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Milano, 6 dicembre 2010 - S. Nicola - Anno XVIII - n. 363


Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)

 

 

Milano,  6 dicembre 2010  -  S.  Nicola -  Anno  XVIII -  n.  363

 

TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Franca Colombo

Tutto è sospeso, in questi giorni, tutto è rimandato nell’attesa di quel 14 dicembre, il giorno del giudizio, che dovrebbe squarciare i cieli e rivelare il nostro futuro politico. Ma la linea di confine tra fiducia e sfiducia al governo è così incerta e frastagliata che nessuno osa fare previsioni e tanto meno programmi; è così soggetta agli umori di questo o quel deputato o ai battibecchi tra le galline del pollaio berlusconiano, che nessuno osa prendere iniziative. Aspettiamo. Aspettiamo che si capisca chi deve occuparsi della monnezza di Napoli. Aspettiamo che il pd definisca la sua linea politica tra le istanze dei rottamatori e la resistenza  autoreferenziale dei rottamandi. Aspettiamo il cambio di direzione della rai, e aspettiamo che la compravendita di onorevoli poco onorevoli travolga gli ultimi baluardi di democrazia. Purtroppo in questo clima di incertezza e instabilità, paradossalmente si sta votando la legge di stabilità che fin dalle prime battute molto stabile non sembra. Le recenti votazioni in parlamento hanno messo in scacco la maggioranza diverse volte, ma hanno più il sapore di prove generali del gran finale che di vere e proprie vittorie della opposizione. E intanto che i parlamentari giocano con i numeri delle alleanze, le piazze si riempiono di proteste: gli studenti sono in piazza contro la riforma Gelmini, la fiom è in piazza contro i licenziamenti Fiat e  la cgil è in piazza contro i tagli degli investimenti per le piccole imprese.

E i cattolici? Che cosa pensano i cattolici di questa frana istituzionale che sta travolgendo il paese? Ecco un elenco di affermazioni della curia e dei suoi portavoce:  «…non sarà la Chiesa a dare il colpo di grazia al governo moribondo» (card. Bagnasco, Assemblea dei Vescovi 8/11/010); «…non è il caso di cercare un capro espiatorio, a tutti noi è richiesta più consapevolezza del proprio ruolo» (mons. Crociata all’Assemblea dei vescovi); «…il ronzio di fondo che accompagna le dichiarazioni del presidente, ricorda l’anticlericalismo liberale dell’800» (M. Tarquinio,  Avvenire del 9/11/2010). Espressioni ovattate e prudenti che rivelano la paura di perdere potere con un cambio di governo.

Fortunatamente una voce, altrettanto autorevole mostra più coraggio: mons. Casale, Arcivescovo di Foggia, grida ai cattolici: «è tempo ormai di svegliarvi dal sonno (Rm 13,11), è tempo di agire, non sognando un nuovo partito dei cattolici, ma operando con onestà nelle strutture esistenti» (Adista 21.11.010). A queste parole fanno eco le voci di migliaia di cattolici sparsi in tutto il paese. Ecco un elenco di giornali diocesani che hanno preso posizione: «La politica non è avanspettacolo» (La voce dei Berici, Vicenza); «Il bunga bunga della politica» (Il nuovo amico, Pesaro); «Decadenza da fine impero» (Verona fedele); «Politici allegri e Italia triste» (L’Azione, Novara); «Vizi privati e vizi pubblici» (Il Popolo, Pordenone); «Berlusca alle corde» (Vita trentina); «I nuovi barbari e il riposo del guerriero» (Adista news); «Sfascio Italia» (Castelceriolo, Alessandria). Allora ci chiediamo: ma la Chiesa gerarchica che cosa aspetta? Aspetta che sia wikileaks a rivelarle che il premier italiano è un incompetente, che spreca troppe energie nelle sue notti brave? «Cos’altro deve avvenire perché si oda il suo grido di condanna?» (don Aldo Antonelli parroco di Antrosano,  Repubblica 30/11/010)

in questo numero                   

abbiamo partecipato U. Basso VERSO IL NUOVO VESCOVO DELLA DIOCESI AMBROSIANA u il gioco di saper cosa si pensa TRE PROPOSTE ALLA CHIESA u G. Chiaffarino IL RITORNO DELLA DOPPIA MORALE u M. Canani GLOBISH, FUNZIONALITÀ E RISCHI u Ricordiamo Adriana Zarri u echi sportivi S. Fazi UN ORGOGLIO PER L’ITALIA u sottovento g,c, u Il Gallo da leggere u.b.u segni di speranza s.f. u schede per leggere m.c. u la cartella dei pretesti

abbiamo partecipato

VERSO IL NUOVO VESCOVO DELLA DICOCESI AMBROSIANA

Ugo Basso

Apprezzata e condivisa l’idea di fare della prossima nomina del nuovo vescovo di Milano l’occasione di una riflessione ecclesiale, abbiamo partecipato al convegno indetto da Noi siamo chiesa e altri movimenti lo scorso 27 novembre presso il convento francescano di S. Angelo. Un bel gruppo di presenti con vivaci interventi eco di esperienze che vengono da lontano e interrogativi sul che fare, due importanti relazioni di Teresa Ciccolini, del gruppo Promozione donna, e del vaticanista Marco Politi.

Dal profumo evangelico di una chiesa fraterna che sa discutere, individuare i problemi, scegliere responsabilmente, impegnarsi in spirito sinodale, naturalmente con incertezze ed errori, ai miasmi di burocrazie calcolatrici, di scelte autoritarie con oscure motivazioni: se il designato sarà persona seria, credibile, pastorale, come di fatto è accaduto certamente con Martini e, sia pure in modo più ridotto, con Tettamanzi, ne godremo e faremo sentire la nostra collaboratrice solidarietà; se sarà diversamente, cercheremo di far sentire il nostro dissenso, di fare comunque proposte costruttive e di continuare a resistere.

