- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (281) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Notam,

Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zc 8,16)


Lettera del 21 giugno 2010 - S. Luigi Gonzaga - Anno XVIII - n. 354


Notam
«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 21 giugno 2010 - S. Luigi Gonzaga - Anno XVIII - n. 354
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Franca Colombo
In questa «ragnatela appiccicosa» (Notam 353) in cui ci dibattiamo da mesi a causa della crisi economica, da cui nessuno sa come uscire, in questa fitta rete di proposte di legge, minacciate, votate, respinte, cancellate, rivotate e non ancora approvate, almeno una cosa è finalmente chiara e sicura: «la costituzione è un inferno!». È tutta colpa sua se le cose vanno male in Italia. Il terribile mostro di 139 tentacoli raggiunge tutte le sfere del vivere civile e garantisce «tutti i diritti inviolabili dell’uomo» è una palla al piede per chi vuole muoversi in nome dell’efficienza e del successo. Un mostro che garantisce «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione… garantisce che la stampa non possa essere soggetta ad autorizzazioni o censure» (art.21).
E un povero cittadino, dinamico e intraprendente, che vuole occuparsi della sua azienda deve essere costretto a confrontarsi con altri cittadini incompetenti che possono fare critiche, osservazioni, opposizioni, intralciando il suo operato? E magari possono anche comparire in televisione e danneggiare i suoi interessi personali? È veramente diabolico! Peccato che questa azienda si chiami Italia e che non sia sua ma nostra! E peccato che chi ha dato vita a questo mostro infernale avesse sperimentato su di sé la forza devastante del bavaglio fascista, che era cominciato con la soppressione di alcuni giornali per finire con il confino, l’emarginazione e il carcere dei cittadini ribelli. Ma quelli, si sa, erano cattocomunisti, erano coloro che avevano messo insieme il pragmatismo di Marx con l’idealismo del Vangelo, la peggior specie di politici e legislatori. Una razza da estirpare!
E poi ci sono i magistrati, anche loro garantiti da questo mostro infernale: il tentacolo 101 li autorizza a «essere soggetti soltanto alla legge» e non al governo, al capo del governo o ai suoi adepti, anzi li obbliga ad essere «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» (tentacolo 104). Da estirpare! C’è il rischio che possano esercitare il controllo sulla legalità delle iniziative politiche e vogliano mettere il naso sulle leggi vergogna. E infine il tentacolo 41 che tutela i diritti dei lavoratori come fossero i più deboli. È una propaggine datata, da estirpare! Oggi i soggetti più deboli sono le imprese, «bisogna fare un piano per la libertà di impresa»: libertà dalle tasse, libertà dalla responsabilità della sicurezza nel lavoro, libertà dai contributi per la sanità e la ricerca. Quante storie! Non siamo forse il popolo delle libertà?
Se la costituzione è l’inferno, la famiglia del premier sarà sempre il paradiso. Leggiamo amene notizie, come sul Corriere della Sera del 4 giugno: nella pagina della politica italiana ampio spazio per informarci che Piersilvio ha avuto il secondo figlio, che pesa kg.3,300, e ha radunato attorno alla sua culla nonni, zii e parenti tutti, compresa la prima moglie del nonno, che «indossava una giacca viola». Che sia il primo segnale della rivincita del popolo viola?
in questo numero                             
A. Mandelli AIUTI OCCIDENTALI E INTERVENTO CINESE NELL’AFRICA SUB-SAHARIANA uS. Fazi CONSIDERAZIONI SU COME LEGGERE LA SCRITTURA u taccuino del mondo B. Segre UNO STATUS QUO CHE NON SI VUOLE MODIFICARE u L. Padovese SOLIDALE CON GLI ULTIMI u M. Zanol AMANTE E MARITO u abbiamo partecipato     G. Chiaffarino UN APPELLO PER IL CORAGGIO CIVILE u parole 2010 E. Brunetti OLOGRAMMA u sottovento g.c. E SE SMETTESSIMO DI RUBARE? – IMPEGNANDOCI, QUALCOSA SUCCEDE… u  segni di speranza s.f. LASCIA LA TUA OFFERTA E VAI PRIMA A RICONCILIARTI CON TUO FRATELLO u  schede per leggere m.c. u la cartella dei pretesti
AIUTI OCCIDENTALI E INTERVENTO CINESE NELL’AFRICA SUB-SAHARIANA
Andrea Mandelli
Danbisa Moyo, economista famosa in tutto il mondo, ha scritto un saggio Dead Aid che esce ora in italiano (La carità che uccide - Come gli aiuti dell'Occidente stanno devastando il Terzo Mondo, Rizzoli, pagg. 260, 18,50€). Sapevo che l’Africa è un paese con gravi difficoltà, ma i dati del libro documentano una situazione drammatica, sia per gravità che per estensione, che va al di là dell’immagine che ne avevo. Secondo l’economista, gli aiuti internazionali invece di essere utili hanno contribuito a peggiorare le cose. 
L’Africa sub-sahariana è tutta la parte del continente a sud di una linea che passa circa a metà di Mauritania-Niger-Ciad-Sudan. Gli abitanti sono 700 milioni, suddivisi in quarantasette stati e circa mille tribù: per esempio, in Nigeria, con una popolazione di 150 milioni, ci sono quattrocento tribù con cultura e lingue diverse. Il 50% dei poveri del mondo vive in questa zona e ha un reddito procapite inferiore a 1 dollaro al giorno. (Nell’Unione Europea una mucca è sovvenzionata con 3,5 US$ al giorno!). In seguito all’incremento demografico, tra il 1990 e il 2000 il numero di persone che si trovano in questa condizione è aumentato del 35%.             
L'Africa sub-sahariana, con il più rapido tasso di crescita urbana del continente, ha circa quindici città con più di 1 milione di abitanti; per esempio, Lagos (Nigeria) supera i 10 milioni; Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) oltre 4 milioni; Abidjan (Costa d'Avorio) e Nairobi (Kenya) più di 3 milioni. La migrazione di milioni di Africani verso queste città ha fatto sorgere attorno a esse squallide baraccopoli, dove le condizioni di vita sono al limite della sopravvivenza. Le infrastrutture (strade, telecomunicazioni, energia elettrica...) sono scarse e di cattiva qualità tanto che è più conveniente produrre in Asia e spedire via nave in Europa piuttosto che produrre in Africa benché sia più vicina. Inoltre la burocrazia è un incubo: per esempio per avere una licenza di commercio in Camerun occorrono 426 giorni contro i 17 in Sud Korea.
Negli ultimi cinquanta anni Europa e America hanno inviato a questi paesi aiuti internazionali per milioni di miliardi di dollari a fondo perso o sotto forma di prestiti a basso tasso d’interesse. Eppure tredici di questi stati sono diventati ancora più poveri. L’85% delle somme sono state spese per gli scopi più diversi, invece di essere impiegate per lo sviluppo del paese. I politici non hanno interesse a darsi da fare per finanziare industrie, imprese e per ottenere una crescita a lungo termine. Per loro la via più facile per ripianare i bilanci è utilizzare gli aiuti internazionali. Infatti, comunque siano stati impiegati gli aiuti, il loro flusso continua, soprattutto per mancanza di controllo degli enti erogatori e anche perché il successo delle istituzioni che li mandano è misurato non sui risultati, ma sulla quantità di quanto elargito. Per esempio, nel 1977 il dittatore Bokassa spese 22 milioni di US$ per la cerimonia della sua incoronazione eppure gli aiuti continuarono come se nulla fosse.
La corruzione è a livelli insostenibili. Gli aiuti che giungono nell’Africa sub-sahariana finiscono in gran parte nelle tasche dei funzionari africani che depositano il denaro di cui si sono illegalmente appropriati nelle banche dei paesi ricchi. I capi di governo, inoltre, utilizzano la liquidità a disposizione per foraggiare i militari che li sostengono e per acquistare armi (dai paesi industrializzati, ovviamente) da usare in sanguinose guerre. La Seconda Guerra del Congo, combattuta tra il 1998 e il 2003, è stata la più grande guerra della storia recente dell'Africa, coinvolgendo otto nazioni africane e circa venticinque gruppi armati. Ha causato circa 5,4 milioni di morti ed è stata il conflitto più cruento scoppiato dopo la Seconda Guerra Mondiale.
L’Africa sub-sahariana ha grandi ricchezze di materie prime, ma non è detto che la loro esportazione porti a uno sviluppo del paese. Per esempio, produzione ed esportazione del petrolio del Ciad attraverso l’oleodotto del Camerun, sono controllate da un consorzio diretto dalla maggiore compagnia petrolifera del mondo, la statunitense ExxonMobil che possiede il 40% delle azioni. Ciad e Camerun ne possiedono solo il 3% e hanno dovuto contrarre un debito con la Banca Mondiale per acquistarle. L’80% del ricavato va a vantaggio di soltanto l’1% della popolazione che, inoltre, ha visto peggiorare le proprie condizioni di vita a causa dei danni ambientali provocati dallo sfruttamento petrolifero
All’assistenzialismo cieco dell’Occidente, si contrappone lo spirito imprenditoriale dei cinesi, che stanno investendo nei paesi africani ingenti somme, ritenendo che in Africa ci siano non soltanto quelle materie prime di cui hanno bisogno, ma anche interlocutori interessanti e business attraenti. La facilità e la rapidità con la quale vengono siglati accordi tra Pechino e le diverse capitali dei paesi africani va ricercata nella linea politico-diplomatica della non-interferenza: in pratica, la Cina fa offerte di natura esclusivamente economica, impegnandosi a non interferire nelle vicende politiche interne dei rispettivi partner commerciali.
Il G8 ha condonato i debiti per concedere all'Africa un'altra opportunità di sviluppo, ma nel frattempo i governi africani firmano con la Cina contratti di lavoro che penalizzano la manodopera autoctona e accordi commerciali che danneggiano i produttori locali.
L’autrice indica linee di guida che potrebbero portare a un effettivo sviluppo: aiuti mirati e soprattutto controllati, più microcrediti a gruppi locali, più opportunità commerciali per chi vuole esportare, e un’opera di contenimento delle guerre. Negli ultimi due-tre anni la politica occidentale ha cominciato a modificare i metodi di intervento. Si può sperare che le cose migliorino?
 
