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www.ildialogo.org CONTRO LA CLANDESTINITÀ. DEL LAVORO. A CASERTA, LA PROTESTA DEI MIGRANTI AFRICANI,di Adista Notizie n. 79 del 23/10/2010

CONTRO LA CLANDESTINITÀ. DEL LAVORO. A CASERTA, LA PROTESTA DEI MIGRANTI AFRICANI

di Adista Notizie n. 79 del 23/10/2010

P. Antonio Bonato: uno sciopero per i diritti e la dignità P. Giorgio Ghezzi: convertirsi al Vangelo di liberazione degli oppressi


35820. CASERTA-ADISTA. “Oggi non lavoro per meno di 50 euro”: è il cartello che almeno 2mila lavoratori immigrati, per lo più africani, hanno tenuto ben in vista, lo scorso 8 ottobre, presentandosi, regolarmente all’alba, alle rotonde e lungo le strade dove i ‘caporali’ li reclutano per farli sgobbare nei campi e nei cantieri edili per una paga di 20 euro al giorno ma rifiutandosi di lavorare. Uno sciopero per i diritti e la dignità, senza i sindacati, ma autorganizzato dal movimento dei migranti e dei rifugiati di Caserta e della Campania e sostenuto dalle associazioni antirazziste, dal centro sociale Ex Canapificio di Caserta e dalla Chiesa di base, con i comboniani di Castel Volturno e i sacramentini di Caserta in prima fila.

“Scioperiamo perché non vogliamo essere considerati solo per le nostre braccia, ma anche per ciò che pensiamo, per ciò che siamo”, spiega Mamadou Sy, presidente della Comunità senegalese di Caserta. “Mai prima d’ora gli immigrati sfruttati hanno scioperato così massicciamente, decidendo coraggiosamente di mostrarsi, col rischio di rappresaglie dei caporali o di compromettere il rapporto di lavoro con il padroncino di turno”, aggiungono gli attivisti dell’Ex Canapificio. “Il risultato più importante, oltre al blocco della produzione per un giorno in almeno venti centri fra Caserta e Napoli, è che i padroni e i caporali hanno scoperto che non hanno davanti a sé schiavi o bestie da lavoro, ma persone e lavoratori che hanno dei diritti e che sanno difenderli”.

Il giorno successivo, il 9 ottobre, in 3mila hanno manifestato a Caserta, fin sotto la prefettura, e il 14 e 15, a Roma, con un presidio in piazza Santa Maria Maggiore, all’Esquilino, e una piattaforma più articolata: contrastare lo sfruttamento del lavoro nero, con il recepimento della Direttiva europea 52, che prevede la regolarizzazione delle vittime di sfruttamento sul lavoro che denunciano il loro sfruttatore; applicare ed estendere l’articolo 18 del Testo Unico – che assegna uno speciale permesso di soggiorno – anche a chi denuncia di essere stato costretto all'irregolarità del lavoro; mettere in campo un percorso permanente di emersione che, oltre a dare la possibilità a chi è stato truffato nel corso dell'ultima sanatoria di ottenere il permesso di soggiorno, offra una uscita generalizzata dalla schiavitù e dallo sfruttamento per centinaia di migliaia di migranti ancora oggi costretti alla clandestinità; prorogare la durata del permesso di soggiorno, garantire il permesso a chi oggi ha perso il lavoro e fatica a trovarne uno nuovo senza che incomba la minaccia di espulsione; contrastare il razzismo istituzionale che si manifesta a livello nazionale e locale.

Ad appoggiare le rivendicazioni anche la Chiesa casertana, con un documento sottoscritto da mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua e presidente della Fondazione Migrantes, mons. Pietro Farina, vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, le suore orsoline di Casa Rut a Caserta, i comboniani di Castel Volturno e i sacramentini di Caserta, don Oreste Farina, parroco di San Nicola La Strada (Ce), don Antonello Giannotti, della Caritas di Caserta, don Stefano Giaquinto, della Migrantes di Capua, e don Nicola Lombardi, della Migrantes di Caserta: il premesso di soggiorno è la prima e necessaria condizione per “l’estensione dei diritti” e la fine dello “sfruttamento”.

Adista ha intervistato p. Antonio Bonato, della comunità dei comboniani di Castel Volturno, e p. Giorgio Ghezzi, della comunità dei sacramentini di Caserta

P. Antonio Bonato: uno sciopero per i diritti e la dignità

Quali erano gli obiettivi e il senso dell'iniziativa?