Il quadro che emerge dalla relazione di Marco Politi, pensata all’ombra di san Pietro, è molto deprimente: stagnazione e regressione, un papa grande personaggio, ma che governa in modo monarchico, lontano anche dal pensiero da lui stesso teorizzato; una curia autoreferenziale che non rispetta, per esempio nella nomina dei vescovi, neppure le regole che impongono da parte del papa la scelta all’interno di una terna proposta non si sa da chi, ma comunque frutto almeno della valutazione non di una sola persona; e l’anomalia della chiesa in Italia alla quale non è neppure concesso di eleggere il presidente della conferenza episcopale e la non larvata tensione fra la stessa conferenza e la segreteria di stato. 

Il cosiddetto mondo cattolico è sempre più silenzioso, appiattito nell’inerzia anche nei confronti della squallida maggioranza di governo: mancano personalità di laici e di ecclesiastici capaci esprimere uno spirito critico, di mettere in discussione, di costituire coraggiosi punti di riferimento. Avvenire si presenta sempre più come giornale di parte, non disponibile a cogliere il pluralismo delle posizioni presenti anche fra i cattolici militanti, e, fra i movimenti intraecclesiastici, Comunione e liberazione, ramificata in infinite attività economiche, pare essere l’unica voce incoraggiata e ascoltata dalla gerarchia. In questo clima  anche una del tutto improbabile  consultazione di laici o dl ecclesiastici in vista della scelta di un nuovo vescovo verosimilmente si rivelerebbe organica all’opinione dominante assai più che all’evangelo.

Se da questa realtà non si può prescindere, fra i presenti è chiara la determinazione non solo a resistere, ma anche a elaborare pensiero per non perdere la speranza di orizzonti in cui si illuminino segnali con colori evangelici. Teresa Ciccolini -che con commossa riconoscenza dedica il suo intervento a Adriana Zarri- si chiede innanzitutto quale chiesa sia chiamato a guidare il nuovo vescovo: quella dell’evangelo o quella della storia? E, auspicando che sia la prima, indica alcuni temi che dovrebbero segnare il suo stile di conduzione della chiesa ambrosiana. Innanzitutto la centralità della Parola e l’impegno a  realizzare nelle strutture lo spirito del concilio; l’ascolto di gruppi e singoli come portatori di libera coscienza e non solo come destinatari di decisioni già prese e con la disponibilità ad accogliere anche pensieri divergenti; la rivitalizzazione della liturgia con prediche che tengano conto di chi ascolta; la ricerca di spazio e dignità per le donne; l’attenzione attiva alle fasce più povere non solo nella dimensione assistenziale. 

Non si vuole abbandonare la speranza che il nuovo vescovo sia un cristiano: se non può mancare il realismo che lo immagina lontano dalle attese che hanno animato il convegno, occorre non smettere di far sentire questa voce, voce di persone che con uno stile credibile di comportamento cercheranno anche di raggiungere il vescovo e comunque di mantenere e creare relazioni, di essere presenti in tutti gli ambienti in cui è possibile, a partire dalle parrocchie, per una collaborazione e un dialogo in cui però non cessare di ripetere che pietra di paragone per ogni scelta deve essere la fedeltà al Cristo e non alla storia della chiesa. Forse qualche istanza arriverà anche negli austeri palazzi, almeno per ridimensionare i trionfali festeggiamenti, già allo studio, dell’anniversario di quel 313 costantiniano che dovrebbe invece essere denunciato come l’allontanamento della chiesa dal suo Maestro per avviarsi sulle ambigue e non abbandonate strade del potere secolare.

 

il gioco di saper cosa si pensa

TRE PROPOSTE ALLA CHIESA

Riprendiamo a proporre i suggerimenti che gli amici lettori rivolgerebbero alla chiesa di Roma, o, ancor meglio, ai suoi dirigenti.

u Rita Bussi

Amore per l’uomo, per ogni uomo: prendendo a modello Dio che ama incondizionatamente ciascuno di noi al di là delle sue fragilità e cattiverie, delle fedi professate e degli stili di vita, la Chiesa assumerebbe il volto di madre buona, misericordiosa, paziente e testimonierebbe a tutti la bontà e la luce di Dio come padre e madre dell’uma-nità: un dono inestimabile che apre alla gioia e alla speranza.

Autonomia dal potere politico: la Chiesa deve servire Dio e il Vangelo, non il potere né il potente di turno; cercare e conquistare la sua libertà di parola, di giudizio e di azione per diventare guida che testimoni e annunci ideali forti e puri per i quali è bello vivere. Diversamente, come sta succedendo da un po’ di anni, non sa più volare, è impantanata e condizionata per la difesa dei propri interessi da alleanze mondane che le tarpano le ali e le fanno perdere credibilità e fiducia.

Voce profetica. Il distacco da ogni potere compreso il proprio, dalla ricchezza e dal servilismo purificherebbe la Chiesa e la renderebbe voce profetica, dono di cui sentiamo incessante bisogno. Perché i nostri vescovi, tranne pochissimi casi, non esprimono più una parola alta e autorevole, evangelicamente illuminante e confortante in situazioni di crisi, ma si trincerano in un silenzio corale?

u Fioretta Mandelli

Una proposta che vale per tre. Non appartengo alla Chiesa cattolica, ma mi sta a cuore la vita della comunità dei cristiani. Vorrei che la Chiesa, proprio come istituzione e organizzazione, scegliesse la povertà. Naturalmente non intendo la miseria, ma la povertà che ha vissuto Gesù Cristo. Tutto lo sfarzo che ne accompagna le cerimonie dovrebbe diventare denaro dato a chi lavora in modo efficace contro la fame e la miseria del mondo. È stolto pensare che lo splendore e la pompa formale del Vaticano possano attrarre persone a Dio: attirano solo turisti, e altro denaro nelle casse. Certo le opere d’arte vanno mantenute, ma non sarebbe meglio che se ne occupasse la comunità civile? Non parliamo poi delle banche, dei bilanci segreti, dell’8 per mille: può essere giusto che la gente si fidi della Chiesa per dare denaro ai poveri: ma deve poi avere a disposizione il bilancio che dà ragione di come è stato speso. Questi sono solo spunti, e mi sgomenta il fatto che possano essere ritenuti delle utopie assurde. Io ho ancora la speranza che possano diventare una vera riforma ragionevole e articolata. Mi pare che allora la gente del mondo potrebbe ascoltare davvero in altro modo la parola che la Chiesa ha il compito di mantenere e testimoniare. Questa proposta mi sta così a cuore che vale per tre.

