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ISSN 2420-997X

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8 marzo 2010 - S. Giovanni di Dio - Anno XVIII - n. 347


«Ecco cosa dovrete fare: dirvi reciprocamente la verità» (Zaccaria 8,16)
 
 
Milano, 8 marzo 2010 - S. Giovanni di Dio - Anno XVIII - n. 347
 
TRENTA RIGHE DI ATTUALITÀ
Giorgio Chiaffarino
Giorno dopo giorno scopriamo la profondità del verminaio sul quale il nostro paese  vive e che circa la metà plaude prendendo per buono il tranquillante di una menzogna sistematica. È uno sfascio generale, non sono solo quattro birbantelli, ma allora perché suonare la fanfara di una grande norma anticorruzione? Per la solita tecnica di dire quello che la gente vuol sentirsi dire: sono come tu mi vuoi, ma solo a parole. Lasciar passare il tempo…e tutto torna come prima. No, peggio probabilmente, perché la vecchia Mani Pulite aveva almeno sbaraccato una intera classe politica. Non sarà certo il caso di oggi: infatti, per la nuova norma questo complesso sistema di potere, sistematicamente costruito nel tempo come una vasta e capillare ragnatela senza apprezzabili opposizioni, dovrebbe suicidarsi. Niente di più inverosimile.
Vigilia di elezioni. Il pressapochismo dilettantesco ha dato i suoi frutti e, addirittura, nella Capitale legale e in quella (ex) morale, le liste del PdL non sono state ammesse alle elezioni per insuperabili irregolarità. Il cattolicissimo presidente della Lombardia grida al complotto per scaricare su ignoti quello che invece è soprattutto il risultato delle lotte interne e della improvvisazione (fino all'ultimo la lista aveva subito modifiche). Medice, cura te ipsum, suggerivano gli antichi. Dopo le leggi salva Tizio, salva Caio, dopo quelle ad personam ora - se così si può dire – è pronta quella ad listam…: infatti un vecchio detto recita: le leggi ai nemici si applicano per gli amici si interpretano!
Un accenno all'ultima trovata della maggioranza: dopo gli attacchi ai consumatori e alle tutele della sicurezza sul lavoro, è il tempo di smontare il famoso articolo 18 per il quale il giudice può obbligare a reintegrare un lavoratore licenziato senza giusta causa. La nuova norma, in caso di controversia, prevede, in alternativa al giudice, anche un arbitrato. Gridano allo scandalo i sindacati e la sinistra, ma il cattolico Sacconi ribatte: siete in malafede! È una libera scelta del lavoratore accettare l’alternativa. Viva la libertà, allora. Ma, amici, ve la immaginate la libertà di un tale, sotto-occupato o disoccupato da pezza, a cui viene sottoposto finalmente un contratto di lavoro con la clausola incriminata: firmerà o non firmerà? C'è un limite allo scandalo e alla vergogna?
Per fortuna c'è altro. Mi colpisce La Stampa del 28/2/10. Barbara Spinelli cita un brano di un testo che un gruppo di cattolici -questi sì- ha letto in una chiesa di Palermo in una veglia dopo l'eccidio Falcone. Scrive: «Il documento s’intitolava "L’Impegno", e oggi dovrebbero leggerlo e rileggerlo gli studenti, gli imprenditori, i servitori dello Stato, i politici, per mostrare che l’Italia ha qualcos’altro nelle ossa, oltre alla melma…Vale la pena ricordare alcuni brani: "Ci impegniamo a educare i nostri figli nel rispetto degli altri, al senso del dovere e al senso di giustizia. Ci impegniamo a non adeguarci al malcostume corrente, prestandovi tacito consenso perché “così fan tutti”. Ci impegniamo a rinunziare ai privilegi che possano derivare da conoscenze e aiuti “qualificati”. Ci impegniamo a non vendere il nostro voto elettorale per nessun compenso. Ci impegniamo a resistere, nel diritto, alle sopraffazioni mafiose...».
 
in questo numero                             
E. Giribaldi CON DISGUSTATO STUPORE uM. Canani SALINGER, UN CLASSICO u  S. Fazi EDWARD SCHILLEBEECKX uVIA PADOVA VISTA DA NOI u M. Poggiato CHI L’AVREBBE DETTO? San Maurizio al Monastero Maggiore u abbiamo partecipato    U. Basso RIPENSARE L’IDEA DI PECCATO u riuniti nel suo nome f.c. GLI ATTI DEGLI APOSTOLI u segni di speranza s.f. DA DOVE PRENDI QUEST’ACQUA VIVA? u    schede per leggere m.c. u la cartella dei pretesti
CON DISGUSTATO STUPORE
Emilio Giribaldi
Il 25 febbraio la Corte di Cassazione dichiara prescritto il reato di corruzione di cui è riconosciuto colpevole l’avvocato inglese David Mills perché considera come momento consumativo del reato lo stanziamento (novembre 1999) e non la riscossione del denaro versato della Fininvest (febbraio 2000) a compenso della falsa testimonianza richiesta e rilasciata da Mills a favore di Berlusconi: l’atto quindi cade nella prescrizione che una legge ad hoc riduce da 15 a 10 anni. La stessa Corte riconosce la colpevolezza, accertata dalla precedente sentenza del Tribunale di Milano, ma non la validità della condanna.
Francamente turbati, perché la corruzione dei nostri governanti non è una sgradevole impressione, ma purtroppo una realtà ampiamente documentata da cifre e testimonianze, cerchiamo di ricostruire la complessa questione attraverso qualche stralcio di una dettagliata analisi della motivazione della sentenza di condanna di Mills che ci offre l’amico magistrato Emilio Giribaldi, al quale siamo molto riconoscenti.
