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www.ildialogo.org Per la PACE, ogni persona può fare qualcosa,a cura di Giuliano Ciampolini

Per la PACE, ogni persona può fare qualcosa

a cura di Giuliano Ciampolini

Carissimi/e, è molto importante, anche a mio parere, caratterizzare le manifestazioni del 25 Aprile e del 1° Maggio, anche a Pistoia, con tantissime bandiere della pace. Per la pace, ciascuna persona può fare qualcosa ed è il momento di fare qualcosa per cercare di scongiurare una escalation sempre più grave e sempre più distruttiva.
Un caro saluto e buona Pasqua a tutti e tutte.
Giuliano
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14 aprile 2017 - Quotidiano del Sud
La domenica delle Salme
di Domenico Gallo

"La domenica delle salme / non si udirono fucilate / il gas esilarante/ presidiava le strade." La canzone di Fabrizio De Andrè mi è tornata in mente pensando alla domenica delle palme, ribattezzata da un quotidiano "la domenica delle salme" per i sanguinosi attacchi di Daesh in Egitto, che hanno fatto strage di cristiani nella chiesa copta di Tanta ed in quella di Alessandria.

Questo attacco non per caso è avvenuto nel giorno liturgico della domenica delle palme, quando si ricorda che Gesù è stato ucciso con l’accusa di aver minacciato la distruzione del tempio. Questo sovraccarico di simboli religiosi dice che i terroristi dello Stato islamico hanno assoluto bisogno di far passare la loro guerra per una guerra religiosa, volta a islamizzare il pianeta.

Naturalmente la loro non è una guerra religiosa”, ma una guerrapolitica”, frutto di un risentimento e di un desiderio di vendetta contro l’Occidente che trova alimento soffiando sul fuoco dell’integralismo religioso. Per consumare questa vendetta l’ISIS ha bisogno di un simbolo forte, la religione. Il simbolo non è la ragione della guerra, è la sua narrazione, la sua legittimazione popolare. Le guerre hanno sempre avuto bisogno di nomi e di simboli, ma oggi più che mai.

La massima potenza simbolica storicamente messa a disposizione della guerra è quella di Dio: la guerra santa, la guerra giusta, cioè giustificata da Dio, la guerra fatta in suo nome, la guerra per la terra promessa da Dio, la guerra agli infedeli, le crociate, Costantino, “in hoc signo vinces”. Lo “Stato islamico” ci prova di nuovo a dissotterrare l’ascia di guerra in nome di Dio. La guerra all’Occidente, o quella contro i rivali interni alla stessa Umma musulmana, è guerra di religione. Ma la comunità islamica – come ci ricorda Raniero La Valle - non è affatto d’accordo, non pensa a un Maometto sempre con la spada, e il 19 settembre 2014 leader islamici di tutto il mondo hanno scritto al sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi sconfessando la sua azione che fa dell’Islamuna religione di durezza, brutalità, tortura e assassinio”.

Ma Daesh insiste, senza la religione non può fare la guerra, e se Gesù voleva “distruggere” il tempio, esso attacca le chiese cristiane in nome del tempio, in nome di Dio. Quello che gli strateghi dello Stato islamico non capiscono e che determinerà la loro sconfitta è che per fare la guerra di religione bisogna essere in due. Ha scritto Raniero La Valle: “L’Occidente la farebbe volentieri (la guerra), come l’ha sempre fatta anche se mascherata in molteplici forme, ma non la può più fare, perché il papa di Roma gliel’ha tolta dalle mani, dicendo che “il Dio della guerra non esiste: cioè presentando al mondo un messaggio nuovo, che rivela un’altra immagine, un’altra identità di Dio. Rispetto al Dio di violenza e di guerra i cristiani, a sentire papa Francesco, sono atei”.

Dunque c’è un impedimento alla guerra anche se la destra xenofoba in Europa, e specialmente in Italia, soffia sul fuoco dello scontro di religione. Ricordate quel quotidiano italiano che l’indomani della strage del Bataclan a Parigi, il 14 novembre 2015, titolò “bastardi islamici”? Tuttavia è difficile che i Le Pen, i Salvini ed i Wilders possano alzare di nuovo la bandiera del Dio degli eserciti se il Papa di Roma quella bandiera l’ha ammainata definitivamente.

