- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (337) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Notam,

Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zc 8,16)


Numero del 10 maggio 2010 - S. Alfio - Anno XVIII - n. 351


 

Notam

«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 10 maggio 2010 - S. Alfio - Anno XVIII - n. 351
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Margherita Zanol
Pensavamo che l’innegabile vittoria alle elezioni regionali avrebbe dato all’alleanza di governo nuova energia per proseguire nell’attuazione del loro, peraltro discutibile, programma. In realtà la frattura (numericamente minoritaria, ma politicamente significativa) che si è aperta dentro il Pdl contribuisce a lasciare le cose come stanno, con sacche di impunità aperte, una pletora di province con relativi funzionari profumatamente remunerati e con la prevedibile novità dell’arrembaggio della Lega alla sua fetta di poltrone. In Campania viene mantenuta la promessa del ministro Carfagna: lasciateci lavorare e vi garantisco che nessuna casa abusiva sarà abbattuta. E così è. Un ministro si dimette per liberamente indagare su chi gli ha pagato la casa. Il nostro presidente del consiglio continua a non presentarsi in tribunale per legittimo impedimento, l’opposizione ha sonno, noi siamo in attesa del federalismo fiscale, che ci spremerà con altre tasse, le due parti politiche (politiche?) proseguono con la trita manfrina di frasi non concrete. Niente di nuovo, direi. «Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Non ha più forza la legge, né mai si afferma il diritto: L’empio infatti raggira il giusto e il giudizio ne esce stravolto» Non è la Repubblica di questi giorni, né un editoriale del prof. Sartori, ma l’inizio del libro di Abacuc (1, 3-4).  
Tuttavia, nel nostro quotidiano, come in passato, è anche possibile vivere lo stupore, di fronte alle moltissime azioni che, a livello personale, associativo, istituzionale locale, vengono portate avanti nella direzione di condivisione, generosità, umanità. Ne cito qualcuna, certa che ognuno di noi ne potrebbe elencare molte altre, magari più nobili ancora:
  L’opposizione alla ‘ndrangheta del parroco e del vescovo di Sant’Onofrio. Esempi luminosi di cristiani, che hanno il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di prendere posizione. Anche (don Puglisi docet) a rischio della vita.
  La signora Daniela: dirige da 25 anni una casa di riposo nella Marca Trevigiana: Respinge con garbo ogni regalo che le viene fatto e riduce al minimo il personale che dovrebbe aiutare lei «perché i suoi anziani ne hanno più bisogno».
  La dottoressa del pronto soccorso del Policlinico di Roma. Ho passato lì una notte (una caienna: persone sulle barelle da tre notti, perché non c’erano i letti, io, ultima arrivata, appoggiata al calorifero) e lei, tra un intervento e l’altro, passava tra i pazienti a calmarli (quelli arrabbiati), rassicurarli (quelli spaventati) e si ingegnava, con telefonate infuocate, a trovare un letto per tutti negli ospedali di Roma.
  La signora che, nel parco vicino a casa mia, insegna alla sua bambina di pochi anni a buttare una carta nel cestino: «è quello verde, no, non lì, là… Bravissima!»
  Libera di don Ciotti. Ho appreso che sono loro a compilare l’elenco (è ancora in costruzione) dei morti di mafia, per potere dare loro dignità e memoria. E per fornirlo al ministero dell’interno, che non ha un elenco ufficiale.
  La ben strutturata, costante, concretamente utile opera del cardinale Tettamanzi verso i deboli e le sue indicazioni molto chiare per una vera conversione, che deve passare dall’accoglienza e dalla solidarietà.
Sono l’espressione nel quotidiano di chi si pone obiettivi alti. Indispensabili, come dice il cardinale Martini, perché la vita e le opere di tutti noi abbiano un senso. La nuova piattaforma per una ri-partenza?
in questo numero                             
U. Basso IL GIURAMENTO DI MILANO u taccuino del mondo G. Meardi ELEZIONI INGLESI: NEW LABOUR E TERZA VIA u parole 2010 E. Brunetti 3D u M. Canaletti ESPERIENZE DI CHIESA u F. Colombo FAME, FREDDO E FUMO u sottovento g.c.     E ADESSO È L’ORA DEL PANICO - C’È COMUNIONE E COMUNIONEuriuniti nel suo nome f.c. GLI ATTI DEGLI APOSTOLI - Il linguaggio di Paolo u  segni di speranza u  schede per leggere m.c.u la cartella dei pretestis.f. VOI PIANGERETE E GEMERETE…
IL GIURAMENTO DI MILANO
Ugo Basso