CONSIDERAZIONI SU COME LEGGERE LA SCRITTURA
Sandro Fazi
Come noto, il problema ermeneutico è uno dei grandi temi che la teologia ha dovuto affrontare da sempre, e in particolare a partire dal concilio Vaticano II: comprendere cioè il significato originario dei testi, nelle singole pagine e nel loro insieme, e attualizzarne il senso a oggi. Dice il Concilio nella Dei Verbum: «l’inter-prete ricerchi il senso di ciò che l’estensore intese esprimere in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterali allora in uso». La Bibbia quindi, prodotto storico, di una certa epoca e di una certa cultura, non sfugge alla necessità di un esame critico inteso a discernere, nelle fonti, ciò che è parola di Dio da ciò che è condizionamento culturale. Questa indiscutibile osservazione prende le distanze da chi ritiene che la Bibbia sia chiara e accessibile a tutti quelli che abbiano la fede dei semplici e la prendano alla lettera senza tante dotte disquisizioni: una lettura che pretenderebbe di escludere ogni analisi critica, condannata a priori come arroganza della ragione umana, ma che non può escludere il rischio di incomprensioni o addirittura di tentazioni fondamentalistiche.
Il procedimento della interpretazione è naturalmente complesso e attinge alle conoscenze di molte discipline. Ciascun lettore che non sia uno studioso credo si crei un personale metodo di lettura che sappia integrare le conoscenze offerte dagli specialisti con le proprie ansie spirituali. A me è sembrato utile farmi una idea generale, necessariamente schematica, delle linee portanti degli studi in atto, per avere informazioni sulle metodologie utilizzate e, possibilmente, arrivare con l’occasione a un secondo obiettivo: individuare qualche criterio che aiuti, in modo autonomo, in qualche misura preliminare, ma non superficiale, a valutare la attendibilità di un testo o parte di esso, durante la lettura stessa. Può accadere, per esempio, che l’iden-tificazione di un genere letterario o la corretta contestualizzazione di uno scritto ne cambino il senso e ne evitino pericolosi fraintendimenti.
L’idea di una valutazione autonoma è certamente un po’ velleitaria, anche se intesa a obiettivi limitati. Ma è in realtà la condizione in cui talvolta ci troviamo quando una lettura suscita dubbi di coerenza con le nostre conoscenze o modi di pensare attuali. Quello che potremmo desiderare sarebbe di disporre di uno strumento semplice di valutazione preliminare della affidabilità, rimandando eventuali approfondimenti esegetici. Interpretare, quindi, necesse est. Affrontando il tema, ho raccolto alcune informazioni sulle principali metodologie utilizzate dalla esegesi ai nostri giorni, senza ignorate che i metodi e gli strumenti utilizzati dagli studiosi sono in continua evoluzione, magari anche grazie a nuove scoperte archeologiche.
L’approccio conosciuto come storico-critico, è forse il più significativo. Questo considera il testo come il risultato di una stratificazione di documenti, che rimandano a una storia, e suggerisce quindi di avvicinare il significato reale smontando il testo finale e cercando di ricostruirlo, dopo aver individuato quello originario. Il procedimento comporta, naturalmente, molti passaggi, tra i quali: una critica testuale per stabilire il testo originario mediante la comparazione dei manoscritti costitutivi; una analisi linguistica ossia la ricerca filologica sui termini e sul linguaggio; una critica delle tradizioni che è l’analisi del processo con cui il testo si è formato; la critica della redazione ossialo studio dei testi per ciò che essi incorporano a causa della prospettiva dell’autore finale; la critica storica cioè la domanda se un testo sia o no in rapporto con gli eventi della storia. Altre metodologie pongono l’attenzione sulla forma finale del testo, applicando metodi esegetici diversi, quali le analisi di genere (tipo retorico, stilistico, narrativo...).
Questa panoramica non dà certo informazioni nuove a chi si sia interessato all’ar-gomento, ma ricorda comunque quanto questo tipo di ricerca sia articolato e diversificato. In una simile rete di studi pensare di poter individuare un percorso autonomo di valutazione della attendibilità appare piuttosto improbabile. Per fare un tentativo ho considerato quanto affermato da Rudolf Bultmann (1884/1976, punto di riferimento della teologia contemporanea in generale e in particolare per la sua ricerca sulla ermeneutica, anche se negli ultimi decenni la ricerca nel campo ha preso anche altre vie).
Semplificando, per quanto possibile, mi sono soffermato su questo pensiero: la esegesi degli studi biblici deve soddisfare cinque tesi:
a)      deve essere spoglia da pregiudizi ;
b)      deve presupporre il metodo di ricerca storico-critico;
c)      deve presupporre una relazione vitale (una precomprensione) con la cosa di cui si tratta;
d)      la precomprensione deve permette di giungere a un incontro esistenziale, non astratto, con il testo;
e)      la comprensione del testo non è mai definitiva, ma deve essere sempre aperta.
Tesi molto dense che richiederebbero approfondimenti e conoscenze adeguate; ma possono aiutare comunque a orientarci in una prima valutazione di validità dei testi. Si dice che non ci devono essere pregiudizi, quindi forse anche schemi già preconfezionati che facciano da trama nascosta del testo; l’esegesi deve essere aperta, quindi non può essere definitiva e apodittica; si deve poter percepire una relazione vitale tra l’esegeta e l’argomento esaminato. Le tesi proposte non sono di facile lettura, ma possono forse offrire degli strumenti a chi si trovasse nella situazione di voler verificare in prima battuta la attendibilità di un testo.
 