Sono più di 400 pagine di esposizione di dati, testimonianze, documenti, relazioni di periti contabili e di atti di altri processi e specificamente, per quanto concerne questi ultimi, quelli svoltisi a suo tempo presso lo stesso Tribunale di Milano contro Silvio Berlusconi, Bettino Craxi, numerosi funzionari Fininvest e ufficiali della Guardia di Finanza; a conclusione di tali processi vi sono state condanne definitive per reati di corruzione, finanziamento illecito di partiti politici e altro nei confronti di Craxi e di funzionari e ufficiali, mentre Berlusconi è stato prosciolto in appello o in cassazione nel merito per alcuni fatti (per non essere stata individuata prova sufficiente del collegamento tra lui e gli autori materiali dei reati) e per intervenuta prescrizione per altri.
È lo stesso imputato Mills a dichiarare in più sedi, e cioè in lettere, promemoria per il fisco inglese e verbali redatti dai pubblici ministeri, di essere stato stretto collaboratore ad altissimo livello (con contatti continuativi anche diretti con i massimi dirigenti e con lo stesso Berlusconi) del gruppo Fininvest sin da prima del 1980. Suo compito principale dichiarato era quello di gestire dall’esterno le numerosissime società od organismi assimilati (almeno cinquanta) costituiti all’estero (off shore) dal gruppo Fininvest con finalità sia di carattere per così dire familiare (ad esempio, Century One e Universal One rappresentanti patrimoni incrementabili di spettanza di Pier Silvio e Marina Berlusconi e movimentabili soltanto su disposizione esclusiva del paterfamilias), sia di tipo prettamente finanziario e fiscale finalizzati all’elu-sione o alla violazione delle norme italiane tributarie e in materia di reti televisive.
In base alla documentazione acquisita il tribunale constata che sino al 1994-95 le movimentazioni sugli innumerevoli conti istituiti dalle società e dai fondi in questione ammontavano ad almeno settecento miliardi di vecchie lire. Risultano anche documentalmente provati, per sentenze ormai divenute definitive, i prelievi di fondi impiegati per l’acquisto di reti televisive anche in violazione della legge Mammì, per l’affare Craxi (dieci miliardi di lire trasferiti previa una serie di passaggi su conti esteri e nazionali all’allora segretario del PSI) e per la corruzione di ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza indotti a chiudere uno o magari due occhi sulla reale pertinenza alla Fininvest di Berlusconi delle numerose società off shore e sugli acquisti vietati di reti televisive.
Quasi superfluo precisare che il delitto di corruzione in atti giudiziari, consistente nell’aver reso a pagamento una testimonianza non veritiera e di cui deve rispondere ovviamente anche colui che ha pagato, si realizza anche con la reticenza, cioè col tacere o con lo svicolare sui fatti su cui si è interrogati. L’avvocato Mills, sentito ripetutamente in tali processi, è stato imputato insieme a Silvio Berlusconi di corruzione in atti giudiziari per aver reso falsa testimonianza o per essere stato reticente dietro congrui compensi in denaro prelevati dai fondi esteri off shore del gruppo Fininvest.
La prima osservazione che sorge spontanea alla lettura del documento è che gli avvocati del Mills, e soprattutto quelli di Berlusconi (almeno sino al momento della sospensione per il lodo Alfano), hanno attuato quella che è stata definita la difesa dal processo (in contrapposizione alla corretta difesa nel processo), e cioè l’ostru-zionismo sistematico finalizzato in modo scoperto a far maturare il termine di prescrizione, e cioè quel termine che a tempo debito, come è noto, è stato opportunamente abbreviato in forza delle leggi votate da una maggioranza parlamentare succuba ai suggerimenti degli stessi avvocati difensori di Berlusconi (poi divenuti essi stessi parlamentari). Infatti, la durata oltreannale del dibattimento è stata caratterizzata dalla pronuncia da parte del collegio giudicante di oltre 40 (quaranta!) ordinanze rese necessarie dalla proposizione da parte dei difensori degli imputati di una serie continua di eccezioni palesemente infondate o di istanze contraddittorie o prontamente rimangiate al momento opportuno, sempre nell’ottica del rallentamento del processo e dell’impedimento all’esame del merito.
Quanto sopra costituisce necessariamente un sunto assai approssimativo e incompleto della vicenda giudiziaria; per chi ha tempo e voglia la lettura del testo integrale della sentenza o di alcune parti di essa (tralasciando quelle più tecniche, quali la rassegna dei dati e degli accertamenti contabili) può fornire un quadro completo di una situazione il cui accertamento avrebbe determinato, in qualsiasi nazione civile, le dimissioni immediate dell’Esecutivo.
Le conclusioni comunque sono evidenti:
 A      il gruppo Fininvest ha violato sistematicamente e per anni o decenni la legislazione fiscale, valutaria e finanziaria italiana costituendo e facendo gestire all’e-stero capitali, in varie valute (sterline, dollari, lire e poi euro etc.) per centinaia se non migliaia di miliardi di vecchie lire o di milioni di euro;
 B      detti capitali sono stati impiegati in parte rilevante per aggirare la legislazione nazionale in materia di possesso di reti televisive;
 C      i fondi occultati sono stati anche destinati in larga parte a pagare profumatamente i soggetti, come il Mills, incaricati della gestione fiduciaria e occulta, oppure a corrompere politici e funzionari;
 D      Berlusconi e i suoi massimi dirigenti hanno sempre mentito negando l’esistenza e gli scopi delle società e dei fondi off shore, e tale comportamento è proseguito col sistematico ostruzionismo processuale da parte dei legali degli imputati;
 E      le enormi somme percepite dal Mills al di fuori della sua attività professionale ufficiale costituiscono i compensi a lui riconosciuti per l’abilità dimostrata e per i rischi corsi nel gestire la reticenza nei processi già definiti a carico di Berlusconi e di alcuni massimi dirigenti del gruppo (dal che la condanna per il delitto di corruzione in atti giudiziari);
 F      le decisioni circa i pagamenti e i premi sono state prese al massimo livello quanto meno con la consapevolezza e l’approvazione preventiva del Capo il che, se non andiamo errati, costituisce concorso a pieno titolo nel reato.           