Giovanni Berchet è probabilmente più noto per il liceo milanese che ne porta il nome che per le sue poesie: con l’eccezione del Giuramento di Pontida, ode citata ampiamente da una delle forze politiche alla quale masse di elettori affidano il futuro del paese e dei nostri giovani. Berchet, romantico e risorgimentale, aveva in mente un’Italia unita e libera da presenze straniere: l’oppressore Barbarossa è l’ico-na dell’Austria e i comuni lombardi uniti nella Lega vincitrice, come Davide contro Golia, sono la speranza di una nuova libertà. Quel fatto storico, liberamente interpretato in un contesto non paragonabile, diventa figura emblematica del separatismo che pare stia a cuore a molti italiani di oggi: ma anche la distorsione degli accadimenti incoraggiata dalla collettiva ignoranza dovrebbe avere dei limiti e le differenze meritano più attenta valutazione.
Lasciamo dunque Berchet al suo tempo -peraltro anche l’accostamento del patriottismo risorgimentale ai fatti del dodicesimo secolo richiede fantasiosa elasticità- e ascoltiamo con qualche fremito di indignazione il nostro governatore che il 29 aprile scorso nella sua reggia del pirellone pronuncia fra i sorrisi compiaciuti dei leghisti –così leggo nella cronaca- il solenne giuramento di fedeltà alla Lombardia, ripetuto dai membri della giunta che reggerà la regione nei prossimi anni. Bontà loro, ci aggiungono «nel rispetto della costituzione italiana» che, peraltro, non consentirebbe quel giuramento.
C’è chi si consola nella certezza che i giuranti sono personaggi di così poco onore che, chiusa la retorica della cerimonia, non si faranno certo impegno a rispettarlo, come da molti anni non rispettano la costituzione insieme a tanti altri valori sbandierati alle elezioni: vero certo, ma semmai ulteriore ragione di amarezza e di sconcerto. E mi dicono che fra i giuranti ci siano anche dei cattolici, che forse non si sono interrogati sulla coerenza fra la fedeltà a una regione e quella a una chiesa per definizione cattolica, quindi universale. Forse davvero, come afferma Paolo Rossi, è proprio difficile convertire un cattolico al cristianesimo!
Indubbiamente essere cattolici, ma neppure cristiani, implica la disaffezione al proprio ambiente, gruppo, nazione: ma certo significa guardarlo in una prospettiva diversa, di apertura, non di chiusura. La nostra casa deve essere curata per farci vivere bene gli abitanti, ma anche per diventare luogo di incontro e di ospitalità. Riscoprire e incoraggiare la cultura locale, anche negli stili di vita e nella alimentazione, evitare l’appiattimento sul consumismo globalizzato non equivale a sostenere una parcellizzazione economica e politica, o peggio, al pensare solo a sé. Non so ravvisare nulla di evangelico in slogan come vogliamo essere padroni e che gli altri, soprattutto quelli che hanno maggiori necessità, devono andare fuori dalle balle. Insomma la differenza fra nazionalità e nazionalismo: valorizzazione degli elementi culturali, nel senso più ampio, che uniscono, ma non chiusure, rivalità o, peggio, presunzione di superiorità.
Per riprendere il discorso sul terreno politico e amministrativo, sosteniamo amministrazioni locali consapevoli dei problemi del territorio –e magari anche impegnato a farvi fronte- e delle esigenze della popolazione, in armonia con il resto della nazione e, mi piacerebbe aggiungere, dell’Europa e in quell’equilibrio mondiale che, in prospettiva, è l’unica garanzia di pace e giustizia da cui anche noi avremo vantaggi, come ricorda lo stesso papa Benedetto nell’enciclica Caritas in veritate. Ben diverso arroccarsi in dimensioni politiche parcellizzate, ripiegate su se stesse, che con l’inevitabile debolezza dovuta ai limiti territoriali, finiscono con il dare maggiori poteri di controllo alle grandi centrali economiche, quelle sì multinazionali.
Naturalmente è lecito sostenere e battersi per una patria lombarda, per quanto una tale regressione per me sia molto inquietante. Ma gli amministratori pubblici, per essere credibili per i loro cittadini, devono rispettare le regole dello stato in cui operano: purtroppo da anni la destra di potere ci insegna che il consenso popolare, si ottiene al centro come in periferia, senza dibattito politico e, una volta ottenuto, pone il titolare al di sopra delle leggi. Ma mi chiedo: gli elettori, anche i loro elettori, spenti i sorrisi di circostanza, hanno chiare le conseguenze di atti come il giuramento lombardo? O domani si troveranno ignari fra le macerie causate dal loro voto?
P.S. Assicuro chi non mi conosce di essere lombardo.
 