 
taccuino del mondo
 UNO STAUS QUO CHE NON SI VUOLE MODIFICARE
Bruno Segre
«“L'è el dì di Mort, alegher!” Sonada quasi ona fantasia ...»
Traduco per i non-milanesi: ‘È il giorno dei Morti, allegri!’ Suonata quasi una fantasia. Così cantava un po’ meno di novant’anni fa il grande Delio Tessa.
Azzardo una previsione. Lasciamo trascorrere questi giorni, che saranno inevitabilmente dominati da accuse, controaccuse, indagini volte a individuare responsabilità, balle a non finire, rigurgiti di veleni da ogni parte, gogne mediatiche e così via. Poi, passata la buriana, sul medio-lungo periodo la mattanza che si è consumata la scorsa notte in acque internazionali si rivelerà essere  ― oppure diventerà (il prodotto non cambia) ―  la carta vincente, il capolavoro politico di coloro che desiderano che il Medio Oriente rimanga sine die inchiodato allo status quo. Ma chi se ne importa se la meglio gioventù di quell’angolo di mondo continuerà a massacrarsi! Che vada all’inferno qualsiasi prospettiva di pacificazione!
E quali sono le bestie nere, i nemici degli amanti dello status quo? Provo a citarne alcuni, i primi che mi vengono in mente.
I sionisti di sinistra, una specie in via di estinzione (era ora che sparissero: sono notoriamente dei traditori con forti venature di antisemitismo).
Il cambiamento di passo  che la nuova amministrazione USA di Barack Obama sembrava fermamente decisa a imprimere alla gestione degli affari internazionali, a partire proprio dall’intricatissimo scacchiere mediorientale. Tanto sembrava decisa (uso l’imperfetto, come vedete) che pochi giorni dopo tra Obama e Netanyahu si sarebbe dovuto tenere un incontro teso a rendere fra loro compatibili le politiche dei due Paesi, e soprattutto ad armonizzare  le esigenze di sicurezza di Israele a quelle degli Usa, come aveva pressantemente richiesto poche settimane fa il generale Petraeus. Penso che non se ne parlerà più per un pezzo.
La graduale adozione, da parte dei palestinesi, di forme di contestazione non-violenta all’occupazione e alla progressiva colonizzazione dei Territori: forme di resistenza quanto mai insidiose, perché difficili da controllare da chi è abituato a operare mediante una macchina da guerra formidabile, ma priva di souplesse e di fantasia.
«L'è el dì di Mort, alegher!» cantava disperatamente Delio Tessa nel novembre 1917, all’indomani della disfatta di Caporetto. Nonostante tutto, voglio continuare a sperare che la strage di fine maggio, compiuta al largo di Gaza dalle forze armate d’Israele, non si traduca nella Caporetto del progetto sionista.
 