Riprendersi in mano la dignità, propria di ogni essere umano, che non viene elargita esclusivamente dal permesso di soggiorno ma dalla scelte coraggiose di vita contro tutto ciò che sfrutta e opprime il nostro esistere; denunciare il lavoro nero, che è l’unica possibilità di lavorare per chi è senza documenti, anche per chiedere al nostro governo di applicare la normativa europea sull’emersione del lavoro in nero ed estendere l'articolo 18 del testo unico anche a chi denuncia di essere stato costretto all'irregolarità del lavoro; e riconoscere il diritto ad avere un tenore di vita sufficiente che corrisponda alle capacità lavorative di ciascuno. Più obiettivi quindi perché il permesso di soggiorno, seppur un punto di partenza imprescindibile, serve a poco se si continua a rimanere senza lavoro, senza una casa decente in cui vivere, senza possibilità di formazione, senza la possibilità di condurre una vita il più possibile normale. I “ribelli delle rotonde” ci hanno detto questo, ci hanno chiesto di stare insieme a loro ed intensificare la lotta per la vita piena di tutti mettendo in campo un percorso permanente di emersione dalla clandestinità.

Complessivamente come è andata?

Direi molto bene. La partecipazione è stata massiccia. È iniziato qualcosa di nuovo ed è stato lanciato un segnale coraggioso a tutti gli italiani da chi forse meno ci aspettavamo: non bisogna avere paura quando si lotta per il diritto di esistere. E poi è stata l’occasione per capire che ciascun immigrato deve fare le sue scelte per partecipare attivamente allo sviluppo del suo futuro senza deleghe a nessuno.

Come Chiesa perché era importante essere accanto e insieme agli immigrati?

La dottrina sociale della Chiesa difende il concetto di lavoro come risorsa in grado di dare senso all’identità personale, di riconoscere talenti e capacità, di formare persone competenti, di contribuire al bene comune nella prospettiva del servizio. Il lavoro che gli immigrati ricercano e trovano ai Kalifoo Ground (il termine che gli immigrati usano per indicare le rotonde, le piazze, gli incroci o i luoghi dove stazionano in attesa di qualcuno che li prenda a lavorare: letteralmente significa luogo del capo, cioè luogo del caporalato) non mi pare corrisponda a ciò che la Chiesa nella sua dottrina sociale insegna. Perciò lo sciopero doveva essere sostenuto anche da noi, da chi predica dal pulpito che il lavoro non può essere fine a se stesso e non può essere strumento di sfruttamento e oppressione, bensì strumento di dignità per migliorare la qualità della propria vita.

L'iniziativa cadeva anche a poco più di 2 anni dalla strage di Castel Volturno del 18 settembre 2008...

Si fa apparire Castel Volturno come un mondo a parte, un mondo oscuro dove droga e prostituzione la fanno da padroni, dove, ancora dopo due anni, pur con le evidenze investigative del processo in corso, c’è chi pensa che i sei ghanesi uccisi non siano vittime della camorra, ma nascondano chissà quali crimini. Ebbene, in questo mondo a parte, la vita continua con le sue speranze e le sue sofferenze, con le sue lotte e il suo disagio, e dice all’Italia intera che qui, nonostante tutto, è possibile costruire un modello di vita diverso e più arricchente di quello a cui siamo abituati.
 

P. Giorgio Ghezzi: convertirsi al Vangelo di liberazione degli oppressi


 

P. Giorgio, cosa ha significato per te partecipare allo sciopero dei migranti?

Stare dalle 5 del mattino insieme ai fratelli immigrati alla fatidica rotonda dove si cerca il lavoro a giornata, che quasi sempre non c'è, e provare cosa significhi sopportare ogni mattina la sensazione di schiavitù, sentirsi cioè sfruttati perché costretti a stare alle regole imposte dai padroni di turno, che sanno di avere sempre qualcuno che accetterà la loro proposta al ribasso, per una pesante e lunga giornata di lavoro sottopagata, e guardare come questi fratelli alzano la testa e gridano l'ingiustizia, invisibili nell'indifferenza dei più, ti rende consapevole che quello che stai facendo con loro, cioè lottare per i diritti, è il minimo che puoi fare, senti che devi esserci e che comunque sei ancora molto lontano dalla responsabilità a cui ti chiama il Vangelo.

Come Chiesa perché era importante essere accanto e insieme agli immigrati?

Esserci era indispensabile: in quei momenti o sei con gli oppressi oppure hai tradito il Vangelo di Gesù. E la Chiesa ha risposto: certamente quella di base, ma anche qualche realtà ecclesiale diocesana e pure i vescovi, non solo mons. Nogaro, che c'è sempre e ancora prima che ci si butti nella lotta, ma anche il nuovo vescovo di Caserta, che con modalità diverse ha appoggiato l’iniziativa, e quello di Capua, che io penso sia stato ‘convertito’ dai volti e dalle storie che ha incontrato a Castel Volturno. Sono i poveri che ci salvano: questa è una delle cose che ho imparato dal Vangelo. (luca kocci)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Martedì 19 Ottobre,2010 Ore: 17:27
 
 
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Osservatorio sul razzismo

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