Ringraziamo sin d'ora gli amici che ci segnaleranno l'indirizzo di persone che potrebbero essere interessate a questa pubblicazione e anche quelli che la inoltrano attraverso la propria mailing list.

SALINGER, UN CLASSICO
Marco Canani
Qualche settimana fa si è spento, novantunenne, Jerome David J.D. Salinger. Nei giorni successivi alla sua morte i quotidiani americani, che hanno ricordato come l’autore si fosse ormai ritirato da tempo a vita privata nella sua casa del New Hampshire, sembrano anche dare una testimonianza di come Salinger abbia lasciato non solo un vuoto nella storia della letteratura, ma anche un vuoto nella storia americana. A ricordarsi di lui non sarà, infatti, solo la generazione dei nonni di oggi, ossia di coloro che hanno potuto rivivere, nelle pagine di Salinger, quegli anni Cinquanta che lo scrittore ha scelto come sfondo per le vicende dei suoi personaggi: sono eroi moderni, giovani che si muovono sì sullo sfondo dell’America di mezzo secolo fa, ma che potrebbero tranquillamente vivere nella Manhatthan del dopo 11 settembre o in qualsiasi altra metropoli di oggi.
Forse questo di Salinger rimarrà nella storia e si può leggere in romanzi come Il giovane Holden o Franny e Zooey: sono storie di adolescenti e giovani adulti che, nella loro rappresentazione del conflitto generazionale, si direbbero aver colto, con sessant’anni di anticipo, quello stesso disagio di chi è o è stato adolescente negli ultimi decenni. Quello che si percepisce è lo smarrimento di una generazione che faticava a trovare una direzione, ma che cercava, almeno così sembrerebbe nei suoi romanzi, di ribellarsi alle ipocrisie del mondo, e di rifiutare quello che Holden Caulfield chiama, con il suo slang nordamericano, “phony”, finto.
È probabilmente questo uno dei sentimenti che Salinger, che nel secondo dopoguerra guardava ormai all’adolescenza in retrospettiva, sembra volerci trasmettere fin dalle prime pagine del romanzo che lo ha portato alla notorietà dopo il 1951. Un romanzo che, qualche anno fa, Fernanda Pivano aveva incluso tra i classici americani (in quella lista che aveva affettuosamente chiamato “I libri della mia America”) e che ha un titolo curioso ed evocativo, chiaro per un lettore anglofono, ma che la traduzione si è forse vista costretta a banalizzare per il lettore italiano. Titolo originale della storia del giovane Holden è, infatti, The Catcher in the Rye, letteralmente “il ricevitore nella segale”.Si tratta del lavoro a cui, come leggiamo, il protagonista sceglierebbe di dedicarsi se ne avesse la possibilità:una sorta di attento guardiano dell’infanzia, pronto a vigilare sui bambini che rischiano di cadere da un precipizio.
Un titolo misterioso per chi non ha letto la storia, ma squisitamente americano con il suo richiamo allo sport nazionale negli anni in cui si celebravano miti come Joe di Maggio. Eppure non serve aver letto il vagabondare di Holden, adolescente ribelle in fuga da se stesso prima che dai genitori, per capire a che cosa potesse riferirsi Salinger quando usa il verbo cadere. Che si tratti di commettere un errore o di un passaggio un po’ traumatico verso l’età adulta, l’importante è cercare di rialzarsi, di trovare faticosamente una direzione e un senso. È questo il percorso così difficile anche per i “fratelli letterari” poco più grandi di Holden, i ventenni della famiglia Glass che, nati sulle pagine del New Yorker, possiamo ritrovare in Franny and Zooey del 1961.
C’è chi dice che un classico è un’opera che rimane sospesa nel tempo, che può essere riletta molti anni dopo la sua pubblicazione e riuscire ancora a comunicare qualcosa di attuale al suo pubblico. Al di là di ogni giudizio critico, due fattori rendono ancora interessante, a cinquant’anni di distanza, la lettura di Salinger: per gli adulti, la possibilità di avvicinarsi alla realtà dei più giovani, e rivedersi attraverso gli occhi degli adolescenti. Per i più giovani, potrebbe essere l’occasione di capire che è possibile rifiutarsi di accettare acriticamente la realtà che è loro proposta. Chissà che non possa essere un modo per superare alcune delle difficoltà, tanto presenti oggi, che accompagnano la transizione verso l’età adulta.

SCRIVERE POESIE DOPO AUSCHWITZ ?
Si pongono la domanda giovedì 18 marzo alle 18 al centro San Fedele, piazza San Fedele 2, Piero Stefani e Paola Gnani, autrice di Scrivere poesie dopo Auschwitz. Paul Celan e Theodor W. Adorno, Giuntina. Ottavia Piccolo leggerà poesie.