 

 

IL RITORNO DELLA DOPPIA MORALE

Giorgio Chiaffarino

Leggo qualcuno che opportunamente mi fa riflettere come la chiesa cattolica sia il luogo dell' et et e non dell' aut aut. Vale a dire che siamo tutti in cammino in un sentiero, spesso accidentato, che crediamo sia quello che il Signore ci chiede di percorrere. Come tante altre volte è stato ricordato, solo Lui «scruta il cuore e le reni» (Ger 17,10) e quindi può giudicare chi è più avanti nel cammino, chi più indietro o, addirittura, chi sta sbagliando strada. Il grano e la zizzania devono crescere insieme fino alla mietitura (Mt 13,29). Però, se non possiamo giudicare delle intenzioni, dobbiamo valutare le azioni, i comportamenti, per discernere e fare poi le nostre scelte, a ragion veduta e con la maggiore coerenza di cui siamo capaci.

Se questo criterio vale nel privato, a maggior ragione varrà nelle scelte pubbliche, in ambito civile o politico. E la politica è l'ambito privilegiato del potere a proposito del quale a un cristiano non può non venire alla mente quella pagina dei quaranta giorni di Gesù nel deserto e il suo incontro con il diavolo che gli offre tutto il potere del mondo che è nelle sue mani e lui lo dà a chi vuole (Lc 4,6). Si sa che cosa il Signore ha risposto al diavolo. È molto evidente che se si vuole agire nel campo della politica bisognerà gestire un certo potere, ma questo dovrà essere fatto con tutte le cautele per i pericoli ad esso connessi e perché sia davvero usato per il bene comune e non per altri meno commendevoli scopi.

Il nostro cardinale Tettamanzi ebbe a dire -cito a memoria- che era preferibile agire da cristiani senza dirlo che dirsi cristiani (cattolici) e fare tutt'altro. È così che fa problema e solleva tanti interrogativi, a cui non è semplice dare risposta, proprio l'azione di tanti cattolici, singoli o gruppi, che tengono molto a dichiararsi tali, ma che -come si dice- per partito preso, sono ben disponibili a giustificare azioni, leggi o intere fasi politiche che -senza scomodare nemmeno il Vangelo- sono semplicemente lontane dal senso comune, da una generica morale, e spesso direi, anche dalla semplice normale decenza. Ora si capisce bene che la città è abitata da tutti, che i credenti sono pochi, che non possono imporre a tutti sempre e comunque la loro visione dei problemi. È chiaro che si dovranno trovare delle mediazioni, dei compromessi -che si spera siano al più alto livello possibile-. In qualche caso sarà addirittura necessario scegliere il male, ancorché il male minore! Comunque il credente dovrebbe dar conto -se esiste- di un suo punto di vista e delle scelte che, anche al di là di quello che vorrebbe, è costretto a fare, qualora lo esigano ragioni di necessità politica.

Siccome questo assolutamente non avviene mai, ecco gli interrogativi di cui si diceva e la ricerca dei motivi che non possono non esistere per comportamenti che, è immaginabile, chi li assume pensa certo non siano devianti dal suo credo religioso.

Chi si occupa di indagare l'animo umano non farà fatica a trovarne. Molto semplicemente potrebbe essere la formula, come si dice, di un doppio binario. Il Vangelo, le sue pretese, la sua predicazione esigente, sono tutte cose condivisibili, di cui si è molto convinti, ma in chiesa. Fuori dalla chiesa c'è il mondo degli affari, della politica, dove vigono altre regole e bisogna adeguarsi o rassegnarsi a sparire (?). Questa formula in fondo è quella delle due morali, nessuno che la utilizza sarà disponibile a riconoscerlo, opponendo a volte sia la necessità di difendere la chiesa, che la promozione della civiltà cristiana o comunque altra ineludibile necessità. Ma questo è quanto emerge dalla quotidiana realtà.

 

È disponibile il QUADERNO 7 di Notam

MALE COLPA PECCATO

convegno di Montebello 5-6 giugno 2010

Il gruppo del Gallo di Genova e Quelli di Notam di Milano si interrogano su diversi aspetti della realtà del male nell’esperienza dell’uomo nell’ordine esistenziale, psicologico, giuridico e religioso.

Interventi di

Fioretta Mandelli, Francesco Ghia, Vito Capano, Angelo Roncari, Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso

 

¿ Altri momenti di riflessione comune riproposti dai Quaderni di Notam ¿

1.       NAVIGARE NEL MARE DELLA COMPLESSITÀ - Convegno 1999 

Interventi di C. Carozzo, P. Brambilla, G.Vaggi, P. Colombo, F. Mandelli

1.b  LIBERTÀ: CONDANNA CONQUISTA DONO  - Convegno 2000

Interventi di C. Carozzo, D. Ghezzi, G. Vaggi, F. Mandelli, U. Basso

2.       CHE COSA È L’UOMO PERCHÉ TE NE RICORDI E NE FACCIA TANTO CONTO? -  

       Convegno 2006

Interventi di C. Picciotti, A. Badini, M. Aliprandi, D. Beruto, S. Fazi, U, Basso, E. Brunetti