taccuino del mondo
 
ELEZIONI INGLESI: NEW LABOUR E TERZA VIA
Guglielmo Meardi
Ringraziamo l’amico Gugliemo Meardi, docente di relazioni industriali presso l’università di Warwich in Gran Bretagna, per questa analisi della situazione sociopolitica inglese che ci permette qualche possibilità di lettura dei mutamenti determinati dalle recenti elezioni.
È da dieci anni ormai che vivo in Inghilterra e, fino a poco tempo fa, dai connazionali sentivo più che altro invidia: «si deve stare bene lassù, lontani dalla crisi italiana...» Poi, in un tempo così breve da non accorgersene quasi, le posizioni si sono invertite. Certo, in Italia ci si lamenta ancora: il deficit al 5%, la disoccupazione che aumenta di qualche decimale... ma grosso modo la situazione è stabile. In Gran Bretagna, invece, c’è stata un’inversione completa rispetto all’euforia di pochi anni fa. La bolla della speculazione finanziaria e immobiliare è scoppiata. Il deficit pubblico, prima pressoché inesistente, ha di colpo superato il 13%: Gordon Brown e il suo cancelliere Alistair Darling hanno dovuto intervenire a salvare le banche d’ur-genza, a un costo di 22,800 sterline (25,000 euro) per abitante. La disoccupazione, prima quasi inesistente (al punto che l’ondata senza precedenti di immigrati polacchi tra il 2004 e il 2007 è stata benvenuta), è quasi raddoppiata ed è ormai ai livelli italiani ed è destinata a crescere quando, dopo le elezioni, il nuovo governo dovrà ricorrere ai tagli per risanare il debito. I prezzi delle case -che la Thatcher, con la privatizzazione dell’edilizia pubblica, aveva reso l’indicatore del benessere personale- sono scesi del 20%, e di altrettanto è crollata la sterlina...
In questo clima arrivano le elezioni del 6 maggio e non è una sorpresa se il partito laburista al governo da tredici anni è impopolare e rischia la sconfitta. Nel 1997, il giovane Tony Blair giungeva al potere dopo diciotto anni di governo conservatore grazie a un voto a valanga e un’ondata di ottimismo. Il suo programma era quello del new Labour, per distinguersi dal vecchio labour dominato dai sindacati.
L’ideologia della Terza via tra socialismo e capitalismo divenne di moda e attirò Clinton, Schröder e D’Alema. Ma l’idea rimase vaga e Blair mantenne la flessibilità, la deregolamentazione e la finanza al centro dell’economia, seppur corrette da qualche diritto in più per i lavoratori e da maggiori investimenti nella sanità e nel-l’educazione. In breve tempo la moda della Terza Via evaporò e non se ne parlò più, soprattutto dal 2003, quando Blair si appiattì sulle posizioni di Bush sull’Iraq e la sua via prese a coincidere con quella della destra americana.
L’economia sembrava andare tanto bene: crescita, sterlina fortissima, consumi in crescita esponenziale. Tutto trainato, come negli Stati Uniti e in Irlanda, da quello che è stato definito Keynesismo privato, ovvero il consumo a credito. Per far crescere i consumi senza ricorrere alla spesa pubblica, e quindi alle tasse come nel Keynesismo pubblico, si liberalizzò la finanza in modo da facilitare il credito e offrirlo anche a chi prima non ne aveva accesso. Senza controlli: basta con i lacci e i lacciuoli! Quasi giornalmente, per anni, la mia buca delle lettere è stata intasata di carte di credito e assegni di credito non richiesti: bastava una firma e potevo iniziare a spendere migliaia di sterline. Ma questo era niente in confronto ai mutui: fino al 2007, era facilissimo ottenerli, anche senza disporre di un reddito: venivano offerti ordinariamente per somme fino al 120% del valore della casa. Tanto, le banche sapevano che i prezzi delle case sarebbero continuati a crescere e, in caso di ritardo nel pagamento del mutuo, avrebbero potuto rioettenere i soldi tramite la vendita della casa. I mutui, facili a loro volta, aumentavano la domanda di immobili e facevano crescere i valori delle case ancora di più. Così chi aveva una casa poteva facilmente mettervi un’ipoteca e ottenere extra denaro, poi da ripagare con un’altra ipoteca una volta il prezzo della casa fosse aumentato ulteriormente... Insomma, il paese dei balocchi, tutto nell’illusione che le case fossero delle galline dalle uova d’oro.
Come tutte le piramidi speculative non poteva durare all’infinito. Per ora, bisogna dire, le conseguenze sociali sono ancora limitate grazie appunto all’enorme sforzo del governo di pompare soldi nell’economia salvando le banche e nazionalizzandone la maggioranza. Ma se il nuovo governo si inginocchierà alla richiesta della City di Londra di far rientrare il deficit immediatamente per rassicurare i finanzieri, la recessione si aggraverà.
Il problema è anche culturale. Dagli anni ’80, l’industria è stata quasi del tutto smantellata (solo il 13% dei britannici lavora nell’industria, la metà che nel resto d’Euro-pa), nell’illusione che i servizi potessero sostituirla. Al valore del lavoro è stato sostituito quello della speculazione: un’economia di cartapesta che crea una minoranza ricchissima e una maggioranza sottopagata al suo servizio  -ma che viene convinta di beneficiarne anch’essa grazie al credito facile. Fin da giovani, come vedevo da anni insegnando all’università, i neolaureati avevano, a ventun anni, già un debito medio di diecimila sterline a testa, e sono perciò già a quell’età legati al sistema.
Se il partito laburista è ai minimi storici nei sondaggi, i britannici non sono però neppure entusiasti delle alternative. I conservatori, prima dati sicuri vincitori, convincono poco a causa del loro elitismo e dalla memoria dei disastri sociali del thatcherismo. Cresce invece la popolarità del terzo partito, a lungo ininfluente, i liberal democratici, i soli ad aver previsto la crisi finanziaria e a essersi opposti alla guerra all’Iraq. Nell’indecisione cresce il rischio che nessun partito ottenga la maggioranza assoluta e che si vada a un governo di coalizione o di minoranza, cosa rarissima nella storia inglese.
L’impressione è che si voglia, anziché imparare dall’esperienza, ricreare quel paese dei balocchi tanto rimpianto. Ci sono poche voci di saggezza controcorrente, a esempio quella delle autorità religiose: dall’Islam, in cui cresce l’ala progressista e che l’idea di credito l’aveva sempre rifiutata; alla chiesa anglicana, che già era stata un’importante opposizione al thatcherismo; alla chiesa cattolica che, seppur di minoranza, ha più fedeli praticanti e che è da due secoli una chiesa degli strati popolari e operai, sia inglesi che di origine irlandese (a differenza dell’Italia, qui la maggioranza dei cattolici vota a sinistra e il partito con più parlamentari cattolici è quello laburista -senza contare la recente conversione di Tony Blair). Su alcune questioni sociali la chiesa cattolica è in effetti in prima fila, soprattutto sui diritti degli immigrati (c’è qui un certo interesse materiale, dato che una fetta crescente di fedeli e religiosi è costituita da immigrati: il mio parroco è vietnamita e le messe più affollate sono quelle in lingua polacca).
A settembre è prevista la visita del papa, prima visita ufficiale di un pontefice nella storia della Gran Bretagna. Si sarebbe potuto sperare in un dialogo fruttifero: la Gran Bretagna potrebbe ascoltare un messaggio sulla solidarietà e l’economia, mentre Ratzinger avrebbe potuto imparare qualcosa dalla tolleranza multiculturale inglese. Ma da un lato, la chiesa cattolica è impegnata a attirare nei suoi ranghi l’ala più conservatrice della chiesa anglicana, quella che è contraria all’ordinazioni di vescovi donne e che sposterebbe a destra tutta la chiesa cattolica inglese. Dall’al-tro lato è fortissimo l’eco degli scandali degli abusi sessuali del clero nella vicina Irlanda. Si è formato un comitato di personalità che cerca di ottenere l’arresto del papa per crimini contro l’umanità e favoreggiamento della pedofilia. Nel seguitissimo dibattito televisivo pre-elettorale tra i leader dei tre partiti principali, a una domanda del pubblico sull’eventualità di negare l’ingresso al papa i tre candidati, pur affermando il diritto del papa di venire e dei cattolici all’accoglierlo, si sono affrettati a prendere il più possibile la distanza dalle sue idee. Non un grande inizio di dialogo.
 
