- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (279) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Notam,

Notam

20 dicembre 2010 - S. Macario - Anno XVIII - n. 364


Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 20 dicembre 2010 - S. Macario - Anno XVIII - n. 364
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Ugo Basso
Cerco con la torcia elettrica nel mappamondo qualche buona notizia: l’assenza alla cerimonia di assegnazione del Nobel per la pace del premiato dissidente cinese Liu Xiaobo -«premio osceno» è stato definito nella sua patria- è certo una pessima notizia, ma il lancio mediatico ha riproposto ad alta voce, sia pur per poche ore, il problema dei diritti umani in Cina. Obama ha commentato: «Lo merita più di me» e fa ripensare allo stile del personaggio che realizzerà solo una parte modesta del suo ambizioso programma, che non ha portato la pace nel mondo deludendo molti moderati e radicali, come dimostrano le elezioni di middle term, ma che continua a rappresentare un modello originale e interessante sullo scenario politico mondiale. Il vertice di Cancun sull’ambiente non è stato un successo, ma neppure un fallimento come i precedenti: sarà perché in quelli si attendeva un risultato, mentre in questo ci si è andati rassegnati? E le imbarazzanti rivelazioni di Wikileaks, frutto di una piratesca indiscrezione planetaria, denunciano la fragilità delle istituzioni e dei singoli, ma ripropongono il problema della trasparenza nella politica. E fino a quando dovremo relegare nell’utopia il rilancio dell’onu come autorità sovranazionale, essenziale in un mondo globalizzato, dove i vari g20 continuano a dimostrare la loro inefficacia per un mondo più cooperativo?
In Italia ci gingilliamo fra escort, compravendite di parlamentari senza idee e posti di potere assegnati per meriti sessuali, ridiamo (?) alle barzellette e alle bestemmie, mentre anche in questi giorni la politica è stata in primissimo piano solo come tifo, estranea ai problemi del paese. Il 14 dicembre, come prevedibile, la fiducia di minoranza ha salvato il governo, mentre la sfiducia della gente riempie le strade, dagli studenti ai ricercatori, dagli operai agli operatori in attività culturali. Forse il peggio ha ancora da venire: non è difficile prevedere che continueremo con l’inattività del governo e del parlamento (forse meglio che certa attività preannunciata…), continueremo a pensare che «con Dante non si possono fare panini»; esalteremo le amicizie con Gheddafi e Putin e si farà più pesante il controllo dei dirigenti vaticani; continueremo con il diffondersi delle mafie -l’arresto di Antonio Iovine è sicuramente un successo, ma ha poche conseguenze se non si cambiano gli stili dei rapporti fra la politica e le mafie- mentre la corruzione dilaga e l’arroganza dei partiti pretende di sostituirsi ai concorsi previsti dalla costituzione -e la via per Bettino Craxi diventa una bandiera-; continueremo con il diffondere odio razziale e con l’informazione utilizzata dal monarca come strumento per l’indolore lavaggio dei cervelli di massa. E non è affatto detto che si evitino le elezioni anticipate con la legge folle che nega la corrispondenza fra la volontà degli elettori e la rappresentanza eletta.
Eppure in questo sfasciume siamo ancora tanti -anche fra i preti e perfino qualche vescovo-, a reagire alle delusioni e credere che valga la pena essere persone per bene, pensare, impegnarsi, preparare comunque un futuro diverso. Forse una volta o l’altra troveremo anche una forza politica a rappresentarci per quello che ci unisce rispettando le diversità. Saranno state maggiori le speranze in quella notte di Augusto quando alla periferia della grande città qualcuno si accorgeva di quell’avvenimento, tanto naturale quanto straordinario, origine della grande festa del nostro Occidente?
in questo numero                             
M. Zanol «TIZIO È BRAVO, CAIO NO, SEMPRONIA È BRUTTA»u cose di chiese e di religioni G. Chiaffarino NON PAURA, NON SCORAGGIAMENTO uM. Mancini                IL MUSEO DEL NOVECENTO IN PIAZZA DEL DUOMO u G. Nava COSÌ UMANO COSÌ DIVINO u film in giro F. Colombo IO SONO CON TE u osservatorio scienza S. Fazi ALTRE NOTIZIE SUL MISTERO DELL’UNIVERSO u visto in TV G. Chiaffarino BRUTTE NUOVE RAI u la buca della posta u sottovento g.c.u segni di speranza s.f. u    schede per leggere m.c. u la cartella dei pretesti
«TIZIO È BRAVO, CAIO NO, SEMPRONIA È BRUTTA»
Margherita Zanol
È cominciato con la mattanza della scorsa estate: donne che lasciavano i loro uomini o si ribellavano alla famiglia e venivano uccise dai loro ex compagni. Erano donne prevalentemente del Nord, cameriere e biologhe, giornaliste e casalinghe, giovanissime e meno giovani. Gli uomini erano poliziotti, disoccupati, impiegati, piccoli imprenditori. Tutti parte di quell’Italia, che incontriamo al supermercato, per strada, nell’ascensore. Qualcuna, è vero, era figlia di culture altre; molte però erano italiane, in relazione con uomini, che spesso dopo aver compiuto la loro vendetta, si suicidavano.
È proseguito con storie di ragazze giovani, che, pur di apparire e sfondare in quello che ai loro occhi era il mondo dello spettacolo, erano disposte a tutto. Non per diventare attrici o cantanti o ballerine o autrici, ma per apparire in TV in qualsiasi programma, più o meno discinte. Le più note a noi, grazie agli articoli dei giornali, erano state ingaggiate da un talent scout per le feste del Presidente del Consiglio; altre hanno dichiarato di essersi offerte a politici di medio livello per 4-500 €, sempre con la stessa speranza.
È culminato con la sostanziale indifferenza di troppi, ai commenti del Presidente del Consiglio sulla non avvenenza di una parlamentare di schieramento opposto e alle sue incredibili e inascoltabili dichiarazioni, in seguito a una inopportuna telefonata per liberare la minorenne Ruby dal dovuto percorso di legge e dal doveroso affidamento a strutture adeguate.
Il disagio che provo, sottopelle da anni, palesemente da un tempo più breve, si esprime con molti stati d’animo: ribellione, insofferenza, frustrazione, senso di sconfitta, stupore.
La mia generazione ha fatto il ‘68, è cresciuta nel movimento femminile, ha letto in gruppo Il secondo sesso, certa che si aprisse un’era nuova per l’altra metà del cielo. Si è battuta e sbattuta per reggere la responsabilità e il ruolo in famiglia e al lavoro. Ha creato famiglie con uomini non sempre disposti ad accettare il cambiamento, stretto i denti per raggiungere i suoi obiettivi. Ha lavorato il doppio, in un mondo quasi sempre comandato al maschile, per essere valutata, quando andava bene, al 70 %. E si trova oggi ad avere generato figlie e nipoti che, quando noi parliamo delle difficoltà con colleghi e capi nell’ambiente di lavoro, ci chiedono: «Ma perché non li seducete?»
Eppure eravamo volitive e sincere, quarant’anni fa, quando scendevamo in piazza, dicendo «La notte ci piace, vogliamo uscire in pace»; studiavamo convinte di dovere dare il meglio di noi nella nostra vita lavorativa; avevamo accettato la sfida. Siamo state la prima generazione di massa con responsabilità di famiglia e lavoro; prima di noi c’erano esempi nobili (ai nostri occhi Simone De Beauvoir per tutte) che riconoscevamo come eccezioni. Ci siamo mosse da sole; i manuali erano per la brava moglie, la brava madre, ma non per noi. Creavamo proposte per noi e per le ragazze che sarebbero venute dopo di noi. Abbiamo retto l’aria di sufficienza di molti, troppi uomini che, se ci arrabbiavamo, ci chiedevano come andava con i nostri fidanzati. Le nostre arrabbiature erano sempre di natura ormonale. Uomini che dicevano: «Tizio è bravo, Caio no, Sempronia è brutta».
Abbiamo portato a termine molti progetti, poche hanno fatto carriera (negli anni novanta le impiegate erano il 48 %, le dirigenti il 4%), abbiamo commesso errori, subito sconfitte, ottenuto vittorie. Credevamo di avere aperto possibilità nuove, ma qualcosa si è rotto in questo processo. Non so quando è cominciato; si è reso molto visibile nell’ultimo decennio, con l’accettazione delle battute pesanti sulle donne, con la protervia di farci rientrare nell’area o serraglio di quelle con cui giocare, non dibattere: Rula Jebreal era la signora abbronzata, Concita De Gregorio Concitina, noi, fuori dalla TV, se discutevamo in qualche riunione, ci sentivamo, non sempre, ma più che talvolta, dire «smettetela di baruffare». E, tra dottori e professori, eravamo spesso la signora.
E noi donne? Abbiamo sostanzialmente accettato. Hanno cominciato le cinquantenni con la chirurgia estetica, che ha ridotto una generazione, soprattutto nelle grandi città, a fotocopie una dell’altra, con labbroni gonfi, seni da Nike di Samotracia o Venere di Milo, guance talvolta da ascesso dentale. Sono comparse le anoressiche da menopausa: non sono accettabili i 4-5 chili che inevitabilmente ci saltano addosso.  E oggi siamo agli interventi di chirurgia estetica, chiesti e dati come regalo per i 18 anni. Dobbiamo avere tutte lo stesso aspetto. Mi avevano detto che l’esigenza di fare parte di un gruppo uniforme e compatto è tipica dell’adolescenza. C’è bisogno di appartenere. Se così è, mi pare che questo sia un’altra conferma di come, in questi decenni, il passaggio della crescita vada da adolescenti ad avvizzite.
Non so se e dove abbiamo sbagliato. Certo, quarant’anni fa, non pensavamo che il modello vincente sarebbe stato quello che oggi è sotto gli occhi di tutti.


