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www.ildialogo.org L’omicidio di Giulio Regeni svela la vera natura del regime egiziano,di Giovanni di Fronzo

L’omicidio di Giulio Regeni svela la vera natura del regime egiziano

di Giovanni di Fronzo

Riprendiamo questo articolo dal sito: http://www.retedeicomunisti.org/
Sta suscitando giustamente sconcerto e dolore la morte atroce di Giulio Regeni, giovane studioso italiano di lingua araba, rinvenuto esanime al Cairo con il corpo segnato da profonde ferite da armi da taglio e da altri segni di tortura. Di Regeni si erano perse le tracce il 25 gennaio, giorno in cui la polizia egiziana ha operato una vastissima retata fra i giovani che avrebbero voluto dar vita ad alcune manifestazioni per ricordare la rivolta che nel 2011 liquidò il regime guidato da Mubarak, di cui quello attuale è in buona parte erede.
In effetti, il giovane friulano simpatizzava per i movimenti sociali egiziani, sui quali scriveva spesso;  pochi giorni prima di morire aveva scritto un articolo che aveva avuto vasta eco riguardo il sindacalismo conflittuale in Egitto, sopravvissuto alla doppia ondata repressiva portata dai Fratelli Musulmani prima e dal redivivo regime militare poi (nena-news.it).
Gli inquirenti egiziani parlano di un episodio di criminalità comune, tuttavia l’ipotesi più probabile, suffragata anche dalla testimonianza di una giornalista egiziana, è che il giovane sia stato prelevato dalla polizia il 25 gennaio alla fermata della metropolitana di Giza, come migliaia di altri giovani, e poi sia stato torturato a morte.
Questa vicenda accende i riflettori anche in Italia e in Europa sulla natura del regime imposto dal Generale Al-Sisi, del quale, all’indomani degli attentati di Parigi, si tessevano lodi sperticate sui media italiani come esempio di governo arabo “moderato”, impegnato in una lotta senza quartiere contro il terrorismo.
Al-Sisi è salito al potere nel luglio 2013, attraverso un colpo di stato atto a ripristinare il potere dei militari e delle oligarchie del paese ai danni dei Fratelli Musulmani, verso i quali si è poi scatenato un tentativo di pulizia totale dei militanti, grazie all’appoggio dell’Arabia Saudita; tale colpo di stato, con tutta probabilità, è stato un punto di svolta nell’ambito degli sconvolgimenti politici avvenuti nel mondo arabo a partire dall’inizio del 2011, segnando l’irruzione in posizione dominante della monarchia saudita e delle sue ambizioni regionali, anche ai danni degli alleati statunitensi e dell’accoppiata Turchia-Qatar, i quali avevano puntato molto sulla Fratellanza Musulmana come carta di ricambio nei confronti dei precedenti regimi ex-amici (Egitto, Tunisia) e non (Siria); da allora, infatti, hanno cominciato una cavalcata inarrestabile (frenata solo dall’intervento militare russo) in Siria, Libia, Iraq e altrove i gruppi sunniti più radicali ispirati alla dottrina wahabita, come Isis, Al-Nusra, Jeish al-Islam, Ahrar al-Sham, mentre Turchia, Qatar e le altre petromonarchie si sono dovute allineare.
C’è da dire che tutti questi aspetti non erano stati colti nel luglio 2013 da parte della maggior parte delle sinistre arabe ed europee, la quali avevano salutato con favore l’intervento dell’esercito per spodestare il governo reazionario dei Fratelli Musulmani ed avevano sperato che si sarebbe messo di traverso rispetto all’aggressione imperialista alla Siria; alcuni erano addirittura giunti a dipingere il Generale Al-Sisi come il nuovo Nasser, storico leader del panarabismo socialista.
Tuttavia, ben presto, anziché un nuovo Nasser, Al Sisi si è rivelato un nuovo Sadat post Camp David, vista la gestione dei rapporti con Israele; Tel Aviv aveva rotto con il governo targato Fratelli Musulmani, anche se non fino al punto cui ci si sarebbe potuto attendere (i Fratelli Musulmani sono sempre stati molto pragmatici e opportunisti nella gestione dei rapporti internazionali), in quanto quest’ultimo era sostenitore dell’entità statuale de facto creata nella Striscia di Gaza da Hamas; i vertici israeliani erano preoccupati per la possibile riapertura dei valichi di frontiera Gaza-Egitto con il conseguente allentamento del blocco; tali preoccupazioni, poi, si sono rivelate nei fatti, quasi infondate. Dopo il colpo di stato e la conseguente repressione nei confronti della Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è la sezione palestinese, anche il governo de facto della Striscia di Gaza è considerato in Egitto un’entità terrorista, per cui la frontiera è di nuovo sigillata.