parole 2010                                3D
Enrica Brunetti
Il 3D si rivela nuova linfa drogata per il cinema: una volta provata, non smetti più. Visti i maxi incassi planetari di Avatar, pare che non si possa fare diversamente per calamitare pubblico nelle sale e, tra poco, anche spettatori davanti allo schermo tv casalingo. Idee geniali latitando, pare che Bollyvood, l’efficente Hollywood cinematografica indiana esportatrice di genere in proprio, ma ben connessa all’occidente, stia progettando una versione bucaschermo dei cineclassici, da Via col vento a Ben Hur, passando per Casablanca, senza dimenticare l’intramontabile Guerre stellari. Già i più sensibili si rammaricavano per le versioni colorate dei film nati in b/n, ora non resta che deprimersi ulteriormente all’idea delle nuove release, un po’ come guardare con gli occhialini del 3D i capolavori divisionisti. Qual è il valore che si può aggiungere, per dire, a un Van Gogh?
ESPERIENZE DI CHIESA
Mariella Canaletti
Dopo la mia giovanile esperienza nell’Azione Cattolica, mi sono ammalata di allergia agli inquadramenti. Nonostante ripetuti inviti, non sono più stata capace di adattarmi alle direttive di organizzazioni, religiose o politiche, nella convinzione di non poter andare oltre la fatica di giustificare le posizioni ufficiali della mia chiesa, quella cattolica, e rimanerne comunque membro. E nuovamente voglio ricordare che in ciò mi è stato di enorme aiuto l’abbonamento a un mensile che si pubblicava a Genova e che mi faceva ogni volta respirare l’aria ossigenata che da tempo cercavo. Da questo Gallo è poi nato un gruppo a Milano, e il foglio Notam, su cui amichevolmente ci scambiamo le idee.
Le speranze nate con il concilio Vaticano II, le vie che mi sembravano aprirsi, ben presto si sono rivelate non facilmente praticabili; l’allergia non è del tutto guarita, e ho continuato così a seguire chi era concretamente impegnato da lontano; a leggere e cercare di capire, con una guida indimenticabile che, per fortuna, a Milano ha lasciato un segno indelebile.
Questa premessa per dire che oggi, per età, l’esperienza passata, e per la riflessione sul tempo presente, mi sembra di dover in qualche modo aggiustare il tiro.
Cerco quindi di essere meno rigida, rasserenata anche dal fatto che la Scrittura e la storia ci dicono che l’unanimità di pensiero e dottrina è cosa solo astrattamente affermata, mentre fin dalla nascita, dagli apostoli a Gerusalemme, a Paolo in viaggio per il mondo conosciuto, le opinioni furono diverse, spesso contrastanti: la diversità mi pare dunque elemento connaturale al formarsi della ecclesia, né deve scandalizzare o essere motivo di esclusioni preconcette o anatemi, pur con il dovere di cercare una composizione, nel principio della crescita, contro ogni immobilismo sclerotizzante.
Un’altra indicazione mi viene dall’osservare che le fratture, fra i cristiani, sono spesso conseguenza del formarsi di gruppi omogenei, tendenzialmente autoreferenziali, in cui si trova sicurezza e protezione, che finiscono per credersi portatori di una verità più vera di quella di altri. Un vizio antico, che assoggetta Cristo e la sua “buona novella” alla propria particolare visione. Ma penso anche che questo atteggiamento sia comune a molti, e sia comunque un rischio per tutti, me compresa, ovviamente. Così riflettendo, mi convinco che occorra esercitarsi alla convivenza anche con chi ha idee che non condivido, senza sentimenti di superiorità nei confronti di chi ha forme di religiosità a me del tutto estranee, che a volte giudico addirittura idolatre. Questo perché, se ho l’obbligo di pensare e di scegliere, il giudizio sulle persone non mi spetta.
In questa prospettiva, con questo stato d’animo, ho ricevuto la richiesta di dedicare un poco del mio tempo a sostegno dell’attività svolta da un Centro di ascolto, di inserirmi dunque in una struttura della mia parrocchia; e ho creduto giusto rispondere positivamente.
Mi presento quindi all’orario stabilito, in alcuni locali vicino alla chiesa, e un poco disorientata prendo contatto con le molte volontarie presenti, ciascuna incaricata di un compito specifico: sistemare abiti, scarpe, maglie, biancheria intima, tutto ciò che forma il guardaroba per adulti e bambini, che verranno distribuiti secondo regole precise in alcuni giorni della settimana; accogliere e indirizzare chi cerca lavoro; accogliere con il caffè caldo e qualche dolcetto chi, senza dimora, è in cerca di un po’ di calore. Io dovrei occuparmi delle residenze, seguire cioè chi, per avere regolari documenti, fissa la propria residenza presso la parrocchia. Non ha casa, non ha fissa dimora. Mi inoltro in questo mondo smarrita, quasi incredula, mentre con imbarazzo ascolto le più strane vicende, di povertà, di incapacità, di sfortuna; brave persone, furbastri o profittatori, malati, la maggior parte colpiti da qualche grave sventura.
Scorro un libro pubblicato periodicamente dalla Caritas, e scopro la rete fittissima dei centri che, per i bisogni di questo mondo disgraziato, operano a Milano e provincia; donne e uomini impegnati a rispondere ai bisogni, i più diversi, dei poveri; e mi accorgo che il cuore grande della città continua a pulsare forte, anche se coperto da un fastidioso frastuono. E questo non solo nella mia città, ma anche nel mio paese, e tanti altri paesi del mondo.
Mi è stata chiesta la disponibilità per altre cose, mentre viene lasciata cadere la mia obiezione di non essere proprio ortodossa. Così cerco di partecipare meglio, lieta di incontrare tante persone che danno con semplicità e vivono nel concreto il capitolo 25 dell’evangelo di Matteo.
Senza rinunciare alla mia personale ricerca, penso che voglio rimanere in questa chiesa, di cui Roma così poco discorre; e Roma non sa che può continuare a esistere perché questa chiesa vive e opera, ben lontana dai palazzi del potere, politico e religioso.
 
