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www.ildialogo.org Il prossimo che preferiremmo non vedere,di Eric Noffke, pastore valdese e coordinatore di Essere chiese insieme

Il prossimo che preferiremmo non vedere

di Eric Noffke, pastore valdese e coordinatore di Essere chiese insieme

In un recente articolo sul Corriere della Sera, Claudio Magris si indigna per il fatto che ormai l’opinione pubblica sembra essersi assuefatta allo stillicidio di naufragi tra l’Italia e il Nord Africa. Cento morti una volta, duecento un’altra, e a questo ritmo le sciagure fanno sempre meno notizia, aumentando la distanza psicologica tra noi e le vittime della tratta di esseri umani. Reagisce alla sua denuncia il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con una lettera aperta, la quale si conclude con una dichiarazione sulla necessità di non arrendersi e con un’esortazione alle nazioni civili, speriamo non inascoltata, a stroncare questo traffico, accogliendo chi si rifugia da noi.

Con il suo appello Magris coglie nel segno: l’assuefazione alle disgrazie e alla morte altrui sta diventando un nefasto, anche se inevitabile, elemento caratteristico della nostra cultura. Corre anche il rischio, però, di restare nello schema giornalistico che condanna. Perché, infatti, dovremmo indignarci per i 1570 morti in mare (accertati dal primo di gennaio al 3 giugno), e non per il fatto che ogni anno in Europa, solo per fare alcuni esempi, muoiono approssimativamente 115.000 persone di alcool, 40.000 per incidenti stradali, 1.000.000 per malattie legate all’obesità, svariate decine di migliaia per inquinamento atmosferico? Perché un bambino affogato dovrebbe suscitare la nostra indignazione, mentre uno ucciso dal tumore ai polmoni no? Non sono entrambi morti per la stessa ragione, cioè per gli effetti collaterali di quella società agognata dalle migliaia di profughi che si affannano ad attraversare il Mediterraneo a costo della loro vita? Troppo sovente rischiamo di farci commuovere a comando dai mezzi di informazione, permettendo ad altri di determinare le nostre priorità.

Magris dice anche un’altra cosa, a mio parere fondamentale, quando afferma che la democrazia sa mettersi nella pelle degli altri. Qui ci viene ricordata con efficacia una parola evangelica: ama il tuo prossimo come te stesso, ripeteva Gesù; cioè, non ci può essere un io senza l’altro. Noi, il profugo che attraversa il mediterraneo su una carretta, il bambino che muore per l’inquinamento o per fame, l’alcolizzato stroncato da una cirrosi, siamo tutti legati da un comune destino, siamo letteralmente sulla stessa barca perché dichiarati fratelli e sorelle dal nostro creatore.

A questo aggiungerei solo una cosa. Noi tutti siamo anche legati ad uno stesso modello di società di cui il naufrago, l’afgano ucciso dalle nostre bombe, la ragazza schiava ai bordi della strada e l’anziano travolto dall’auto (solo per fare pochi esempi) sono l’inevitabile prezzo. Il salario del peccato è la morte, diceva l’apostolo Paolo. Solo la grazia di Dio gratuita, mentre il nostro apparente benessere ha un costo, anche se non lo vogliamo vedere né, soprattutto, pagare. Compito ineludibile delle chiese non è solo la solidarietà che scavalca ogni confine, ma anche la denuncia del peccato che distrugge l’ambiente, che costruisce una società ingiusta vendendo sogni falsi e fondando un benessere illusorio o elitario sullo sfruttamento di popoli e risorse. Noi non possiamo farci complici del male, lo dobbiamo smascherare, rifiutare e combattere nella quotidianità, non solo quando il mare inghiotte duecento persone in un colpo solo.

Gesù sottolineava ancora un aspetto ineludibile della fede cristiana. Noi non siamo di questo mondo, ma siamo nel mondo (si veda la sua preghiera in Giovanni 17). L’opzione di chi esce dal mondo empio, per crearsi la sua piccola società perfetta (almeno finché dura l’illusione), ci è negata. Nel nostro tempo dobbiamo vivere, senza farci ammaliare dalle sue chimere, ma in esso sporcandoci le mani. Una formula precisa non c’è, ciascun credente risponde alla propria coscienza e al suo Signore delle sue scelte. Il Signore ci chiede conto del nostro essere cristiani ogni giorno, mettendoci accanto un “prossimo” che forse preferiremmo non vedere. Ognuno faccia la sua parte: basta aprire gli occhi e guardarci attorno per capire quale questa possa essere.

(nev-notizie evangeliche 23/2011)



Venerd́ 10 Giugno,2011 Ore: 16:13
 
 
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