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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org UN’ALTRA PROVVIDENZIALE VENDETTA DI STATO?,di Agostino Spataro

GHEDDAFI COME BIN LADEN:
UN’ALTRA PROVVIDENZIALE VENDETTA DI STATO?

di Agostino Spataro

Sommario:

9/11 un triste decennale:invece del processo si celebrerà una vendetta di Stato;

Con Gheddafi bisognava chiudere qualche anno fa, invece…;

Interventi ”umanitari”: più disastrosi delle malefatte dei dittatori;

L’ineluttabilità della guerra come risposta alla crisi globale?

Italia: finché c’è guerra c’è speranza;

La guerra a debito delle “grandi potenze”;

Si può vincere la guerra, ma perdere il dopoguerra.

9/11 UN TRISTE DECENNALE: INVECE DEL PROCESSO SI CELEBRERA’ UNA VEDETTA DI STATO
Per come si son messe le cose in Libia, appare chiaro che per Gheddafi sarà la fine di tutto. Probabilmente, anche della sua vita. Non certo per spirito di vendetta degli “insorti”. Quali ragioni avrebbero di vendicarsi quei suoi sodali che fino all’altro ieri, per 42 anni, hanno comandato e condiviso col dittatore potere e ricchezza?
Potrebbe essere ucciso per tappargli la bocca, per evitare che in un processo equo e pubblico potesse chiamare in correità i suoi ex amici, libici e internazionali.
Del resto, la soluzione sarebbe in linea con la sorprendente decisione assunta dalla presidenza Usa (non da una banda terroristica rivale) di assassinare Osama Bin Laden e facendone addirittura sparire il corpo.
Espropriando così il popolo statunitense, e il mondo intero, del diritto di processare il suo principale carnefice, autore - secondo la versione ufficiale- del tremendo attentato dell’11 settembre (2001) che provocò circa tremila vittime innocenti.
Quale migliore celebrazione si poteva fare del Decennale se il prossimo 11 Settembre si fosse aperto, a New York, il processo a Osama Bin Laden per l’accertamento pieno delle responsabilità e della verità?
Invece, sarà celebrata soltanto un’oscura vendetta di Stato.

CON GHEDDAFI BISOGNAVA CHIUDERE QUALCHE ANNO FA, INVECE…
Per prevenire qualche malpensante, preciso che non sono particolarmente interessato alla sorte dei due terroristi in questione che anzi ho avuto modo di condannare, pubblicamente e per iscritto con articoli e libri ancora in circolazione. (1)
E in tempi non sospetti, quando cioè coloro che oggi danno la caccia a Gheddafi facevano con lui affari, cooptandolo nel club esclusivo dei loro protetti e quando i governanti Usa presentavano Osama Bin Laden come “eroe” dell’anticomunismo e intrattenevano con la sua famiglia lucrosi rapporti societari.
Con Gheddafi- lo ribadisco- bisognava chiudere ogni rapporto, assumendo tutte le misure necessarie per il suo effettivo isolamento internazionale, nel momento in cui ha dovuto accettare la tremenda responsabilità per i due attentati agli aerei civili nei quali perirono circa 600 persone innocenti.
Invece nulla di nulla. Nemmeno al Tribunale dell’Aja (di cui diremo) hanno aperto un fascicolo di atti relativi.
E’ bastato che il colonnello pagasse un indennizzo alle famiglie delle vittime, per fare esattamente il contrario. Si è avviata, infatti, fra i capi di Stato e di governo dell’Occidente una sorta di gara a chi per prima riusciva a “sdoganare” un terrorista reo confesso, a riceverlo presso le più prestigiose cancellerie, baciandogli persino la mano. Tutti, non solo Berlusconi.
Per averne contezza basta vedere le tante ed eloquenti foto che circolano sul web. Roba da incorniciare! Compresi i signori Sarkoszy, Obama e i premier inglesi che come “cadeau” gli hanno consegnato libero l’unico imputato libico per la strage di Loockerbie.
Il problema, dunque, non è nominalistico, ma di coerenza politica e morale e di rispetto dei principi della legalità internazionale e della nostra civiltà giuridica che condannano le ingerenze esterne e la barbarie delle esecuzioni sommarie e i processi-farsa.
Oggi, in Libia si corre questo rischio. Il popolo libico, nell’ambito della propria legislazione, ha il diritto di processare Gheddafi per le colpe e i reati attribuitigli ed anche tutti coloro che hanno cooperato col dittatore.
Un processo equo sarebbe una vittoria della giustizia e una condizione basilare per avviare, con idee e uomini veramente nuovi, una riforma in senso democratico dello Stato e dell’economia libici.

