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ISSN 2420-997X

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12 luglio 2010 - S. Giovanni Gualberto- Anno XVIII - n. 355


Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 12 luglio 2010 - S. Giovanni Gualberto- Anno XVIII - n. 355
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Fioretta Mandelli
Ho sentito per radio una notizia curiosa: sulla A 14 il 5 luglio un furgone portavalori, in seguito a un incidente, ha rovesciato sull’asfalto due milioni di monete in pezzi da uno e due euro. La circolazione è rimasta interrotta non tanto per l’incidente, non molto grave, ma perché centinaia di metri di asfalto sono stati invasi da automobilisti, che si sono fermati non per chiamare soccorso, ma per caricarsi di scatole di monetine, e di manate di monetine sciolte. In un simile frangente io non avrei raccolto per me neanche una monetina. Anzi, se penso a me stessa, non con le mie gambe indolenzite di oggi, ma agile e robusta come un tempo, mi vedo, quasi, magari un po’ ridicola, con in mano un foulard dalle cocche legate a formare un sacchetto, a raccogliere da terra monete e monete per aiutare a restituirle agli autisti del camion… È un pensiero buffo, un fatto forse non rilevante, ma mi sono domandata: perché mai per me prendere quelle monete non mie sarebbe stato come rubare? E come mai, invece, pare che questo non sia venuto in mente a nessuno degli automobilisti che si sono fermati?
Non conosco la risposta, solo la sento come una differenza, e non so da che cosa dipenda. Eppure questo piccolo fatto di cronaca mi è servito da spunto per collegarmi a una attualità che ogni giorno sembra sia fatta solo di persone che intascano ben più delle monetine dell’autostrada. E intascano denaro che non solo non appartiene a loro, ma che appartiene spesso a tutti i cittadini, a tutti noi che paghiamo le tasse, denaro che viene sottratto al compimento di opere che dovrebbero servire a migliorare la vita di tutti, e soprattutto la vita di chi sta più male e fa più fatica perché di denaro ne ha poco, spesso senza colpa. Ma conosco anche persone che, come me, raccoglierebbero le monetine per restituirle e sono le stesse persone, molte, che si indignano per chi ruba direttamente o indirettamente, per chi permette di rubare, per chi anche esorta a rubare.
Ma serve a qualcosa? Penso a tutti i raduni, alle manifestazioni numerose, benché non oceaniche, per protestare contro tutto quello che sta rovinando il nostro paese. E sotto, credetemi, c’è sempre l’attrattiva delle monetine: non sono di nessuno, perché non devono esser mie? Il potere serve per essere ricchi. Attraverso Internet mi arriva quasi ogni giorno una testimonianza di situazioni di povertà, di ingiustizia, di condizioni di vita intollerabili. Per tutte ricordo la lettera di quella donna dall’Aquila, di cui ho ricevuto tre copie da amici diversi, e che io pure ho mandato in giro perché fosse conosciuta e diffusa. Ma poi ?
Intanto in Italia la metà di tutta la ricchezza disponibile è nelle mani del 10% degli italiani. E c’è chi si domanda che cosa mai voglia dire ormai essere di sinistra? Non vuole dire soltanto non impadronirsi delle monetine che cadono per strada, ma qualcosa di più: vuol dire cercare (qualche volta mi sembra quasi disperatamente) una strada che porti verso la solidarietà, l’onestà, l’uguaglianza, anche con un po’ di intransigenza. Sembra invece che troppi si stiano abituando alle cose come sono.
in questo numero                             
G. Chiaffarino DENTRO AL MALAFFARE uU. Basso SARÀ BIBBIA NELLE SCUOLE? u UN DECALOGO PER I BIBLISTI uS. Fazi NOTE MARGINALI SUL CAMPIONATO MONDIALE (DI CALCIO) u IL NOME DI DIO INVANO uil gioco di saper cosa si pensa TRE PROPOSTE ALLA CHIESA u sottovento g.c. DRAQUILA – UN AIUTO ALLA SMEMORATEZZA u riuniti nel suo nome f.c. GLI ATTI DEGLI APOSTOLI u segni di speranza s.f. SIGNORE, DA CHI ANDREMO? u schede per leggere… anche d’estate m.c. / u.b.u la cartella dei pretesti
 
DENTRO AL MALAFFARE
Giorgio Chiaffarino
L'ultima bufera che ha investito il paese ha fatto ricordare eventi di tanti anni fa. Siamo alle solite: è la nuova tangentopoli, no si tratta di episodi isolati, al massimo di qualche birbantello (allora erano mariuoli!). Se l'opinione della maggioranza esclude il termine tangentopoli le proponiamo -con un noto giornalista- di chiamarla mambo! Si ha invece l'impressione di un fenomeno purtroppo di vastità eccezionale, vere autentiche filiere, persone, famiglie, parenti vicini e lontani…
Si sa che la corruzione trova associati chi corrompe e chi la corruzione subisce. È vero che io pago, ma ho bisogno delle commesse per vivere, del lavoro, per l'azienda, per non licenziare, non chiudere bottega… E questo può funzionare anche a lungo, se le richieste non sono eccessive e se è possibile ribaltarne il costo al mercato. Il punto è anche che entrambi i personaggi dell'operazione sono puniti dalla legge allo stesso modo e chi la corruzione subisce praticamente dovrebbe autodenunciarsi. Se queste operazioni si moltiplicano, si crea un sistema ed è vero che questo distorce il mercato, la necessaria concorrenza, penalizza l'evoluzione, ma assicura dai rischi dei possibili competitori e questo basta. C'è anche da dire che, osservando una certa impunità perdurante, molti che assistono a questa pioggia di benefici che una rete -anche cattolica- da tempo assicura, non si peritano di denunciarla nella speranza prima o poi di potere a loro volta partecipare.