Questo non vuol dire che i pericoli di guerra siano scongiurati. Per adesso se il vento della guerra di religione trova ostacoli imprevisti, i venti di guerra soffiano in tutte le direzioni, basta pensare al riaprirsi della questione coreana che sessant’anni fa fu sul punto di far precipitare il mondo in una guerra nucleare. “Ma il problema – osserva ancora Raniero La Valle - è che se in passato il mondo armato di atomiche è stato in mano di apprendisti stregoni e ne è uscito indenne, oggi non si tratta più di apprendisti, si tratta proprio di stregoni che hanno imparato il mestiere. L’allarme di massimo pericolo che ne scaturisce dovrebbe scuotere questa generazione, svegliarla dal sonno della ragione e mobilitarla perché salga a resistere e a cambiare il corso della storia”.
 
A Pistoia, ORE 10.30 in Piazza Resistenza
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Roma, 15 aprile 2017
"BASTA CON QUESTO GIOCO ALLA GUERRA".
Appello congiunto ANPI, ARCI, CGIL, CISL, UIL, ACLI nazionali.
Aderisce Don Luigi Ciotti.
 
Questo è un appello urgente per la pace.
Un appello alla civiltà suprema del dialogo, della sua umanità, della sua intelligenza.
Leggiamo e apprendiamo di bombe, di grandi eventi nucleari, di raid preventivi.
Un irresponsabile e impressionante gioco alla guerra che deve essere subito fermato.
Chiediamo con forza alle Istituzioni internazionali, ai Governi del mondo che si metta a tacere l'assurdo di queste intenzioni che porterebbero a effetti disastrosi e di morte già tragicamente vissuti.
Facciamo appello alle cittadine e ai cittadini affinché si mobilitino per diffondere il piu' possibile voci e iniziative di pace, anche in nome della nostra Costituzione che sempre ci ricorda che "l'Italia ripudia la guerra".
Carlo Smuraglia – Presidente Nazionale ANPI
Francesca Chiavacci – Presidente Nazionale ARCI
Susanna Camusso – Segretario generale CGIL
Annamaria Furlan – Segretario generale CISL
Carmelo Barbagallo – Segretario generale UIL
Roberto Rossini – Presidente Nazionale ACLI.
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Il Papa degli ultimi
  la Repubblica, 13 aprile 2017
di Intervista di Paolo Rodari a Jorge Mario Bergoglio
 
«Penso che oggi il peccato si manifesti con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili. Il mondo deve fermare i signori della guerra. Perché a farne le spese sono sempre gli ultimi, gli inermi».
LEGGI SU: eddyburg.it
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14 aprile 2017 - il manifesto
EDITORIALE
Il terrore del signore della guerra
di Tommaso di Francesco

Si chiama Gbu-43, nota anche come «Moab» quella usata ieri dallo stato maggiore Usa su indicazione di Trump sull’Afghanistan. È la bomba convenzionale non nucleare più potente che, nella suo primo impiego – fu usata la prima volta nella guerra del Golfo del 1991 – era soprannominata «daisy cutter», tagliamargherite. Aveva «solo» 15 libbre di esplosivo, 7-8 tonnellate. Quella di ieri è una elaborazione che ci avvicina sempre di più al terrore atomico: ha infatti 11 tonnellate di esplosivo. Dicono che i militari americani e la presidenza Usa «hanno preso tutte le precauzioni per non colpire i civili». Viene da piangere, ma di rabbia. Perché questa bomba ha un impatto analogo a quello di una piccola bomba atomica però senza radiazioni, ma lo spostamneto d’aria che provoca inghiotte tutto in un vortice di morte per chilometri, risucchiando l’aria e con essa ogni forma di vita.