cose di chiese e di religioni
NON PAURA, NON SCORAGGIAMENTO
Giorgio Chiaffarino
Qualche riflessione sullo stato di disagio, di smarrimento e di disorientamento nella chiesa cattolica che, visto dalla Germania, è addirittura una «profonda crisi di fiducia». Mentre a Roma spirerebbe una pesante aria di riflusso, anche i recenti scandali sarebbero un portato del modernismo dal quale si dovrebbe uscire come un nuovo esodo pari a quello biblico dall'Egitto, la cattolicità tedesca cerca invece le strade per ripartire da una «situazione di ristagno». Ne dà conto il pregevole settimanale cattolico tedesco Christ in der Gegenwart per la penna del redattore capo, il teologo Johannes Röser, un testo che leggiamo per la traduzione del Forum Teologico della Queriniana, il cui prezioso servizio merita tutto il bene possibile.
Questa volta la domanda di riforma, che il popolo della chiesa da decenni sollecita, è entrata pesantemente nell'Assemblea generale della Conferenza episcopale tedesca a partire proprio dalla relazione iniziale, tenuta dal presidente arcivescovo di Friburgo Robert Zollitsch (un nome che non dovremmo dimenticare…) che ha dato il tono generale all'incontro. Già il titolo del tema è adatto per aprire il cuore dei credenti che contano sul Vangelo e sul Concilio per trovare speranze vitali: Futuro della chiesa - chiesa per il futuro. Difesa di una chiesa pellegrina che ascolta e che serve. Pur nei limiti di nostri fogli, si impone qui almeno una prima sintesi dei lavori.
Se «la fede cristiana è pellegrinaggio», la chiesa che deve vivere nel mondo non può farlo come una straniera, una sedentaria. «La stagnazione sarebbe un tradimento -ha detto mons. Zollitsch- non possiamo aspettare il mondo, che sia lui che deve venire da noi. Piuttosto dobbiamo essere noi che andiamo verso il mondo: incontro all'uomo di oggi». Ha poi richiamato energicamente i colleghi a impegnarsi al massimo per riguadagnare fiducia. «Abbiamo lasciato che si insinuasse il dubbio sulla serietà e la chiarezza del nostro discorso e del nostro agire [dobbiamo] ancora di più imparare a essere una chiesa che sa ascoltare». Ascoltare chi? Che cosa? I cattolici e le loro difficoltà a proposito di certe dottrine della chiesa e indica qui tre problemi: quelli nell'ambito della sessualità umana, il celibato dei preti della chiesa latina, alcune posizioni nei riguardi dell'ecumenismo. E ancora, alcuni rimproverano i vertici della chiesa di vivere in un mondo troppo lontano da quello di vita degli uomini. «Forse dimentichiamo le fonti trascendenti di cui la chiesa vive»: infatti, non deve limitare il suo impegno alla pur necessaria difesa della giustizia e all'organizzazione della pastorale. Così facendo «metterebbe la luce divina sotto il moggio… forse dobbiamo saper cogliere e valorizzare ancora più fortemente l’opportunità e la sfida del dialogo».
A questo punto, che fare? Zollitsch ha coraggiosamente invitato i colleghi a un profondo esame di coscienza: «Il nuovo inizio, che cerchiamo, comincia da noi! Abbiamo bisogno di una profonda autoconsapevolezza, di una presa di coscienza su noi stessi e specialmente su ciò che noi, in quanto vescovi, dobbiamo fare: ognuno nella propria diocesi, nella conferenza episcopale e nella chiesa universale, anche per quanto riguarda l’unione con il nostro Santo Padre». Quindi la comunicazione, l'esigenza di rilanciare il dialogo coinvolgendo a fondo i laici, le associazioni, le strutture diocesane e il comitato centrale dei cattolici tedeschi. A mons. Zollitsch non mancano certo il coraggio e la chiarezza anche per ricordare che nel corso degli anni si sono accumulati una enorme inquietudine, un malumore e anzi rabbia sia nel popolo della chiesa sia nel clero: «Perché mai non dovremmo invitare molti a partecipare a questa riflessione con veracità, coraggio e saggezza e cioè i preti, i diaconi, i religiosi e i ‘laici’, che spesso sono degli esperti?».
Nella conferenza episcopale tedesca ci sono naturalmente diverse sensibilità, ma quello che è fondamentale e che lascia ben sperare è che la proposta Zollitsch è stata accettata da tutti: «Si tratta di rivitalizzare la vita ecclesiale» e i vescovi devono responsabilmente intervenire «per la forma, la organizzazione e le conseguenze di questo processo». Queste conseguenze, è evidente, devono coinvolgere la chiesa universale e la chiesa che è in Germania si incarica di sostenerle nei confronti di Roma e davanti al papa. Sappiamo bene che non è la prima volta che questo accade e le resistenze romane sono fortissime. Eppure ripetere giova, soprattutto in modo così autorevole. L'invito è anche per un nuovo equilibrio tra tradizione e orientamento al futuro. La tradizione non è staticità che a un certo momento si blocca, né al Concilio Vaticano primo e neanche al secondo, eppure nella comunione dei credenti concorrono «le diverse preferenze e i desideri intimi».
Ecco l'appello finale della relazione: «Non paura e scoraggiamento, non una fuga in avanti e neppure il sogno di ieri ci devono determinare e animare, bensì la salvezza del mondo: una patria altra, ma appunto una patria in compagnia di colui che rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. La fede cristiana non è assolutamente un residuo del tempo da lungo passato. È una forza che contrassegna il presente. Essa opera per una società a misura di uomo anche in futuro».
Il redattore della rivista definisce elettrizzante la relazione Zollitsch e come non essere d'accordo: in effetti è la prima volta che, a livello così autorevole, una intera chiesa esprime una svolta significativa, specie se, come si propone, coinvolgerà la chiesa universale in quei colloqui che le conferenze episcopali nazionali da tempo auspicano. La via per le decisioni di riforma sarà lunga, ma un primo grande passo è stato fatto, e la nostra speranza riprende a respirare. Amen.
 