Perché allora a un certo momento il sistema sembra saltare? Probabilmente perché la magistratura -questo terribile plotone di esecuzione che, a detta del premier, si dovrebbe vergognare- scopre qualche inghippo e interviene. Si diffonde la paura di essere arrestati…, ma potrebbe anche essere che in uno stato di crisi pesante questa levitazione di costi che la corruzione induce non può più essere scaricata sui prodotti e sul mercato. D'altro canto chi si è abituato a super incassi esentasse non può più farne a meno e, all'interno di un sistema che promette e sembra mantenere delle garanzie di alto livello, considera acquisita la convinzione di impunità semi assoluta. Di cosa stiamo parlando? Leggo una valutazione di 60 miliardi –di euro, naturalmente!-, davvero un bel peso sulla dissestata economia italiana. Non è vero allora che possiamo voltarci dall'altra parte e che la cosa non riguarda anche il nostro particulare.
Di fronte a uno sfascio conclamato sul piano civile e sociale che dura da anni, che raccoglie e amplifica distorsioni endemiche nel paese, e ora davanti a una corruzione sistematica di cui non sono immaginabili né i confini né le profondità, nessuno che non sia dotato di paraocchi può dichiararsi sorpreso. È purtroppo una minoranza del paese che denuncia e, inascoltata, rischia la sindrome di Cassandra. Meraviglia però la sostanziale irrilevanza sugli orientamenti dell'opinione pubblica… Il risultato dei sondaggi -è noto- va preso con le molle: eppure non è da sottovalutare che, pur diverse le sigle, tutti sono concordi nel rilevare una sostanziale indifferenza degli italiani davanti alla situazione di cui si tratta. In genere avanza piuttosto la disaffezione per la politica. Al massimo l'effetto corruzione -si commenta- si farà sentire nel tempo lungo.
 

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

SARÀ BIBBIA NELLE SCUOLE?
Ugo Basso
Dell’assenza della Bibbia e dello studio delle religioni nella nostra scuola abbiamo parlato più volte su queste pagine: e anche da qui ora desideriamo unirci al coro della soddisfazione per l’avvenuta firma, lo scorso 29 marzo, del protocollo d’inte-sa fra il Ministero dell’istruzione e l’associazione Biblia che, secondo una spiritosa battuta del suo presidente onorario Paolo De Benedetti, «vuol far parlare Dio anche a chi non è pio». Al protocollo è seguita, il 4 maggio, la creazione di un comitato paritetico, che si è già riunito, per avviare le finalità previste, cioè appunto nuove offerte formative rivolte a docenti e studenti perché la Bibbia e, più in generale, una conoscenza non confessionale delle religioni possa trovare spazio nelle scuole.
Lo studio delle religioni è insieme un forte incentivo alla tolleranza attraverso la conoscenza  e un contributo alla conoscenza di sé dei ragazzi nell’età della loro formazione. Specificamente lo studio della Bibbia costituisce un supporto allo studio di tutte le materie umanistiche e la scoperta che questo testo fondante della nostra civiltà non è roba da preti, ma uno straordinario poema dell’umanità. Tutte finalità citate nell’accordo di cui stiamo parlando e tutte finalità che non richiedono altra motivazione che la propria solare evidenza. Resta invece l’inquie-tante domanda sul perché non sia stato realizzato finora pressoché nulla, nonostante l’impegno della stessa Biblia e di altre agenzie culturali.
La risposta, forse rozza e sbrigativa, ma nella sostanza esatta è il veto della chiesa romana che sulla scuola e sulla cultura italiana ha sempre realizzato una sorta di controllo. Delle altre religioni è meglio non parlare e la Bibbia è un testo che deve essere somministrato nelle dosi e nelle circostanze volute dall’autorità ecclesiastica che ne pretende il monopolio. Qualcosa è cambiato con il concilio Vaticano secondo e in qualche modo anche questo protocollo può esserne un frutto.
È importante che lo stato, attraverso il governo, riconosca i valori di cui dicevamo, e potrebbe essere un segnale incoraggiante che viene da questo governo, non certo preoccupato del rispetto e della tolleranza e neppure della cultura e della formazione dei giovani: resta però a vedere che cosa sarà poi possibile realizzare, quanto dai buoni propositi arriverà fra i banchi. Non si può certo pensare a una nuova materia che aggiungerebbe ore e per la quale comunque mancherebbero insegnanti adeguatamente formati; né la soluzione potrebbe essere in un insegnamento alternativo a quello concordatario, perché la facoltatività ridurrebbe gran parte del suo significato e sarebbe deleteria una concorrenzialità nelle classi fra chi sceglie l’inse-gnamento confessionale, chi quello laico e chi il nulla.
