenzio, di una trascurata questione giovanile nell'Europa dei vecchi.
È stato infine bello e doveroso il ricordo di Tommaso Padoa-Schioppa e di Enzo Bearzot, morti a breve distanza. Uomini che hanno ricoperto con successo incarichi di responsabilità in ambiti diversi, conservando rigore morale, dignità e profondo rispetto per le istituzioni che hanno servito. Credo che l'immagine del tecnico friulano sulle spalle dei giocatori della Nazionale la sera del trionfo di Madrid, accostata alla fotografia della bara portata dai suoi ragazzi ventotto anni dopo, sia efficace testimonianza di quell'Italia migliore, concreta e riservata, che si merita il ricordo sempre, anche nel momento ultimo.
in questo numero                              
E. Giribaldi LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE PER METTERE IN RIGA LA MAGI-STRATURA uG. Chiaffarino INTORNO A UNA PURA FOLLIA uS, Fazi CONSIDERAZIO-NI SUL PACIFISMO u NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE u M. Canaletti CONCITA È BRAVA, E ANCHE BELLA u visto in TV F. Colombo E SE DOMANI u cose di chiese e di religioni P. Colombo CHIESA E MIGRANTI u sottovento g.c. u Il Gallo da leggere u.b. u nel deserto m.z. LA NOSTRA LETTURA DEL LIBRO DEI NUMERI  cap. 6,1-10,11 u segni di speranza s.f.u schede per leggere m.c. u la cartella dei pretesti
LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
PER METTERE IN RIGA LA MAGISTRATURA
Emilio Giribaldi
A volte (anzi sempre) ritornano. Come qualche pessimista aveva pronosticato, l’aspi-rante autocrate dato innumerevoli volte per spacciato politicamente ha invece riattizzato il fuoco fumoso della campagna elettorale permanente in mezzo al quale, ormai da più di quindici anni, ha costretto a vivere questo Paese (peraltro ancora, come pare, con soddisfazione di molti sempre pronti all’applauso).
Rifiuti della Campania e dintorni che, promette, spariranno in quindici giorni (sotto il tappeto, con totale disprezzo dei mai affrontati problemi dello smaltimento differenziato, a soddisfazione delle mafie sempre operanti). Comunque sono ancora lì e crescono.
Quali saranno gli sviluppi della politica italiana in continua evoluzione nessuno, crediamo, è in grado di dirlo, anche se il pessimismo appare d’obbligo, visto anche che i problemi veri e gravissimi quali la situazione economica, finanziaria e monetaria, la disoccupazione, l’esaurimento delle risorse, il degrado del tessuto produttivo, l’inquinamento e altro ancora sono praticamente ignorati nel delirio personalistico-propagandistico.
Corre tuttavia l’obbligo, per chi ha una certa esperienza della materia, tornare sul tema della giustizia, anche a costo di accuse di ripetizioni. Perché, come abbiamo sentito recentissimamente, l’egoarca e i suoi vassalli e valvassori ripropongono per l’ennesima volta il progetto della grande riforma, anche se il giorno dopo lo rinviano a fiducia ottenuta. È necessario che i cittadini sappiano e ricordino che tale progetto, nelle intenzioni dei promotori e per quello che è dato capire dalle formulazioni concrete anche se spesso fumose o contraddittorie, non è affatto diretto a eliminare o almeno correggere i veri mali dell’amministrazione della giustizia, che sono parecchi e complessi e già segnalati, ma sistematicamente e significativamente ignorati dai riformatori, bensì mira a un unico scopo: sottomettere la magistratura al potere esecutivo con tutte le conseguenze prevedibili e previste, in primis l’impunità di politici, finanzieri d’assalto, falsificatori di bilanci pubblici e privati, affaristi, mafiosi organici, corruttori e corrotti.
Il ministro di giustizia mente quando proclama che il progetto escluderebbe qualsiasi sottoposizione diretta o indiretta del pubblico ministero al potere esecutivo: la smentita espressa dell’esclusione viene proprio dal presidente del consiglio quando costui promette a ripetizione di voler mettere in riga i magistrati associati per delinquere; e la sempre sbandierata separazione tra pubblici ministeri e giudici, l’istituzione di due distinti consigli superiori per le due categorie con prevalenza dei componenti di elezione politica, le promesse di giri di vite al regime delle intercettazioni, la sottrazione della polizia giudiziaria alla direzione della magistratura (articolo 109 della Costituzione: «l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria»), sono soltanto alcuni esempi che consentono pochissimi dubbi sulle reali intenzioni dei riformatori. Suona poi come una presa in giro l’affermazione che, comunque, la magistratura giudicante resterebbe esclusa dal controllo politico e governativo: in primo luogo un consiglio superiore affollato di politici costituirebbe già di per sé una chiara violazione del principio di autonomia e di indipendenza; e in secondo luogo è evidente che i giudicanti verrebbero investiti soltanto dei procedimenti autorizzati dai superiori dei pubblici ministeri, che hanno la funzione di promuovere l’azione penale (in altri termini, i processi sgraditi in alto loco si possono bloccare all’origine). Si noti che l’effetto cui mirano i riformatori può essere ottenuto sottoponendo al controllo politico anche solo gli alti gradi del pubblico ministero e gerarchizzando la struttura sottostante.