 
IL MUSEO DEL NOVECENTO IN PIAZZA DEL DUOMO
Marta Mancini
Da poco ritornata a vivere a Milano, sono stata presa in contropiede da un fuori programma: con la testa piena delle critiche all’amministrazione comunale, sconsolata per l’irritante immobilismo della nostra città, soprattutto in uno spietato confronto con il passato di avanguardia culturale nazionale o con la Torino post-industriale capace di reinventarsi grazie alle energie di giovani sguinzagliati per i quartieri, di certo non mi aspettavo l’apertura di un grande museo in piazza Duomo.
Si tratta di uno di quei grandi progetti che impegnano non pochi euro e di questi tempi stupisce che qualcuno abbia deciso di investirli in cultura piuttosto che in grattacieli, superstrade o ’ndrangheta. Il Museo del Novecento è stato fortissimamente voluto dall’an-tipatico Vittorio Sgarbi prima e dal tecnico Massimo Finazzer Flory poi. A volte volere è potere e dopo decenni di discussioni sterili, quando finalmente la decisione è stata presa, i lavori si sono non solo avviati, ma perfino conclusi, in tre anni, e pure con qualche giorno di anticipo sulla data prevista. A volte gli italiani ci stupiscono, e mi riferisco a quelli del XXI secolo, non a quelli del XIV o XV, perché con Piero Della Francesca e Michelangelo siamo capaci tutti.
Finalmente l’Arengario, un edificio che è sempre stato un po’ scomodo, ammettiamolo, perché retaggio del fascismo, perché stonato rispetto alla monumentalità storica del resto della piazza, perché non si sapeva mai davvero come utilizzarlo, ha un suo senso. Ri-strutturato all’interno secondo i piani degli architetti Italo Rota e Fabio Fornasari, ha mantenuto cenni stilistici agli anni Trenta (alcuni lampadari, per esempio), combinandoli con elementi della nostra epoca; così, attraverso (strette) scale mobili e ascensori, ci si addentra in una carrellata abbastanza rappresentativa dell’arte contemporanea italiana.
Volutamente d’impatto la grande scala elicoidale che parte dal piano interrato della metropolitana (tale ingresso sarà aperto a breve) e conduce fino al bar-ristorante in cima, sorprendendoci a metà salita con una delle opere che da sempre è orgoglio delle raccolte cittadine: Il Quarto Stato di Pelizza Da Volpedo. La scala sarà pubblica, accessibile sempre e gratuitamente da tutti, indipendentemente dalla visita al Museo: evviva!
Dopo un iniziale omaggio alle avanguardie europee con alcune tele di nomi di richiamo, nelle sale si susseguono Futurismo, con opere di Balla e Boccioni che quasi non sembrano vere a forza di essere riprodotte su libri e riviste (Benjamin insegna…), sculture di Arturo Martini, e poi, tra i tanti altri, Morandi, De Chirico, Burri, il Gruppo Azimuth e Manzoni, la divertente e spiazzante arte cinetica e programmata del Gruppo T. Il Museo si conclude con Fabro e l’Arte Povera, incuneati nelle sale rubate a Palazzo Reale e collegate all’Arengario da una passerella con vista sull’esterno.
Lo spazio dedicato a Fontana merita una menzione a parte: man mano che si sale con la scala mobile, lo sguardo viene catturato dapprima dall’etereo soffitto originariamente realizzato per un hotel dell’Isola d’Elba, qui rimontato con una delicatissima operazione, poi dal neon per la Triennale del 1951. Se si arriva quando fuori è buio, l’effetto è assicurato: la suggestiva balconata che si affaccia su piazza Duomo lascia tutti incantati. Sopra al Soffitto dell’Hotel del Golfo a Procchio, tre mesi di calcoli di ingegneri hanno permesso di costruire una stanza sospesa che accoglie i Concetti Spaziali dell’artista dei «tagli».
C’è il rischio di perdersi dei pezzi, dato che le sezioni sono davvero numerose e il percorso, in certi punti, non è chiarissimo, ma un certo disorientamento del visitatore sta quasi bene in un luogo dedicato al contemporaneo. È vero che le didascalie sono spesso posizionate in basso e scritte in dimensioni tali da indurre inevitabili mal di schiena e occhi arrossati a fine percorso, ma, tutto sommato, stavolta Milano fa una bella figura.
 

