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www.ildialogo.org CITTADINANZA NEGATA AI BAMBINI,di Augusta De Piero

CITTADINANZA NEGATA AI BAMBINI

di Augusta De Piero

23 settembre 2013 – CITTADINANZA NEGATA AI BAMBINI - Dal Blog: diariealtro.it
Lo storico mensile genovese Il Gallo (www.ilgallo46.it) nel numero di settembre ha pubblicato l’articolo che riporto.
Il testo precedente sullo stesso argomento si trova in questo blog il 15 marzo 2011.
 
Il Gallo – settembre 2013 pag. 15
Era passata da poco la metà del primo secolo della nostra era quando Paolo, un uomo cui la fede vivissima che praticava non contraddiceva l’attitudine a un solido senso della realtà, affrontò con competente determinazione rappresentanti militari e magistrati dell’impero romano.
Così raccontano gli Atti degli Apostoli (At 22, 25 sgg): «Ma quando l’ebbero disteso per flagellarlo, Paolo disse al centurione che stava lì: “Avete il diritto di flagellare uno che è cittadino romano e non ancora giudicato?”. 26Udito ciò, il centurione si recò dal comandante ad avvertirlo: “Che cosa stai per fare? Quell’uomo è un romano!”. 27Allora il comandante si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei romano?”. Rispose: “Sì”.
Replicò il comandante: “Io, questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo”. Paolo disse: “Io, invece, lo sono di nascita!”. 29E subito si allontanarono da lui quelli che stavano per interrogarlo. Anche il comandante ebbe paura, rendendosi conto che era romano e che lui lo aveva messo in catene»
Cittadini o sudditi?
Certamente la preoccupazione del comandante, tale da farlo desistere per non violare i diritti di un cittadino romano da una decisione pubblicamente presa, si fondava sulla certezza della notorietà della cittadinanza di Paolo. Esistevano a questo scopo le tabulae censoriae in cui doveva essere dichiarato, tra l’altro, il nome del padre e il luogo dell’abitazione.
Successivamente al concetto di cittadino (che anche nella legislazione romana era esclusivo) si sovrappose quello di suddito ma anche in questo caso le concessioni sovrane, le libertà, come venivano chiamati nel Medio Evo gli scioglimenti dai vincoli del potere feudale, erano ben definite, sostanzialmente certificate.
Con la rivoluzione francese il cittadino si riaffacciò alla storia pretendendo (illudendosi?) di esserne protagonista e di esserlo in termini di uguaglianza.
Nasceva fra faticose contraddizioni lo stato moderno che si organizzò per dare ad ognuno una collocazione nota che impedisse di sfuggire al pagamento delle imposte e al servizio militare ma anche, almeno in un momento successivo, per assicurare le condizioni della tutela dei diritti delle persone.
Oggi, nel quadro dei modi praticati in Italia, la certificazione della nascita consente l’identificazione della cittadinanza (che può essere italiana o seguire a quella dei genitori) e, se facciamo attenzione all’estratto completo di un atto di nascita, vi troveremo anche i nomi dei padri e delle madri che potranno essere trascritti sul passaporto.
Doverosa tutela del minore
Non sono annotazioni marginali. In una situazione globale di estrema mobilità identificare come genitori coloro che si spostano con un bambino è una misura di tutela del minore e di garanzia che non siano in corso turpi e diffusi traffici che la nebbia della mancata informazione favorisce.
Tutto ovvio? Non sembra.
Esiste – e ne è formalmente riconosciuta la funzione - il gruppo CRC, acronimo di Convention on the Rights of the Child la cui traduzione ufficiale in italiano è “Convenzione sui diritti del fanciullo”, che però è preferibile usare nella dizione più congrua “Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”.
Ne fanno parte un’ottantina di associazioni tra cui AGESCI, ANFFAS, ASGI, Caritas italiana, CBM, Gruppo Abele, Libera. OVC, la Nostra Famiglia e molte altre.
Nel suo recente 6o rapporto il gruppo CRC raccomanda (segnalando l’evidenza di una necessità di intervento legislativo) al Parlamento «di attuare una riforma legislativa che garantisca il diritto alla registrazione per tutti i minori, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori» (Cap 3.1).