 
SOLIDALE CON GLI ULTIMI
Ricordiamo anche noi, con turbamento e commozione, monsignor Luigi Padovese, trucidato lo scorso 3 giugno, con qualche passaggio tratto da un suo articolo pubblicato dall’Unità del 19 dicembre 2002.
Paolo di Tarso riassume la vicenda terrena di Gesù, dalla nascita sino alla morte in croce, in due espressioni umanamente paradossali: «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Filippesi 2,7) e «divenne un mendico pur essendo ricco» (2 Corinti 8,9). Non entriamo in merito ai presupposti teologici dai quali muove, ma senz’altro egli ha inteso l’esperienza umana di Gesù nei termini di una solidarietà espressa nella libera condivisione con chi è servo e in situazione di povertà. Tale convinzione affiora anche nei Vangeli. […]
Il diffuso benessere prodottosi nella cosiddetta «società dei consumi» ha concorso a svuotare quella che nel passato è stata la lotta di classe, originata dall’idea che la ricchezza capitalista fosse denaro sporco di sangue e frutto della sopraffazione. Oggi, quanti vivono in una situazione di piccola o media borghesia, non nutrono più il risentimento verso i ricchi. Lo hanno, invece, per chi sta peggio: i poveri, le minoranze razziali, gli immigrati. Proprio perché costoro non hanno adito ai beni sui quali la «gente per bene» costruisce la propria vita, da de-privati quali sono, tendono a essere considerati depravati. È la brutalizzazione della povertà che talora diventa realmente brutale ma per una previa mancanza di giustizia. La minorità solidale con i piccoli, i poveri e gli esclusi di Francesco, si pone contro questo crudele principio di selezione o contro la legge del più forte che nega agli altri il diritto alla sopravvivenza. Essa è compassione, ossia attenzione alla sofferenza degli altri che porta alla condivisione e che reclama giustizia e implicitamente denuncia l’ingiustizia. […]
Chi come Francesco ha tirato le conseguenze del significato dell’incarnazione di Cristo, ossia del suo farsi servo, sa che il criterio di valore delle persone è indipendente dalla loro appartenenza sociale e proviene dall’incommensurabile importanza di ognuno davanti a Dio. Da qui scaturisce l’impegno di solidarietà e di attenzione per i più deboli ma anche l’obbligo di smascherare le effimere sicurezze della società consumistica. Chi può chiarire, infatti, che il progresso non sta nello sviluppo tecnologico o nell’accrescimento e nella diffusione dei beni di consumo se non colui che ha scelto di essere solidale con gli ultimi e si mantiene al limite del sistema per non smarrire la forza di una critica costruttiva che serve a tutti, specialmente a quanti di questo sistema sono vittime inconsapevoli? In una società che genera sogni ma non li appaga o che crea frustrazione sociale e rabbia poiché venera il successo personale e ha il culto della celebrità alla quale poi permette che pochi pervengano, chi è in grado di demitizzare questi pseudovalori se non chi ha scelto di stare fuori della gara?
 