FAME, FREDDO E FUMO
Franca Colombo
Finalmente li ho visti. Il Bagat, il Balilla, il Gianni, e altri partigiani che sessanta cinque anni fa agivano con la Brigata Perotti nella Valle Cannobina con questi nomi di battaglia. Erano un mito per tutte le ragazze del paese che li sentivano nominare, ma non riuscivano mai a vederli. Scendevano in paese solo di notte quando la Lisa, la staffetta, segnalava la giacenza di qualche chilo di pane e riso. Un giorno, noi bambini andando per castagne nei boschi vicino al paese, incrociammo due ragazzi, con gli scarponi chiodati, che scendevano a grandi salti con il fucile in spalla e il fazzoletto al collo. Non ci degnarono nemmeno di uno sguardo, ma noi continuammo estasiati a seguire le loro acrobazie nella discesa fino a che scomparvero in un avvallamento. A casa fummo tempestati di domande da parte delle ragazze più grandi: come erano, alti o bassi, biondi o mori, come erano vestiti… e noi ci divertivamo a inventare qualcosa tanto per sentirci grandi.
Ora sono qui, in questo 25 aprile 2010, sono tornati, ormai ottantenni, a raccontare alle giovani generazioni, la loro vita sulle montagne e la loro passione per la libertà. Raccontano l’ideale che li sosteneva nella fatica di camminare per ore nei sentieri innevati e l’orgoglio di sentirsi parte di un grande evento; la consapevolezza di trovarsi a un bivio della storia a cui la loro coscienza non poteva sottrarsi. Altri si erano defilati, nascosti, ma loro no, non volevano mancare all’appuntamento con la storia. Tutto ciò li aiutava a sopportare la fame e il freddo di quei due inverni terribili, 1943 e 1944.
Ricordano la fame mai soddisfatta, che potevano tacitare solo con qualche pugno di riso scotto e senza sale (il sale era merce rara e introvabile), la fame dei diciotto anni, che tentavano di ingannare con qualche sigaretta di troppo (le sigarette arrivavano facilmente dalla Svizzera). Un inverno che non finiva mai. Un freddo persistente nonostante la generosità dei montanari che qualche volta offrivano coperte e calze fatte a mano con lana grezza.
Ogni tanto scendevano a valle, di notte e si toglievano gli scarponi fuori dal paese per non far risuonare i loro passi sull’acciottolato e cogliere di sorpresa le ronde fasciste. La loro era una funzione di disturbo: dovevano intercettare qualche pattuglia fascista o assaltare qualche camion tedesco per sottrarre le armi e fuggire velocemente. Era questo il bottino più ambito. Nessuno voleva uccidere, sparavano per sorprendere il nemico e coprire la ritirata. Alcuni persero la vita altri rimasero feriti in questi scontri. Si trascinavano per ore sulle montagne prima di poter essere soccorsi. Gli ospedali erano nei paesi, ma era troppo pericoloso scendere a valle. Più spesso guadagnavano la bocchetta di confine con la Svizzera, a 2000 metri, e chiedevano asilo politico, per poi rientrare appena le condizioni fisiche lo permettevano. Fame, freddo e fumo.
Oggi confrontano le tre F che hanno segnato la loro vita in quegli anni con le tre I dei giovani diciottenni di oggi e non li invidiano perché la passione che li ha accompagnati in quella esperienza è stata una scuola di vita irripetibile. Forse il loro contributo è stato modesto in confronto alle forze messe in campo dagli alleati americani per liberare l’Italia, ma non si può dimenticare il sacrificio di tanti giovani nella resistenza partigiana e tanto meno cancellarla dai libri di scuola perché è quella che ha partorito una classe politica consapevole del valore della libertà, della solidarietà e della democrazia e capace di produrre una Costituzione che ancora oggi molti paesi ci invidiano.
sottovento                                                             g.c.  
E ADESSO È L'ORA DEL PANICO
Affondano i mercati, titolano i giornali, la paura li fa tremare perché una società di rating, una di quelle che danno la pagella a destra e a manca, ha diffuso un messaggio: la crisi greca rischia di essere contagiosa e creare a catena una frana…
Certo più di un problema esiste, e magari si tratta anche di un caso serio, ma chi pretende di fare professionalmente le valutazioni deve o dovrebbe tener conto del complesso dei fattori che agiscono in un mercato. Tagliare per il grosso e mettere tutti in un fascio significa, come si è visto, fare una regalo agli speculatori che solo quello attendevano.
L'Italia ha i suoi problemi ma, per fortuna, non sono quelli della Grecia, e nemmeno quelli della Spagna, lo rilevano quasi tutti gli analisti.
Era scontata la reazione del presidente Berlusconi e di Bankitalia per una volta d'accordo tra loro. Ma la più bella, in questa occasione, l'ha detta ancora una volta Romano Prodi. A proposito di Moody's, l'agenzia che con un suo rapporto ha scatenato il panico, Prodi ha ricordato che la sua autorevolezza è da prendere con le molle, fino al giorno prima del fallimento della Lehman Brothers, proprio lei attribuiva a quest'ultima la «tripla A» e la indicava «buy»!
C'È COMUNIONE E COMUNIONE
È una indimenticabile giornata di vento, le pagine della Bibbia si voltano da sole e consentono di pensare a un simbolo dello Spirito che potrebbe essere in piazza a scrutare cuori e coscienze dei presenti, laici e chierici e gerarchia. È il momento della liturgia dell'addio terreno a Giovanni Paolo II.
Siamo alla comunione, in fila tra i tanti presenti biancovestiti c'è anche fr. Roger Schutz, il pastore riformato priore della comunità ecumenica di Taizè che tanti cristiani di tutte le confessioni stimano e apprezzano. Come a tutti gli altri, anche a lui viene data la comunione. Ed è veramente giusto che sia così, anche se la chiesa di Roma non apprezza, è l'ospitalità eucaristica tanto desiderata dai cristiani di molte (tutte?) confessioni. Una fonte sicura, tra l'altro, mi dice che la stessa cosa sarebbe già avvenuta in altra occasione a Milano.
Al momento, le emozioni si sprecano, e non accade nulla. A scoppio ritardato qualche super cattolico -fondamentalista- avanza obiezioni: «Ma come, a un protestante consentono la comunione cattolica?». Un illustre cattedratico -forse anche altri- interviene a giustificare la chiesa, è quasi un obbligo, e come se la cava? Insinua che fr. Roger      -magari segretamente- è diventato cattolico! Provo indignazione e vergogna anche perché nel frattempo il Priore è morto accoltellato da una pazza mentre era in preghiera in chiesa e non può reagire. Non mi risulterebbero altre reazioni ufficiali, e in effetti a un raglio non si risponde.
Questa nostra chiesa, purtroppo, è disponibile per liturgie grandiose a favore di concubini, divorziati e quant'altro a patto che si tratti di persone famose, molto popolari o di potere. Pazienza. Ma è ben peggio quando si sporca il gesto, il più grande di tutti per un cristiano. Come si afferma che gli ebrei di tutti i tempi sono usciti per mano di Dio dalla schiavitù d'Egitto, cosi noi cristiani siamo sempre tutti là in quel Cenacolo quando ci viene dato il Pane della vita e il Calice dell'alleanza. Qualsiasi atto improprio è sacrilego. Raccolgo l'ultimo esempio: in occasione delle esequie di un noto e amato attore televisivo, al presidente del Consiglio è stata data la comunione. Si dice che in privato la cosa sia avvenuta più volte. Perché in pubblico, e che pubblico, il fatto è stato giudicato così scandaloso?
Sappiamo bene che «Solo Dio scruta i cuori e le reni», come dice Geremia, ma un semplice normale discernimento ci fa riflettere che il nostro è un divorziato e per di più la sua coerenza cristiana è almeno dubbia. Ben venga una modifica -molto richiesta da tanti cattolici che ne soffrono- che cambi la norma di ammissione al sacramento, pur a certe condizioni, ma per tutti: divorziati, risposati e conviventi, e non solo per i noti e i potenti come invece ora è scandalosamente avvenuto. E per soprammercato alcuni gerarchi si sono poi esercitati nell'arrampicata sugli specchi con l'obbiettivo di giustificare l'impossibile. A meno che tutti noi si debba ammettere che anche nella chiesa romana vige il noto adagio della vita civile: le regole ai nemici si applicano, per gli amici (o i potenti di turno) si interpretano.
 