Mi pare tuttavia che ci sarebbe un’altra via forse praticabile in tempi brevi e senza necessità di impegnative, e quindi improbabili, riforme: l’inserimento di questi temi nei diversi programmi. Un primo passo potrebbe essere l’inserimento di alcuni brani biblici nei programmi di italiano introdotti e commentati dal docente attraverso le competenze di cui dispone e qualcosa di analogo potrebbe accadere per i programmi di filosofia e di diritto. Ma come? La parola rivelata inserita in un’antolo-gia insieme all’Ariosto e al Pascoli? Posso immaginare l’obiezione. Magari per spiegare perché Ariosto e Pascoli, o chi volete, così spesso faccia riferimento a questa sconosciuta Bibbia. E potrebbe perfino accadere che qualche ragazzo si chieda come mai un unico testo ritorni in infinite citazioni lungo tutti i secoli della nostra cultura.

UN DECALOGO PER I BIBLISTI
Sul Sole 24ore del 28 dicembre 2008 Gianfranco Ravasi ricordava questo Decalogo del grande biblista Luis Alonso Schökel S.J. (1920-1998), che ci pare interessante rileggere con gli amici che usano frequentare la Bibbia.
I.         Lo studio biblico, è diventato la scienza non della Bibbia, bensì dei suoi studiosi; ma la Bibbia non è stata scritta per gli studiosi;
II.       il cucinato è più del mangiato: quello che siscrive è più di quello che si legge;
III.     conoscere tutti i dati a proposito di un testo non è ancora capire il testo;
IV.     si riesce a leggere tutto su un soggetto, ma ci si sente alla fine frustrati;
V.       con il sudore della tua fronte produrrai frutti: condividi i frutti, non il sudore;
VI.     ricerca controlla, scarta ma non ostentare la tua fatica;
VII.   segui la tua intuizione, ma non confessarlo mai;
VIII.dire stupidaggini è follia; citarle è erudizione;
IX.     non rimettere nel testo ciò che l’autore ha voluto lasciar fuori;
X.       la chiarezza è carità per chi legge o ascolta

 
NOTE MARGINALI SUL CAMPIONATO DEL MONDO (DI CALCIO)
Sandro Fazi
Solo alcune piccole note marginali sul bellissimo campionato di calcio appena concluso: bellissimo non solo sotto il profilo sportivo, ma anche per quello umano.
È straordinario che l’avvenimento si sia svolto in Africa, fino a ieri un luogo mitologico e dimenticato e oggi al centro del mondo. Abbiamo visto persone vestite di mille colori, sorridenti e piangenti, forse con una gravità in più per essere consapevoli della portata storica per loro dell’avvenimento cui stavano partecipando: questa volta tutto il mondo è andato a casa loro, i grandi, come i piccoli della terra, hanno visto i loro stadi bellissimi, la loro natura, la loro gente.
Lo sport talvolta fa miracoli che nessun altro avvenimento forse sa fare. Mi è sembrato quasi di percepire la preoccupazione, la palpitazione, l’orgoglio di quel giovane popolo del Sud Africa che si è improvvisamente trovato sulla ribalta del mondo a ospitare un avvenimento cui guardavano contemporaneamente tutti i popoli della terra, capofila di tanti altri popoli simili, purtroppo non fratelli, che condividono comunque le stesse ansie, frustrazioni e speranze. Momenti straordinari che non sempre, forse, noi wasp (o quasi) abbiamo saputo apprezzare.
Quanta responsabilità per noi, colonizzatori, ladri e assassini, che semplicemente ci dimentichiamo di qualche miliardo di persone inopportune che forse vorrebbero solo essere guardate con occhi più umani, prima ancora che essere aiutate. Ma noi siamo molto occupati e neppure ci vergogniamo delle regole che ci siamo dati per deportare tanti poveri disperati nel deserto libico, dove speriamo di dimenticarceli.
Molti giocatori si segnano con la croce al’inizio del proprio lavoro o in qualche momento importante; il gesto spesso è accompagnato da uno sguardo al cielo o da una concentrazione che ricorda forse una preghiera. I soggetti di questi gesti vengono dalle più diverse aree del mondo (prevalentemente, ma non solo, da quelle latino americane). Queste immagini mi hanno dato plasticamente, più di tante cifre, una idea della estensione della presenza cristiana nel mondo. A quale dio si rivolgono? Quali parole ricordano dalla nostra tradizione comune? Quanta responsabilità per noi che forse li abbiamo guardati con sufficienza dall’alto della nostra secolarizzazione, disincanto e presunzione. C’è forse qualche messaggio anche per noi da questi uomini del pallone?
Anche noi italiani abbiamo sentito un afflato, un moto dell’animo che ci ha uniti e coinvolti. Non tutti naturalmente. Tra quelli che si sono differenziati ricordiamo in particolare quegli analfabeti che hanno preteso di riconoscersi solo nella storia delle loro tribù padane. Quanta miseria! Pensare che è apparsa bella finanche Angela Merkel quando ha esultato per i successi della sua squadra. E chi non ricorda Pertini in analoghe circostanze! Altri tempi, purtroppo. Accontentiamoci del privilegio di averli vissuti e di poterli ricordare con nostalgia.

IL NOME DI DIO INVANO
Si è intensificata nelle scorse settimane la campagna politica e mediatica perché la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, nel giudizio d’appello previsto a Strasburgo per il 30 giugno, modifichi la sentenza di primo grado sulla possibilità di mantenere il crocifisso nelle aule scolastiche e nei pubblici uffici.