AMANTE E MARITO
Margherita Zanol
Quando, all’inizio del 2004, sono andata a lavorare da Milano a Roma, la classica domanda che mi veniva rivolta era quale delle due città mi piaceva di più. Sì; anche in questi anni di peculiarità smussate, di globalizzazione e negozi in franchising tutti uguali, la domanda su quale di queste due città, spesso considerate rivali, sia migliore, è sempre attuale. E ora, che, dopo quasi sette anni, sono tornata a Milano, la situazione si ripete.
Milano, grigia d’inverno, afosa con il cielo bianco d’estate; frettolosa sempre (è l’unica città, a mia esperienza, in cui le persone salgono di corsa lungo le scale mobili). Milano con gli ingorghi delle ore di punta, ma scorrevole durante il giorno. Milano, «con i suoi sarti ed i suoi giornali», come dice De Gregori. Dove gli amici programmano i loro incontri a distanza di giorni, a volte settimane. Con le sue chiese romaniche e le sue pinacoteche strepitose, tutto sommato piccola, con una metropolitana che ti porta in molti luoghi, con il passante che ti porta anche fuori città.  
E Roma, la città dove tutto il mondo vuole andare almeno una volta nella vita; con il cielo azzurro sempre, la luce del tramonto che seduce, quel vento che ti ristora nelle sere d’estate. Il traffico è sempre caotico e imprevedibile. Le strade sono strette, con i tavoli fuori e i taxi e i motorini che li sfiorano. Ha vissuto due Età dell’Oro e si vede: i Fori, i musei strapieni di reperti romani, i sotterranei ricchissimi. E poi Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, il Barocco, i parchi e le ville, i palazzi affrescati. E il papa. Roma è l’unico posto al mondo dove spesso, a un discorso di benvenuto, si salutano eminenze ed eccellenze. Altrove, anche quando le eccellenze sono molte, l’eminen-za è una sola, ma non qui. I preti giovani hanno spesso una tonaca impeccabile e girano per la città a gruppi; le suore hanno vesti di tutti i colori e si vedono in centro e nei quartieri. Sono di tante razze e parlano tante lingue. Come le persone alla fermata dell’autobus: romeni, est europei e magrebini presto e tardi nella giornata, di solito sulle linee della periferia; inglesi, tedeschi, francesi durante il giorno, nelle vie del centro. Perché Roma, anche qui unica al mondo, ha due (in certi casi tre) set di ambasciate: presso l’Italia, la Santa Sede, la FAO.
Quando, nel 68, sono venuta dal Trentino a Milano, ho trovato la città severa, ma accogliente. Il tempo di ambientarmi con l’università e dimostrare che avevo capito le regole e mi sono sentita accolta. In questi decenni l’ho considerata la mia città e ho provato e provo riconoscenza per le possibilità che mi ha offerto. Ho scoperto che nel grigio ci sono cortili, case, quartieri interessanti; che la sera ci sono moltissime opportunità di apprendere, svagarsi, divertirsi. Che qui si manifestano in modo palese le contraddizioni con anticipo, e noi siamo chiamati a fare i conti con esse. Milano ti costringe a pensare e a metterci la faccia.
L’arrivo a Roma è stato inebriante. Il primo aggettivo per Roma è, secondo me, inaspettata; svolti in un vicolo e ti si aprono scorci meravigliosi. Attraversi chilometri di periferia orribile e ti trovi in un prato con le pecore, attraversato da un acquedotto romano. Fai chilometri di una strada anonima e finisci in una piazza di case anni Venti, intervallate da giardini rustici ma pittoreschi. Ma stai anche quaranta minuti ad aspettare un autobus; chiami un taxi e, dopo venti minuti ti può arrivare un SMS di «servizio cancellato». Ti trovi sull’autobus e l’autista si gira a chiederci se conosciamo il percorso, perché lui non lo sa. Abitando lì, ho imparato che i romani hanno coltivato la virtù della pazienza». «È per questo che siamo camminatori» mi dicono: «Qui non si può fare altro…»
Ebbene sì, lo confesso: quando il mio progetto romano si è concluso, sono tornata volentieri. Usando un luogo comune, Roma è come un amante, inebriante, elettrizzante, Milano come un marito: ti ama ed è affidabile. Alla lunga, è con quest’ul-timo che desideri andare avanti. Bentrovate, brume padane. Sono tornata.
 