La cosiddetta separazione delle carriere, tanto enfatizzata da chi vi ha interessi non limpidi oppure da teorici forse in buona fede, ma viventi nel mondo della luna e reclamizzata quale rimedio infallibile contro le fantasiose preferenze della magistratura giudicante verso quella requirente a danno dei difensori, è in realtà soltanto un grimaldello per forzare l’articolo 104 della Costituzione: «La magistratura» -tutta la magistratura- «costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Per di più, l’auspicata separazione tende ad annullare un utilissimo sistema di scambio di scienza, esperienze e prospettive tra giudici e pubblici ministeri, la cosiddetta cultura della giurisdizione: tutti coloro i quali, come chi scrive, hanno svolto entrambe le funzioni hanno avuto modo di giovarsene grandemente nel loro lavoro diretto per fare, nei limiti del possibile, almeno un poco di giustizia sostanziale.
Il governo del fare, insomma, si rivela anche qui il governo del disfare, in primis a danno della Costituzione della Repubblica. I cittadini che hanno a cuore la democrazia sono chiamati a resistere, resistere, resistere con ogni mezzo lecito.      
INTORNO A UNA PURA FOLLIA
Giorgio Chiaffarino
Cambieranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra. (Is. 2; 4)
È bello cominciare un nuovo anno con un pensiero alla pace, e non solo a quella escatologica di Isaia, ma anche portando un piccolo sasso alla sua costruzione nel nostro oggi. Non è davvero un caso che la testata di questi foglietti da tempo ricordi sempre a tutti i colori della pace. È una riflessione a cui non dobbiamo mai dimenticare di tornare.
Il nostro paese vive un momento di seria crisi economica, molti indicatori ci dicono che riprenderemo il normale cammino (forse!) nel 2015, mentre altri paesi vicini a noi, i nostri compagni dell'Ue, lo faranno già prima e qualcuno persino il prossimo anno. Ecco perché non ci sono risorse, nemmeno quelle fondamentali per la scuola, la ricerca, l'università, ma nemmeno quelle per il mondo produttivo, il lavoro, i giovani, il volontariato… Non è mai stata così univoca la reazione: non solo le opposizioni e i sindacati, ma addirittura la Confindustria… Solo due settori sono intoccabili: la politica, che non ha perso un centesimo (dove è finita l'abolizione delle province? La riduzione dei deputati? La modifica del Senato?) e, quello che è ancora più scandaloso, le spese militari!
Per il nostro paese, che sopporta un pesante ridimensionamento della sua posizione sul piano internazionale e l'italiano esce dalle lingue ufficiali dei nuovi progetti europei, un ragionevole senso comune dovrebbe indurre al basso profilo, scelta peraltro più che dignitosa, in attesa che, guarite le ferite e un poco rimpannucciati, si possa nuovamente rialzare la testa.
Niente di tutto questo sta accadendo. L'Italia che non ha i 12 miliardi per ricostruire l'Abruzzo (come dice Maroni) di miliardi si impegna a spenderne 15 per 131 cacciabombardieri F35 adatti al trasporto di ordigni nucleari (notoriamente armi di difesa, necessarie a missioni di pace!). Chi se ne intende dice che circa metà saranno a decollo verticale e così sembra che ci doteremo anche di una nuova portaerei, perché dovremo ben metterli da qualche parte, no?
La contropartita -forse- di 600 operai assunti a termine e il trasferimento di qualche migliaio di tecnici è ben lontana dai 10.000 posti di lavoro a suo tempo immaginati per addolcire i politici locali a Novara (perché presso Cameri dovrebbe avvenire l'assemblaggio di quelle macchine).
È mondiale la straordinaria crisi economica (paragonata da molti a quella del 1929!) che ha costretto tutti a pesanti restrizioni e tanti paesi hanno sospeso o ridotto la partecipazione a questo costoso progetto (es. Norvegia, Canada, Danimarca, Olanda, Gran Bretagna). Non noi, che insistiamo sul progetto originario non perché siamo i migliori, ma, molto probabilmente, perché (anche a non credere a WikiLeaks) siamo i più morbidi ai desiderata d'oltre oceano.
Ma come conciliare queste scelte con l'art. 11 della nostra Costituzione?
Chiunque dotato di senso comune, come direbbe il nostro Giulio Vaggi, dovrebbe, dovrà opporsi con tutti i mezzi di cui dispone a una simile follia. Ed è bello che anche la chiesa locale, e prima di tutti il suo vescovo mons. Corti, si sia espressa chiaramente contro questa enormità. Poi qualche riflessione sul potere sconfinato dei militari andrà pur fatta se -almeno alle origini- il progetto ha avuto benedizioni, come si dice, bipartisan.
In chiusura la ciliegina: la conclusione di questo programma è prevista per il 2026. Bene: una fonte americana prevede che alla fine la spesa conclusiva potrebbe superare di 4/5 volte quella inizialmente preventivata. Facciamo due conti?
