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www.ildialogo.org Nessun ghetto, ma solidarietà che integra,di Agenzia NEV del 19/11/2014

 MEDITERRANEAN HOPE: Lo sguardo di Lampedusa
Nessun ghetto, ma solidarietà che integra

di Agenzia NEV del 19/11/2014

Lampedusa, Agrigento (NEV), 19 novembre 2014 - Più di una settimana è passata dagli scontri e dalle tensioni nel quartiere di Tor Sapienza a Roma e purtroppo non è che l'inizio. Abbiamo seguito le vicende di questi giorni con non poca preoccupazione così come l’evolversi del sistema di accoglienza in Italia al cessare di Mare Nostrum. Quanto è accaduto a Tor Sapienza ci sconforta ma ci obbliga a riflettere sulla direzione in cui sta andando il nostro paese rispetto alle politiche di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo. La situazione nel quartiere di Roma porta alla luce un grande limite che da tempo diverse associazioni che lavorano con i migranti denunciano, cioè la creazione di “zone ghetto” in cui povertà e disagio si accumulano e dove i rifugiati vivono separati e isolati dal territorio in cui sono inseriti. La divisione tra “italiani” e “stranieri”, tra “noi” e “loro”, acuisce la percezione di essere cittadini e non-cittadini con trattamenti diversi, alcuni “avvantaggiati” dalla disponibilità di alloggi, pasti, sostegni economici e altri invece lasciati nelle difficoltà della crisi e della povertà. I rifugiati e richiedenti asilo, visti da molti italiani come “privilegiati”, sono in realtà trattati come cittadini di “serie b” a cui il diritto di richiedere protezione viene spesso negato, o avviato con procedure lente e immobilizzanti. Mesi di attesa senza essere persone libere di costruire la propria vita, decidere se raggiungere altri paesi europei, ricongiungersi ai familiari, cercare un lavoro o un alloggio. Attese passate in centri di accoglienza che spesso faticano a seguire individualmente i percorsi di ogni richiedente asilo perché le risorse sono insufficienti rispetto alle necessità, o perché, invece, finiscono nelle tasche di chi specula sulla pelle dei migranti, inseriti a centinaia in luoghi a libertà limitata. I richiedenti asilo sono spesso trattati come ospiti temporanei ai quali non serve conoscere la realtà in cui vivono, il paese in cui sono approdati, la città in cui sono stati trasferiti, il quartiere in cui sono stati alloggiati. I centri di accoglienza vengono così percepiti come qualcosa di estraneo alla storia del territorio, un luogo in cui si sovrappongono le necessità di fasce deboli della popolazione a quelle di chi già vi abita. Queste situazioni sono poi aggravate da una campagna mediatica che disinforma e crea allarme, insistendo sulla paura legata all'ordine pubblico, ai reati e alle violenze. Non solo, l’arrivo visibile di aiuti ai migranti, come pasti e beni primari, sembra contrapporsi all’invisibilità che spesso circonda chi vive situazioni di estrema povertà nelle nostre città, aumentando rabbia e frustrazione tra i cittadini. Questa continua separazione tra italiani e stranieri mette profondamente gli uni contro gli altri, crea una gara a chi è più in difficoltà e quindi avente diritto di un aiuto da parte dello stato e non solo. Diventa una “guerra tra poveri” come è stato spesso detto e scritto (http://ilmanifesto.info/la-retorica-della-guerra-tra-poveri/), una lotta in cui nessuno può uscirne vincitore, trasformandosi spesso anche in una xenofobia strumentalizzata da forze politiche di estrema destra.
Allora si dovrebbe iniziare a scardinare questa divisione tra “noi” e “loro”, lavorare affinché prima di tutto i propri vicini, altrettanto bisognosi, non rimangano sconosciuti da additare ma persone con cui fare fronte comune per chiedere insieme che i propri diritti siano rispettati. Persone quindi, non categorie. Diritto alla casa, al lavoro, all’istruzione, alla cittadinanza, alla libertà di spostamento possono davvero essere diritti solo di alcuni e non di altri? Non sono diritti da garantire a tutti gli essere umani, che siano di una provenienza o di un’altra? Che abbiano subito violenze in paesi di guerra o vivano la povertà e il degrado nelle nostre città? Partendo da queste riflessioni dovremmo forse anche noi criticare il modello di "accoglienza per gli immigrati", ragionando