COSÌ UMANO COSÌ DIVINO
Quando a Prato nel 1456 fu possibile ammirare la Natività del frate Filippo Lippi tutti, senza ombra di dubbio, ravvisarono nel volto bellissimo di Maria quello della monaca Lucrezia Buti e, come se non bastasse, il bimbo celeste era il ritratto del figlio che la monaca diede al cappellano del convento femminile di Santa Margherita, ovvero lo stesso frate Filippo Lippi e lo scandalo, comprensibilmente, fu enorme. La storia di fra Filippo era nota: rimasto orfano in tenera età e allevato da una zia poverissima, era entrato adolescente nel convento di Santa Maria del Carmine a Firenze, dove scoprì e coltivò il suo talento artistico. A cinquant’anni si innamorò perdutamente di Lucrezia, la rapì e dal loro amore nacquero due bimbi. Filippo morì tra le braccia della sua amata dopo che ambedue furono perdonati e sciolti dai voti monastici nel 1461 da papa Pio II –il famoso umanista Enea Silvio Piccolomini-, grazie all’intercessione del potente signore di Firenze, Cosimo de’ Medici.
La storia, che anche oggi occuperebbe le prime pagine dei giornali e tante serate TV, mi pare sia più seria di quanto i benpensanti di ogni epoca possano ritenere, perché dà a pensare intorno alla sincerità e verità della vocazione di Filippo,al sentimento e all’affetto che abita nel cuore di ogni uomo e al mistero di Dio. Sì, proprio di Dio si tratta, di Dio che si fa uomo.
Della vocazione dei due personaggi, per quello che si sa, mi pare ci siano ragionevoli e fondati dubbi e non c’è nulla da aggiungere. Circa l’amore che infiammò Filippo e Lucrezia, perché fu vero amore e non un’avventura, una debolezza, un incidente di percorso… chiamatelo come volete, mi pare che sia da benedire il Signore che ha sigillato nel cuore dell’uomo la sua essenza che, prima o poi, s’impone.
Certo: ci vuole forza e coraggio, che non mancarono a Filippo e Lucrezia. Certo: tutti avremmo preferito che le cose fossero andate diversamente. Ma questa è la storia.
Un canto comunque al mistero di Dio che si fa uomo, un canto per il Natale.
Il nostro Natale è sempre esposto al rischio di essere preda del consumismo, di falsi buoni sentimenti, di abitudini e tradizioni cui manca il cuore dell’uomo (e di Dio). E soprattutto corre il pericolo di dimenticare la realtà di una Nascita da sempre chiacchierata (un giorno scribi e farisei, raccogliendo una voce che girava, rinfacciarono a Gesù di essere un figlio illegittimo -ovvero frutto di una relazione extraconiugale diremmo oggi-Giovanni 8, 41) e da sempre difficile perché umana, troppo umana, verrebbe da dire.
Lasciamoci scuotere da questa storia d’amore che penso riveli come l’unica via, per quanto contorta e dolorosa a volte, per adorare il Figlio di Dio passi attraverso un cuore davvero innamorato che non si spaventa né si turba nel vedere nella propria donna e nel proprio figlio il volto di Maria e quello di Gesù.                                                             Guido Nava
La Natività di Filippo Lippi è esposta fino al prossimo 30 gennaio presso il Museo Diocesano, corso di Porta Ticinese 95, dal martedì alla domenica dalla 10 alle 18.