 
 
CONSIDERAZIONI SUL PACIFISMO
Sandro Fazi
Occasionalmente, e sempre quando accade qualche disgrazia alle nostre missioni militari, capita di sentire nuovamente parlare di pacifismo. Forse vale la pena di riprendere, anche se molto velocemente come nel nostro stile, vecchi discorsi su questo argomento. Pacifismo è una parola che ha molte accezioni, ma in questa occasione vorrei riferirmi essenzialmente al ripudio della guerra. Amante della pace credo sia chiunque ritenga di gestire i rapporti umani senza violenza e rifiuti in generale ogni forma di sopraffazione effettuata con la forza. Di questo pacifismo mi sembra superfluo parlare perché non c’è nessuno, credo, che non consideri incivile la prevaricazione violenta dei diritti altrui.
In merito, invece, al rifiuto della guerra, il discorso è assai meno condiviso. Inizierei rifacendomi alle parole del presidente Napolitano nel discorso del 4 novembre 2010: «Nessun paese libero e democratico può sottrarsi al dovere di contribuire alla stabilità e alla sicurezza della comunità internazionale» (Sole 24 ore, 5/11/2010). Personalmente condivido integralmente le parole e i principi di questa affermazione. Per una, forse inutile, esemplificazione direi che altrimenti assumeremmo il comportamento di quelli che, in occasione di un pestaggio o disgrazia in luogo pubblico, si limitano a evitare il corpo di chi è rimasto a terra e continuano per la loro strada, perché non è affare loro. Le missioni devono evidentemente avere in modo non equivoco un carattere difensivo e di aiuto a chi ha subito violenza.
Emblematico il caso del nostro intervento nel Kossovo, dove non solo i diritti ma anche la vita della popolazione di etnia albanese erano in mano a una banda di assassini serbi, il famoso Milosevich e suoi generali, che si sono fermati solo davanti a una consistente forza di interposizione messa in campo dalla Nato, con la nostra opportuna partecipazione, non secondaria. I casi di questo tipo sono numerosi; non includono naturalmente l’inter-vento scellerato in Iraq, dove un gruppo di imbecilli disonesti, guidati da quel Bush jr. cui si è aggregato tra gli altri il nostro Capo del Governo, miserevole pavone, ci ha trascinati in una guerra sanguinosissima e inutile per i fini dichiarati: esportare democrazia.
Gli esempi potrebbero essere numerosi, naturalmente con valutazioni tutt'altro che univoche, ma credo che dovremmo essere tutti d’accordo sul criterio generale di essere tenuti a cooperare al rispetto della giustizia e al mantenimento della stabilità, in tutte le aree del mondo, proprio come derivato della nostra maturazione civile e umana. Nessuno può sfuggire lasciando ad altri il compito di sporcarsi le mani. Dobbiamo quindi attrezzarci adeguatamente, sia culturalmente che materialmente, accettando anche le conseguenti spese per quanto spiacevoli. La consistenza e la natura di queste spese non possono che essere lasciate agli esperti, vigilando che questi siano effettivamente degli esperti e che operino con onestà e trasparenza. Molte critiche a questo proposito mi sono sembrate talvolta non sufficientemente documentate e appropriate. Comunque questo aspetto esula naturalmente dal pacifismo per avere piuttosto a che fare con i criteri di un buon governo.
Si afferma spesso anche che interventi militari non sono compatibili con la nostra costituzione. A questa considerazione risponde bene Giuliano Amato in un articolo sul Sole 24 ore del 17 ottobre dove ricorda che la Costituzione, all’art.11, dice: «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», principio peraltro in linea con la Carta delle Nazioni Unite che nel 1945, alla fine della guerra sanguinosissima, impegnava gli stati membri a risolvere le loro controversie con mezzi pacifici e a usare le armi solo per difendersi da una aggressione, lasciando all’intervento collettivo la difesa dalle minacce e il ristabilimento della pace. Non quindi rinuncia alla guerra punto e basta secondo la costituzione, ma ammettendola solo entro limiti ben definiti e vincolanti. Su questi criteri e su questa forma di pacifismo mi sembra che dovremmo facilmente concordare.
 
 
NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE
Sappiamo che in questa santa sede stessa da molti anni vi furono molte abominazioni: abusi nelle cose spirituali, trasgressioni di comandamenti.
Tutto è divenuto corruzione. Così non è sorprendente che il male si sia trasmesso dal capo alle membra, dal papa ai prelati. Noi tutti, prelati e chierici, abbiamo deviato dal retto cammino e da molto nessuno fa più il bene. Per questo occorre che tutti rendiamo onore a Dio e che ci umiliamo dinanzi a lui […] Noi intendiamo usare ogni diligenza perché sia emendata innanzi tutto la corte romana da cui forse tutti questi mali hanno preso l’avvio; da qui allora avrà inizio il risanamento e il rinnovamento, come da qui ha avuto origine l’infermità […] per rendere alla Santa Chiesa, la Sposa del Signore, la sua originaria bellezza; per prestare assistenza agli oppressi, per elevare ai ranghi superiori uomini saggi e virtuosi; insomma per fare tutto ciò che conviene a un buon pastore e a un vero successore di san Pietro. […]
Nessuno deve meravigliarsi se noi non eliminiamo tutti gli abusi in una volta. La malattia è infatti profondamente radicata e multiforme…                                         Adriano VI
 
(Adriano di Utrecht, figlio di un falegname, professore di teologia a Lovanio, papa dal 1522 al 1523 col nome di Adriano VI)
 
CONCITA È BRAVA, E ANCHE BELLA!