L’associazione Noi siamo chiesa, nel prendere posizione perché la sentenza del novembre scorso venga confermata, offre alla meditazione di credenti e non credenti le parole del senatore Pietro Ichino poste a conclusione del suo intervento nell’aula del Senato il 4 novembre 2009 all’indomani della sentenza di primo grado:
Questo uso del crocefisso mi disturba come credente: perché Cristo non è morto in croce soltanto per il nostro Paese, né soltanto per i Paesi europei; e il suo Vangelo non si identifica affatto con la nostra cultura, ma è stato dato a tutta l’umanità. Questo uso del crocefisso come bandiera, o come simbolo di una cultura per distinguerla dalle altre, se compiuto dai credenti, costituirebbe una violazione del primo comandamento biblico: «Non usare il nome di Dio invano». Se è compiuto dallo Stato laico, vedo in esso un’appropriazione indebita. E chiedo che esso cessi al più presto: per rispetto dei cristiani prima ancora che dei non cristiani.

 il gioco di saper cosa si pensa
TRE PROPOSTE ALLA CHIESA
Fra irritazione e nostalgia, tolleranza e rifiuto, fiducia e scandalo, vogliamo provare a riprendere una caratteristica storica del nostro quindicinale lanciando ai lettori l’invito a mandarci, in uno spazio non superiore alle dieci righe, tre suggerimenti che volentieri darebbero alla chiesa di Roma, o, ancor meglio, ai suoi dirigenti.
Mariella Canaletti rivolge tre suggerimenti direttamente al papa.
I – Chiederei di sospendere per un po’ il ragionare teologico, e di ricominciare a studiare, per un’ora al giorno, i primi cinque libri della Bibbia, e i profeti: intelligente e colto, forse imparerà a meglio comprendere il mondo dei lontani. Di imporre, contemporaneamente, ai cardinali, di fare lo stesso esercizio, con possibilità di verifica e bocciatura sul campo.
II –Suggerirei poi, sempre al teologo Ratzinger, di non trascurare la lettura personale, altamente istruttiva, di quello che va scrivendo il suo vecchio compagno Hans Küng, che non è, come crede, un isolato pensatore, ma che condensa tutto ciò che si va agitando oggi in quella Chiesa che Roma si illude di governare.
III – E infine, per una questione di buon gusto, oltre che per un minimo di coerenza, butti via cappello, manto, scarpe rosse, e si vesta con una bianca tunica: risparmierebbe qualche soldo, e risulterebbe più credibile.
Franca Colombo propone tre parole chiave, tre P da memorizzare: Povertà. Partecipazione, Promozione.
Povertà: vorrei che la chiesa riprendesse in mano il vangelo (Matteo 4,8-11) e imparasse da Gesù a respingere la tentazione della ricchezza. Non chiedo che si spogli di tutti i suoi beni, ma almeno che eviti di fare affari, tramite le sue banche, con i fabbricanti di armi, con i trafficanti di droga e che le sue fondazioni non raccolgano denaro da chi vuole evadere il fisco piuttosto che diffondere il vangelo.
Partecipazione: vorrei che la chiesa incoraggiasse la formazione di piccole comunità di base e la partecipazione delle donne alla gestione del sacro. Se Dio ha scelto due donne per portare al mondo la notizia della resurrezione e Cristo ha scelto più volte le donne per portare agli uomini la buona novella vorrei che anche la chiesa avesse altrettanta fiducia nelle donne e le rendesse partecipi nella gestione delle comunità.
Promozione. Vorrei che la mia chiesa fosse sempre in prima fila tra gli uomini che promuovono diritti dei poveri e non solo degli embrioni. Vorrei che i prelati sorridessero sulle prime pagine dei giornali non tanto perché «l’immagine della Istituzione chiesa è salva» quanto perché sono salve, per merito della ricerca sulle staminali, migliaia di donne contagiate dall’AIDS, o migliaia di bambini salvati dalla fame in Africa.
Sandro Fazi riprende le P cimentandosi con tre concetti greci.
Parousia: la chiesa non è opera degli uomini che la vivono; è stata pensata ed è abitata da Gesù Cristo. Le deficienze non intaccano il suo nucleo essenziale: il capo è Lui, è cosa Sua; interverrà quando e come necessario. Quello che vediamo andare in malora è l’involucro, che non rimpiangeremo. Se non ci saranno uomini che rispondono adeguatamente, Egli susciterà altre soluzioni (un cristianesimo non religioso?). Non dimentichiamo che siamo solo agli inizi di un nuovo millennio. Inviterei la chiesa a essere meno invadente.
Parresia: franchezza e coraggio sono sicuramente auspicabili, come pure uscire dal ricatto del consenso quantitativo e dal fascino dei grandi numeri. Inviterei tutti a superare serenamente l’ansia e abitudine del contarsi.
Pistis: la fede è ineffabile; cammina per sentieri interiori e segreti; chiede rispetto e silenzio. Le esibizioni, specialmente quelle rumorose, sono sotto sospetto. Non posiamo sapere quanto oggi sia diffusa e salda, in realtà. La chiesa sia meno populista.
Ugo Basso cerca un po’ di sale evangelico nella bimillenaria storia dell’istituzione con le stesse parole.
Parousia: ricorrente diverse volte nella scrittura cristiana con il senso di venuta, presenza del Cristo. Mi pare che la chiesa dovrebbe preoccuparsene, alimentare l’attesa e la speranza: non tutto è possibile all’uomo, ma non c’è attesa di evento universale senza solidarietà.
Parresia: franchezza e coraggio. L’atteggiamento di chi non usa ambiguità, di chi con chiarezza apprezza e denuncia, anche fuori dai potenti canali del consenso. E invita a farlo come stile di vita nel quotidiano e nei grandi momenti pubblici.