film in giro
IO SONO CON TE
di Guido Chiesa, Italia 2010, colore, 103 min. 
Franca Colombo
Non ho mai avuto particolare devozione per la Madonna. La figura ieratica trasmessami dalla iconografia tradizionale, avvolta nel manto azzurro, con le mani giunte o con un bambino in braccio, ma non abbracciato, con lo sguardo perso in lontananza e mai rivolto al figlio, mi è sempre sembrata estranea, innaturale. Immagini, pensavo, dipinte da uomini che non conoscono l’emozione di stringere un bimbo al seno. Uomini preoccupati di sottolineare il concetto teologico della creatura fattasi tramite del creatore anziché evidenziare la relazione amorosa tra una mamma e il suo bambino. Poi è arrivato questo film. Guido Chiesa mi ha consegnato finalmente l’immagine di una mamma vera, una donna che stringe forte il suo bambino per sottrarlo ai pericoli, lo guarda con occhio vigile e compiaciuto, lo segue nei suoi tentativi di esplorare il mondo attorno a sé, ma non lo ferma con le sue paure. Una donna forte che si ribella al ruolo subalterno imposto dalla società, si impone al marito con il sorriso e tiene testa alla sapienza degli studiosi venuti da oriente con la saggezza del cuore. Una donna che soffre per la violenza che vede attorno a sé e infrange i tabù popolari, porta un pane e parla con l’inde-moniato impuro. E il figlio la segue e la osserva e quando, fattosi ragazzino, comincia a rilevare certe contraddizioni della Scrittura («Perché Mosè dice non uccidere e poi vengono premiati quelli che uccidono i nemici?») la mamma ammette che la bibbia è scritta da uomini e gli uomini possono sbagliare.
Ma ciò che rende speciale questo personaggio, a tutto merito del regista, non è tanto ciò che fa o dice, ma ciò che passa nel suo sguardo e nel suo sorriso: un sorriso appena accennato che comunica un pensiero retrostante, rimanda continuamente a una relazione altra. Senza mai nominare o esplicitare il suo rapporto con Dio, lo spettatore non può fare a meno di sentirlo presente. Io sono con te: un messaggio non detto ma vivo e reale. Bellissimo l’episodio del ritrovamento nel tempio: mentre Giuseppe si affanna in giro per la città a cercare il ragazzino e non sa dove andare, Maria ripensa alle domande che il figlio le poneva a proposito dei sacrifici («A chi serve tutto quel sangue sull’al-tare?») o alle obiezioni che aveva espresso al comportamento intransigente del rabbino. Intuisce che lo può trovare solo nel tempio perché è lì che vorrà trovare le risposte alla sua fede nascente. Lo si vede invece, piccolo, in campo lungo, nel grande cortile del tempio deserto. Segno premonitore del difficile rapporto col tempio che lo accompagnerà in tutta la vita.
«Per capire un uomo bisogna conoscere i primi anni della sua vita». Questa la conclusione del film e il sigillo di una mia ritrovata amicizia con la madre. 
 
osservatorio scienza
ALTRE NOTIZIE SUL MISTERO DELL’UNIVERSO
Sandro Fazi
Il Cern, organizzazione europea per la ricerca nucleare, continua naturalmente gli esperimenti per i progetti che si propongono di aprire qualche spiraglio sulla formazione del mondo, cioè quanto è avvenuto al momento del Big Bang. Ne abbiamo parlato brevemente già in altri numeri di Notam. La stampa (Repubblica 17/11/10) ha riportato alcuni frammenti di notizie sui risultati ottenuti: i laboratori erano riusciti a produrre e, per la prima volta, a conservare atomi di antimateria, esattamente di antidrogeno, e si accingono ora a carpirne i segreti nascosti. L’antimateria, come spiegava brevemente la stampa, è una sorta di realtà capovolta, i cui protoni hanno carica elettrica negativa e gli elettroni positiva; se questi atomi vengono in contatto con atomi di materia, si annullano a vicenda dando luogo a una scarica elettrica. Se i due elementi si fossero trovati in perfetto equilibrio al momento del Big Bang, si sarebbero annullati dando luogo solo a uno scoppio di energia.
Lo squilibrio tra materia e antimateria, a quel momento, ha permesso invece la formazione e l’esistenza del cosmo. Questo squilibrio costituisce tuttavia anche uno dei misteri della cosmogonia, su cui gli scienziati si arrovellano. Ora i progetti del Cern, come noto, cercano di avvicinare tutto il mistero delle origini. Le risposte che si attendono da questi esperimenti sono molte. Anche solo pensare alla dimensione spazio-temporali di questi argomenti produce qualche brivido a chi, come me, è ben lontano da queste sfere di pensieri. Ovviamente la scienza progredisce a piccoli passi sulla via della conoscenza della origine nostra e di quanto ci circonda; ma già la formulazione del progetto mi appare affascinante. Al momento sembra che si stiano appena preparando gli strumenti per il lavoro che verrà. Si potrebbero preparare imprevedibili sorprese.
 

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

 
visto in TV
BRUTTE NUOVE RAI 
Giorgio Chiaffarino
C'è una notizia che per pochi o per molti, io spero per molti, è certamente una brutta notizia e lo è sicuramente per me. La notizia è questa: alla fine della stagione televisiva, il prossimo maggio, o giù di lì, Corrado Augias lascerà la Rai dove ha iniziato vincendo un concorso tanti anni fa.
Sono sempre stato assiduo alle sue trasmissioni, e ora in particolare a Le Storie che cura sin dal 2003, e ho sempre apprezzato lo stile, le scelte sul piano civile, sociale e anche -lui che si dichiara non credente- religioso.
Augias è uno dei puntelli fondamentali di quella televisione decente che riconcilia tanti di noi con quel mezzo e che, in Rai tre, ha un suo caposaldo. È stato proprio lui a dire, giorni addietro, che tutto sommato una piccola Tv con mezzi limitati riesce a fare, a seguito della indimenticabile scuola del suo inventore Guglielmi, un grande e apprezzato lavoro di ricostruzione civile in mezzo a tanto fango e -sovente- un incredibile surplus di stupidità. È la bella dimostrazione che l'intelligenza e la creatività, come si dice, fanno anche audience senza bisogno di essere volgari o vellicare agli italiani non solo la pancia, ma anche qualcosa più in basso. È dimostrato che i programmi possiamo inventarceli anche noi e non appaltare stupidaggini a scatola chiusa, adatte a far regredire sempre più quel 75% di italiani che dipende in tutto e per tutto dall'infernale apparecchio.
 