Mariella Canaletti
Prendo spunto dalle considerazioni di Margherita sulle donne (v. Notam 364), per aggiungere qualche osservazione e cercare di chiarire a me stessa e ad altri perché non le condivido fino in fondo.
Personalmente ho vissuto il periodo femminista con un certo distacco, forse perché provenivo da una classe liceale di 40 donne, tutte molto intelligenti e preparate, in cui non si soffrivano complessi di inferiorità; né all’università ho pensato di essere inferiore all’uomo in quanto tale (solo ad alcuni, ma con ragione!), e all’educazione tipicamente borghese della mia famiglia ho dato ben presto qualche violenta spallata. Così, dopo un breve periodo di desolante lavoro in una banca che relegava le donne al solo ruolo di dattilografa, ho cercato rifugio in un ente pubblico, dove le discriminazioni non sono, per legge, di genere, quanto piuttosto di carattere politico. Per queste ragioni, forse, ho guardato con un sorriso poco partecipe i cortei femminili che rivendicavano la «proprietà e la gestione dell’utero».
Non voglio però qui giudicare il valore di un movimento che è stato sicuramente fondamentale, e ha dato luogo, come è stato detto, alla rivoluzione più importante del secolo. Voglio soltanto dire che non ho rimpianti per quei tempi, mentre valuto le bellezze tutte uguali che popolano oggi i nostri schermi televisivi, e hanno invaso persino le aule parlamentari, con una preoccupazione più vasta, per un degrado che investe la nostra società tutta intera, uomini e donne. Nel suo delizioso libretto Allegro ma non troppo Carlo M. Cipolla sostiene che la percentuale degli stupidi è uguale in tutte le categorie: ci sono donne che si fanno comprare e scelgono la via breve per diventare ricche e famose; ci sono anche molti uomini che lo fanno, in un generale squallore.
Se però ci guardiamo intorno, vediamo presenti sulla scena donne di grandissimo prestigio, alcune anziane, altre giovani: presidenti di grandi società, brave giornaliste, direttrici (o direttori?) di giornali di importanza nazionale; senza citare il settore pubblico, dove, per esempio in magistratura, la presenza femminile, unanimemente rispettata, è quasi pari a quella maschile.
Ma torno ai miei incontri personali: osservo le coppie che costituiscono buona parte del nostro gruppo, nato oltre trent’anni fa con finalità di studio e di ricerca; guardo antiche amicizie, e altre più recentemente acquisite, e vedo donne serie, impegnate, brave madri e brave professioniste, oltre che compagne senza ruoli precostituiti. Sono forse eccezioni? Non credo, e penso anche che i valori, trasmessi a figli, femmine e maschi, rimarranno come cosa indelebile, né potrà essere dispersa.
Osservo anche l’ambiente della prestigiosa Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, che da qualche anno frequento come uditrice: qui gli insegnanti, biblisti e teologi di chiara fama, sono sempre stati in prevalenza uomini, spesso sacerdoti ovviamente di sesso maschile; fra questi, però, spiccano oggi due giovani donne, davvero brave, intelligenti, preparate, e anche belle, con una speciale dote di empatia che aiuta a capire e studiare con entusiasmo. E allora la conquista della pari dignità della donna con l’uomo mi sembra un cammino sì lento, ma inarrestabile e irreversibile. E sono personalmente convinta che oggi le donne più degli uomini studiano, scrivono, leggono, sono più duttili e sanno meglio coltivare l’impegno per una società meno violenta.
Ben venga, in ogni caso, per tener salda la bandiera sul terreno conquistato, l’indigna-zione di Margherita; ben vengano le iniziative di riaffermazione e rafforzamento del ruolo che le donne hanno avuto, hanno, e avranno nella società futura. Il mio punto di vista è solo di chi vuol vivere, per quanto mi è concesso, di speranza, perché, senza questa, vana mi sembrerebbe ogni fede. 
 

 
È disponibile il QUADERNO 7 di Notam
MALE COLPA PECCATO
convegno di Montebello 5-6 giugno 2010
Il gruppo del Gallo di Genova e Quelli di Notam di Milano si interrogano su diversi aspetti della realtà del male nell’esperienza dell’uomo nell’ordine esistenziale, psicologico, giuridico e religioso.
Interventi di
Fioretta Mandelli, Francesco Ghia, Vito Capano, Angelo Roncari,
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso

 
 visto in TV
E SE DOMANI
Franca Colombo
Un programma di divulgazione scientifica di buon livello da tenere d’occhio. Una trasmissione che ci aiuta a immaginare il nostro futuro, senza paure e un presentatore, Alex Zanardi, che appare come il paradigma emblematico di un interesse reale per lo sviluppo futuro della scienza. Passato dalla adrenalina della formula 1 alla immobilità totale per la perdita di entrambe le gambe, compare ora sul video sorridente, sicuro di sé, padrone della scena e delle protesi che lo tengono in piedi, riesce a trasmettere fiducia   e curiosità verso il futuro della ricerca e della tecnologia. Un debito di riconoscenza verso quelle applicazioni che gli hanno permesso di rinascere a una vita totalmente nuova e diversa da prima.