3.        È POSSIBILE UNA RELIGIOSITÀ COME SE DIO NON CI FOSSE? - Convegno 2007  Interventi di G. Zollo, M. Canaletti, S. Fazi, E. Brunetti, F. Ghia, U. Basso

4.       IL CORAGGIO DELLA RAGIONE - In ricordo di Giulio e Giulia Vaggi  - 18 ottobre 2007 

Interventi di C. Achille Cesarini, A. Lepori, C. Montobbio Ferrazzini, P. De Benedetti e un’antologia di testi di Gulio e Giulia Vaggi

5.       CHE COSA È LA FELICITÀ? - Convegno 2008

Interventi di D. Ghezzi,  F. Ghia,  G. Zollo,  R. Bozzo,  F. Mandelli,  G. Chiaffarino, U. Basso, M. Canaletti,  A. Badini

6.       DEBOLEZZA E FRAGILITÀ - Convegno 2009

Interventi di M. P. Cavaliere, S. Fazi, G. Zollo, F. Mandelli, M. Canaletti, G. Chiaffarino, U. Basso

 

I QUADERNI DI NOTAM possono essere richiesti alla nostra redazione. Precisare se si desidera l’invio su carta o per posta elettronica e indicare l’indirizzo. In caso di invio cartaceo, sarà gradito un contributo di 5 € a copia, anche in francobolli.

 

GLOBISH, FUNZIONALITÀ E RISCHI

Marco Canani

Sin dalla sua fondazione nel 1949, il Consiglio d’Europa ha posto le basi di una politica comunitaria secondo la quale l’apprendimento linguistico rappresenta una componente essenziale di un percorso di formazione permanente e democratica dei suoi cittadini. Lo studio di lingue diverse viene così sostenuto e promosso con la stessa dignità, nell’idea che possa favorire un incontro e una conoscenza reciproca anche da parte di etnie diverse.

Di fatto, però, con la vittoria riportata dagli Alleati alla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno progressivamente conquistato sulla scena mondiale quel posto che, in precedenza, era occupato dall’Inghilterra, a lungo soprannominata «officina del mondo». Gli scambi con l’America vanno così intensificandosi e si realizzano a livello commerciale, ma anche culturale. Già nel 1944, gli accordi di Bretton Woods elevano il dollaro a valuta di riferimento ufficiale per le transazioni fra i paesi aderenti, le cui divise sono agganciate a quella americana. Parallelamente, Hollywood e le produzioni cinematografiche e televisive statunitensi iniziano a essere esportate in quasi tutto il mondo, contribuendo così a diffondere l’American Way of Life.

Sembra quindi plausibile che tutto questo abbia concorso a far sì che l’inglese  assumesse nel tempo quel ruolo che, almeno fino a qualche decennio fa, divideva con il francese. Un ruolo che è stato definitivamente sancito, alle soglie del terzo millennio, dall’avvento del turismo di massa, della globalizzazione e dall’era di internet, fattori che hanno creato contatti e scambi tanto intensi quanto rapidi da richiedere un codice di comunicazione al contempo agile e spendibile a livello internazionale. Anche accettando lo stereotipo di una solo apparente semplicità dell’inglese rispetto ad altre lingue, data l’essenzialità del suo sistema morfologico e grammaticale, è ragionevole supporre che la lingua internazionale del nuovo millennio sarebbe un’altra se la nostra storia recente fosse andata in una direzione diversa.

L’adozione di una lingua come strumento di comunicazione internazionale implica, inoltre, l’aumento di contatti fra parlanti per i quali la lingua in questione è lingua straniera o al più lingua seconda, fenomeno oggi amplificato proprio dall’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione. La continua contaminazione fra le lingue e la necessità di ulteriori semplificazioni hanno fatto parlare di un neonato Euro-English, e più di recente si è imposto all’attenzione anche il cosiddetto Globish (crasi di global e English), risultato dell’interazione fra parlanti non madrelingua e con una conoscenza dell’inglese sommaria che hanno, anzitutto, l’esigenza di stabilire una comprensione reciproca che non rispetta necessariamente regole e usi dei parlanti nativi.

Come ha ricordato Enrico Franceschini (Globish: la lingua low cost che tutti possiamo parlare in La repubblica, 17 giugno 2010; vedi anche il sito globish.com), si tratta di una lingua ridotta all’osso, fatta di appena 1500 parole e ricca di perifrasi atte a supplire all’evidente deficit lessicale. Un inglese funzionale, ma approssimativo, fatto di errori ricorrenti e indipendenti dalle lingue dei suoi locutori: niente s alla terza persona del presente dei verbi, uso di which come pronome relativo anche per le persone e un generale appiattimento a livello semantico, nell’idea che la fatica di imparare una parola come nipote sia assolutamente inutile se si dispone degli strumenti per costruire la frase il figlio di mio fratello.

Se da un lato è evidente che l’uso di una lingua semplificata, da ampliare gradualmente è una tappa obbligatoria in un percorso di educazione linguistica, dall’altro è indubbio che promuovere lo studio di una lingua preconfezionata e innaturale comporta l’impo-verimento di un’esperienza la cui utilità non è misurabile solo nei termini di un’utilità funzionale. Significherebbe rinunciare a quell’incontro con l’altro che fa dello studio di una lingua la chiave d’accesso a una cultura diversa, e quindi venire meno a una delle motivazioni che dovrebbero essere alla base dello studio delle lingue, anche nelle intenzioni delle politiche europee.

Significa, inoltre, rinunciare a possedere strumenti adeguati alla trasmissione di un certo tipo di messaggi, e rimane da capire se questo non finisca per appiattire anche il pensiero e la cultura di chi si abitua a parlarla, rischio particolarmente pericoloso in un’epoca in cui molta comunicazione è inquinata da una retorica che gioca proprio sulle scelte lessicali. Più che un ipotetico diffondersi di un imperialismo a stelle e strisce, è forse questa la trappola da evitare. Perché i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo.         