 
È disponibile il QUADERNO 7 di Notam
MALE COLPA PECCATO
convegno di Montebello 5-6 giugno 2010
Il gruppo del Gallo di Genova e Quelli di Notam di Milano si interrogano su diversi aspetti della realtà del male nell’esperienza dell’uomo nell’ordine esistenziale, psicologico, giuridico e religioso.
Interventi di
Fioretta Mandelli, Francesco Ghia, Vito Capano, Angelo Roncari,
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso

 
la buca della posta
E-MAIL DALL’AMAZZONIA
Un amico prete, Luigi Brusadelli, ha costruito trent’anni fa nel Nord est del Brasile una Casa di accoglienza per giovani e vecchi abbandonati, che chiama convento e vocazioni i poveri Cristi che chiedono ospitalità. Ci manda incisive osservazioni in un italiano rimodellato sul portoghese.
Qua da noi é come un convento ecumenico, infatti sono di più i non cattolici, compreso il personale. È un ecumenismo pratico, basato sull’accoglienza e il servizio.
È un convento misto, perché ci sono uomini e donne e sono davvero poveri, bisognosi non tanto per la malattia, ma più per l´abbandono.
Tutti pregano volentieri e, nonostante la liturgia sia adattata a loro, la chiesa é sempre piena anche di gente da fuori.
Non ci mancano le vocazioni: solo in questi giorni ne sono arrivati tre. Tre poveri Cristi.
Neppure ci manca la Provvidenza, anzi, quando ci aiutano, pure ci ringraziano.
I vostri scritti mi aiutano a essere critico, mi aprono gli occhi e l’udito, per non farmi abbindolare da chi ci vuole comprare. Guai se scambiassi la Provvidenza con il potere dei favori, delle promesse. La forza della bestia, che hasempre una faccia nuova, magari padrona della comunicazione: ci fanno bere quello che vogliono e in più ci chiedono di applaudirli. Ma devo stare attento perché, se perdo il senso del Vangelo, io posso diventare questa bestia di cuiparla l’Apocalisse.
Spero che ti arrivi questa e-mail, perché il nostro internet é fatto con il fil di ferro.
sottovento                                                             g.c.  
Contro tutte le violenze - Manifestazione degli studenti a Roma. Il solito già visto, il solito prevedibile, e lo dico da tutti i punti di vista. In piccolo una nuova Genova: si infiltrano quelli che immaginano di scatenare una mini guerra civile. Dagli incendi si pensa a benzina e analoghe diavolerie. Come si fronteggia ancora una volta questo prevedibile scenario? Con la polizia -ma anche la guardia di finanza?- in assetto antisommossa e in aggiunta agenti in borghese, peraltro riconoscibilissimi, suppongo addestrati per infiltrazioni e disgregazione dall'interno della protesta. Poi le cariche e le controcariche e la solita conclusione. I veri violenti, i black block del momento, molto più attrezzati a queste guerriglie, se la squagliano (ricordate? come a Genova!) e gli studenti -a parte un piccolo simpaticone con una pala in mano, plurifotografato- finiscono nelle grinfie della polizia.
Ha ragione il sindaco Alemanno a gridare contro la violenza, su questo siamo tutti d'accordo in tutti i partiti, solo che lui doveva farlo dopo aver visto con attenzione i filmati, tutti i filmati. Per i difensori acritici delle forze dell'ordine è un vero peccato che esistano oggi così tante possibilità di fotografare, filmare, tante telecamere… Così si vedono ragazzi e ragazze con le mani alzate o sopra la testa a proteggersi dalle manganellate, ragazzi in terra sui quali poliziotti, in divisa e non, si accaniscono in tutte le maniere, uno si prende persino dei calci in testa e poi ci camminano sopra con gli scarponi… un poliziotto e un finanziere hanno una pistola spianata…
E i guerriglieri? Tutti fuggiti: i fermati sono studenti romani incensurati. È normale che i giudici li mandino a casa, comunque in attesa del processo dove, tra le altre, speriamo proprio che vengano esibite anche queste immagini.
Il ministro dell'interno Maroni lamenta formalmente questa decisione della magistratura. Se le cose stanno così -e le riprese son lì a confermarlo- allora la vera ragione del suo lamento potrebbe essere questa: a lui e alla sua polizia non importa niente che i veri responsabili ancora una volta l'abbiano fatta franca, quello che pretenderebbero è che agli studenti fermati venisse impartita una bella lezione non per le violenze, che manifestamente non hanno compiuto, ma perché hanno dimostrato con successo contro il governo e questo nella particolare democrazia protetta in cui viviamo è la cosa veramente imperdonabile.
L'altro giorno al bar sport - «Non è che io sono razzista, è lui che è nero» (giallo, blu e chi più ne ha più ne metta). La battuta è sciocca e lo diventa sempre di più ogni volta che viene ripetuta. Progressivamente il paese scivola nel razzismo e le occasioni sono sempre più numerose. Però siccome almeno un poco ci se ne vergogna, dopo qualche sproloquio, è tutta una caccia al sottotono, ad attenuare, sminuire: era una battuta, si scherzava, noi siamo amici di tutti…
Comunque c'è speranza, nel primo dopoguerra da queste nostre parti c'erano interi quartieri totalmente occupati dai terroni, con tutti i limiti, le scritte e le battute che abbiamo conosciuto. C'è voluto un bel po' ma ormai tra noi perfettamente integrata c'è la seconda se non la terza generazione e il terrone è un milanese irriconoscibile come lo sono tanti oriundi di tutte le regioni d'Italia, d'Europa che continuano a fare, malgrado tutto, straordinaria questa città.
C'è speranza che con il tempo questo possa accadere anche con gli extra comunitari che oggi li hanno sostituiti nei quartieri di cui si diceva prima.