Questo è forse ciò che distingue la trasmissione da altre di tipo scientifico. Si parla di scienza qui, ma non dalla parte di chi vuole insegnare bensì di chi vuole esplorare e capire. Non si presentano risultati certi ma percorsi di ricerca. Non ci sono soloni che pontificano e il presentatore stesso non sale in cattedra: non si vergogna a dire che è soltanto un geometra, fa solo domande, semplici, come potrebbe fare ciascuno di noi. E i vari personaggi del mondo scientifico, da lui interpellati, si limitano a risposte brevi, mirate, senza alcuno sfoggio di competenze ridondanti. Gli approfondimenti vengono affidati piuttosto ai filmati. Ci accorgiamo così che all’interno di ogni discorso innovativo, la trasmissione mantiene il focus sull’uomo di oggi.
Per esempio, il tema della fecondazione assistita viene presentato con tutta la gamma delle soluzioni artificiali possibili, ma viene completato con le immagini di una nota ballerina, felice con due bambini adottati. La città del futuro, presentata con le sue innumerevoli prospettive fantascientifiche, di materiali e di organizzazione dello spazio, viene ridisegnata dal grande architetto che vede l’uomo radicato sulla terra. quindi sulla pietra e sul legno. E impariamo anche che un grande scrittore-poeta come Erri de Luca, si arrampica sulle montagne non per sfidare le cime con tecnologie sempre più sofisticate, bensì per staccarsi dalla banalità di ciò che si lascia dietro.
Purtroppo la trasmissione è giunta alla sua ultima puntata, ma ci sembra utile ricordarla come parametro della funzione della tv di stato che può formare e informare, senza bisogno di urlare o di creare ad arte contrapposizioni. Può istruire senza premiare con somme di denaro sproporzionate certo nozionismo elementare e banale. Può suggerire un modello di un’altra televisione possibile. i.

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

cose di chiese e di religioni
CHIESA E MIGRANTI
Piero Colombo
In pochi hanno creduto che solo il raggiungimento dell’età pensionabile come diplomatico vaticano sia la ragione delle improvvise dimissioni dell’arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti, dopo le sue audaci e ferme critiche contro i recenti provvedimenti dei governi italiano e francese in tema di clandestinità. Interessante, quindi, ripercorrere l’analisi dei complessi problemi nel suo saggio Chiesa e migranti. La mia battaglia per una sola famiglia umana (La Scuola, Brescia, 2010, pag.158, € 9.50). Qui l’ex Segretario traccia un’esatta tipologia delle varie categorie di popolazione che abbandonano il loro paese per i più svariati motivi, facendoci capire la differenza tra regolari, irregolari, rifugiati, richiedenti asilo, zingari rom e sinti e le problematiche sottese alle rispettive condizioni. Vengono pure denunciati i pericoli che questa massa di persone può incontrare, quali diventare vittime del traffico di droga o della tratta di esseri umani, in una sorta di vero e proprio contrabbando. Si leva forte la voce del Pontificio Consiglio (ahimè, non della Segreteria di Stato, che riduce queste prese di posizione a «vedute personali» del segretario Marchetto) contro quelle che sono innegabili discriminazioni sugli individui più deboli, non solo in Italia ma anche altrove.
È importante conoscere la situazione di milioni di persone che migrano nel mondo, per prendere coscienza di un fenomeno inarrestabile, che ci coinvolge come credenti («…eravate stranieri in terra d’Egitto») e ci obbliga a non disinteressarci del problema (la difesa dello straniero, della vedova, dei minori, evocata nel Deuteronomio) e a prendere posizione contro quel senso diffuso di razzismo, che traspare da tante dichiarazioni di politici o dall’azione di nuclei di cittadini, desiderosi di una pseudo sicurezza che li porta a gesti primitivi e violenti.
Il libro di mons. Marchetto ci offre questa possibilità di conoscenza, di azione, di condivisione, attraverso la collaborazione con le varie associazioni che si occupano di migranti.
sottovento                                                             g.c.  
Ma cosa deve ancora succedere? - L'amico Enrico Peyretti lancia un segnale grave, pesante, che rappresenta bene un condivisibile sentire in queste giornate. Più la realtà svela lo sfacelo morale, politico e programmatico, in realtà stranoto da tempo anche a chi, senza interessi personali in gioco e senza precomprensioni ideologiche, getta uno sguardo sullo stato del nostro paese, più appaiono incomprensibili certi interventi dei vertici della chiesa che è in Italia. Scrive Enrico:
Sento, insistente, fra i cattolici seri e pensosi, non più disagio ma ripugnanza per queste ripetute prese di posizione di una gerarchia insensata a favore del governo Berlusconi. Non si tratta di destra o sinistra: si tratta di un governo che è fuori da tutte le parti: fuori dalla Costituzione, fuori dalla giustizia verso i più poveri (tanto all'interno quanto fra i migranti in cerca di vita respinti in mano a dittatori e predoni), fuori dalla legalità, fuori dalla parola veritiera e onesta, fuori dalla minima onestà civile. Cosa vedono e cosa vogliono questi gerarchi di una organizzazione ecclesiastica fine a se stessa, con ogni mezzo? Con quale responsabilità parlano? Con quale conoscenza della realtà? Con quale coscienza dei primari valori umani e civili? Ma sanno a chi vendono la chiesa?