Pistis: fede, frequentissima nella scrittura: ho in mente Luca 18, 8: «quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà fede sulla terra?», cioè troverà qualcuno che crede in una vita decente per tutti? Occorre diffondere fiducia, solo con la fiducia si mette mano a grandi opere e si guarda al prossimo senza sospetto.
Aspettiamo altri contributi, appassionati, franchi e…brevi.
sottovento                                                             g.c.  
DRAQUILA
Qualche considerazione dopo la visione del film. Pure in una vicenda di cui molto si è parlato e di cui, in sostanza, quasi tutti gli aspetti sono conosciuti, quando hai le scene davanti agli occhi, non c'è nemmeno bisogno di commenti, lo sconvolgimento è fortissimo. Una città off limits, il cui futuro non interessa più chi ci governa, la ricerca dell'effetto immediato, sfruttato il quale le persone sono abbandonate a se stesse. Nuovi quartieri senza un centro, senza un'anima, migliaia di persone ancora in vacanza continua al mare…
E poi il successo dello spreco senza limiti, uno scandalo nello scandalo in tempi di strette e di tagli, l'elenco vergognoso degli eventi affidati senza controlli alla Protezione Civile, dove l'emergenza e l'interesse generale sono un optional.
Qualche scena che supera il dicibile: un padre che si accusa della morte dei suoi figli che ha convinto a restare in casa dando credito agli affidamenti di chi avrebbe potuto e dovuto interpretare i segnali a proteggere davvero le persone, magari con il semplice invito a lasciare le case, ma in particolare la difficile sorte degli ultimi, dei poveri, che non sono presentabili in televisione, che non partecipano al coro dei consensi e non sono utili a raccogliere voti. Mentre gli avvoltoi, già nella prima ora, se la ridono al pensiero del lauto pasto che il sistema gli riserverà.
Un paese civile, non degradato al punto ormai di digerire senza battere ciglio qualsiasi nefandezza, avrebbe motivi per una rivolta morale che dovrebbe affondare i responsabili nella loro vergogna. Niente di tutto questo è alle viste: anzi, spesso un fastidio, nemmeno tanto mascherato, che turba la tranquilla gestione dell'utile privato, e della cuccia che ciascuno si è ricavato anche a spese degli altri e della collettività.
UN AIUTO ALLA SMEMORATEZZA
C’è una splendida attività che si sta rivelando utile, non solo alla memoria in un paese che fa del dimenticatoio una delle strutture più efficienti, ma anche per realizzare delle tirature straordinarie nella editoria. Parlo dell’organizzazione e della gestione di archivi.
Il campione di questa attività, Marco Travaglio, ha fatto scuola e oggi ha molti allievi. È da vedere se qualcuno, prima o poi, non supererà il maestro.
Ora per completare la borsa dei libri delle vacanze ne suggerisco uno. È di Loris Mazzetti -il regista televisivo de il Fatto di Enzo Biagi del quale in apertura si legge un commosso ricordo- e si intitola: La macchina delle bugie (Bur 10 €). Il soggetto è la Rai e l’autore porta per mano il lettore attraverso la scandalosa involuzione subita da questo ente che ormai è il primo agente di informazione dell’ita-liano medio. Tutta una serie di esempi ci ricorda che «se di un evento non si parla in televisione è come non esistesse». Ha detto Biagi: «La televisione entra in tutte le case e deve essere potabile, qualche volta magari frizzante, ma sempre potabile». Ecco, è proprio questa potabilità che è largamente la grande assente: uno sguardo ai capitoli ci darà un’idea del menù che Mazzetti propone al lettore: Armi di distrazione di massa - L’ombra del potere sul servizio pubblico - I cani da guardia della democrazia - Memoria corta…
Si tratta di aspetti che in parte sono noti: molti no davvero e comunque un ripasso non può che essere utile per contrastare la soporifera invasione a cui, anche non volendo, siamo sottoposti.
 riuniti nel suo nome                                             f.c.   
GLI ATTI DEGLI APOSTOLI
 capitoli 23 – 28
Giunti al termine della lettura di Atti non possiamo fare a meno di domandarci quale messaggio ci ha comunicato questo testo e quali tracce ha lasciato nella nostra vita. La prima cosa che mi viene in mente è la frenesia degli spostamenti di Paolo. Quest’uomo, che non resiste più di due mesi in un medesimo posto, (salvo poche eccezioni) sempre teso alla ricerca di nuovi incontri, nuovi contatti, nuove culture mi è apparso come una figura moderna, un credente in continua ricerca, sospinto dallo Spirito a gettare ponti verso popoli lontani e diversi. Questi ultimi capitoli sono la narrazione affascinante e avvincente del suo viaggio da Gerusalemme a Roma, una specie di diario di bordo, che si aggiunge alle descrizioni degli altri viaggi verso l’Asia Minore.
Non si sa quanto questa insistenza di Luca sugli aspetti avventurosi della vita di Paolo rifletta una reale caratteristica della sua personalità, o se non sia una esigenza di Luca utilizzare il viaggio come metafora, per indicare alla sua comunità il percorso accidentato che l’aspetta: partenze laceranti, strappi con il passato, tempeste, insabbiamenti, ricerca di approdi benevoli, conflitti interni alla ciurma e nuove accoglienze esterne. Non sono forse situazioni fortemente simboliche della vita di ogni comunità ecclesiale, ancora attuali nella nostra Chiesa di oggi? Tuttavia in mezzo a tante traversie, che potrebbero indurre anche a un certo pessimismo, appaiono nel racconto di Atti squarci di luce straordinari che illuminano la profonda fiducia di Paolo nella presenza dello Spirito, nella sua vita e quindi nella vita della Chiesa. Sono le sue accorate professioni di fede di cui è costellato tutto il testo: «Devo annunciare al mondo che Dio ama tutti gli uomini» (20, 24) «Ho questa sicura speranza: che tutti gli uomini, sia buoni che malvagi, risorgeranno nel Signore» (24, 15).