Non sappiamo come il Signore della guerra Donald Trump motiverà stavolta questo terrore di Stato. Solo una settimana fa aveva lanciato 59 missili Tomawak sulla Siria, con duro avvertimento a Mosca, rompendo un equilibrio immaginario che lo voleva profittatore del «Russiagate», «amico di Putin» e «nemico della Nato». Facendo così ritornare all’improvviso l’America «first». Per punire – passando oltre l’Onu e la richiesta di una inchiesta indipendente – i presunti raid di Damasco al gas nervino presso Idlib, Motivando il bombardamento «umanitario» americano «in difesa dei bambini», ma provocando presso la base militare colpita altre morti civili. Poi non contento ha agitato le acque del Mar Giallo inviando la portaerei Vinson e una flotta, come esercitazione mirata alla deterrenza delle provocazioni missilistiche della Corea del Nord, come fosse una delle tante manovre che – prime responsabili della tensione – imperversano nella Corea del Sud, allo sbando, senza governo e presidenza e con la protesta pacifista in piazza nel timore di ritrovarsi in mezzo ad un conflitto nucleare, perché anche lì Trump annuncia che dislocherà il micidiale sistema antimissile Thaad.

In frantumi con il bombardamento americano in Siria sono andati il vertice negoziale di Ginevra e quello di Astana, attivati da Onu e Russia per una soluzione politica della crisi siriana. Stavolta la più grande bomba non atomica cade in Afghanistan il giorno stesso in cui si è aperto a Mosca il vertice di Russia, Cina e Iran per una soluzione politica della guerra afghana che dura – gli Usa l’hanno iniziata come vendetta per l’11 Settembre 2001 – da 16 anni. E dove i morti civili per gran parte dovuti ai raid della coalizione Nato della quale l’Italia fa parte, hanno provocato secondo l’Onu, solo nel 2016, più di 11mila vittime civili.
Quale menzogna racconterà stavolta il Signore della guerra?
E che altro dovrà succedere perché torni in piazza la potenza mondiale dei pacifisti?
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7 aprile 2017 - Micromega
Guerra in Siria, le colpe di Assad e quelle dell’Occidente”.
Intervista di Giacomo Russo Spena a Alberto Negri, inviato speciale del Sole24ore che ha vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni: “Le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”. Oltre a condannare il regime di Assad inchioda l’Occidente alle sue responsabilità: “Quella che era iniziata come una guerra civile tra il regime e l’opposizione si è trasformata in una guerra per procura”. Infine, non crede che Assad possa fare la fine di Gheddafi (“dietro ha Putin e l’Iran”), più possibile uno scontro regionale armato tra Israele e gli Hezbollah libanesi.

Non sarà certamente questo lancio di missili Tomahawk americani a sbalzare dal potere Assad e a cambiare le sorti della guerra”. Alberto Negri, inviato speciale del Sole24ore è uno dei massimi esperti di Medioriente e di Siria. Reporter di guerra, ha raccontato dal fronte i conflitti bellici nei Balcani, in Asia e in Africa. “Ho vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni e sono arrivato ad una conclusione: le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”, ci dice. Nella notte il lancio di 59 missili americani contro il regime di Bashar Assad fa presagire scenari di una guerra globale, anche se Negri tende a rimanere più cauto: “Difficilmente Donald Trump butterà giù il regime senza avere alternative. O fai guerra ad Assad o all’Isis, a tutti e due contemporaneamente è impossibile farlo”. Per poi aggiungere: “Da sempre nel mondo ha regnato il double standard: i crimini dei dittatori sono considerati più efferati dei crimini commessi dall’Occidente, che sono stati tanti, troppi, in questi anni”.

Dopo l’attacco chimico del regime nella provincia di Idlib – 72 morti tra cui molti bambini – ha scritto sul Sole24ore un articolo che si focalizza proprio sulle responsabilità dell’Occidente. “È giusto indignarsi per le vittime della provincia di Idlib – si legge – ma una parte di questa indignazione riserviamola anche ai nostri leader occidentali incapaci di uscire da un ginepraio di calcoli sbagliati e interessi che dura ormai da oltre tre decenni. Ora si attende il secondo capitolo, quello della spartizione della Siria: a questo servono i morti di Idlib”.

Sei stato innumerevoli volte in Siria, ci aiuti a comprendere il quadro? Qual è la partita in gioco?
Stiamo assistendo alla più importante partita geopolitica degli ultimi anni in Medioriente e nel Mediterraneo. Quella che era iniziata come una guerra civile tra Assad e l’opposizione si è trasformata in una guerra per procura. C’è anche una data precisa per indicare tale passaggio: il 6 luglio 2011 quando l’ambasciatore americano Ford, mandato dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, andò a farsi riprendere dalle telecamere in mezzo ai ribelli armati di Hama. Un evidente segnale dell’amministrazione Obama: Assad era diventato un bersaglio da colpire. Un regime da destituire. L’idea della Clinton era il leading from behind, guidare da dietro i mutamenti in Medio Oriente.