Anche nell’ambito del conflitto siriano il governo egiziano ha tradito le attese di coloro che erano inspiegabilmente ottimisti: l’ostilità nei confronti del governo siriano è diminuita, tuttavia non è stato messo in atto nulla di concreto riguardo il ristabilimento delle relazioni diplomatiche e l’allentamento dell’embargo, visto il cordone ombelicale che lega Il Cairo a Ryad e Abu Dhabi.
La partnership strategica con i sauditi si concretizza anche nella partecipazione dell’Egitto alla coalizione che sta devastando lo Yemen nella guerra contro l’insorgenza portata avanti dalle milizie sciite degli Houthi (che qualcuno definisce una sorta di Hezbollah dello Yemen), nella quale la santa alleanza di molti paesi arabi e africani, sostenuta dagli USA e dall’ONU, si sta insabbiando sul terreno e sta prostrando un’intera popolazione.
Anche sullo scenario libico, quello dove è ancora vivo lo scontro fra Fratelli Musulmani e padrini turchi e qatarioti da una parte ed establishment  filo-saudita dall’altra, il regime egiziano è attivissimo a sostenere  i secondi, che esprimono il governo internazionalmente riconosciuto ritiratosi a Tobruk, in contrapposizione con il governo installato nella capitale Tripoli. Sulla questione libica in particolare, molto forte è l’intesa di Al-Sisi con il governo italiani: entrambi, infatti, sembrano premere per una soluzione militare del caos venutosi a creare, ufficialmente per fermare e debellare l’avanzata dell’Isis nel paese, in realtà perché coltivano entrambi ambizioni di potenza in Libia (si ricorda che con l’intervento anti-Gheddafi nel 2011 le imprese italiane hanno perso molte posizioni). La terribile morte di Regeni, ora, sta ponendo fine agli infiniti peana nei confronti di Al-Sisi che eravamo abituati ad ascoltare e sta mettendo l’establishment politico in evidente imbarazzo.
In generale, tutto questo attivismo in politica estera ha fatto guadagnare al regime egiziano un ruolo di ago della bilancia nell’area, in forza del quale è aumentato il suo potere contrattuale, per cui sia le petromonarchie, sia i paesi imperialisti dell’Occidente, sia la Russia, che sono contrapposti in altri scenari, sono interessati ad avere ottimi rapporti con quella che sembra affermarsi come una potenza araba emergente; con la Russia, ad esempio, sono stati firmati importanti accordi in materia militare e di approvvigionamento energetico.
Tutto ciò fa sì che il regime militare abbia completamente mano libera nell’operare la più spietata repressione interna, sia nei confronti di quel che resta dei Fratelli Musulmani, organizzazione ormai completamente decapitata, sia nei confronti delle espressioni politiche e sociali progressiste che animarono le immense manifestazioni e l’accampata di Piazza Tahrir nel 2011, epifenomeno della parte positiva degli sconvolgimenti che interessano il mondo arabo dal gennaio di quell’anno e che, purtroppo, fino ad ora hanno comportato l’estendersi di porzioni di territorio divenute terra di nessuno, in cui imperversano bande di jihadisti al soldo della borghesia arabo-sunnita.
E’ nelle pieghe di questa repressione che è stato ucciso Giulio Regeni. Il suo assassinio, così come quello degli altri giovani arrestati e scomparsi il 25 gennaio sono il simbolo degli esiti nefasti delle cosiddette primavere arabe, trasformatisi in un inferno di sangue senza fine a causa delle mire imperialiste e di quelle della rampante borghesia arabo sunnita facente capo alla monarchia wahabita e al regime erdoganiano.



Lunedì 08 Febbraio,2016 Ore: 18:37
 
 
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