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www.ildialogo.org Assalto al campo rom,di Paolo Ribet, pastore della chiesa valdese di Torino

Assalto al campo rom

di Paolo Ribet, pastore della chiesa valdese di Torino

EDITORIALE dell'Agenzia NEV del 14/12/2011


Che cosa succede alla mia città? Non posso non chiedermelo dopo i recenti avvenimenti che hanno letteralmente infiammato domenica scorsa le Vallette, da sempre quartiere difficile della periferia nord di Torino. Un finto stupro, un campo rom incendiato, una violenza che esplode improvvisa, anche se magari covava da tempo.

Ora, non voglio trarre delle conclusioni affrettate su tutta la faccenda – anche perché mentre scrivo giungono da Firenze notizie altrettanto preoccupanti di una violenza che questa volta ha fatto due vittime tra gli ambulanti senegalesi -, ma come pastore voglio almeno cercare di capire che cosa stia succedendo nella mia città e nel mio Paese. Per prima cosa, vedo una famiglia che pensa di controllare la sessualità della figlia adolescente portandola ogni mese dal dottore, in modo da essere sicuri che arrivi vergine al matrimonio. Ma tenere a bada gli ormoni in subbuglio di una adolescente non è cosa semplice e la ragazza, nonostante questo controllo invasivo dei parenti, ha il suo primo rapporto sessuale più o meno all’età della media delle ragazze italiane. Questo però la spaventa. L’unico modo per salvarsi è dire: non è colpa mia (come fanno sempre gli adulti), sono stata costretta, mi hanno fatto violenza… E chi può essere stato? Gli zingari, chi se no? Gli zingari hanno il loro campo attaccato al quartiere, sono sporchi, malvisti e temuti da tutti. Dare la colpa a loro sembra una buona idea.

Qui sta il primo paradosso, perché da quello che poteva essere un atto d’amore nasce una realtà di violenza e di odio.

Il quartiere, forse troppo velocemente, senza aspettare di sapere come siano andate veramente le cose, si mobilita. Vuole dimostrare solidarietà alla ragazza e dire il suo no all’aggressione al corpo delle donne. E qui abbiamo il secondo paradosso. Dalla solidarietà, scaturisce il suo contrario: la violenza assurda, razzista, di una squadraccia che con un giro di telefonate si organizza per “fare giustizia” e distrugge il campo nomadi, dando fuoco a ogni cosa. E possiamo dirci sollevati se non c’è scappato il morto. Terzo paradosso: quelli che hanno perso tutto, in questa brutta, bruttissima storia, sono quelli che non avevano niente e non c’entravano niente, i nomadi e gli sbandati che popolavano il campo della Continassa.

Lascio ad altri fare delle analisi sociologiche o entrare nei dettagli. Io mi limito a notare che in questa “notizia”, in realtà si intrecciano quattro o cinque notizie diverse, a seconda dei protagonisti che le hanno dato vita. E in ognuna di queste storie, noi possiamo leggere il degrado dei rapporti umani, l’incapacità di costruire una convivenza fra persone diverse e il ritorno di una voglia di violenza che speravo fosse vinta e che francamente fa paura. Mi ha colpito, nelle prime cronache, il fatto che gli “squadristi” lanciassero degli slogan da stadio, cosa che ha fatto pensare che i protagonisti fossero degli ultras. Lo stadio diventa dunque sempre di più non scuola di sport, ma di violenza. “Torino è una città ospitale e aperta” si affrettano a dire i rappresentanti della città. È vero, ma Torino è anche queste esplosioni di violenza. Le parole del sindaco Fassino, secondo cui il raid è comunque "la spia di una situazione di grande difficoltà e disagio” e che “bisogna affrontare le ragioni che hanno provocato questo scoppio d'ira" sono certo condivisibili; ma è sicuro che anche la politica deve porsi delle domande. Troppo spesso, infatti, sono state lanciate da partiti come la Lega delle parole d’ordine bellicose e razziste contro gli stranieri e i nomadi e troppo spesso il “problema” (indubbio) dei nomadi è stato lasciato ai volontari o agli sgomberi della polizia. È tempo di ricostituire il tessuto della nostra società, a partire dal rapporto tra le generazioni e nelle famiglie, fino ad arrivare a rapporti più ampi all’interno della società. È un lavoro lungo quello che ci aspetta ed è certo una sfida importante per le Chiese. (nev-notizie evangeliche 49/2011)



Sabato 17 Dicembre,2011 Ore: 15:42
 
 
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