Fin qui Peyretti.
Dire con apprezzamento e consenso che il popolo italiano, dopo questa vergognosa compravendita di uomini e di voti, ha scelto la stabilità, come avrebbe fatto il card. Bagnasco, è oltretutto accettare come ineluttabile una smodata stagnazione che ci porterà fuori dalla crisi economica, forse, nel 1915 (ma quasi tutti gli altri paesi europei se la caveranno prima di noi). E da qui ad allora? Sappiamo chi pagherà questo conto, certo la povera gente, non i poteri e gli interessi stabiliti, ovviamente nemmeno quelli della chiesa. Ma è giusto? Abbiamo sentito parole di fuoco dalla Confindustria, dai sindacati, dai precari di tutte le categorie. Solo la chiesa non si accorge della realtà?
Questo non è credibile. Sappiamo bene che esiste, per nostra fortuna e nostro conforto, una sorta di moderna chiesa confessante, di cui bisognerebbe approfondire l'esistenza (però senza danneggiarla, vista l'aria che tira!), che si fonda sul Vangelo e sul Concilio, che purtroppo ha una molteplice, bella ma flebile voce, perché tutti i grandi mezzi di comunicazione sono contingentati con una formula che meglio si adatterebbe a una dittatura, altro che chiesa comunione. Sparare preventivamente a vista contro il tentativo di organizzare una destra europea, civile, legalista, come fa il direttore di Avvenire, senza attendere l'analisi dei programmi e delle prospettive, costituisce un inaccettabile processo alle intenzioni. Figuriamoci cosa devono aspettarsi i cattolici adulti che militano altrove!
Gli evangelisti concordi ci lasciano una frase micidiale di nostro Signore: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!».
Il Gallo da leggere                                                   u.b.  
È uscito Il Gallo di gennaio!
®       Nella sezione religiosa, fra l’altro:
    Jean-Pierre Jossua continua la sua originale presentazione dell’esperienza cristiana percorrendone fondamenti e prassi;
    Isabella Guanzini propone un’analisi originale e poetica della speranza, capace di cambiare la vita dell’uomo e riferimento per la stessa fede;
    Carlo Carozzo riflette sul pensiero del teologo valdese Paolo Ricca intorno al male e all’eutanasia;
    Silviano Fiorato ricorda Adriana Zarri nelle sue frequentazioni del Gallo.
®       Nella sezione attualità e comunicazione:
    una riflessione dei Galli sulla realtà insopprimibile della violenza e una possibile educazione alla pace;
    Dario Beruto riconosce la necessità del dubbio nella ricerca teologica e scientifica per evitare assolutismi e integralismi;
    Marco Canani illustra il Globish, che si sta ponendo empiricamente come lingua universale, discutendone pregi e pericoli;
    Maria Rosa Zerega sostiene la campagna per l’assegnazione del premio Nobel per la pace alle donne africane.
®       Le pagine centrali, accompagnate come sempre dalla sobria introduzione diGermano Beringheli, sono dedicate a testi del poeta pittore Leonardo Rosa.
nel deserto                                                            m.z.
LA NOSTRA LETTURA DEL LIBRO DEI NUMERIcap. 6,1 - 10,11
«Il Signore disse ancora a Mosè». Questa frase ricorre con costanza, quasi con pedanteria. Il Signore, attraverso Mosè e Aronne segnala alle Tribù di Israele la sua presenza forte e intensa. Detta le regole: del nazireato (la consacrazione a Dio), dell’offerta alla Dimora -«Prendila da loro (le tribù di Israele)… e assegnala ai leviti, a ciascuno secondo il suo servizio»-, della celebrazione della Pasqua, del segnale da usare per l’adu-nata dei capi tribù -«Fatti due trombe d’argento … lavorate a martello e ti serviranno per convocare la comunità e per levare l’accampamento»-; per mettersi in cammino, per acclamare il Signore, prima di andare alla guerra contro il nemico. Dà indicazioni per purificarsi dalle trasgressioni, entra in dettagli, che appaiono inquietanti ai giorni nostri; dettagli da Grande Fratello, che ci troverebbero insofferenti e soffocati.
Questo libro, scritto secoli dopo gli accadimenti narrati, ha, per gli Ebrei di quei tempi, ma forse anche per noi, un alto contenuto simbolico. Quasi ogni parola rimanda alla storia passata. I riti sono descritti in dettaglio. La dedicazione dei leviti a Dio è ribadita usando le stesse parole dei capitoli precedenti. Numeri sembra dire in ogni momento che esiste un legame forte tra Israele e Dio, il quale, attraverso Mosè, indica le azioni da intraprendere, i comportamenti da cambiare, mantenere o evitare.
I temi che maggiormente hanno suscitato riflessione e commenti sono stati:
    Il rito: rappresenta la parte visibile di un patto forte, che esiste tra l’uomo e il Signore. Può essere visto come uno strumento indicato da Dio, al quale l’uomo si uniforma per creare e mantenere la relazione; oppure come la parte che l’uomo ha costruito e costi-tuito per mettersi in relazione con Dio.