INTERVENTI “UMANITARI”: PIU’ DISASTROSI DELLE MALEFATTE DEI DITTATORI
Tranne che non si voglia affermare che tali diritti sono di esclusivo appannaggio di certi paesi occidentali, ricchi di debiti e assetati di petrolio, e negati ai libici, ai pakistani, agli afgani, ecc.
Tanto per i dittatori caduti in disgrazia c’è sempre l'ineffabile tribunale internazionale dell’Aja sulla cui imparzialità e internazionalità dubitano moltissimi paesi non aderenti, a cominciare da Cina e Usa che, apertamente, ne diffidano.
Eppure, la catena continua a funzionare secondo uno schema e una procedura abbastanza collaudata quanto inconcludente: si va all’Onu, la cui autorevolezza è ormai vicina allo zero, si tratta e si bega per strappare una risoluzione ambigua e pasticciata in base alla quale si scatena la guerra “umanitaria” e, infine, se si riesce ad acciuffare il feroce dittatore, ex amico, si consegna al braccio secolare della Corte dell’Aja dove ci sarà sempre un procuratore finalmente contento di poter processare qualcuno che riconsegnerà condannato o morto in prigione.
Conti alla mano, si è, inoltre, dimostrato che questi interventi “umanitari” hanno provocato più morti di quelle provocate dai carnefici.
Basta guardare l’abisso in cui sono stati trascinati la Somalia, l’Afghanistan e ora la Libia.
Il caso dell’Iraq è davvero emblematico: Saddam Hussein è stato impiccato perché accusato di avere ordinato la strage di alcune migliaia di poveri sciiti, mentre la guerra di Bush junior, fino ad oggi, ha provocato diverse centinaia di migliaia di innocenti vittime irachene.
C’è chi parla di circa 600.000.

L’INELUTTABILITA’ DELLA GUERRA COME RISPOSTA ALLA CRISI GLOBLE?
Anche la soppressione ingiusta di una sola persona dovrebbe far inorridire la coscienza di ognuno. Tuttavia, se i numeri e la vita degli uomini hanno ancora un senso, tremila o cinquemila vittime di Saddam non sono la stessa cosa delle trecento o cinquecentomila provocate dall’invasione militare di Bush e della coalizione internazionale.
Se Saddam ha pagato i suoi crimini con l’impiccagione, chi pagherà per questo più grande sterminio? A l’Aja è stato aperto un fascicolo?
A queste e ad altre drammatiche domande nessuno dei responsabili risponde.
O forse i capi delle grandi potenze occidentali pensano di cavarsela sempre a buon mercato e continuare a pensare di risolvere la crisi epocale ricorrendo a simili metodi e strumenti?
In realtà, la tragedia di questo Occidente in decadenza consiste nella sua incapacità di elaborare risposte alla crisi globali diverse dall' opzione militare.
Siamo all’ineluttabilità della guerra?
Speriamo di sbagliare l’analisi, ma stiamo rischiando d’infilare i nostri popoli e Paesi in un tunnel terrificante.

ITALIA: FINCHE’ C’E’ GUERRA C’E’ SPERANZA
Intanto, bisogna partire dagli effetti già prodotti in perdite di vite umane (nostre e dei paesi “aiutati”) e in costi finanziari per alimentare le guerre e le numerose missioni militari.
Senza dimenticare di aggiungere l’enorme spesa (insopportabile per un paese come l’Italia che sta tagliando scuole, ospedali e assistenza ai più deboli) per l’acquisto di nuovi, sofisticati sistemi d’arma e poter partecipare alla folle corsa al riarmo ripresa su scala planetaria.
Un solo esempio: l’Italia ha impegnato una spesa pluriennale di ben 15 miliardi di euro (mezza manovra di Tremonti) per l’acquisto di un centinaio di bombardieri F35.
Domanda: oggi che la crisi incalza, perché non si annulla, non si rinvia o almeno non si sospende questa colossale commessa?
Qualcuno osserva che la gente lascia fare, nemmeno più s’indigna. Ma come fa a indignarsi, a protestare se nessuno l’informa e promuove la protesta?
Di tutto ciò la gente non sa nulla. Perché nessuno ne parla in Parlamento, nei Tg e nei giornali a grande tiratura i quali, eroicamente, se la prendono con la spesa sociale e con i vecchietti che non hanno più voce in capitolo, mentre nulla dicono sulla insostenibile spesa militare e sul fiume di finanziamenti che lo Stato concede a giornali praticamente inesistenti e a testate che realizzano attivi anche cospicui.
Insomma, finché c’è guerra c’è speranza. Ma di questo passo dove andremo a finire? Oggi è il turno della Libia. Ieri è stato quello della Costa d’Avorio. Domani, chissà, forse quello del Venezuela, di Cuba, ecc.
Dopo quello disastroso di Bush, è ora di scena l’interventismo avventuroso del presidente francese che preoccupa l’opinione pubblica mondiale e europea ed allarma molti governi legittimi, in Africa e in Medio Oriente, che lo percepiscono come una seria minaccia d’ingerenza negli affari interni degli Stati e d’instabilità internazionale.
Insomma, nessuno si sente più sicuro in casa propria!