 

 

 

Il 18 novembre, all’età di 91 anni, è morta Adriana Zarri. Donna dalle scelte particolari, giornalista scrittrice e teologa in genere scomoda e di solito interessante, senza obbligo di condivisione. Solitaria, anzi, eremita –anche il nostro gruppo milanese l’aveva incontrata nel suo ritiro molti anni fa-, che della sua casa e del suo pensiero aveva fatto un luogo di libertà e di ricerca spirituale, aveva scritto: «Non mi spaventa l’idea di morire da sola. Mi sembra, anzi, che sia la morte più giusta, per uno che da solo ha voluto vivere…».

Da Rocca del 15 novembre 2010, riportiamo alcune righe di un discorso insolito pubblicato in più puntate, uno sguardo affettuoso all’ambiente in cui aveva scelto di vivere, con lo scorrere delle stagioni, i frutti della terra e la natura viva degli animali.

Dicono che tutti gli scrittori abbiano animali, io non faccio eccezione. Da brava scrittrice ho un bravo gatto. Il gatto col cavallo è l’animale più bello del creato, poi viene la tigre sua stretta parente, e poi via via tutti gli animali. Come ho già detto possiedo un gatto (o il gatto possiede me). È una gattona nera e ha pure la macchia della Madonna. La mia gattona ha un nome fiero: Arcibalda. […] Quando c’è l’uscio aperto la gatta s’infila dentro, fa una lunga corsa e salta sul mio letto, dalla parte dei piedi, e poi percorre tutto il letto fino a giungere dalla parte della testa e quindi strusciare il suo musino sulla mia faccia. Io la bacio tra le orecchie e lei comincia a fare le fusa. […]

Il gatto è in grado di capire il nostro stato d’animo e, se ci vede piangere, viene a leccarci le lacrime e non credo che sia perché hanno un buon sapore (infatti san di sale), ma solo per dimostrarci il suo affetto.[…]

E quando sono a mensa, la gatta non sale sulla tavola però sa che in terra, accanto a un piede della tavola, c’è la sua ciotola di pane e companatico: un cibo e un trattamento da gatti e non da umani, che tuttavia dice il nostro misurato e proporzionato affetto.

 

echi sportivi

UN ORGOGLIO PER L’ITALIA

Sandro Fazi

Domenica 14 novembre ad Abu Dhabi si è chiuso il campionato mondiale di Formula 1: il pilota della Ferrari, Alonso, che era in testa alla classifica fino all’ultima gara, ha perso. Avrebbe vinto il campionato, come tutti si aspettavano, anche arrivando quinto, ma è arrivato settimo: un disastro! Forse la notizia di per sé non interessa la maggior parte dei nostri lettori: ma nella realtà che ci circonda, troviamo anche queste corse e possiamo occasionalmente provare a dargli un’occhiata.

La macchina Ferrari era buona, il pilota, credo, eccellente: solo un errore nella condotta strategica della gara ha vanificato il lavoro fatto per la corsa e durante tutto l’anno. La delusione dei tifosi sparsi in tutto il mondo è stata enorme. È una caratteristica di queste competizioni: in pochi secondi in tempo reale deve essere elaborata un’infinità di dati, raccolti con strumenti sofisticatissimi, e devono essere prese decisioni determinanti sulla strategia di gara (per esempio quando e se fare rifornimento di carburante, il cambio gomme e altro); non si può sbagliare, non c’è recupero. Sono competizioni supertecnologiche i cui protagonisti, i piloti, sono degli extraterrestri guidati da centrali di controllo di potenzialità impressionanti.

Personalmente non seguo con continuità le vicende di questo sport (sport o business game?), ma sporadicamente me ne interesso con curiosità perché mi sembrano un pezzo significativo del nostro modo di vivere. Le gare coinvolgono tantissimi elementi e competenze, che si devono amalgamare in team affiatati, efficaci, rapidissimi nelle azioni; sono come campi di battaglia. Una attività comunque importante per la nostra industria metalmeccanica e quindi meritevole di attenzione.

Forse è sorprendente che in una attività, che richiede essenzialmente lavoro di gruppo, emerga proprio una impresa italiana, quando un popolo di individualisti, come noi siamo, non dovrebbe trovare congeniale un lavoro corale. Comunque questo è uno dei campi di eccellenza della nostra industria del settore, che altre nazioni più blasonate presumibilmente ci invidiano. Il prestigio che ne deriva può ricadere ad ampio raggio anche su altre industrie affini, meno affermate; quindi anche le corse sono una cosa molto seria. La Ferrari è l’unica scuderia ad aver partecipato a tutti i campionati di Formula 1, fin dalla prima gara; ha vinto enne titoli mondiali; ha scolpito la storia di queste competizioni con personaggi famosissimi; è verosimilmente una icona mondiale. Gli affari della impresa vanno al momento molto bene. Per una volta proviamo a essere orgogliosi di noi stessi.

Quest’anno il campionato credo che avesse un motivo di interesse in più, perché in queste competizioni si stanno confrontando da tempo due filosofie: quella della Federazione internazionale dell’Automobile (fia) e quella di Luca Cordero di Montezemolo, numero uno della Ferrari. La fia sostiene che correre in Formula 1 costa troppo e questo allontana molte scuderie; vorrebbe fissare dei tetti di spesa e ritornare ai primi tempi delle corse, quando i team non costruivano in proprio le vetture, ma le compravano e le adattavano con genialità alle piste. L’idea Ferrari è invece che debbano correre solo case costruttrici disposte a investire in studi, prove e ricerche, anche se costosissime, perché le corse sono l’ambito per portare avanti i necessari miglioramenti tecnici dei prodotti finali, le automobili. Questa filosofia ha attratto alle corse case come la Honda, la Mercedes, la Bmw, la Renault, cioè il meglio dell’industria mondiale. Tutte le nostre automobili probabilmente possono vantare di aver utilizzato in qualche misura le esperienze derivate dalle corse. Presumibilmente la soluzione fia, con più scuderie in gara, punta a rendere il campionato sportivo più avvincente, mentre è la proposta Ferrari a dare maggiore attenzione allo sviluppo tecnico costruttivo delle vetture, per migliorare le prestazioni e la sicurezza delle automobili. Vedremo in seguito quale formula verrà adottata: il tema sembra importante e forse ci riguarda più di quanto possiamo pensare.

sottovento                                                             g.c.  