 riuniti nel suo nome                                             f.c.   
GLI ATTI DEGLI APOSTOLI
 capitoli 15,36 – 19,20 u Il linguaggio di Paolo
Il secondo viaggio di Paolo dura qualche decina di anni, tocca circa 20 località attraversando la Siria e l’Asia minore per giungere, via terra, fino ad Atene e poi a Corinto. Paolo incontra persone e comunità molto diverse tra loro: ebrei e cristiani, pagani e atei, gente dell’alta società, e persone modeste, intellettuali, dipendenti statali, artigiani e imprenditori. Notiamo subito che Paolo adotta linguaggi e toni diversi a seconda degli interlocutori che ha davanti. Con gli ebrei ovviamente utilizza le parole della Scrittura per dimostrare che Gesù è il Messia, ma di fronte alla loro resistenza si inalbera: «d’ora in poi parlerò solo ai non ebrei!»(18,6).
Con le persone più semplici, come il carceriere, il tono dell’incontro è più conciliante e il suo annuncio è semplice e diretto: «credi nel Signore Gesù e sarai salvo» (16,31). Con gli intellettuali di Atene, filosofi e retori dell’Areopago, Paolo avvia un lungo discorso articolato, un capolavoro di strategia retorica. A partire dall’ini-ziale tentativo di captatio benevolentiae: «Vedo che siete molto religiosi» (17,22), passando attraverso la presentazione di vari attributi di Dio che possono essere condivisi dalle filosofie seguite in quel tempo, arriva a parlare di un Dio giudice e della sua resurrezione. Tutto il discorso denota lo sforzo di voler conquistare la stima degli uditori. Ma la sua fatica non viene premiata: gli ateniesi lo liquidano con una battuta ironica e noi rimaniamo con un interrogativo irrisolto: non è forse giusto cercare di trasmettere l’annuncio evangelico con un linguaggio adeguato all’ascoltatore? Non utilizzava anche Gesù immagini di pesca o di agricoltura quando parlava con pescatori e contadini?
In un tempo, il nostro, in cui i ragazzi di una scuola superiore dichiarano di non aver mai visto un battesimo e confondono Giovanni Battista con Giovanni batterista, non sarebbe giusto che la chiesa adeguasse il suo linguaggio al livello culturale della maggior parte dei suoi fedeli anziché ricorrere a formule teologiche e risuscitare lingue morte come il latino? Eppure non sempre funziona. Qualcuno fa notare che il fallimento di Paolo ad Atene potrebbe essere dovuto all’uso di un linguaggio vicino agli ascoltatori, ma troppo lontano da quello evangelico. Le sue parole non lasciano trasparire un rapporto profondo con il Maestro o una fede nella Sua presenza rigenerante. Paolo non parla della «luce che illumina la vita». Anzi parla di un Dio che «dà ordini… esige una adesione da tutti e dappertutto… e alla fine verrà a presentare il conto». Questa è una visione più giuridica che evangelica e di fatto non conquista il cuore degli ascoltatori che se ne vanno dicendo: «ne parleremo un’altra volta!»
Forse anche noi, chiesa di oggi, siamo tentati di pensare che aggiornando il registro di comunicazione riusciremo a portare la Buona Notizia al mondo di oggi. Ma l’e-sperienza di Paolo ci insegna che non basta utilizzare il linguaggio dei fumetti per conquistare i giovani, se il contenuto del messaggio è di indurli a visitare la Sacra Sindone o che non serve incitare i preti a navigare in internet o iscriversi a face book, se i loro interventi sono sempre di tipo normativo, moralistico o filosofico, e il tono è di chi si sente portatore di verità assolute e irrinunciabili. La gente preferirà… «parlarne un’altra volta».
In una società decadente come la nostra, in cui prevalgono gli interessi personali, il cristianesimo potrebbe invece suscitare energie di speranza e di resurrezione dei valori alti, ma bisogna che trovi dei testimoni, delle persone fisiche che pratichino concretamente la giustizia, la solidarietà e la pace. Tutti noi siamo stati contagiati da testimoni perché «la verità non sta tanto nelle parole, ma negli occhi, nelle mani e anche nel silenzio dei credenti» (Christian Bobin). Tutti noi siamo chiamati a essere testimoni.