Molto luminoso anche l’episodio del pane spezzato, durante la tempesta (27, 35-38), quando il panico si era impossessato dei marinai e Paolo «prese il pane, rese grazie a Dio e lo spezzò di fronte a tutti… e tutti ne mangiarono e si sentirono incoraggiati». Un gesto chiaramente evocativo della Cena del Signore, un gesto che rende evidente la forza di contrasto che la comunione può svolgere contro la paura e la sfiducia, che spesso sono presenti nelle nostre comunità.
Infine, non possiamo non rilevare, in questi capitoli, l’importanza che Luca attribuisce al rapporto della cristianità con il potere politico, dando ampio spazio ai numerosi contatti di Paolo con le autorità romane. È interessante notare la grande fiducia che Paolo nutre verso il potere romano, rispettoso della legalità, contrapposto alla totale sfiducia verso la giustizia del mondo giudaico, fondata su risentimenti, fondamentalismi religiosi e accuse riportate da altri. Oggi che anche la nostra Chiesa è costretta confrontarsi con la giustizia dello stato, potrebbe ricordarsi che Paolo non si è mai sottratto al giudizio dell’autorità civile: anzi, ne ha sollecitato lui stesso l’intervento a livelli sempre più alti, certo che avrebbero riconosciuto la sua innocenza.
La differenza, purtroppo, sta nel fatto che Paolo sapeva di «avere una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini» (24, 16) mentre la nostra Chiesa oggi sa quanto poco pulita è la coscienza di chi deve comparire in tribunale per amministrazione fraudolenta o per aver barattato proprietà immobiliari con favori politici, quindi si mostra indignata contro chi vuole giudicarla. Se pensiamo che la Congregazione di Propaganda Fide avrebbe dovuto essere la continuazione di quell’opera di evangelizzazione dei popoli che svolgeva Paolo coi suoi viaggi, ci rendiamo conto di quanto sia lontana questa chiesa, non solo da quella proposta da Gesù nel vangelo (il più grande tra voi sia il più piccolo e altri analoghi), ma anche da quella auspicata da Luca negli Atti. Infatti, il testo si conclude con un flash su Paolo che «si ferma due anni» a Roma, pago della sua sistemazione in una casa, dove tutti potevano entrare liberamente e finalmente approdato a una Chiesa domestica dove «poteva annunciare tutto quello che riguarda il Signore Gesù». È chiaro che questa è la Chiesa che Luca propone alla sua comunità e che noi continuiamo ad auspicare e sperare, mentre al popolo dei curiali e dei faccendieri Luca indirizza la parola di Isaia (28, 27): «Il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi». 
 segni di speranza                                                                     s.f.  
SIGNORE, DA CHI ANDREMO?
Giovanni 6, 59-69
«Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» aveva detto Gesù nella Sinagoga di Cafarnao nel discorso sulla Eucaristia.
«Questo discorso è duro» dicono i discepoli e Gesù a loro: «Volete andarvene anche voi?» Sì, vorremmo andarcene anche noi; abbiamo provato a farlo più di una volta perché la proposta che ci viene fatta è piena di misteri: sembra non tener conto della nostra umanità. Dio non si fa comprendere, nel modo in cui noi vorremmo e potremmo farlo. Tutte le idee che abbiamo su Dio non possono mai servire a fare di Dio qualcosa di comprensibile, a privarlo del suo mistero, che è imponderabile. La sua sapienza è nascosta nel suo nascondimento, e questo è tutto. Questo non solo ci disorienta, ma ci lascia costantemente nel dubbio di esserci ingannati.
La nostra intelligenza è fatta per arrivare alla chiarezza ed è anzi nostro dovere perseverare in questa ricerca di chiarezza. Gesù stesso ci chiede ripetutamente di non essere ciechi pur vedendo e sordi pur udendo. La chiarezza è un dovere anche verso il mistero: il destino ultimo e più profondo del nostro spirito è di giungere ad ammirare ciò che ci trascende; fa parte della nostra evoluzione. È in questa contrapposizione dialettica, di mistero e chiarezza, che si sviluppa il percorso della fede, un percorso personale, segreto, forse ineffabile, non interamente contenuto nelle mani dell’uomo, aiutato comunque e reso possibile solo da quella energia spirituale che ci alimenta. Certamente «questo discorso è duro», dice Gesù: «per questo vi ho detto: “nessuno può venire a me se non gli è dato dal Padre mio”».
Dio è il tutt’altro, e l’uomo da solo non può salire in nessun modo fino a Lui. D’altra parte, ha ragione Pietro: «Signore, dove andremo?» non abbiamo trovato altro discorso che sappia arrivare cosi profondamente alla nostra mente e alla nostra interiorità, che sia pensiero, ma anche proposta e prospettiva di vita. L’esperienza ci ha detto poi, e possiamo testimoniarlo, che la proposta è valida e merita attenzione: la riprova può essere nell’appagamento che abbiamo provato nelle rare occasioni in cui ci è capitato di compiere azioni di amore gratuito e incondizionato, che sono l’essenza del messaggio che abbiamo ricevuto.