  EDWARD SCHILLEBEECKX
Sandro Fazi
È morto il 23 dicembre 2009 Edward Schillebeeckx alla età di 95 anni. Olandese, teologo domenicano tra gli esperti più attivi nella preparazione e nello svolgimento del Concilio, il suo nome è noto a chi ha ancora memoria dei tempi del Concilio Vaticano II. Impegnato su molti temi del confronto teologico internazionale, ha lasciato una traccia significativa del suo pensiero in molti campi della ricerca teologica tra i quali, per citarne alcuni senza ordine di priorità: la presenza eucaristica, il celibato dei preti, l’ermeneutica, la secolarizzazione, la teologia politica e della liberazione, il matrimonio. Questa nota vuole essere un ricordo del teologo e del suo importante contributo al pensiero cattolico e, nel contempo, anche offrire un’occasione per riprendere in esame alcune sue teorie, forse ancora interessanti per noi oggi.
Le sue idee gli hanno fatto rischiare nel 1968 un processo al Santo Ufficio e dal 1977 lo hanno posto sotto inchiesta da parte della Congregazione per la dottrina della fede, che ne ha rinnovato la funzione. Al termine del Concilio, in collaborazione con il teologo gesuita Karl Rahner, fondò la rivista Concilium, pubblicata in diverse lingue, con lo scopo di portare avanti l’indirizzo teologico che si era affermato al Vaticano II con l’intento di costituire un ponte tra i teologi che hanno preparato il Concilio e la nuova generazione. Alla impostazione teologica di Schillebeeckx si è ispirato il Nuovo Catechismo Olandese, in cui furono presentate importanti posizioni teologiche, che ha avuto larga eco negli ambiti cattolici del periodo intorno al 1970, nonostante le censure della ortodossia cattolica, per esempio sul tema del peccato originale.
La ricerca di Schillebeeckx, molto articolata e complessa, non si presta a una veloce sintesi, almeno non nei nostri limiti; proviamo comunque a dare qualche squarcio del suo pensiero:
     il criterio fondamentale della sua teologia è, forse, la ricerca di una rilettura della parola evangelica in chiave contemporanea, cioè alla luce del momento storico presente, perché possa essere compresa e vissuta dall’uomo di oggi. La storicità di ogni conoscenza umana rende necessario riconsiderare alcune affermazioni di fede fatte all’interno di contesti culturali diversi. La teologia deve quindi inculturare la fede nel nostro tempo, pena la non significanza di questa. Non deve stupire quindi se varierà anche il suo modo concettuale di intendere ed esprimere Dio e i misteri della fede; ciò che varia non è la verità ultima, cioè Dio, bensì soltanto la sua rappresentazione concettuale, la prospettiva in cui ci poniamo per guardare a Lui.
     Oggi può essere più comprensibile parlare di Dio come del futuro che viene incontro all’umanità nella storia, sostenendola nel suo impegno sociale e politico per un avvenire migliore, con promesse di pace, giustizia e gioia infinita. I cristiani sono quindi quelli che interpretano la storia alla luce della fede e anche trasformano la storia, in virtù della loro speranza nelle promesse di Dio.
     L’interpretazione dell’annuncio evangelico deve aprirsi al futuro per manifestare, realizzandole, le possibilità che le promesse divine hanno aperto alla storia umana. La verifica della fede cristiana non può limitarsi a essere teorica, ma dovrà essere integrata da una verifica pratica, per comprovare nell’agire la verità di quanto afferma.
     Il Cristo della fede non può essere scisso dal Gesù della storia e questi non può essere colto come un dato oggettivo in sé per sé, ma solo attraverso l’espe-rienza che di lui fece la prima comunità cristiana. Esperienza che, d’altra parte, è già sempre interpretata in un linguaggio di fede. Il Gesù storico quindi noi lo cogliamo solo tramite l’esperienza comunitaria che i primi discepoli fecero, accettando la sua proposta di vita e di salvezza. Tale esperienza, suscitata dal Gesù storico e rivissuta negli eventi pasquali, rimane, secondo Schillebeeckx, l’elemento storico primario della fede cristiana.

VIA PADOVA VISTA DA NOI
Dal sito dell’Orchestra di via Padova: www.orchestradiviapadova.it/
L'Orchestra è composta da musicisti professionisti italiani e stranieri che, per i motivi più diversi, hanno attraversato la zona compresa tra via Padova e viale Monza.
In questi giorni vengono dette tante cose su via Padova, sull'integrazione e sull'intolleranza.
Vista dal di fuori la nostra esperienza di condivisione sociale e culturale viene vista come qualcosa di eccezionale, di unico. Non è così.
Noi siamo lo specchio di quello che non si vede nei telegiornali, delle persone normali, che vivono e convivono. Delle mamme che portano i propri figli a scuola e poi si prendono un caffè al bar insieme, senza accorgersi neanche che magari una mamma è italiana, l'altra marocchina e l'altra peruviana, e il barista è cinese. Nessuno se ne accorge perché è la cosa più normale di questo mondo, e le cose normali non fanno notizia.
Quello che è successo è tremendo: per futili motivi è scoppiata una rissa e un ragazzo ha accoltellato un altro ragazzo. Nessuno parla di questo perché è molto più d'effetto mettere il dito su uno scontro interetnico che in realtà non esiste fra le persone che quotidianamente lavorano e vivono in pace.
Dopo questo fatto, pochi facinorosi, indisturbati, hanno incominciato a devastare. Per ore hanno agito liberamente e impunemente lasciando credere che Via Padova sia quella cosa lì. Loro erano qualche decina, Via Padova è 4 chilometri e mezzo di case piene di persone.
Noi, Orchestra di via Padova, insieme agli Amici del Parco Trotter chiediamo che il Comune non ci mandi solo l'esercito, ma soldi e risorse per risanare le scuole, assistere gli anziani, i giovani, i bambini, creare spazi di incontro e socialità, migliorare la vita del quartiere e renderla più sicura dal punto di vista, prima di tutto, sociale.