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

 segni di speranza                                                                      s.f.  
VOI PIANGERETE E GEMERETE, MENTRE IL MONDO SI RALLEGRERÀ
 Giovanni 16, 12-22
«Voi piangerete e gemerete, mentre il mondo si rallegrerà, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia». Il giusto soffre nel mondo (Sal 34,20), non l’ingiusto. Il giusto soffre della ingiustizia, della assurdità e della perversità di ciò che accade nel mondo. Il mondo dice: le cose vanno così, come sono sempre andate. Il giusto dice: non dovrebbero essere così; egli soffre con Dio. Da questo soprattutto si riconoscerà il giusto: perché partecipa alla sofferenza di Dio.
Ma chi sono i giusti? Dovremmo essere noi, quelli teoricamente identificati dallo Spirito delle beatitudini: chi volesse notizie sul popolo di Dio, dovrebbe apprenderle da noi che possiamo ereditare dallo Spirito un patrimonio infinito di risorse spirituali di cui forse non siamo interamente consapevoli e che comunque utilizziamo solo parzialmente.
Ripensiamo alla parabola del banchetto nuziale (Mt 22,7-14; Lc 14,21-24). Il Signore raduna per fare festa gli invitati che hanno diritto e quelli che non ne hanno. Questi sono quelli che vivono nelle strade e lungo le siepi, quindi i qualsiasi, i rifiutati, quelli che non fanno la storia, gli insignificanti. Questa è la condizione dell’uomo rispetto a Dio: chiamati siamo tutti, senza distinzione: buoni o cattivi, giovani e vecchi, intelligenti e sciocchi, onesti e disonesti. Una massa confusa, eterogenea. Il Signore ci chiama e ci vuole con sé nel momento del banchetto, della gioia, purché «indossino la veste nuziale»; la veste potrebbe forse consistere nel riconoscere Lui come Signore, del cielo e della terra.
La elezione, la chiamata comunque non esime dai dolori e dalle sofferenze di tutti gli uomini, senza sconti: quelli della croce. Possiamo diventare parabola vivente del Dio della croce; «ma la tristezza si cambierà in gioia». Come la donna dopo il parto gioisce, così anche noi ci rallegreremo: ma quando? Nei tempi ultimi o in questa nostra storia, come vorremmo? La risposta è chiara: ora, qui e subito, nella misura in cui sapremo entrare nella economia della croce: «chi vuol salvare la propria vita la perderà, chi invece perderà la propria vita a causa mia,la troverà » (Mt 10,39). Forse dobbiamo pensare che la salvezza, la liberazione presente e futura (escatologica) impone al presente, come condizione, una trasformazione che prepari i tempi futuri (Schillebeeckx).
IV domenica di Pasqua ambrosiana
 schede per leggere                                            m.c.   
Adriaan van Dis, olandese, è in patria autore di successo; gran viaggiatore, ha scritto romanzi e racconti di viaggi, e ha dal vivo approfondito il tema del rapporto fra sviluppo e sottosviluppo; e se pure in Italia non molto conosciuto, occorre dire che il suo Il vagabondo, pubblicato da Iperborea (2009, pag. 251, 17 €) non lascia davvero indifferenti.
Protagonisti sono Mulder, colto e agiato olandese, che vive a Parigi senza necessità di lavorare: casa bella e ordinatissima, passeggiata quotidiana, borghese tutto ripiegato su se stesso; e, come da copertina, un cane, dall’intelligenza vivace e affettuosa, che induce gli uomini ad aprire gli occhi su un orizzonte sconosciuto.
L’uomo cammina, e guarda, dell’ambiente che lo circonda, solo ciò che gli interessa, il bello; ma non può non fermarsi davanti a una casa in fiamme, dove incontra il cane, sfuggito all’incendio e rimasto senza padrone e senza nome. L’amicizia che subito, inaspettatamente, legherà i due guiderà l’uomo a incontrare gli antichi compagni dell’animale, clandestini e disperati che vivevano nella casa distrutta. Si aprirà così a Mulder il mondo degli esclusi, dei senza documenti, senza fissa dimora, senza diritti, e a poco a poco l’amore, attraverso il cane, comincia a far breccia nel suo cuore. Si rende conto che può fare poco; ma qualche cosa può fare, con l’aiuto di uno strano prete alcoolista che quel mondo vede e capisce. Sarà una vita nuova, capace di dono e di rinuncia.
Libro da leggere se si è disposti a mettere in discussione il nostro vivere ovattato dal benessere; se si ha il coraggio di fare propri anche i grandi interrogativi, che troppo spesso rimangono senza risposta.
 