Una guerra per procura che ha coinvolto poi Russia, Turchia, Israele, Francia... Riesci a farci luce sulle scelte di campo?
Questa guerra deriva da una lunga destabilizzazione del Medioriente dove si intrecciano diversi fattori, molti dei quali si trascinano dagli anni ‘80, dal conflitto tra Iran e Iraq. Dopo il 6 luglio 2011 Turchia, Arabia Saudita, Qatar e le altre monarchie del Golfo scelgono di opporsi ad Assad perché alleato storico dell’Iran sciita. Si trattava per i sunniti di una rivincita della caduta di Saddam Hussein nel 2003 e che aveva consegnato l’Iraq a maggioranza sunnita in mano alla minoranza sciita. Il caso degli alawiti è sintomatico in Siria: non appartengono né allo sciismo né al sunnismo, anche se tendevano a nasconderlo, non praticano i cinque pilastri dell’Islam, non pregano in moschea e sono considerati dei miscredenti. Gli alawiti rappresentano il 12% della popolazione siriana, eppure sono riusciti a salire al potere con Assad, strappandolo di mano ai sunniti dopo mille anni come racconto nel mio ultimo libro “Il musulmano errante” (Rosenberg & Sellier -2017). Questo è stato negli anni ‘70 il vero, primissimo, shock della Siria. Nel giugno 2011 le monarchie del Golfo chiedono al regime di rompere l’alleanza con Teheran. Assad si rifiuta.

E così entrano le potenze occidentali schierate con il fronte sunnita, visti anche gli interessi economici con le monarchie del Golfo?
In Siria nel 2011 si acuisce la crisi economica e sociale a causa di una forte siccità e per il conseguente abbandono delle campagne verso le principali città, come Damasco. Un processo che ha ulteriormente sfaldato il Paese e in quell’anno si è manifestata una legittima protesta contro il regime brutale di Assad. Ma Stati Uniti, Francia e Gb hanno sostenuto per mesi la tesi di un’opposizione moderata in Siria che in realtà era stata, ben presto, sostituita da milizie armate violente e jihadiste. Il passaggio dei combattenti islamici viene favorito dalla Turchia che permette l’ingresso in Siria di migliaia di miliziani: questa era l’autostrada della Jihad. E’ così che si forma, pian piano, il Califfato dell’Isis nato da una costola di Al Qaida in Iraq. Un giocattolo scappato di mano.

Con Assad, invece, si schiera la Russia di Putin?
Non solo. Prima si erano schierati con il regime sia i pasdaran iraniani che gli Hezbollah libanesi, forze sciite. Il 30 settembre 2015 la Russia di Putin fa pendere la bilancia dalla parte di Assad e inizia a fornire un aiuto concreto e militare contro i ribelli.

L’europarlamentare del M5S, Massimo Castaldo (e molti altri filoputiani) dubita che l’attacco chimico di Idlib sia frutto di Assad. Le sue parole sono state: “Militarmente, con questo attacco, Assad non ottiene nulla. Politicamente, solo l’odio del mondo intero. Metto un grosso punto interrogativo perché queste, spesso, sono anche guerre di propaganda. E non bisogna dare giudizi affrettati”. Siamo alla fantapolitica complottista?
Beh, i dubbi ci sono sempre. E finché non ho notizie da fonti indipendenti non mi azzardo a dare giudizi e ad asserire verità. In guerra ho imparato a credere solo a ciò che vedo coi miei occhi. Pensiamo al caso del 21 agosto 2013 a Ghouta, a est di Damasco, dove armi chimiche provocarono la morte di un numero altissimo di persone, tra cui molti bambini. In quel caso, il rapporto dell’Onu sulla strage non ha mai identificato i responsabili. Anzi si dice che probabilmente le armi chimiche siano state utilizzate da entrambi i fronti.

