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www.ildialogo.org SIRIA: LA CHIESA CATTOLICA TRA DUE FUOCHI. E IL RISCHIO DI BRUCIARSI,da Adista Notizie n. 31 del 08/09/2012

SIRIA: LA CHIESA CATTOLICA TRA DUE FUOCHI. E IL RISCHIO DI BRUCIARSI

da Adista Notizie n. 31 del 08/09/2012

36829. ROMA-ADISTA. La Conferenza dei vescovi latini delle Regioni araba (Celra) ha emanato il 28 agosto, una nota di solidarietà a mons. Giuseppe Nazzaro, vicario latino di Aleppo, e a tutti i cristiani della zona, per il saccheggio che cinque giorni prima aveva subìto l’episcopio greco-cattolico durante gli scontri fra miliziani e truppe lealiste, costringendo l’arcivescovo Jean-Clément Jeanbart a riparare prima nella casa dei francescani e poi in Libano. La violenza che «non si ferma», le «decine di migliaia di profughi che lasciano i loro paesi», i «milioni di persone che vivono in povertà del presente e nell’incertezza del futuro» sono «motivo di sofferenza e preoccupazione», scrivono fra l’altro i vescovi. I quali invitano tutti ad innalzare preghiere a Dio perché «la comunità internazionale trovi la via del dialogo tra governo siriano e opposizione».

Un bel rompicapo anche per l’Altissimo, perché la comunità internazionale non ha alcuna intenzione di risolvere pacificamente il conflitto in atto, altrimenti non lo avrebbe armato. Le due parti in lotta sono riccamente foraggiate di ordigni bellici e di combattenti dalle potenze che, a diverso titolo, sono di fatto implicate nel conflitto: gli Usa da una parte, Russia, Cina, Iran dall’altra - ognuna con la propria costellazione di alleati - vogliono una Siria sotto la loro influenza, obbediente ai loro scopi geopolitici, quindi vogliono indebolire il “nemico” fino a vincerlo. Consapevole della situazione, mons. Jeanbart il 17 agosto aveva chiesto alla comunità internazionale dai microfoni della Radio Vaticana di «avere pietà per questo popolo siriano»: «Smettiamola di sostenere i belligeranti», ha tuonato il vescovo. «Chiedo questo all’Occidente ed anche alla Russia, alla Cina e all’Iran, a tutti» e «spingano le due parti ad accettare il dialogo».

Insomma, iniziato con legittime e partecipatissime manifestazioni di popolo contro il governo pluridecennale, inamovibile e non certo democratico della famiglia Al Assad (e pluriennale nelle mani dell’epigono Bashar), il conflitto è diventato armato, è diventato guerra civile perché assurto a teatro di contrastanti interessi strategici che passano ben al di sopra degli interessi più “banalmente” solo politici dei civili siriani che avevano avviato la protesta per vedere organizzata più degnamente la loro società e la loro vita. Una guerra per procura, come è definita da molte reti pacifiste.

In questo contesto, l’Onu non poteva che fallire la sua missione di pace: Kofi Annan ha gettato la spugna, e non nutre grandi speranze il diplomatico algerino, Lakhdar Brahini, che lo ha sostituito. C’è chi insiste allora perché l’Onu si decida per una presenza armata di interposizione, come p. Paolo Dall’Oglio, il gesuita ri-fondatore del monastero Deir Mar Musa a nord di Damasco che il governo ha obbligato a lasciare il territorio siriano (v. Adista Notizie n. 24/12). In una delle sue più recenti interviste – a Famiglia Cristiana (13/8) – afferma che «c’è bisogno subito che la comunità internazionale si muova, che mandi i caschi blu nelle zone sensibili, che crei una no fly zone» per «bloccare quella che sta diventando una catastrofe mediorientale. Se non si agisce subito c’è il rischio che saltino il Libano, l’Iraq e che i curdi di Siria, Iraq, Iran e Turchia siano spinti a un nazionalismo estremo»: sarebbe una «irresponsabilità internazionale». «Credo – aggiunge – che qualcuno abbia anche pensato di giocare oggi la carta degli estremismi pur di liberarsi del regime di Bashar al Assad senza intervenire direttamente militarmente. Sto parlando degli americani che certo, in fase pre-elettorale, non possono imbarcarsi in un altro Iraq o in un altro Afghanistan. Però bisogna fare presto altrimenti, quando la rivoluzione avrà vinto – perché di questo sono convinto – ci sarà un Paese distrutto e diviso difficilmente riconducibile alla democrazia e alla modernità».

Nel corso degli ultimi tre mesi, Dall’Oglio ha sostenuto anche altro, manifestando opinioni non sempre fra loro coerenti forse a motivo della troppo complessa situazione siriana e, come lui stesso ammette, in parte stridenti con il suo stato di sacerdote e di pacifista, data la lunga frequentazione con una popolazione che ritiene oppressa da Assad a cui è affettivamente legato. Se il 14 giugno, alla Radio Vaticana, aveva affermato come «sia un dovere strettamente morale, internazionale, di intervenire» quando un Paese è nello stato in cui versa la Siria, parlando con il Los Angeles Times l’8 luglio si spingeva più in là: «Se la nonviolenza diventa soltanto un altro nome per non assumere le proprie responsabilità, allora non sto più con la nonviolenza, sto con il diritto a difendere la gente». In un incontro al Campidoglio (11/7) organizzato dall’associazione “Siria libera e democratica” (ne è presidente il dissidente siriano Feisal al-Mohammed, da quarant’anni in Italia), ricordando il sangue versato da tanti giovani martiri nella lotta per costruire una democrazia nel Paese, ha ribadito, fra gli applausi degli astanti, che la Chiesa ammette il ricorso alle armi per autodifesa. E in un’intervista a Linkiesta, il 14 agosto, ha dichiarato: «Anche se sono un prete, devo dire che è giusto che l’Esercito Libero Siriano usi le armi. Le proteste inizialmente erano pacifiche. Dopo la violenza del regime, è un dovere di ognuno proteggere se stesso e i propri cari». Comunque, l’Onu è «l’unica soluzione buona»: se «non riuscirà ad avere un ruolo chiave si dovrà assumere la responsabilità del massacro».

P. Dall’Oglio è arrabbiato con la comunità internazionale che, come ha detto al quotidiano online, «non fa abbastanza e anzi utilizza la Siria per punire la Russia e l’Iran», ma ce l’ha anche con il Vaticano: «Anche se il papa sta facendo bene, la diplomazia non può o non vuole – sospetta – assumere delle iniziative negoziali per trovare una soluzione. Bisognerebbe ad esempio attivare relazioni con la Chiesa ortodossa russa, ma si sa, è difficile, forse c’è proprio una paralisi della diplomazia vaticana». (eletta cucuzza)

Articolo tratto da
ADISTA
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Giovedì 06 Settembre,2012 Ore: 17:06
 
 
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