CHI L’AVREBBE DETTO?
San Maurizio al Monastero Maggiore
Manuela Poggiato
Ho imparato tantissime cose: dal mio tutor; dai volontari più vecchi che come me adorano san Maurizio e lo considerano roba loro – Giuseppe, ad esempio, con cui più volte all’inizio del turno, approfittando dell’assenza di pubblico, ho pulito il pavimento sporco per la pioggia e i tanti ingressi del giorno prima, o Maria che è stata lì talmente tante volte che molte persone per strada la chiamano per nome e la ricordano come la volontaria a san Maurizio -; ho imparato dalle varie guide che specialmente il sabato affollano la nostra chiesa, ma anche da manuali e riviste che mi sono procurata e persino da alcuni visitatori che, scoprivo magari troppo tardi, ne sapevano molto, molto più di me. Uno di loro, ad esempio, mi ha fatto scoprire quel santo – Pietro martire - raffigurato nella chiesa claustrale con una accetta conficcata nella testa stupendosi del fatto che non lo conoscessi, presente come è su una colonna in piazza sant’Eustorgio …
Le prime volte parlando ai visitatori raccontavo le cose più ovvie: che il monastero, il più grande, come ricorda il nome, della Milano del 1500, ha una chiesa doppia, cioè formata da due parti separate da un tramezzo, una parte per i fedeli e una riservata alle suore (benedettine) di clausura; che è stato fondato nei primi anni del 1500 dagli Sforza-Bentivoglio per la loro figlia Bianca, più volte badessa nel monastero capace di ospitare fino a cento suore, tutte giovani rampolle della Milano bene… Mi ero fatta anche uno schema, degli appunti per non dimenticare nulla e presentare al meglio la mia chiesa.
Adesso vado a braccio: parlo di santa Elisabetta d’Ungheria che neanche si vede perché raffigurata sugli sportelli interni dell’organo dell’Antegnati e circondata da tre corone perché tre volte regina in quanto figlia e madre di re e regina lei stessa; parlo di come mi figuro io le monache, nelle loro divise scure, sempre infreddolite dato il gelo che avvolge anche noi oggi durante i turni invernali; non mi accontento più di dire della storia della santa più rappresentata a san Maurizio, Caterina d’Alessandria (il martirio della ruota, la rottura della ruota stessa per intervento di Dio, la decapitazione e il trasporto del corpo sul Sinai dove si trova ancora oggi il monastero a lei dedicato, noto a tutti quelli che ci vanno da Sharm el-Sheikh), ma racconto anche della filastrocca cantata che da bambina girava a casa mia sul di lei padre pagano che, scopertala a pregare minaccia, cantando, di ucciderla: “Che fai o Caterina? biribin biribin bum bum…”
E ogni tanto, nonostante i ripetuti turni, le letture, le foto fatte (porto sempre con me una macchina fotografica tascabile, non si sa mai, e in passato pure un piccolo i-pod con incisa musica del 1500 e due diffusori…) scopro qualcosa di nuovo. L’ultima scoperta nel maggio scorso. È sabato pomeriggio, fa già caldo ma non a san Maurizio, sono un po’ stanca perché per arrivare all’una e mezza, inizio del turno pomeridiano, mi tocca prendere il bus alle 12.20 fino a san Donato (un altro santo…) poi la MM gialla, poi la rossa… insomma un po’ tutto di corsa. Nella chiesa delle monache c’è una sedia, non mi ci siedo mai, di solito seguo le persone, ma non c’è ancora nessuno e ne approfitto. Appena seduta mi viene da voltarmi e così scopro l’immagine di una monaca benedettina - proprio sotto L’orazione di Gesù nell’orto, del Luini - un’ottantina di cm di altezza per una spanna della mia mano di larghezza, in bianco e nero, gli occhi bassi. Dove era prima? Come ho fatto a non vederla? Impossibile sia sempre stata lì…
 I QUADERNI DI NOTAM  ripropongono momenti di ricerca comune
1.   NAVIGARE NEL MARE DELLA COMPLESSITÀ - Convegno Torrazzetta (PV) 1999 
2.   CHE COSA È L’UOMO PERCHÉ TE NE RICORDI E NE FACCIA TANTO CONTO? - Convegno di Torrazzetta (PV) 2006 
3.   È POSSIBILE UNA RELIGIOSITÀ COME SE DIO NON CI FOSSE?
Convegno
di Torrazzetta (PV)  2007  
4.   IL CORAGGIO DELLA RAGIONE - In ricordo di Giulio e Giulia Vaggi - 18 ottobre 2007 
5.   CHE COSA È LA FELICITÀ? - Convegnodi Montebello (PV) 2008
6.   DEBOLEZZA E FRAGILITÀ - Convegno di Montebello (PV) 2009
Si possono richiedere alla nostra redazione, precisando se si desidera l’invio su carta o per posta   elettronica e indicando l’indirizzo. Sarà gradito un contributo di 5 € a copia, anche in francobolli.
abbiamo partecipato
RIPENSARE L’IDEA DI PECCATO
Ugo Basso
Un lungo studio a più voci con diverse competenze e diverse posizioni religiose in puro stile di Biblia -l’associazione laica di cultura biblica frequentata da alcuni di noi- quello proposto dal convegno invernale organizzato nella anticipata primavera sanremese all’inizio dello scorso febbraio: “Invenzione” del peccato? Colpa, peccato e trasgressione nella Bibbia. Il complesso tema articolato nelle relazioni di molti studiosi ha suscitato interessanti confronti anche con la platea fra ripensamenti filologici ed ermeneutici e rielaborazioni esistenziali nella sfera della coscienza individuale e dell’agire pubblico. Nella cultura vera, anche altissima, sempre è da cercare una maggiore comprensione dell’uomo, pur sicuri che le grandi domande è importante porsele perché la vita non cessi di essere ricerca.