Ma c'è un fatto a fine ottobre che è serissimo e che non deve passare così velocemente nel dimenticatoio come pare che accada. Siamo a Torino, in un cantiere muore un operaio, in Italia ne muoiono più di due al giorno, è albanese, un extracomunitario, e anche questo è quasi la prassi perché a loro vengono riservati i lavori più pericolosi. In tribunale si discute l'indennizzo per i due genitori restati in Albania. La sentenza si occupa di «riequilibrare il risarcimento al reale valore del denaro dove risiedono i danneggiati». Breve: ai due poveretti vanno 64.000 euro. Se fosse stato italiano avrebbero ricevuto dieci volte tanto. Che questa vergogna non venga dimenticata! Ma oltre il danno, la beffa: il tribunale ha attribuito all'operaio deceduto un concorso di colpa del 20%. Per capirci, è come se per un 20% si fosse suicidato! Non so come si possa intervenire in un caso simile. Auguriamoci almeno che il legale (probabilmente d'ufficio) sia così sensibile da proporre ricorso.
segni di speranza                                                                     s.f.  
«SALVE, PIENA DI GRAZIA»
Luca 1,26-38
Da questo testo proporrei due spunti tra i più comuni e ripetuti: il dramma di una giovane donna che si riconosce destinataria di un progetto misterioso e la promessa che il mondo avrà una guida che regnerà in eterno.
Il dramma di una giovane donna promessa sposa, destinata a rimanere incinta a opera del Creatore prima delle sue nozze, è sconcertante (vedi il bel libro di Erri De Luca In nome della Madre, Feltrinelli). La donna è giustamente confusa e sgomenta; pensa al suo uomo, al quale non vuole creare sofferenze e vergogna e pensa anche alla legge del Deuteronomio per la quale lei è passibile di lapidazione. Domanda quindi al messaggero: cosa significa questo saluto? è proprio rivolto a me? come è possibile questa procreazione? Come avverrà? «Non temere Maria. perché hai trovato grazia presso Dio». La chiamata del Signore è sempre per un impegno e una responsabilità aggiuntive a quelle comuni e i prescelti forse preferirebbero non essere stati eletti. Questa donna è quella destinata a schiacciare la testa del serpente (Gn 3,15), cioè ad arrestare la corruzione del genere umano, e quindi anche, forse, a essere il canale preferenziale di tutte le invocazioni della umanità per la liberazione dal male, in tutte le sue forme. Ma di quale mediazione possiamo avere bisogno se il Cristo è già cosi vicino, disponibile, efficace? Forse è il lato femminile della nostra umanità che cerca in questa figura materna, silenziosa e accogliente, comprensione e conforto; comunque sia, se la escludiamo dal nostro orizzonte religioso rifiutiamo un appoggio potente appositamente predisposto. 
Il Signore ha promesso di dare ai suoi una guida che regnerà, a suo modo, in eterno,anche oggi quindi, a prescindere da un sistema chiesa così chiuso e isolato. Che sia un uomo generato da Dio o un uomo in tale sintonia con Lui da essere come divinizzato, di fatto il Cristo ha rivelato a noi la natura del Signore, le sue motivazioni e le sue modalità di azione. Ne è risultato un Dio umile, che predilige gli ultimi, che non segue la via che gli uomini gli ascrivono, che spinge alla essenzialità senza orpelli, imprevedibile quindi. Ma perché questo Dio ha cura dell’uomo, si piega su di lui, desidera avere uomini come fratelli? Le spiegazioni che abbiamo sentito sono sempre a misura umana, non possono certo squarciare i veli del mistero. Forse di fronte a questa culla non sono possibili per noi altro che il silenzio e l’ascolto.
Domenica ambrosiana dell’Incarnazione
schede per leggere                                             m.c.   
Sempre per chi è interessato a temi religiosi, è da segnalare un prezioso volumetto -una delle tante perle offerte da Qiqajon, l’editrice del monastero di Bose- pubblicato nel 2010 con il titolo, di per sé esplicativo, Dio non è quel che credi (pagg. 89, euro 11,00). Autore è Jean-Marie Ploux, teologo francese impegnato nel dialogo interreligioso e nell’ecumenismo.
Oltre le parole con le quali l’uomo ha da sempre cercato di dire Dio, e con la consapevolezza di non poter dare un’immagine che ne sveli il mistero, l’impegno dell’autore è cercare un criterio fondamentale che ci orienti, nel rispetto del comandamento «non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio».
Tante sono le rappresentazioni false, che non possiamo oggi più accettare, perché non possiamo pretendere di rinchiudere Dio in parole valide per ogni tempo e ogni cultura; non possiamo accettare che Dio sia utilizzato per ragioni di stato dai poteri politici; non possiamo più attaccarci a un Dio la cui esistenza sarebbe dimostrata solo con la ragione, un grande computer dell’universo che spiega ogni cosa; un Dio costruito al contrario dell’uomo, quindi per un verso onnipotente, per un altro quasi con la necessità delle debolezze dell’uomo per imporsi a lui. Dio deve rispettare la libertà dell’uomo, come si è sempre detto, ma anche la sua ragione e la sua intelligenza. Non è, l’invito dell’autore, a pensare Dio dicendo tutto il contrario di ciò che era ieri; ma occorre imparare a pensarlo in modo diverso: è allora indispensabile chiedersi se le nostre rappresentazioni sono al servizio dell’uomo, o sono fattori di divisione e di violenza, riprendendo ciò che ne hanno detto uomini di fede; guardare, se si è cristiani, a Gesù, ai suoi gesti, alle sue parole, alla sua vita, alla sua morte, ma non senza la lunga parte di Bibbia che lo precede, e anche non senza tutte le tradizioni religiose e spirituali che danno testimonianza dell’uomo o di Dio.
Pare oggi condivisibile la convinzione che, senza trascurare tutte le filosofie e tutte le teologie, non sia comunque possibile definire Dio, perché ogni parola non potrà mai essere esaustiva. Anche quando lo pensiamo Padre, o Amore, come Gesù ha insegnato, occorre essere consapevoli che il concetto trova senso in categorie espresse dalla cultura presente, nella evoluzione e nell’arricchimento che sono frutto del pensiero e dall’esperienza dei secoli passati.