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

 
abbiamo partecipato
UN APPELLO PER IL CORAGGIO CIVILE
Giorgio Chiaffario
C'è un cancro diffuso nel nostro paese, le sue metastasi hanno ormai pervaso effetti devastanti in tutta la società italiana: è la corruzione.
La Fondazione Ambrosianeum -lo dico a beneficio dei non milanesi- è una nota benemerita istituzione, molto autorevole, nata nel primo dopoguerra per iniziativa di Enrico Falk e Giuseppe Lazzati, che raccolsero una idea del cardinale Schuster.
Ora, in associazione con la Fondazione Corriere della Sera, considerando che in realtà la corruzione ha assunto oggi caratteristiche di sistema, l'Ambrosianeum ha preso l'iniziativa di un ciclo di incontri nel corso dei quali, chiamati da Marco Vitale (a cui dobbiamo una puntuale relazione introduttiva) e Marco Garzonio, che ne è il presidente, un gruppo di testimoni prestigiosi della cultura e della società hanno approfondito non solo la sua diffusione, ma soprattutto «i suoi devastanti effetti sulla competitività in economia, sui rapporti civili, sul corretto funzionamento della democrazia e il livello della solidarietà sociale».
Tutta la società civile e quella politica sono state invitate a intervenire senza esitazioni -le professioni, le imprese, la stampa- tutti chiamati a una reazione non rassegnata perché «la casa, la nostra casa, quella che amiamo perché è l'unica che abbiamo, è in procinto di bruciare», come recita efficacemente l'appello Contro la Corruzione emesso alla fine degli incontri di cui si è detto.
Quello però che è bello qui sottolineare, perché è alla portata di tutti noi, è l'invito ai cittadini quali noi siamo
a impegnarsi, personalmente e nelle rispettive associazioni, ordini professionali e altre aggregazioni, in un progetto, di lungo respiro, per contribuire, con il proprio apporto, a ricostruire un livello di moralità pubblica decente nel nostro Paese; si tratterà di un impegno lungo, tenace e difficile perché la metastasi è molto diffusa, ma le testimonianze… sono lì a dimostrare che ciò è possibile, che il Paese ha ancora le forze intellettuali e morali ed il coraggio civile per reagire… contro provvedimenti pericolosi ed inaccettabili….
Il testo completo dell'appello (con tutti i documenti, la registrazione degli incontri, eccetera) è recuperabile nel sito dall'Ambrosianeum, dove è anche possibile esprimere una adesione che a oggi ha già raccolto un promettente successo.
 