    Il reciproco ascolto: nel dialogo tra il Signore e gli Israeliti c’è una forte tensione. Quello che il Signore chiede, gli Israeliti fanno con impegno e rigore. Quello che viene fatto da Israele, viene apprezzato da Dio.
    L’impegno del Signore: Israele non è ancora un popolo, ma sono dodici tribù, e il Signore partecipa da subito al piano di costituzione del popolo. Per usare un linguaggio di oggi, ci mette la faccia.
    E oggi? Quale stimolo può nascere da questa lettura? Molte sono le questioni sorte, che sono state evidenziate e, in modo abbozzato, dibattute.
    L’importanza del deserto. Le tribù di Israele hanno vissuto nel deserto, prima di insediarsi nella Terra e diventare popolo. In quegli anni sono maturate le loro convinzioni, sono emerse le loro debolezze, è aumentata la loro consapevolezza; si è consolidato il patto con Dio. Non si arriva al Signore se non attraverso il deserto. È stato notato da qualcuno che questo libro, così poco ricco di frasi forti e accadimenti epici, ci consente di riflettere meglio su noi e il mistero. Lascia spazio al cuore e alla mente.
    Il legame con il secondo Testamento. Gesù non è venuto per cambiare la legge: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure una iota o un segno senza che tutto sia compiuto» (Mt 5,17). Anche il sacerdozio? Quale sacerdozio darà compimento alla parola di Gesù? Come vivere l’insofferenza e a volte il dolore di tanti cristiani verso il potere attuale della Chiesa, i silenzi della gerarchia, il suo potere temporale?
    Il rito: può aiutare a immergerci nella relazione con Dio; per questo può essere importante. Non deve però essere il fine. «Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità» (Gv. 4,24).
    Il Sacro: può essere distruttivo della libertà dell’uomo, se non viene gestito in modo appropriato. L’amore in questo è cardinale. Non va dimenticato che Dio è Amore. Non è mai spietato; lo sono, eventualmente, le storie che gli uomini raccontano. Vorrei qui riportare la benedizione del cap. 6: «Ti benedica il Signore e ti protegga./Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio./Il Signore rivolga su di te il suo volto/e ti conceda pace».
    Il Sacro non deve essere una leva per possedere le coscienze, che devono crescere, alimentarsi ed esprimersi nella libertà.
    Il Pastore: gli uomini hanno bisogno del pastore e il pastore è nella Chiesa. Il ruolo, necessario, va però reinterpretato sui bisogni di oggi. Che sacerdozio e che Chiesa voleva Gesù?
    Il rigore: la nostra amica Giulia Vaggi è stata molto citata su questo punto. Il suo desiderio di chiarezza e rispetto è nel cuore e nella mente di tutti coloro che l’hanno conosciuta. Il rigore sta nella forma, che è, in realtà sostanza, se ci aiuta a trasmettere le nostre convinzioni e ad accogliere quanto ci viene offerto.
segni di speranza                                                                     s.f.  
«OGGI SI È ADEMPIUTA QUESTA SCRITTURA PER VOI CHE MI ASCOLTATE»
Luca 4,14-22
Forse è la prima autorivelazione di Gesù di Nazareth: lo Spirito del Signore è su di me. Porto un annuncio: gli oppressi e i prigionieri saranno liberati, i ciechi acquisteranno la vista; il regno di Dio è già incominciato. Annuncia un regno di liberazione dal male, non la fine del male; i ciechi, i poveri e gli oppressi sono ancora tra noi, ma non saranno più soli, saranno accompagnati da un Dio che ha vissuto la loro vita, ha scelto l’ultimo posto, accettato le umiliazioni, la sofferenza, la condanna, proprio come accade a loro. Può nascere allora una speranza perché Dio ha aiutato l’uomo a liberarsi dall’orgoglio e dalla durezza del cuore e gli ha dato pace, anche se nella sofferenza, e questa potrà essere accettata. Vengono in mente quelle immagini di bambini, generalmente africani, ma non solo, straccioni e affamati, ma sempre sorridenti e gioiosi, forse sereni. Un po’ di solidarietà e di presenza è sufficiente a dare loro conforto e sollievo. Questo è forse lo spazio della nostra responsabilità.
Tuttavia «venne tra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto»; e non potevano accoglierlo. Aspettavano da lungo tempo un liberatore, un trono, una potenza, e si sono trovati un uomo su un’asina, senza fissa dimora, senza seguito, con un’origine misteriosa e ambigua e un parlare non sempre comprensibile. Non l’hanno riconosciuto e lo hanno ucciso. La verità delle sue parole si può conoscere solo con il cuore: se siamo disposti ad ascoltare, passa per vie ineffabili e segrete. Un percorso che chiede silenzio e onestà, si manifesta nella coerenza della vita. Uno stile duro, talvolta incompatibile con la nostra natura umana.
Come fidarsi, perché? Solo gli esempi di quelli che ci hanno preceduto e che hanno vissuto credendo possono dimostrarci che «ne vale la pena», il titolo che Silvia Pettiti ha dato a un interessante saggio su Arturo Paoli, recentemente pubblicato dalle edizioni San Paolo. I santi forse non li conosciamo, ma queste figure non si possono dimenticare.