Però l’Osservatorio Siriano sui Diritti umani ha stilato un duro rapporto contro il regime di Assad....
Non è una fonte attendibile, come quasi tutte le fonti manovrate dagli inglesi. Tra l’altro noi potremmo avere le informazioni dal fronte: nelle basi americane, a Mosul come in Siria, ci sono centinaia di militari. Se gli americani volessero tramite droni e altri mezzi, potrebbero documentarci meglio ma scelgono di non farlo. Io, nel mio piccolo, prendo informazioni da ong come Medici Senza Frontiere o da alcuni gruppi dell’opposizione non manovrati dall’esterno.

Sì, però è plausibile l’accusa nei confronti di Assad. Non trovi che parliamo comunque di un regime sanguinario?
Assad non è Saddam Hussein quindi sarei più cauto nell’utilizzare il termine “sanguinario”. Di certo, parliamo di un regime che utilizza metodi brutali e sicuramente da condannare, non c’è dubbio. Quando è esplosa la prima rivolta ha reagito con la repressione.

E se altre fonti dimostrassero le responsabilità di Assad negli attacchi chimici?
Significherebbe che il regime sta punendo quelle popolazioni che ormai non reputa più fedeli ad Assad. Mentre ad Aleppo l’esercito governativo ha ripreso in mano la situazione, in altre zone il regime sceglie la via della punizione di massa: cosa che in Medioriente è purtroppo tratto comune degli autocrati. Pensiamo al massacro in Libano di Sabra e Chatila.

Torniamo ai futuri scenari in Siria. Quali sono? E’ ipotizzabile una guerra “umanitaria”, simile a quella avvenuta in Libia con Gheddafi?
L’Occidente non mi pare intenzionato a muovere guerra ad Assad. A differenza della Libia, dietro Assad ci sono Iran e Putin. Nessuno ha vero interesse a stabilizzare la Regione, non ce l’hanno i turchi che ora hanno il problema dei curdi siriani, non ce l’hanno le potenze sunnite con l’Arabia Saudita che ha un fronte aperto in Yemen. Nessuna delle potenze internazionali ha interesse.

Non spaventa nemmeno l’intervento armato voluto da Donald Trump questa notte?
L’idea di Washington è stata quella di colpire Assad e allo stesso tempo lanciare un avvertimento a coloro che non obbediscono alla superpotenza americana, tra l’altro l’operazione militare è avvenuta mentre Trump riceveva il presidente cinese, Paese protettore della Corea Nord. Un secondo elemento da sottolineare: i lanci dei missili hanno colpito basi aeree ma non istallazioni vitali o il palazzo presidenziale di Damasco. Infine, Trump per aprire veramente il fronte più vasto contro la Siria ha bisogno dell’approvazione del Congresso Usa.

E’ possibile che si apra uno scenario di guerra tra Israele e gli Hezbollah libanesi?
Il lancio di missili americani contro la Siria è interpretato da Israele, che dal 1967 occupa il Golan siriano, come una sorta di via libera americano alle sue incursioni aeree sulla Siria ritenuta la retrovia degli Hezbollah libanesi. Non è uno scenario improbabile quello di una guerra regionale. Forse il più plausibile.

Intanto assistiamo alla morte di migliaia di persone. I civili sono stretti da una morsa: da un lato il regime di Assad, dall’altra le responsabilità dell’Occidente?
Sul campo di battaglia c’è il Califfato, lo Stato Islamico o Isis, che ha rappresentato un forte inasprimento, in termini di violenza, del conflitto contro le popolazioni civili. Assad non ha avuto freni in questi mesi, pensiamo ai bombardamenti congiunti con la Russia. Tutti se ne sono fregati della popolazione civile che è diventata ostaggio del regime siriano e dei gruppi jihadisti. Ogni giorno assistiamo ad una strage in questo Paese. Una violenza a livelli massimi, anche per il Medioriente. Ma soprattutto non si vede come pacificare una vasta area a cavallo tra il Mediterraneo e la Mesopotamia dove sono crollati in questi 14 anni, dall’invasione Usa dell’Iraq nel 2003, interi Stati mentre la violenza, le stragi, i massacri, l’esodo di milioni di persone, hanno visto esasperare le divisioni etniche e settarie.
 



Lunedì 17 Aprile,2017 Ore: 10:07
 
 
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