A pagare c'è sempre tempo - Grande dibattuto problema delle intercettazioni. Indispensabili per combattere il malaffare e la mafia dei colletti neri e bianchi, dicono magistrati e le forze dell'ordine. Un pericoloso sistema di invasione della privacy, dice una certa politica. Ma l'esperienza ci dice piuttosto che si cerca disperatamente una difesa per proteggere operazioni oltre i limiti della legalità. Il blocco, anche parziale, delle intercettazioni sarebbe, tra l'altro, una decisiva contraddizione alla politica di contrasto delle mafie che il governo si ingegna a ostentare in tutte le sedi. Come ottenere il risultato senza affrontare l'opinione pubblica -decisamente contraria- addebitando al solito ad altri la responsabilità dell'operazione? C'è grande crisi, ma sembra proprio che non venga per nuocere a questi fini, anzi… Basta invocarla e non pagare più le fatture delle organizzazioni che se ne occupano. La notizia è sotto traccia nei media, salvo quelli simil-comunisti, al solito anti italiani. Ora gli importi sono diventati così importanti che il risultato sta per essere pienamente ottenuto.

Storie di normalità ordinaria  2 - Qualche settimana fa si diceva del giornalaio alla Barona vittima di uno scherzo per esserci rifiutato di pagare il pizzo richiesto: gli avevano vuotato una bottiglia di benzina nell'edicola. «Il pizzo, qui lo pagano tutti» ci aveva detto. Ieri la sorpresa: l'edicola al mattino è chiusa, al pomeriggio pure e oggi anche e lo sarà per sempre. Così, semplicemente, vien da dire che nella realtà attuale non c'è scelta, o si paga o si chiude.

Per un cristianesimo di frontiera - Una delle anomalie più evidenti del cattolicesimo oggi, da un certo punto di vista, è il senso di accerchiamento e di attacco generalizzato, se non addirittura di complotto, di cui sarebbe vittima la chiesa. Che cosa può fare una vittima, individuo o collettività, se non cercare di difendersi? Nel caso, costruire una cittadella nella quale, da assediati, confortarsi con le parole di ieri, nella convinzione che il passato sia il meglio. Resistere, non sul Vangelo, ma sull'esistente, respingere qualsiasi intervento esterno che non sia prima verificato su una certa idea di ortodossia. Non c'è nessun attacco alla chiesa se non quello che esce dal cuore –ebraica-mente inteso- di noi stessi.

Muove questa riflessione un sentimento di comprensione e di consenso verso quei preti e quei laici che si spendono personalmente, e se ne assumono la responsabilità, per avvicinare i cosiddetti lontani, le categorie marginali di questa nostra società. È proprio quanto domanderebbe quello che crediamo nostro Signore a chi confida in lui e che il suo Vangelo ripropone con insistenza. Il Signore non disdegna e si mette persino a tavola con pubblicani, i peccatori e le peccatrici (Mt 9,11). Naturalmente non dice loro, fate bene continuate così, ma l'esatto contrario: convertitevi, cambiate vita. Se ci chiede di raccontare il Vangelo a tutti in tutto il mondo («Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura» Mc 16,15), questa chiesa, sale e lievito nella pasta, oltre a curarsi dei lontani lontani dovrebbe ben curarsi dei lontani vicini e così sostenere con grande cuore tutti coloro, singoli, laici, chierici -regolari e non- che si impegnano sulla stessa strada che il Signore ha indicato.

Il Gallo da leggere                                                   u.b.  

È uscito Il Gallo di dicembre.

®  Nella sezione religiosa, fra l’altro:

        Jean-Pierre Jossua, nel secondo passaggio della lunga presentazione dell’espe-rienza cristiana, si interroga sull’universalità dell’esperienza, appunto, e su come si distingua il credente dal non credente riguardo i grandi valori dell’uomo.

        Angelo Roncari fa un’analisi del linguaggio religioso a proposito del peccato, liberato da Cristo dalle metafore giudiziarie, per collocarlo all’interno di un processo di accoglienza e liberazione. 

®  Nella sezione attualità e comunicazione,

        Giovanni Zollo propone una sintesi originale della realtà politica e sociale del nostro paese: proposte singolari che fanno pensare, anche se di difficile realizzazione, almeno in tempi brevi.

        Maria Rosa Zerega formula, invece, proposte realizzabili subito, anche nel nostro tempo difficile, almeno da chi condivide l’idea che l’economia non sia solo un mezzo per l’arricchimento individuale.

        Mariella Canaletti illustra un saggio di Gustavo Zagrebelsky sui rapporti fra stato e chiesa,

        Dario Beruto denuncia i mali dell’assolutismo di chi si ritiene custode e unico interprete di un Dio che è totalmente altro.

        Il nostro Giorgio Chiaffarino ci espone i disagi nell’osservare tante ombre nella storia della chiesa, segnate, oggi, anche dalla recessione della riforma liturgica.

®  Al Natale sono consacrate le pagine centrali, con poesie sul tema presentate come sempre da Germano Beringheli, e qualche altra nota, compresa una curiosa difesa da parte di Mario Cipolla di babbo Natale dall’accusa di essere un obeso ubriacone!

segni di speranza                                                                     s.f.  

«BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE»

Matteo 21, 1-9

Un racconto sommesso, pieno di semplicità e di pace, che riprende la profezia di Zaccaria (9, 9-10), forse da ascoltare e riascoltare in silenzio più che da commentare. L’episodio è riferito da tutti gli evangelisti, quindi è considerato importante: perché? Forse perché nella modestia della scena –Gesù che entra a Gerusalemme a cavallo di un asino- si intravede la conferma del modo in cui Gesù di Nazareth ha inteso manifestarsi, e sullo sfondo anche l’ombra della croce, verso cui ora si dirige. Egli sa che la fine della vicenda umana è vicina; è taciturno e forse triste, non tanto per la previsione della prevedibile sofferenza, quanto, presumibilmente, per il timore che la sua morte, la sua sconfitta, crei difficoltà, dubbi, confusione per tutti gli uomini, compresi i suoi amici, che potrebbero non capire il messaggio di un Dio crocefisso.

Ci avviciniamo all’epilogo dell’evento evangelico. Ma oggi è giorno di festa: i ragazzi, e non solo, festeggiano gioiosi e spontanei, come sa essere la gente del popolo: tutti credono che l’uomo che accolgono sia un grande profeta e ne gioiscono nella speranza di averlo sempre vicino, ricordando i segni straordinari cui hanno assistito. Noi non sapremmo accompagnarlo con lo stesso calore, non comprometteremmo il mantello stendendolo in terra. Per buon senso naturalmente, ma anche per qualche ombra di dubbio. La città si chiedeva: «Ma chi è costui?» I dubbiosi siamo noi; vorremmo conoscere e capire, giustamente, ma qualche lettura, forse affrettata, talvolta ci disorienta e ci trattiene dall’affidarci; la critica è necessaria e auspicabile, ma deve  anche essere ponderata e, a sua volta, messa sotto sospetto.

Dunque Gesù va verso la fine della sua storia umana; il messaggio che lascia, ripetiamolo ancora una volta, è esplicito: gli uomini, per trovare se stessi, devono stabilire rapporti fraterni tra loro, aiutarsi, amarsi, prestare una attenzione preferenziale verso gli ultimi e con questi condividere le difficoltà della vita. La prossimità ai poveri è più impegnativa della povertà stessa; ci porta fuori dal nostro mondo, ci mette in mezzo alle favelas, alle baracche, sotto i ponti, in mezzo a quelli che si sono persi. Lui ci attende lì. Non si tratta di elemosina, che più o meno abbiamo sempre fatta, ma di stare in qualche modo vicini agli ultimi: non è elemosina è condivisione.

Il nuovo messale ambrosiano colloca questa pagina, tradizionale in altra parte dell’anno, alla quarta domenica di avvento, tutta proiettata ormai sull’imminente celebrazione del Natale. Non addentriamoci nelle complesse ragioni liturgiche della scelta e prendiamola per un invito a  prestare bene attenzione: chi è e che cosa chiede a chi lo vuole seguire l’uomo che festosamente coccoliamo nella poverissima culla?  

Quarta domenica dell’avvento ambrosiano

schede  per  leggere                                             m.c.   

Umberto Eco, con Il cimitero di Praga (Bompiani 2010, pagg. 523, euro 16,60), offre al pubblico un nuovo romanzo che, forse, vorrebbe ripetere lo straordinario successo di Il nome della rosa. Preceduto da presentazioni ben orchestrate, il libro è riuscito a suscitare molte aspettative, dopo le dotte, ma non troppo felici, esercitazioni letterarie in romanzi di difficile lettura, quali il Pendolo di Foucault o L’isola del giorno prima. 

Il racconto inizia nel secolo XIX con l’impresa garibaldina dei Mille, e si sviluppa dall’Italia alla Francia, fino ai primi del Novecento. Protagonista è un certo notaio Simonini, educato da un vecchio nonno e da un vecchio gesuita all’odio nei confronti degli ebrei e delle donne. Osserva maliziosamente Eco che, accanto ai numerosissimi personaggi del romanzo realmente esistiti, proprio il protagonista è l’unico inventato: ma nella sua figura si condensano molte delle peggiori nefandezze effettivamente commesse dagli uomini dei servizi segreti, da ufficiali traditori, da ecclesiastici corrotti, disposti a tutto pur di realizzare i loro scopi e sopravvivere.

Simonini si troverà al centro delle vicende storiche per la sua peculiare caratteristica di saper falsificare documenti in modo perfetto; ricatterà, sarà ricattato, ucciderà, si sdoppierà nella figura di un abate e, infine, come opera conclusiva, realizzazione delle sue più profonde convinzioni, costruisce i famosi Protocolli dei Savi di Sion. Il celebre falso attribuito da Eco al suo personaggio è stato realmente diffuso agli inizi del Novecento: attesterebbe l’incontro cospirativo, al cimitero di Praga, di dodici rabbini per conquistare il dominio del mondo, e fu uno dei fondamenti dell’antisemitismo diffuso in Europa nel XX utilizzato anche dalla propaganda nazista a sostegno del progetto hitleriano di sterminio.

Se scopo dell’autore è smascherare la teoria del complotto, ancor oggi molto in voga, del grande vecchio regista delle politiche mondiali, l’intento è sicuramente raggiunto e certamente meritevole. Il testo, però, complicato e pesante, ricchissimo di riferimenti culturali non facilmente comprensibili al pubblico, sembra scritto per intellettuali, probabilmente già eruditi in materia, mentre non riesce a conquistare né a emozionare, con le sue 500 pagine, lo sprovveduto lettore.

Per chi è interessato a temi religiosi, è da segnalare un prezioso volumetto -una delle tante perle offerte da Qiqajon, l’editrice del monastero di Bose- pubblicato nel 2010 con il titolo, di per sé esplicativo, Dio non è quel che credi  (pagg. 89, euro 11,00). Autore è Jean-Marie Ploux, teologo francese  impegnato nel dialogo interreligioso e nell’ecumenismo.