Il Rapporto dello scorso anno così descriveva la condizione di famiglie di bambini non registrati all’anagrafe: « … Il timore […] di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità […], nonché […] contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori».
Paradossalmente l’esistenza di famiglie in queste condizioni e, lo vogliamo sottolineare, di minori cui sono negati diritti fondamentali a partire dalla registrazione anagrafica, è testimoniata da documenti ufficiali.
In Italia bambini senza tutela
Quindi i minori privi di permesso di soggiorno in conseguenza della irregolarità burocratica dei loro genitori esistono e non sono registrati all’anagrafe, mancano perciò del codice fiscale e della tessera sanitaria.
Ribadendo involontariamente la loro esistenza, nello scorso giugno la regione Lombardia ha negato il diritto al pediatra di base al compimento del sesto mese di vita per i bambini stranieri senza documenti e lo ha fatto appellandosi proprio alla mancanza di quella documentazione che la registrazione anagrafica necessariamente assicurerebbe.
Se il parlamento quindi vuole rispettare le norme internazionali, recepite anche nella nostra legislazione e infine corrispondere alla proposta del CRC, deve affrontare il problema della registrazione anagrafica.
Per la legge italiana la possibilità di registrare atti di stato civile senza l’obbligo di presentazione del permesso di soggiorno non è una novità. Era il sistema in vigore fino al 2009 quando il principio fu violato usando del voto di fiducia che produsse la legge 94, il cd pacchetto sicurezza. Persino l’allora ministero Maroni ricorse precipitosamente ai ripari (il rovesciamento della norma avrebbe posto l’Italia in condizione di essere denunciata nei consessi internazionali) e affidò la registrazione degli atti di nascita a una circolare che concedeva ciò che la legge negava. Quali ne siano stati gli effetti ce lo hanno detto i rapporti del CRC.
In ogni caso agghiaccia l’immagine di signore e signori che seduti intorno ad un autorevole tavolo, in una sede confortevole e sicura, discutono su quale sia l’età in cui un bambino può essere lasciato privo di cure. Eppure a Milano è accaduto.
E’ urgente rimediare
Resta difficile da capire perché il Parlamento sfugga al ruolo che gli consentirebbe di superare la contraddizione introdotta nel 2009.
Oggi ne avremmo lo strumento perché disponiamo di una proposta di legge (n. 740 del 16 aprile 2013) dispone la modifica delle norme sulla condizione dello straniero in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno: con un unico articolo corregge la stortura di cui si è detto. Ne attendiamo la discussione e, ci auguriamo, l’approvazione.
Molto opportunamente la proposta è stata assegnata alla prima Commissione, quella che si occupa degli Affari Costituzionali, perché di questo si tratta e non della organizzazione di attività di assistenza. Non rappresenta solo il mancato rispetto di una necessità ma viola un principio di uguaglianza e solidarietà offendendo quindi tutti noi in quanto cittadini.
Se oggi un Paolo di Tarso in edizione neonato dicesse a un medico ‘Sono malato. Curami’ costui potrebbe –evidentemente nel disprezzo della deontologia ma non di un diffuso senso comune che in norme inaccettabili si esprime – rispondergli ‘Non devo. Non hai il codice fiscale’. E se qualcuno ci chiedesse ancora “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4, 8) potremmo rispondergli “Non lo so. Come faccio a custodirlo se non ha il permesso di soggiorno?”.
Oggi il mutare dei tempi ci indica una pluralità di risposte solidali possibili. Ce le indica la Costituzione che all’art. 2 recita «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
E se la solidarietà economica e sociale può giovarsi di azioni di sussidiarietà quella politica non può non manifestarsi, se esiste, nelle sedi istituzionali che a questo loro dovere devono essere richiamate.
Augusta De Piero



Giovedì 26 Settembre,2013 Ore: 20:51
 
 
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