invece di una solidarietà e di un’accoglienza che cerchi di rivolgersi a tutte le persone in difficoltà, non cancellando le differenze ma valorizzandole. Separare “categorie” della popolazione significa frammentare l’idea stessa di società, spezzare la forza di un’umanità che invece potrebbe essere travolgente se costruita insieme, condividendo battaglie, sconfitte e rivendicazioni. Le politiche di accoglienza si stanno limitando a chiudere le persone nei centri, annullando la loro possibilità di interagire con la realtà circostante, e allo stesso tempo i media continuano a mostrare solo un aspetto del fenomeno migratorio, senza dare mai voce ai protagonisti. Migranti visibilmente debilitati vengono raccolti dalle imbarcazioni in mare, fatti attendere giorni prima di essere portati sulle nostre coste, dove vengono “accolti” da forze dell’ordine dispiegate come se arrivasse un esercito nemico o una possibile infezione. E poi ancora persone separate, spostate, numerate, trasbordate, ricollocate, distribuite in diversi luoghi. Nessuna parola sul perché fuggono dalle guerre, niente sulle loro storie, queste persone si materializzano nel presente televisivo e vi restano confinate, senza passato né futuro. Questo è il ritorno al pre Mare Nostrum. La fine dell’operazione è già visibile nei luoghi di approdo e si inserisce in questo contesto di spersonalizzazione, inferiorizzazione e separazione dei migranti. Questo è il destino di chi ha la fortuna di arrivare salvo, gli altri invece, i morti, spariscono per sempre.
Possiamo veramente credere che questi siano trattamenti per privilegiati? Queste persone private della loro soggettività, in attesa di essere riconosciute come esseri umani portatori di diritti, sono persone in sospeso, vittime di un sistema lento e contraddittorio. I rifugiati e richiedenti asilo, attraverso questi percorsi di accoglienza, vengono resi diversi dagli altri cittadini, diventano prima un soggetto debole, poi un nemico su cui riversare la frustrazione sociale. Perché striscioni, urla e indignazione non vengono rivolte alle politiche del nostro paese che ci fanno subire una crisi da cui non riusciamo a uscire? Perché non ci rendiamo conto di essere strumenti di odio invece che poter diventare una forza prorompente e costruttiva per rivendicare insieme i diritti che sono di tutti?
Ci sentiamo diversi da chi approda sulle nostre coste ma in realtà vogliamo tutti poter avere un futuro migliore, la possibilità di costruircelo liberamente e con le nostre forze. Invece di capire che non siamo poi così estranei, ci urliamo addosso, favorendo le politiche dell’odio e della separazione.
Da esseri umani, da cittadini, da cristiani, dobbiamo percorrere un’altra strada. Lo dobbiamo fare partendo dai nostri territori, dai nostri quartieri, dalle nostre città, dal nostro paese. Il lavoro che stiamo avviando a Scicli con “Mediterranean Hope - Casa delle culture” va proprio in questa direzione. La costituzione di un luogo di mutuo soccorso dove vivere la solidarietà tra persone, in cui sperimentare la convivenza tra diverse esigenze e ricchezze, quelle di chi arriva nel nostro paese e di chi già vi abita. Da giorni ci viene rimproverato di collocare la Casa delle culture nel centro storico del paese, sotto gli occhi di tutti, cittadini e turisti, nella zona commerciale e ricca della città. Ci viene chiesto di spostare questa iniziativa, «umanamente lodevole», in periferia o perché no affacciata sul mare. La convinzione del nostro progetto però non cambia ed è anzi opposta a questo modo di pensare: noi stiamo costruendo un luogo di incontro, di integrazione, di solidarietà per tutti. Non vogliamo acuire situazioni di disagio ma affrontarle insieme senza nasconderci e senza creare nuovi ghetti e nuove povertà. Perché aiutarsi non può essere qualcosa fatto lontano dagli occhi ma deve essere una chiara presa di coscienza e di impegno che riguarda tutto il territorio e tutti i cittadini.
NEV - Notizie Evangeliche, Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia - via Firenze 38, 00184 Roma, Italia tel. 064825120/06483768, fax 064828728, e-mail: nev@fcei.it, sito web: http://www.fcei.it .


Venerdì 21 Novembre,2014 Ore: 15:39
 
 
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