la cartella dei pretesti 
La politica è sempre più soggetta a un processo di svuotamento di identità: il cittadino da attivo partecipante dell’agorà in cui si discute e si delibera si trova a essere consumatore passivo di opzioni politiche che gli vengono servite come merci. […] I partiti, da organizzazioni fondate sul volontariato degli iscritti uniti da un ideale comune, si sono trasformati in istituzioni personali che sostituiscono l’adesione a un progetto con il consenso incondizionato a un leader, scelto per il suo fascino carismatico e non per la capacità di promuovere partecipazione. […] A far eccezione, nell’attuale panorama politico italiano, è unicamente la Lega Nord, che ha saputo dare vita a una militanza radicata sul territorio, perciò con una forte partecipazione popolare. Ma la ragione del suo successo è purtroppo dovuta a battaglie che fanno leva sugli istinti meno nobili e alimentano spesso atteggiamenti xenofobi e razzisti. È possibile che qualcosa di analogo si verifichi anche attorno a obiettivi ideali?
GIANNINO PIANA, L’Italia, Berlusconi e la crisi della democrazia, Jesus, febbraio 2010.
La Resistenza è il fondamento indiscutibile della nostra vita civile. Questa serena, pacifica acquisizione è ora lividamente contestata non tanto dagli avversati di ieri, quanto dai nuovi antipatrioti di oggi, parvenus dell’attuale regressione. […] È giustissima quindi la raccomandazione di tenerci stretto il 25 aprile, ma è anche triste doverlo fare, perché preferiremmo non dover fare tanta attenzione ai borsaioli che ce lo vogliono portar via.
CLAUDIO MAGRIS, Resistenza, com’è triste doverla ancora difendere, Corriere della sera, 26 aprile 2010.
C’era una volta la linea. Così si chiamava nei partiti di sinistra l’insieme di indicazioni che il centro diramava alla periferia su tutti i temi politici del momento […] Il PdL ha sostituito la linea con il capo, il centralismo democratico con il centralismo carismatico. Il centralismo carismatico non tollera l’insorgenza del dissenso interno, la formazione di correnti: da buon venditore Berlusconi si rende conto di quanto il successo del PdL, la tenuta interna del partito e la sua immagine esterna siano affidate all’attrattiva del marchio e alla forza del capo, di un indiscusso Chef Executive Officer.
MICHELE SALVATI, Un ritorno all’antico, Corriere della sera, 24 aprile 2010.
Credo che lo scrivere sia come percorrere una stanza buia alla ricerca di un’uscita che non sei mai sicuro di trovare. Cerchi di abituare lo sguardo all’oscurità, urti, inciampi, ti fai male e soprattutto, momento dopo momento, scopri che le cose non sono mai come le immaginavi. E intorno a te, invisibili e reali, le ombre, a volte inquietanti, altre volte stranamente cordiali. Con loro, comunque, devi venire a patti se vuoi raggiungere incolume l’uscita. Ci sono cose che aiutano in questo viaggio nel buio e in questo negoziato con le ombre. Gli altri libri per esempio, da usare come piccole torce per fendere almeno un poco l’oscurità.
GIANRICO CAROFIGLIO, Tecnica del colpo di penna, Il Sole 24 ore domenica, 21 marzo 2010.
Il ricorso all'uomo forte è fonte di sciagure, come dovrebbe averci insegnato l'esperienza da cui invece noi italiani non impariamo mai nulla! Preferisco affidarmi alla pazienza di uomini che scelgono di sciogliere i nodi piuttosto che tagliarli. Ed è per questo che, quando si trattò di sceglierne uno, scelsi Prodi.
INDRO MONTANELLI, Corriere della Sera, 12 novembre 1997.
Hanno siglato le rubriche: 
Mariella Canaletti, Giorgio Chiaffarino, Franca Colombo, Sandro Fazi
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Ugo Basso, Giorgio Chiaffarino; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
Per non ricevere più Notam, rilanciare il messaggio indicando all'oggetto: cancellare dalla lista
L’invio del prossimo numero 352 è previsto per LUNEDÌ 24 MAGGIO 2010


E’ disponibile sul sito la lettera del
10 maggio 2010 - S. Alfio - Anno XVIII - n. 351  

 

Vai all’indice di Notam per leggere le altre lettere



Venerdì 14 Maggio,2010 Ore: 14:58
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
NOTAM - Lettera agli amici del gruppo del Gallo di Milano

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info