parole 2010                               
OLOGRAMMA
Enrica Brunetti
Gli ologrammi sono fotografie tridimensionali che, complice il laser, possono dare l’illusione della realtà. Appartengono alla scienza -il loro inventore, Dennis Gabor, ungherese naturalizzato british, si è guadagnato il Nobel nel 1971-, ma evocano una fantascienza che, almeno in parte, si sta materializzando nella tecnologia delle nostre quotidiane, o quasi, abitudini. Così, se per i mondiali di questi giorni dobbiamo accontentarci di schermi casalinghi o maxischermi urbani, il Giappone, candidandosi per il 2022, promette partite trasmesse negli stadi di tutto il mondo in formato olografico, in modo che stare a San Siro o al Barnabéu sarà come sedere nello stadio di Tokyo.
Rassegniamoci, la realtà rappresentata, quella rielaborata dalla TV di oggi e quella olografica di domani, appare più autentica della realtà dentro e fuori casa e, soprattutto, piace di più. I ritocchi alla fotografia la rendono più pulita, più adatta al gusto dello spettatore, senza quelle imperfezioni o quei particolari che potrebbero fargli storcere il naso e riorientare l’attenzione. Disastri, disoccupati o migranti di sfondo non fanno problema, si cancellano con un clic, si smaterializzano insieme all’indignazione e alla voglia di occuparsene, perché lo spettacolo dell’apparenza possa andare in onda in armonia con l’auditel.
Stiamo tranquilli, nel background dei mondiali, non diventeranno mai ologrammi quei ragazzi d’Africa attirati in Europa dall’illusione di giocare il calcio dei campioni e poi dispersi nelle nostre strade, abbandonati al loro destino da procuratori senza scrupolo di grandi e piccole squadre, capaci di succhiare denaro e speranze a famiglie senza futuro, in un reality che non ha posto nelle programmazioni da telecomando.
sottovento                                                             g.c.  
E SE SMETTESSIMO DI RUBARE?
E così ora bisogna mettere a posto i conti. Se la memoria non mi inganna, una ventina di anni fa, abbiamo vissuto una vicenda quasi simile all'oggi. Dopo una serie di dichiarazioni rassicuranti dei ministri competenti, improvvisamente l'Italia scoprì di essere quasi al fallimento. Di questi tempi la solfa è la stessa: è risibile che a posteriori si racconti la bufala che «tutto era previsto».
Fino a ieri eravamo fuori pericolo, molto migliori dei nostri vicini europei, fuori dal tunnel almeno secondo l'immaginifico nostro premier. Poi la bufera, non come la Grecia, certo, ma vicini almeno a Spagna e Portogallo.
Tutti, sinistra destra e dintorni, convengono che la manovra correttiva non è solo necessaria ma è addirittura urgente. Se le cose stanno così, pagheranno subito i soliti noti, altro che «non metteremo le mani nelle tasche degli italiani»;in più, salvo, modifiche per ora non ipotizzabili, vedremo appena una finta negli altri settori (per non disturbare quell'elettorato che si pensa voti a destra). Per esempio: lotta all'evasione fiscale (sulle orme già maledette di Visco, ma non troppo); lotta agli sprechi (che sono sì moltissimi, ma difficilissimi da estirpare).
Eppure ci sarebbe una bella cosa da cominciare a fare da subito: smettere di rubare!
Una piccola esperienza personale: ai tempi di mani pulite, dopo l'intervento della magistratura, in quel di Milano, gli appalti di certe opere pubbliche presentarono una riduzione dei costi in alcuni casi fino al 50%. Non male vero? 
E oggi?
IMPEGNANDOSI, QUALCOSA SUCCEDE…
Se non ci rassegniamo alla paura delle parole, se rifiutiamo i tabù di cui questa nostra epoca fa incetta, dobbiamo riconoscere che lentamente, passo dopo passo, nella completa indifferenza di molti, ci avviamo a un simil-fascismo. Se non piace la parola troviamone una diversa, ma la realtà resta. E di fascismo si tratta. Nuovo? Può darsi. Però, a detta di alcuni grandi saggi, quello vecchio non è stato mai del tutto evacuato dal nostro paese.
Ma per questo stato di cose con chi ce la possiamo prendere? Certamente con chi dirige l'orchestra, ma non solo: anche quegli oppositori che sono stati ad ascoltare la musica senza accorgersi che, passo dopo passo, irrimediabilmente (?) si degradava. E prendiamocela anche con noi stessi, quando pensavamo che non toccasse a noi –chi ce lo fa fare?-  quando avevamo sistemato il nostro piccolo particolare che nessuno avrebbe mai potuto toccare… E invece no, perché, ancorché disastrata, l'opinione pubblica può avere un peso e magari evitare il peggio.
E sì, perché se il 70% degli italiani non legge, non ragiona e si orienta solo con la televisione, che in maggioranza è rigidamente sotto controllo del potere costituito e, fateci caso, dà una visione del paese totalmente altro rispetto alla realtà, spesso si farebbe strada l'idea di lasciar perdere. Ma non è vero: con tutti i condizionali possibili, proprio la vicenda dell'ultimo assalto alla libertà di stampa e di comunicazione in genere           -gabellato come difesa di una privacy che il realtà non è tutelata e non interessa certo il potere- potrebbe essere la prova del contrario.
Intanto (scrivo il 17 giugno) sembra che l'esame del provvedimento alla camera, dopo l’avvenuta approvazione al senato, slitti al prossimo settembre e di qui a là -lavorando tenacemente- forse qualche miglioramento potrebbe essere possibile, al meglio, forse, l'affossamento del tutto su un binario morto.
Ma intanto è ragionevole porsi qualche domanda: perché affrontare così duramente l'opposizione, la stampa tutta, le professioni e, non ultima l'opinione pubblica internazionale? Quali altre novità così fortemente temute potrebbero emergere rimescolando nella pentola che comunque sembrerebbe già scoperchiata?
Mentre cerchiamo di informarci per capire, è sempre più evidente che c'è un compito per tutti e anche per noi e i nostri amici lettori: non  allentare mai la guardia. C'è da recitare la difficile parte dei rompiscatole, quelli che il bempensantismo diffuso definisce incontentabili, ma soprattutto contrastare anche l'idea che di queste cose non è il caso di parlare visto che ne parlano già altri.
segni di speranza                                                                     s.f.  
LASCIA LA TUA OFFERTA E VAI PRIMA A RICONCILIARTI
CON TUO FRATELLO
Matteo 5, 21-24
«Avete inteso non uccidere... io invece vi dico... chi si adira con il suo fratello sarà sottoposto al giudizio,.. chi dice pazzo sarà sottoposto al fuoco della Geenna» a conferma che «non sono venuto ad abrogare (la legge) ma per portarla a compimento». Il brano è riportato di seguito a quello delle otto beatitudini, che definiscono l’identikit dell’uomo che ha deciso di vivere come Lui ha vissuto. Una di quelle, ricordiamolo, dice: «beati i miti, che erediteranno la terra». Il testo odierno va oltre, è più esigente ancora: non adirarti, non offendere, non disprezzare. La mitezza d’altra parte non è un contegno, una prescrizione, dovrebbe essere un modo di essere, di vivere. Per questo la punizione prevista (il fuoco eterno) è così severa, si direbbe sproporzionata (speriamo che non venga mai applicata alla lettera).