Ma ciò che conta, per ciascuno di noi, è che il pensare Dio sarà sempre, e soprattutto, verificato nel concreto della vita, quando l’amore cercherà di farsi carne e sangue, pane e vino, da dividere con coloro che incontreremo sulla nostra strada.  
Con Il sorriso di Angelica (Sellerio, 2010, pagg. 257, euro 9,80) e L’intermittenza (Mondadori, 2010, pagg. 171, euro 17,109) torna nuovamente Andrea Camilleri, scrittore inarrestabile di molti testi, quasi tutti divertenti e intelligenti, alcuni pregevoli, altri meno; è, come tutti sanno, l’inventore del simpatico commissario di Vigata, divenuto celebre anche attraverso la televisione.
Protagonista del primo libro è ancora Montalbano, un po’ stanco e invecchiato, che incontra la giovane e bellissima Angelica e perde la testa per il suo sorriso. Trascinato, come il cavaliere ariostesco, in un sofferto duello amoroso, sembra perdere la lucidità necessaria a sciogliere un’intricata vicenda di furti, dallo schema stranamente ripetitivo. Prevarrà infine, ovviamente, la ragione, che consentirà al proverbiale intuito di trovare il bandolo della matassa.
Il secondo libro abbandona non solo l’editore, ma anche il filone poliziesco, per narrare una storia industrial-politica dei nostri giorni: all’interno e all’esterno di una grossa azienda italiana ruotano personaggi ambigui e corrotti, proprietari, direttori, assistenti, ministri, mogli e amanti, mentre sullo sfondo si giocano, per interessi di potere e di denaro, i posti di lavoro dei dipendenti. Ma porrà fine a un intrigo scellerato una improvvisa perdita di coscienza: l’ inaspettata «intermittenza».
Se Camilleri, con le storie del suo commissario, riesce a essere quasi sempre piacevole, perché offre divertimento senza annoiare, quando vuole, come nell’ultimo libro, descrivere lo sfascio morale e materiale della società presente, risulta predicatorio e abbastanza banale: fa pensare con un certo rammarico alla vivacità e alle invenzioni di altri suoi testi. Che risenta davvero, proprio lui, dell’età che avanza, e non se ne accorga?    
la cartella dei pretesti 
Negli USA è semplicemente normale. Apri il frigorifero di casa e ci trovi contenitori di carta con il manico. Hanno un nome buffo: doggy bag (letteralmente: borse per il cane), ma il cibo che contengono non finisce nella ciotola. Sono gli avanzi di pranzi al ristorante che gli americani si portano a casa. Un gesto anti-spreco compiuto in scioltezza. Come fece l’anno scorso in Italia, suscitando mormorii, Michelle Obama. […] Ora anche a Milano alcuni ristoratori si impegnano a proporre ai clienti un sacchetto per portare via quanto avanzato. […] Il progetto trova un nome: «Il buono che avanza», un logo, un simpatico sacchetto che strizza l’occhio mentre si riempie di alimenti e diventa la prima rete di ristoranti ad «avanzo zero».
MARTA GHEZZI, Nasce il ristorante «avanzi zero», Corriere della sera, 16 dicembre 2010.
Da Seul è uscita l’idea che il governo di questo mondo è sempre più difficile e che, in definitiva, un sistema di comando non c’è. Il G20 non ha né la forza politica né la struttura preparatoria tecnica per affrontare questi problemi. I comportamenti non cooperativi non hanno un arbitro. […] Credo proprio che ora più che mai servirebbero organizzazioni sovranazionali autorevoli e rispettate. Può darsi che sia un’utopia, ma poiché ogni grande progresso politico ha in sé una dose di utopia, credo proprio che oggi sarebbe il vero grande momento per rilanciare l’ONU.
ROMANO PRODI, Un nuovo ONU per un mondo nuovo, Il sole 24 ore, 12 dicembre 2010.
Le poltrone nella sanità se le spartiscono i partiti. Tutti i partiti. Tre a te, due a me. Magari dopo una rissa furibonda. Parole e insulti e un bel sorriso davanti ai taccuini. Una volta però c’era pudore anche per certe pratiche. Ma anche ipocrisia. L’assessore Bresciani (assessore alla sanità della giunta regionale lombarda, ndr) ci spiega che la lottizzazione si può sdoganare. Addirittura ostentare. Niente di illegale, almeno in certi limiti. Il tempo dirà se la politica ha fatto un passo in avanti nel nome della trasparenza.
CARLO BARONI, Spartizione senza veli, Corriere della sera, 12 dicembre 2010.
L’ostilità e la persecuzione che affliggono i cristiani in diversi Paesi mediorientali e asiatici indipendentemente dalla confessione di appartenenza sapranno destare tra i cristiani      -come sovente è avvenuto in tempi di persecuzione anche recente- il sentimento di essere «un cuore solo e un’anima sola», discepoli di un unico Signore, come i loro stessi avversari li considerano? Forse proprio l’indifferenza e l’ostilità che il cristianesimo incontra oggi saprà ridestare il carattere intrinseco alla fede cristiana proprio dell’ecumenismo. Certo si tratta di un lungo cammino, ma questa pare la direzione da dare ai nostri passi: «Se non ora, quando» dovremmo iniziare?
GUIDODOTTI,Sognoper  il 2011: riscoprire la centralità dell’ecumenismo, Jesus, dicembre 2010.
Hanno siglato le rubriche: 
Giorgio Chiaffarino, Sandro Fazi, Mariella Canaletti.
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
Per non ricevere più Notam, rilanciare il messaggio indicando all'oggetto: cancellare dalla lista
L’invio del prossimo numero 365 è previsto per LUNEDÌ 3 gennaio 2011


Scarica sul tuo PC la lettera del
del 20 dicembre 2010 - S. Macario - Anno XVIII - n. 364


 

Vai all’indice di Notam per leggere le altre lettere



Luned́ 20 Dicembre,2010 Ore: 15:41
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
NOTAM - Lettera agli amici del gruppo del Gallo di Milano

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info