Ripropongo quindi alcune delle grandi domande su cui abbiamo lavorato: il peccato eticamente denotato ha sempre segnato la coscienza dell’uomo religioso? E il senso di colpa, innato nell’uomo greco e senza ipotesi di redenzione, motiva l’idea che sarebbe meglio non essere mai nati? In che cosa consiste il peccato collettivo che scatena l’ira di Dio contro il suo popolo? Può essere rimesso attraverso il pentimento e l’espiazione e come si connette con la responsabilità dell’individuo? Per ottenere il perdono occorre rivolgersi al Signore o è necessario un mediatore umano? E la confessione è un’imposizione canonica o una necessità interiore dell’uo-mo? Il racconto del peccato originale è rappresentazione mitica dell’umanità che prende coscienza della propria autonomia e soffre la responsabilità che ne consegue? E nell’oggi politico le chiese sono consapevoli che, entrando nel dibattito con intransigenti non possumus, operano alla disgregazione della democrazia che dicono di sostenere?
Insieme ai grandi problemi teoretici, dalla platea anche risposte di spessore umano a grandi problemi di convivenza come la testimonianza del rappresentante di un gruppo di volontari friulani: come chiedere perdono per le firme cattoliche nella raccolta promossa dalla Lega per impedire la costruzione di un luogo di culto islamico?   Hanno scelto di tassarsi e offrire il ricavato per la costruzione della stessa moschea: un bell’esempio, nonostante le polemiche suscitate non nel gruppo, ma nella città.
Chiudiamo con il racconto che ci invia l’amico lettore Giuliano Bertoni di un episodio emblematico del clima del convegno.
L’avvio del convegno è stato accompagnato da un episodio profetico che, nel caso di esito contrario, avrebbe potuto nuocere grandemente all’atmosfera positiva che poi lo ha accompagnato per tutto l’esaltante tempo del suo scorrere. L’inizio della seconda relazione (destinata all’analisi di un solo versetto biblico e a centinaia di confronti fra parole, grafie e traduzioni) è stato preceduto dal ripetuto tentativo inefficace di installare sul computer per le proiezioni in sala i font necessari per l’utilizzo dei caratteri ebraici; all’ultimo tentativo fallito e alla riconosciuta necessità di dover rinunciare agli strumenti moderni, dalla cabina di controllo fonico esce uno statuario uomo nero, nativo della profonda Africa, che già aveva abbozzata una discreta disponibilità a intervenire e che di fronte alla decisione estrema, acquattato per non disturbare la visione di insieme, sale sul palco e ottiene, con non celata incredulità di tutti, di operare sulla tastiera, rannicchiato a fianco del relatore, dove con pochi decisi colpi di dito sulla contemporanea “tabella”, perviene alla comparsa delle sperate parole ebraiche.  L’applauso scrosciante è una palese, liberatoria richiesta di espiazione per un moderno “peccato”!
riuniti nel suo nome                                              f.c.   
GLI ATTI DEGLI APOSTOLI
 capitoli 9, 10, 11, 12
Tra i numerosi temi che Luca pone alla nostra attenzione in questi capitoli due sono quelli che destano maggiore interesse e stimolano il dibattito nel nostro gruppo: l’intervento di Dio nella vita personale dell’uomo e la inclusione di tutti gli uomini nella comunità dei salvati.
La presentazione esegetica del testo evidenzia la predominanza della figura di Paolo, che finirà per occupare un terzo dei testi neotestamentari. La sua chiamata, con la folgorazione sulla via di Damasco, è presentata in una cornice di grande portata simbolica, che suggerisce analogie con la chiamata degli antichi profeti. Chiaro l’intento di Luca di comunicare ai cristiani ellenisti che Paolo, pur non essendo un apostolo, era però stato scelto direttamente da Dio e chiara la sua volontà di testimoniare la fede in un Dio che è presente anche dopo la morte del Cristo e raggiunge l’uomo per sentieri suoi, diretti e imprevedibili; infatti, l’incontro con Paolo avviene in una strada, fuori di ogni struttura religiosa.
Tuttavia, questa scorciatoia, che porta Paolo dalla persecuzione alla evangelizzazione, suscita non poche reazioni nei cristiani di allora e anche di oggi, specie se confrontata con il lungo cammino di maturazione degli apostoli che per anni avevano accompagnato Gesù prima di comprendere il suo progetto. Ci affascina questa irruzione del divino nell’umano, ma al tempo stesso ci sconcerta il pensiero che un unico momento di illuminazione interiore possa sconvolgere radicalmente una vita.
Ma forse anche per Paolo, all’interno del racconto simbolico, possiamo intravedere un cammino progressivo verso la fede: la caduta da cavallo simboleggia la perdita di potere, la cecità segna il distacco dalla realtà precedente e il tempo della autocoscienza. Come se, per avanzare nella relazione con questo Dio che ci ama, sia necessario retrocedere su posizioni di indigenza e di dipendenza quasi infantile. E  forse anche il fanatismo di Paolo nella persecuzione ai cristiani, rivela un percorso di avvicinamento, un bisogno di sfida verso una ideologia che lo affascina e contemporaneamente lo respinge.
Altrettanto interessante è il finale del racconto quando Dio per guarire Paolo, e provarne il cambiamento, non interviene più direttamente, ma manda un altro uomo, Anania, un laico che lo introduce nella comunità di Damasco. Quasi a significare che, se l’illuminazione interiore può provocare nell’uomo un ripensamento e una presa di coscienza sulla propria realtà, ciò che può sostenerlo nel faticoso processo di cambiamento della vita è l’incontro con una comunità di credenti.