Ma se ci viene chiesto di amare gli altri, come accade che li offendiamo e li insultiamo? Evidentemente non siamo nella relazione giusta, non li consideriamo con sufficiente rispetto e amore. Ma riguardo a questo comportamento non sono ammesse fughe in avanti, perché prima di portare l’offerta devi cercare di ricomporre qualunque controversia, «va prima a riconciliarti con tuo fratello…che ha qualcosa contro di te
Certamente, se i cristiani aderissero alle beatitudini nel modo radicale di cui qui si parla, il mondo sarebbe diverso, non immaginabile. L’uomo avrebbe il contegno giusto per vivere il Regno di Dio fin da quaggiù, nella sua esistenza terrena. Dio lo consolerebbe e lo sazierebbe. Sappiamo perfettamente che la distanza dalle beatitudini è la distanza dalla fede. «Nelle beatitudini non si tratta di qualche cosa rigidamente determinata, ma del fatto che Dio ci sarà per coloro che ne sentono il bisogno e Lo aspettano» (dal Catechismo Olandese). Cioè, interpretando: non siamo lasciati soli di fronte al modello delle beatitudini, abbiamo disponibilità di risorse adeguate alle difficoltà. Ma credere nella potenza dello Spirito è un nostro problema di sempre, e oggi lo è ancora di più.
Noi abbiamo sempre arrotondato gli spigoli delle beatitudini, con approssimazioni soggettive, arbitrarie, assunte forse con qualche imbarazzo interiore, ma anche con la convinzione che tanta radicalità è indicata solo a titolo esemplificativo, a scopo didattico. Il nostro impegno forse si è spesso concentrato più nel cercare un compromesso decente, che renda la parola accettabile, che nell’ottemperare a quanto ci viene indicato.
Quarta domenica ambrosiana dopo Pentecoste
 schede per leggere                                            m.c.   
Conoscere un nuovo scrittore è sempre emozionante, quando la scoperta apre la porta a un mondo ignoto, dove ti senti vibrare all’unisono con la storia, il paesaggio, i personaggi.
Su consiglio di amici, mi ero accostata al testo di Inoue Yasushi Ricordi di mia madre (Adelphi, 2010, pagg. 150, euro 17) con una certa reticenza, nel timore di risvegliare miei personali momenti dolorosi; ma da subito la scrittura, chiara, capace di esprimere con semplicità e concretezza l’evolversi di un rapporto così fondamentale, mi ha preso, con la sensazione di avere incontrato un grande. Il testo riunisce tre racconti, già pubblicati nel 1985 dalla Spirali Edizioni, in cui l’autore parla dell’anziana madre che va perdendo la memoria in una lenta, progressiva decadenza. «Dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto...». I momenti di lucida presenza, che si mescolano ad altri di un tempo lontano, fanno emergere un ritratto senza sentimentalismi, tracciato con affetto sobrio e colmo di rispetto.
Confesso di essere rimasta affascinata dal modo di raccontare di Inoue Yasushi e, quasi non volessi lasciare un amico da poco incontrato, ho cercato altri suoi testi. Ho trovato così in due piccoli libri pubblicati dalla stessa casa editrice, Il fucile da caccia (pagg. 100, euro 6,80) e Amore (pagg. 117, euro 8,50), la conferma del valore di questo fecondo scrittore, morto nel 1991, molto famoso nel suo Giappone, dove era stato consacrato tesoro nazionale vivente.
Le storie che percorrono questi brevi scritti, che sento di essere in grado solo di sfiorare, hanno come temi di fondo la passione, quella che tradisce e distrugge le vite, colta oltre una apparenza tenacemente difesa; la disperazione che porta a volere la morte; l’amore nelle sue più diverse, misteriose forme. Attraverso un gioco di specchi, l’autore porta alla luce amare verità; non giudica, ma guarda con distaccata pietà l’uomo, e il serpente che giace nascosto nel profondo del cuore di ognuno.
la cartella dei pretesti 
Sembrano sgangherate le azioni del governo, insidiate da una maggioranza turbolenta, dettate da interessi contingenti, determinate da questo o quel processo da evitare al Capo, reclamate da situazioni di emergenza come il terremoto, la spazzatura o la festa di padre Pio; ma in realtà c’è una razionalità, una logica, una tessitura che mirano a un risultato, un cambiamento irreversibile dell’Italia come comunità politica.
RANIERO LA VALLE, Due strade, Rocca, 15 giugno 2010.
Due minuti e trenta di politica italiana su mezz’ora di telegiornale,un punto sulla marea nera in Louisiana poi, detto-fatto, «il segno della croce che aiuta a mantenere la fede», dixit papa Benedetto XVI, la chirurgia estetica o l’arrivo degli extraterrestri dalle parti di Napoli…. Una scaletta di domenica sera ordinaria per il Tg delle 20 di Rai Uno, la prima rete pubblica italiana.
Libération, 1 giugno 2010.
Walter Tobagi esprimeva il suo impegno sociale e civile attraverso il lavoro di giornalista, aiutando a capire le complesse tensioni sociali di quel tempo, testimoniando il coraggio della verità, chiedendo con vigore l’impegno di tutti per una società più giusta. Il suo è un insegnamento che vale molto anche per l’oggi, quando appare sempre più necessario vincere le chiusure e le paure, riaffermare con chiarezza e vivere con coerenza i valori fondamentali del convivere civile: il rispetto dell’altro, la responsabilità della solidarietà, l’onestà, la libertà di parola e di espressione.
CARLO MARIA MARTINI, Il sacrificio di un giusto e la mia Milano, Corriere della sera, 28 maggio 2010.
Cosa vogliono. Vogliono colpire chi indaga per evitare che nuovi scandaliemergano nel tempo che resta da qui alla prossima campagna elettorale (a scadenza naturale? Nel 2011?). Vogliono fare in modo che le forze di polizia e i magistrati non scoprano nuove truffe e nuovi crimini i quali, persino Berlusconi lo sa, cominciano a esasperare anche i suoi stessi elettori. Il paese è provatissimo dalla crisi economica niente affatto passeggera, la manovra sarà pesante: il divario tra l’impunità e lo stile di vita di pochi e il sacrificio di molti mina il consenso, i sondaggi-totem del premier sono lì a testimoniarlo. Perciò spuntano le armi di chi indaga. Per maggior sicurezza colpiscono anche chi racconta, i giornalisti dei giornali liberi: bastava dare un’occhiata alle prime pagine dei quotidiani di ieri per capire quali siano. Berlusconi vuole zittire chi non può convincere, corrompere, comprare…
CONCITA DE GREGORIO, l'Unità, 12 giugno 2010.
Hanno siglato le rubriche: Giorgio Chiaffarino, Mariella Canaletti, Sandro Fazi
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
Per non ricevere più Notam, rilanciare il messaggio indicando all'oggetto: cancellare dalla lista
L’invio del prossimo numero 355 è previsto per LUNEDÌ 12 luglio 2010

 


Scarica sul tuo PC la lettera del
del 21 giugno 2010 - S. Luigi Gonzaga - Anno XVIII - n. 354


 

Vai all’indice di Notam per leggere le altre lettere



Martedì 22 Giugno,2010 Ore: 15:15
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
NOTAM - Lettera agli amici del gruppo del Gallo di Milano

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info