Oltre le parole con le quali l’uomo ha da sempre cercato di dire Dio, e con la consapevolezza di non poter dare un’immagine che ne sveli il mistero, l’impegno dell’autore è cercare un criterio fondamentale che ci orienti, nel rispetto del comandamento «non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio».

Tante sono le rappresentazioni false, che non possiamo oggi più accettare, perché non possiamo pretendere di rinchiudere Dio in parole valide per ogni tempo e ogni cultura; non possiamo accettare che Dio sia utilizzato per ragioni di stato dai poteri politici; non possiamo più attaccarci a un Dio la cui esistenza sarebbe dimostrata solo con la ragione, un grande computer dell’universo che spiega ogni cosa; un Dio costruito al contrario dell’uomo, quindi per un verso onnipotente, per un altro quasi con la necessità  delle debolezze dell’uomo per imporsi a lui. Dio deve rispettare la libertà dell’uomo, come si è sempre detto, ma anche la sua ragione e la sua intelligenza. Non è, l’invito del-l’autore, a pensare Dio dicendo tutto il contrario di ciò che era ieri; ma occorre imparare a pensarlo in modo diverso: è allora indispensabile chiedersi se le nostre rappresentazioni sono al servizio dell’uomo, o sono fattori di divisione e di violenza, riprendendo ciò che ne hanno detto uomini di fede; guardare, se si è cristiani, a Gesù, ai suoi gesti, alle sue parole, alla sua vita, alla sua morte, ma non senza la lunga parte di Bibbia che lo precede, e anche non senza tutte le tradizioni religiose e spirituali che danno testimonianza dell’uomo o di Dio.

Pare oggi condivisibile la convinzione che, senza trascurare tutte le filosofie e tutte le teologie, non sia comunque possibile definire Dio, perché ogni parola non potrà mai essere esaustiva. Anche quando lo pensiamo Padre, o Amore, come Gesù ha insegnato, occorre essere consapevoli che il concetto trova senso in categorie espresse dalla cultura presente, nella evoluzione e nell’arricchimento che sono frutto del pensiero e dall’esperienza dei secoli passati. Ma ciò che conta, per ciascuno di noi, è che il pensare Dio sarà sempre, e soprattutto, verificato nel concreto della vita, quando l’amore cercherà di farsi carne e sangue, pane e vino, da dividere con coloro che incontreremo sulla nostra strada.  

la cartella dei pretesti 

Facciamo nostre le parole profetiche di una grande donna indiana Arundathi Roy, scritte in quel tragico 7 ottobre 2001: «Il bombardamento dell’Afghanistan non è una vendetta per New York e Washington. È l’ennesimo atto di terrorismo contro il popolo del mondo. Ogni persona innocente che viene uccisa deve essere aggiunta, e non sottratta, all’orrendo bilancio di civili morti a New York e Washington. La gente raramente vince le guerre, i governi raramente le perdono. La gente viene uccisa. I governi si trasformano e si ricompongono come teste di idra. Usano la bandiera prima per cellofanare la mente della gente e soffocare il pensiero e poi, come sudario cerimoniale, per avvolgere i cadaveri straziati dei loro morti volenterosi».

Appello del vescovo  RAFFAELE NOGARO, ALEX ZANOTELLI e altri, Il Dialogo, ottobre 2010.

La stagione berlusconiana non è finita perché ha preso prevalenza su quel riferimento fondamentale che sono i valori e le istituzioni. Non si tratta più solamente di singoli atti. È anche una questione di forma mentis. Da alcuni anni i due punti di riferimento, i valori e le istituzioni, sono state messe da parte. La classe dirigente ha perso questi riferimenti e manca, dunque, l’esempio. Ci sono persone nei posti di responsabilità che non si rendono conto di quanto male facciano certi comportamenti.

CARLO AZEGLIO CIAMPI, intervista a radio 24, citata dal Corriere della sera, 10 novembre 2010.

Fa una certa impressione, e non solo agli appassionati, pensare che, anche solo per una sera, in tutta Italia il teatro taccia, sia chiuso.  […] Attori e cantanti che entrano o escono dalla scena, parole immortali o amabili, battute scacciapensieri che vivono sul palcoscenico e restano nell’aria, sono uno sfondo della nostra esistenza come il mare o la collina della città natale. […] Certo, è meglio vivere senza teatro che senza pane. Ma la vita sarebbe triste senza il teatro e siamo nati non solo per sopravvivere, ma anche per capire qualcosa della vita e, se possibile, pure per goderla.

CLAUDIO MAGRIS, Il teatro della vita, Corriere della sera, 23 novembre 2010.

Mi chiedono: e la Chiesa? La Chiesa per me sono le favelas dell’America latina dove ogni tipo di sofferenza che cade sull’umanità è presente e la Chiesa in questi luoghi non può essere la maestra infallibile di verità, ma deve mostrare quello sguardo materno che si posa tenerissimo su tutte queste miserie che spesso vengono sopportate con molto coraggio, sperando non tanto la ricompensa dopo la  morte, ma lo sguardo tenero di un padre che aiuta la fatica di vivere. Bisogna che i responsabili della Chiesa riconoscano di aver prodotto dogmi astratti piuttosto che offerto tenerezza e speranza.

ARTURO PAOLI, Il dono dell’amicizia, Rocca, 1 dicembre 2010.

Hanno siglato le rubriche: Ugo Basso, Mariella Canaletti, Giorgio Chiaffarino, Sandro Fazi.

 

Notam, lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam

quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol

Corrispondenza: info@notam.it

Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 -  20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano

Pro manuscripto

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L’invio del prossimo numero 364 è previsto per LUNEDÌ 20 dicembre 2010

 


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Notam 6 dicembre 2010 - S. Nicola - Anno XVIII - n. 363





Marted́ 07 Dicembre,2010 Ore: 15:10
 
 
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