L’altro tema che anima il dibattito è l’inclusione dei pagani nelle comunità ecclesiali, senza passare attraverso la ritualità ebraica della circoncisione. Per i cristiani giudaizzanti questo passaggio era imprescindibile perché sigillava l’alleanza del popolo eletto con Dio. Ma Pietro, in questo cap. 10, assume una posizione assolutamente rivoluzionaria: illuminato da una ispirazione divina in cui Dio lo esorta a mangiare carni impure, matura la convinzione che “non si può considerare impuro quello che Dio ha considerato puro” quindi, infrangendo la legge, si reca in casa di un pagano, Cornelio, testimonia la sua fede nel Cristo Signore e si rende conto che “il dono dello Spirito era già stato elargito anche ai pagani”, indipendentemente da ogni appartenenza. Non può quindi “negare il battesimo ai non circoncisi che credono nel Cristo Signore e hanno già ricevuto lo Spirito Santo”.
Pietro, con questa illuminazione, supera in un colpo solo la teologia della salvezza riservata al popolo eletto, ma anche quella del battesimo, come indispensabile strumento di salvezza nella nuova chiesa. Non è il battesimo quindi che ci fa cristiani e tanto meno figli di Dio, come diceva il vecchio catechismo, ma lo Spirito che soffia dove vuole e ci rivela l’amore del Padre. Il battesimo può essere al massimo un segno di appartenenza a una comunità, come lo era la circoncisione, ma proprio in quanto tale deve essere svuotato di quel valore salvifico e discriminante che Pietro ha voluto scardinare. 
Per superare le opposizioni e le critiche degli ambienti conservatori di Gerusalemme e per giustificare il suo radicale salto teologico, Pietro si avvale non della sua autorità né di calcoli economici vantaggiosi per la comunità, ma solo della sua fede nella forza rivelatrice dello Spirito. Anche la nostra generazione ha vissuto un episodio rivelatore della forza dello Spirito, il concilio Vaticano II. Ma dove è finita la fede trainante di Pietro nel sostenere la portata rivoluzionaria di questo evento comunitario? Dove è finito il coraggio delle istituzioni ecclesiali nel favorirne l’appli-cazione pratica?
 
 
segni di speranza                                                                     s.f.  
DA DOVE PRENDI QUEST’ACQUA VIVA?
Giovanni 4, 5-42
Gesù con una donna samaritana. È uno degli episodi che troviamo solo nel vangelo di Giovanni. Il racconto, di semplice quotidianità, ha riferimenti teologici importanti: un’autorivelazione di Gesù, che terminerà con l’affermazione “il Messia… sono io che ti parlo”; e una indicazione sul modo di rivolgersi al Padre perché chi vuole adorare il Padre deve farlo in “spirito e verità”.
La prima scena ci mostra Gesù al pozzo di Giacobbe, a Sicar, che chiede da bere a una donna Samaritana, nell’ora calda della giornata. I dettagli della scena destano qualche sorpresa. Che Gesù rivolga la parola a una donna è bene dentro lo stile di comportamento del Gesù di Nazareth, che conosciamo, ma non comune per il costume del suo tempo e non solo: le donne non hanno più trovato forse altrettanta apertura e franchezza di approccio nell’ambito della chiesa cattolica. Questo può destare qualche nostalgia: quante ambiguità e distorsioni si sarebbero potute e si potrebbero evitare. Il fatto poi che questa donna sia Samaritana è un’aggravante non di poco conto, se pensiamo che dopo lo scisma samaritano, nato dalla reazione contro il rigorismo della riforma ebraica (vedi il commento alla Traduzione ecumenica della Bibbia, TOB) i giudei religiosi dovevano evitare contatti con gli impuri e, a maggior ragione, evitare di chiedere loro da bere o da mangiare. Nell’insieme siamo quindi ben lontani da tanti schemi di quel tempo, e non solo.
“Vuoi offrire acqua a me, e non hai nemmeno un secchio?”. Alla interlocutrice che parla di cose naturali, semplici e intellegibili Gesù risponde parlando di cose soprannaturali e misteriose: “chi beve dell’acqua che gli darò non avrà mai più sete e quest’ acqua diventerà sorgente di acqua che zampilla”; parimenti subito dopo ai suoi discepoli: “ho un cibo da mangiare che voi non conoscete... ma chi può avergli dato da mangiare?”. Il solito contrasto: non si possono intendere perché si muovono su piani paralleli, non ci può essere contatto. Ma perché Gesù nel vangelo di Giovanni parla un linguaggio così ambiguo? Forse il mistero è una cifra costitutiva della catechesi del Signore. È lo stesso silenzio della croce o quello che incontra chi chiede doni materiali e si trova offerti doni spirituali, energia di vita che non intendeva chiedere. L’incomunicabilità con tutto ciò che è metafisico in fondo è naturale: nel brano che stiamo leggendo, forse viene suggerito di accettare questo silenzio e guardarci dentro. È cosi che il Signore si rivela mentre dichiara di essere “il Messia (cioè il Cristo)”.
Ma dice anche, a tutti quelli che vogliono adorare Dio, di farlo nello Spirito e vederlo come Padre. L’adorazione nello Spirito è qualche cosa di ineffabile e spesso silenzioso. Forse di fronte a questa indicazione molti riti andrebbero riconsiderati.
Seconda domenica della quaresima ambrosiana
 schede per leggere                                            m.c.   