Settima domenica ambrosiana dopo Pentecoste
 schede per leggere… anche d’estate                            m.c.   
Accade che un legal-thriller possa insegnare molte cose: L’indiziata, nell’edizione economica di TEA (pp. 630, 9,60 €) di Richard North Patterson, è infatti un libro di evasione che offre al lettore anche un quadro, ampio e approfondito, dei rapporti oggi in gioco in terra santa, divenuta da tempo e per molti terra di sangue.
La storia: a San Francisco l’avvocato di origine ebraica David Wolfe, sostenuto dalla sua potente comunità, sta gettando le basi per una scalata al potere politico; sconvolge però gli Stati Uniti l’assassinio, a opera di due kamikaze, del premier di Israele in visita al potente alleato per illustrare il suo progetto di pace con i palestinesi. Sconvolta ne sarà anche la vita del protagonista, perché accusata del delitto, e incarcerata, è Hana, giovane palestinese molto amata da David, e perduta ai tempi dell’università: per difenderla, l’affermato avvocato dovrà rinunciare alle sue ambizioni e, nella ricerca delle prove di innocenza e dei veri colpevoli, inizierà un duro e faticoso percorso in Israele e in Cisgiordania, con un processo di conoscenza di quel mondo così complesso e lacerato.
Attraverso una vicenda appassionante, l’autore riesce a offrire uno spaccato della giustizia americana, e una analisi abbastanza dettagliata di quanto va agitandosi in quel lembo di terra, dove si scontrano odi profondi, forze in irriducibile contrasto, povertà, paura e disperazione; infami calcoli di interesse. Così, al ritmo incalzante del processo, si affianca una ricerca obiettiva, che orienta il lettore a giudizi e valutazioni non di parte, e che sembra purtroppo escludere ogni possibile sbocco positivo.
A chi ama leggere Andrea Camilleri non saranno certo sfuggite le sue ultime pubblicazioni, che il fecondissimo autore sembra sfornare a getto continuo.
Il nipote del Negus (Sellerio 2010, pp. 277, 9,10 €) è una esilarante commedia che, attraverso lettere, commenti, ordini di servizio e altri atti amministrativi, in modo simile al famosissimo La concessione del telefono, racconta le avventure in terra italiana, a Vigata, del nipote del Negus. L’autore prende lo spunto da un evento reale (ci fu davvero un nipote del Negus in Italia!) per raccontare, con efficace arguzia, l’ignoranza, il servilismo, le piaggerie della burocrazia nel periodo fascista. Nasce infine il dubbio che molto di ciò sia rimasto anche nel tempo in cui viviamo.
La caccia al tesoro (Sellerio 2010, pp. 271, 9,80 €) riporta invece in scena Montalbano, che ormai si sta avviando verso la sessantina e soffre dei segni inequivocabili dell’età. Non perde la lucidità, ma è sempre un po’ triste e annoiato, anche perché, davanti al dilagare della corruzione politica, deve constatare una notevole diminuzione di delinquenti comuni: secondo Catarella, non si sentirebbero più all’altezza! Dopo un inizio abbastanza stanco, il romanzo prende nuovo ritmo quando si scopre che alcuni messaggi pervenuti al celebre commissario, che sembrano indicare una banale caccia al tesoro, si rivelano essere un espediente, la sfida di un giovane sadico per dare prova della propria superiore intelligenza. Ci scappa il morto, in un crescendo di horror che è diventato oggi molto comune e tende a sostituire le invenzioni della fantasia.
L’ultimo uscito, Acqua in bocca (Minimum fax, 2010, pp. 108, euro 7,00), scritto a due mani con Carlo Lucarelli. Gli autori, certamente molto lontani per età, si incontrano però su una simile impostazione dei loro scritti, mai dimentica di un rigoroso giudizio sugli aspetti negativi della società e della politica. Nato come gioco a due in occasione di un lavoro comune, il racconto fa agire il commissario Montalbano e l’ispettrice Grazia Negro, personaggi che simbolicamente li rappresentano, in una vicenda di servizi segreti deviati dello Stato che si richiama a eventi realmente accaduti. Ma la trama è debole, ed evidente l’intento di farne un caso editoriale.
Più impegnativo, volutamente ambiguo nel titolo, Emmaus –Feltrinelli 2009, pp. 139, 13 €- è l’ultimo breve romanzo di Alessandro Baricco. Un gruppo di quattro liceali della borghesia urbana, tutti impegnati nell’attività religiosa sia nelle convinzioni personali, sia nella partecipazione alla vita parrocchiale, sia in opere di volontariato, scoprono quasi improvvisamente che la vita è tutt’altro: ricchezze, libertà, droga, ragazze irresistibili, sesso. Dei quattro, uno si uccide ossessionato dall’idea falsa di essere il padre del bimbo di cui è incinta la stupenda ragazza che lo ha attratto in un occasionale rapporto; uno finisce drogato; quello più impegnato, che tutti chiamavano il Santo, e che è naturalmente il padre del bambino, finisce in carcere per l’omicidio volontario quanto senza motivo di un conoscente travestito e solo il quarto, il narratore, riprende a frequentare la parrocchia giusto per avere un’identità, ma non è chiaro quanto questa scelta, peraltro di superficie, possa durare nel tempo. Il senso è che una certezza perfetta, ma senza confronti, può crollare improvvisamente, dando spazio alle soluzioni più irrazionali: «ci sono un sacco di cose vere, intorno, e noi non le vediamo, ma loro ci sono, e hanno un senso, senza nessun bisogno di Dio». Rispetto al sesso, i giovani credenti sono del tutto indifesi, perché ne fanno esperienza «senza scopare» e alla prima vera occasione ne sono travolti. Emmaus perché i nostri ragazzi non si sono accorti della vera vita che gli è attorno? Emmaus perché la ragazza è una presenza insieme irraggiungibile e concretissima, ma che cambia la vita? Problemi reali e abili suggestioni narrative non mi pare riescano a trovare la forza per lasciare traccia nel lettore che voglia davvero affrontare i problemi dei giovani, credenti e no, del nostro tempo.  (u.b.)