Domenica ambrosiana dopo l’ottava di Natale
schede per leggere                                             m.c.   
Solar (Einaudi 2010, pagg. 339, euro 20,00) è l’ultimo libro di Ian McEwan, uno dei più importanti scrittori inglesi contemporanei, di cui più volte si è parlato su Notam (v. nn. 267, 269, 310). La sua scrittura, semplice e incisiva, rivela in ogni scritto una profonda conoscenza dell’umano sentire, capace di portare alla luce ciò che si cela nei più reconditi spazi dell’anima; il suo narrare, velato sempre da un radicale pessimismo, ha una vasta gamma espressiva, capace di passare, da serie analisi e osservazioni, a toni di esilarante comicità.
Protagonista della storia è Michael Beard che, dopo aver conseguito il premio Nobel per la fisica, non ha più nulla da dire di nuovo se non gestire la posizione di potere acquisita; calvo, basso, grasso, ma molto amato dalle donne nonostante l’aspetto, è la quintessenza dei vizi capitali, gola e lussuria in particolare. Tutto ciò, nell’arco di nove anni, lo porterà a tradire mogli, amanti e amici, a impossessarsi del progetto di un giovane allievo per una energia pulita prodotta dalla trasformazione dell’acqua con pannelli solari, fino alla costruzione nel deserto del Messico di un mega-impianto che dovrebbe servire a salvare il mondo. Alla fine, verranno tutti i nodi al pettine?
Attraverso questo personaggio sgradevole, a volte penoso o insopportabile, McEwan, con il suo inconfondibile stile, vuole stigmatizzare l’avidità, l’egoismo e l’insensatezza che rende gli uomini indifferenti al degrado della terra, e alle disastrose conseguenze del processo di riscaldamento del pianeta. Come sempre, la documentazione scientifica è molto accurata, anche se la difficoltà del linguaggio tecnico rende a tratti faticosa la lettura di un testo intrigante, e spesso veramente divertente. 
 
la cartella dei pretesti 
Quel bambino non è venuto a fondare una nuova religione,di cui non c’era proprio bisogno perché ce n’erano già forse troppe. È venuto a cambiare la vita, cosa ben più importante di ogni Chiesa. Indubbiamente la promessa di pace, annunciata in quella notte, è stata e continua a essere clamorosamente smentita. È difficile dire se, in questo senso, quel neonato abbia finora vinto o perso la sua partita. Ma è indubbio che egli abbia posto per sempre, nel nostro cuore, nella nostra mente, nelle nostre vene, l’esigenza insopprimibile di quella salvezza.
CLAUDIO MAGRIS, Poveri nomadi, stranieri il Natale di Gesù è l’oggi, Corriere della sera, 24 dicembre 2010.
Di cittadini del mondo autorevoli, colti, poliglotti e di prestigio indiscusso l’Italia non ne ha tantissimi. Forse perché di un padre dell’euro di un civil servant che ragiona con la propria testa non sappiamo che farne? Questa amara considerazione si aggiunge al dolore per la scomparsa di un grande europeista  e di un grande italiano, diventato straniero in una patria da lui molto amata.
FERRUCCIO DE BORTOLI, Padoa-Schioppa straniero in patria, Corriere della sera, 20 dicembre 2010.
I cardinali italiani recentemente creati hanno dato scandalo. Avevano appena giurato di esaltare, di nobilitare la Chiesa, e già sedevano a pranzo con l’attuale presidente del Consiglio, una figura indegna, nella dimensione privata come in quella pubblica.
ARTURO PAOLI (intervista a Bruno Quaranta), Tuttolibri La stampa, 23 dicembre 2010.
Vorrei poi osservare, in termini più generali,che quando si chiama in causa la morale non per scopi autenticamente morali ma per motivi diversi, ad esempio politici, si cade facilmente nel moralismo, che è a sua volta una forma di immoralità, negativa anzitutto per chi la pratica.
CAMILLO RUINI, Repubblica 20 novembre 2010.
L’uso del crocefisso come bandiera,o come simbolo di una cultura per distinguerla dalle altre, se compiuto dai credenti, costituirebbe una violazione del primo comandamento biblico: «Non usare il nome di Dio invano». Se è compiuto dallo Stato laico, vedo in esso un’appropriazione indebita. E chiedo che esso cessi al più presto: per rispetto dei cristiani prima ancora che dei non cristiani.
PIETRO ICHINO, intervento al Senato il 4 novembre 2009.
Solo la speranza riesce a creare i suoi varchinello spessore dei mondi, per farci respirare e vedere un po’ meglio, fra gli spiragli che la sua piccola fiamma –vacillante e ansiosa– sempre rigenera, perché lo spessore dei mondi e dei tempi non si richiuda del tutto.
ISABELLA GUANZINI, La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza, Il Gallo, gennaio 2011.
Hanno siglato le rubriche: 
Ugo Basso, Giorgio Chiaffarino, Sandro Fazi, Mariella Canaletti, Margherita Zanol
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
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del 3 gennaio 2011 - S. Genoveffa - Anno XIX - n. 365


 

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Marted́ 04 Gennaio,2011 Ore: 15:47
 
 
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