Ogni testo di C.M. Martini è una ricchezza di cui è difficile parlare senza sminuirne in qualche modo l’ampio e profondo significato; ma è sempre possibile osare, per cercare di dire, in brevi cenni, quanto più ci ha coinvolto, rimanendo dentro di noi come luce e guida.
Nel suo ultimo Qualcosa di così personale (Mondadori, 2009, pag. 159, 17,50 euro), il discorso ha come tema, indicato anche nel sottotitolo, la preghiera; quella che troppo spesso chi è impegnato nella cosiddetta vita attiva, laico pur convinto e dichiaratamente credente, è portato a trascurare, o a porre in un angolino della giornata; qualche minuto, forse un poco di più, ma non al centro. Uno strano pudore, in ogni caso, copre la preghiera, forse perché, come dice lo stesso titolo, è qualcosa di così personale da essere quasi inesprimibile a parole.
Sono alcune meditazioni che, oltre a offrire tecniche e strade, fanno anzitutto prendere coscienza della preghiera come “qualcosa di estremamente semplice...” che“può avvenire in molti modi, diversi per ciascuno: può essere davanti a un paesaggio di montagna, in un momento di solitudine nel bosco, ascoltando musica...” Ma anche che “non siamo noi come cristiani a pregare, ma è lo Spirito che prega in noi”. Sono queste le premesse che Martini pone al suo itinerario, per condurre nel mondo misterioso che in Gesù si è rivelato dimensione costitutiva e totalizzante.
Una particolare attenzione è dedicata alla preghiera di intercessione, che pur viene spontanea nel bisogno, ma che può riunire in sé elementi contraddittori, umane speranze e incredulità, apertura e chiusura all’altro, egoismi e generosità; da cui a volte si rifugge ritenendola inadeguata o meschina. Per il sempre nostro Cardinale, si tende a dimenticare una cosa essenziale che rende l’intercessione preziosa: “la volontà di Dio è volontà di comunione, di collaborazione, di mutuo appoggio...e splende nell’aiuto dato a un altro”. Dio vuole proprio “identificarsi con noi”, come esprime pienamente il “perché mi perseguiti?” detto a Paolo. E in questa dimensione, ci viene offerta un’idea diversa e nuova del mistero di Dio e di Cristo
Preghiera personale e comunitaria; di lode e di protesta; di ringraziamento e di intercessione: tutte ci appartengono, e tutte trovano la loro più autentica dimensione nella parola, che apre il cuore all’ascolto. Per accogliere lo Spirito e divenire risposta al Dio che parla. Lettura e studio del Libro, allora, non per acquistare sapienza ma per diventare fanciulli, e imparare ad affidarsi. 
la cartella dei pretesti 
Pensate all'altezza che avrebbe raggiunto Ghino di Tacco se avesse ammesso che:
    non era soltanto finanziamento illecito ai partiti;
    si era creato un vero e proprio "regime della corruzione";
    il saccheggio coinvolgeva tanti, quasi tutti, ma in proporzioni diverse;
    i socialisti erano diventati il perno della lottizzazione  e i più attivi ad ammassare fortune private;
    non è colpa dei "giudici rossi" ma delle dichiarazioni dei suoi amici Larini e Tradati  e dei suoi fiduciari Giallombardo e Raggio, se è stato condannato dai Tribunali della Repubblica...
GIOVANNI COLOMBO, comunicazione per internet, 22 gennaio 2010.
La vicenda di Vendola ha fatto tremare più di una sedia al potere: i partiti ordinano, ma la gente li sfotte e quando può votare, vota contro. Emma Bonino sarà eletta nel Lazio, se non altro perché la gente voterà contro le indicazioni dei caporioni e della gerarchia cattolica. Non fa paura la Emma, ma la possibilità che metta le mani sulla sanità privata e tagliare le mani avide che mangiano a quattro palmenti attraverso il sistema immorale delle cliniche private. Hanno paura che metta mano al sistema delle scuole e favorisca quella pubblica a scapito della privata.
PAOLO FARINELLA, Un prete cattolico contro il dio di Giuliano Ferrara, Micromega-online, 1 febbraio 2010
Nella situazione data di inefficienza della giustiziacui non si vuole porre mano, pretendere di ridurre i tempi dei processi con un tratto di penna, brandendo lo slogan propagandistico del processo breve è come fare della pubblicità ingannevole. La mannaia dei termini fissati […] si abbatterà su un’infinità di processi che sarà materialmente impossibile concludere. […] Sarà il trionfo della tecnica di Erode: fare strage di una massa di processi “innocenti” per eliminare quei pochi che interessano a chi può. Senza tenere in alcuna considerazione la fatica delle forze dell’ordine per assicurare alla giustizia gli autori di reati. Senza preoccuparsi di torti e ragioni, di sofferenze e aspettative, dei diritti delle vittime e della sicurezza dei cittadini.
GIANCARLO CASELLI, La proposta del cosiddetto processo breve e la grave situazione in cui versa la giustizia italiana, Mosaico di pace, febbraio 2010.
Hanno siglato le rubriche: Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi
Notam,lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano - www.ildialogo.org/notam
quelli di Notam
Giorgio Chiaffarino, Ugo Basso; Aldo Badini, Enrica Brunetti, Mariella Canaletti, Franca Colombo, Sandro Fazi, Fioretta Mandelli, Chiara Picciotti, Margherita Zanol
Corrispondenza:info@notam.it
Giorgio Chiaffarino, Via Alciati, 11 - 20146 Milano ® Ugo Basso, Via Muratori, 30 - 20135 Milano
Pro manuscripto
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L’invio del prossimo numero 348 è previsto per LUNEDÌ 22 MARZO 2010


Luned́ 08 Marzo,2010 Ore: 16:21
 
 
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