Infine, per chi apprezza le atmosfere di lago, dei paesi di costa negli anni cinquanta, fra donne pettegole, pescatori di frodo, il bar del paese, con parroco e maresciallo, L’amore imperdonabile, un mistero sul lago di Giuseppe Guin, Book editore, pp.222, 14 € può offrire la lettura piacevole di una narrazione tradizionale, scorrevole, sempre chiara, ma con diverse sorprese. Sorprese per il plot da giallo, con finale del tutto imprevisto, e per la capacità di familiarizzare con i personaggi che nel ritmo del quotidiano ti diventano amici, fino a indurti a godere delle loro gioie e a dolerti dei loro drammi, che segui fra i sentieri e la piazza del paese riprodotti in una piantina, e a incuriosirti della barca che attraversa il lago e non sai ancora chi porta. (u.b.)
 la cartella dei pretesti 
Questa legge [sulle intercettazioni] è dunque liberticida e al tempo stesso inutile perché non riuscirà a imbavagliare la libera stampa, ma semplicemente a configurare l’Italia come un paese in mano ad una farsesca cricca ossessionata da tentazioni autoritarie e sanfediste. Voltaire avrebbe ampia materia, se rinascesse, per esercitare la sua aguzza ironia.
EUGENIO SCALFARI, la Repubblica, 13 giugno 2010.
L’accoltellamento di monsignor Padovesedice che nella chiesa, senza nulla togliere alla gravità dei crimini per i quali chiedere perdono a Dio, permane una riserva di mitezza, di umiltà disarmata, di semplicità di vita che come tale espone alla violenza, sia essa folle o ispirata, e che fa da contrappeso invisibile alle meschinità che la insidiano, da fuori e da dentro.
ALBERTO MELLONI, La chiesa del martire Padovese risponde così alle meschinità, Corriere della sera, 14/6/2010.
Ciò che distingue la «verità di fede» dalla semplice verità è la sua maggiore vulnerabilità al dubbio. La paura del dubbio, dell’incertezza, che grava su ciò che crediamo rende spesso facilmente intolleranti. Colui che dichiara «io credo» è meno sicuro di colui che può tranquillamente dire «io so», ecco perché egli afferma la sua ragione con tanto astio e accanimento.
FRANÇOIS FEJTO, Quel preoccupante bisogno di fedi, Corriere della sera, 23 maggio 2010.
La fede non ha paura dei risultati dell’intelletto: solamente teme il pericolo degli esperimenti che non rispettino la natura dell’uomo. Se questo desiderio di non rendere l’uomo uno strumento per altri fini viene onorato, avremo ancora molto da imparare e non porteremo più per l’esistenza di Dio argomenti impropri, che la realtà dei fatti potrebbe rovesciare.
CARLO MARIA MARTINI, Vita artificiale. Va rispettata la natura dell’uomo, Corriere della sera, 30 maggio 2010.
Non sopporto più gli appelli, i manifesti, i comunicati stampa. Parole morte: dopo la prima riga, schiaccio  canc. Mi annoiano gli eventi di cartapesta dove vi sono più relatori che partecipanti. Inorridisco alla vocina della Signora, così acuta quando parla dei poveri. Mi nausea vedere un consiglio comunale di 61 eleggere una commissione (la diciannovesima!) di  35 (trentacinque!), ascoltare assessori che dicono sempre di sì e non fanno mai un tubo. Non reggo più i giornalisti ignoranti, gli opinion leader  che dicono tronfi «io conosco la città!» quando a malapena conoscono un quartiere. Chiedo di essere liberato da chi sentenzia «Milano razzista»  e subito scappa per il fine settimana di lusso... liberté, egalité e jet privé! […] Ridatemi invece una vita semplice. Una buona dose di silenzio. Due o tre parole, non di più, ma parole da mangiare. Un cantiere che abbia un inizio e una fine. Un giornale, almeno uno, che racconti le notizie senza sceneggiate. E un sindaco simpatico che sia pieno di leggerezza. Sì, desidero la leggerezza della pensosità e della generosità, che spazzerà via questa stupidità greve che mi intasa le coronarie... Guardate: anche la Madonnina lassù è leggera e scintillante...
GIOVANNI COLOMBO, www.cuoredilombardia.it, 17 maggio 2010
 
Hanno siglato le rubriche: 
Ugo Basso, Giorgio Chiaffarino, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
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L’invio del prossimo numero 356 è previsto per LUNEDÌ 9 agosto 2010


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12 luglio 2010 - S. Giovanni Gualberto- Anno XVIII - n. 355


 

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Marted́ 13 Luglio,2010 Ore: 11:50
 
 
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