LA GUERRA A DEBITO DELLE GRANDI POTENZE
Tutto ciò è inaccettabile, immorale per una società libera e democratica. Si stanno devastando i bilanci degli Stati, contraendo debiti sopra debiti per finanziare guerre, nient’affatto umanitarie.
Perché deve essere chiaro che queste “grandi potenze” fanno le guerre a debito ossia con i soldi prestati dalla Cina e dai piccoli risparmiatori locali.
L’astensione della Cina, che avrà ottenuto in cambio le sue contropartite, sulla risoluzione del C.d.S dell’Onu credo abbia risentito anche della preoccupazione degli istituti cinesi per il rientro dei prestiti agli Usa, magari sperando che i debitori partecipando alla spartizione del “bottino” libico possano onorare il debito.
Poiché, quando l’esposizione debitoria è così grande gli interessi del creditore s’incrociano con quelli del debitore che viene tenuto in vita, almeno fino a quando non avrà saldato il debito. Dopo, magari…
Ma se questo ragionamento può valere per gli Usa, non vale per l’Italia il cui debito pubblico (sproporzionato) è prevalentemente finanziato dal risparmio interno ed europeo.
Inoltre - come abbiamo chiarito in precedenti articoli- l’Italia partecipando alla guerra ha solo da perdere sul piano dell’immagine politica e su quello delle sue relazioni economiche e commerciali. Per certi aspetti, questa guerra è anche contro l’Italia.
Ovviamente, il nostro discorso è prima tutto politico, umanitario; coerente con il pacifismo insito nell’articolo 11 della nostra Costituzione che non può essere oscurato da quel vergognoso codicillo introdotto per vanificarlo.
Oggi, anche i grandi giornali italiani che hanno incitato alla guerra scrivono, allarmati, di come si potrà spartire il “bottino” ossia il tesoro del popolo libico: i grandi giacimenti d’idrocarburi e- a quanto si dice- le cospicue riserve finanziarie, anche in oro, e in titoli azionari, ecc.
Tutto sarà deciso a Parigi, su iniziativa di Sarkozky, il principale promotore del progetto “insurrezionale”, che vorrà fare la parte del leone, in accordo con gli altri due paesi della triade bellicista (GB e USA).

SI PUO’ VINCERE LA GUERRA, MA PERDERE IL DOPOGUERRA
Non sappiamo cosa sia stato promesso alle più alte Autorità italiane per indurle a far entrare in guerra il Paese, mettendo a disposizione navi, aerei e diverse basi italiane.
A quanto si vede, gli “insorti” trattano con la triade e trascurano l’Italia. Se la tendenza venisse confermata, si aprirebbero scenari molto problematici per l’Italia.
Il governo e il ceto politico italiano (di destra e di centro-sinistra) stranamente unito in questa scelta improvvida, sapevano a quali conseguenze si andava incontro e avrebbero dovuto chiarirlo al Paese, al Parlamento. Non è stato fatto. Ora è tempo di rispondere in pubblico ad alcuni quesiti che la gente si pone:
1) quale sarà il futuro dei nostri rifornimenti d’idrocarburi derivati dalla Libia (circa il 25% del fabbisogno totale italiano);
2) quali squilibri si potranno determinare nella bilancia commerciale italo-libica, unica in equilibrio con un paese petrolifero;
3) che fine faranno gli ambiziosi programmi d’investimento (in ricerca e produzione) di Eni e il ruolo stesso di questo colosso dell’energia (al 70% privatizzato) che fa ombra a molti all’estero e purtroppo anche in Italia.
4) cosa ne sarà dell’accordo d' indennizzo e di cooperazione firmato da Berlusconi e Gheddafi con un costo per l’Italia di cinque miliardi di euro in 20 anni;
5) come spiegano, infine, il rifiuto della Germania, paese membro della Nato e locomotiva dell’Unione Europea, di partecipare all’avventura libica. Insensibilità o preveggenza della signora Merkel?
Le risposte, probabilmente, non verranno poiché questi signori si sentono invincibili con… i deboli. Attenzione, però, che si può vincere la guerra e perdere il dopoguerra.

Agostino Spataro

Budapest, 30 agosto 2011

Note:
(1) gli articoli si possono consultare sul sito di “Informazioni on line dal Mediterraneo”: www.infomedi.it, mentre il giudizio, ampio e approfondito, su Osama Bin Laden si può leggere nel mio “Il fondamentalismo islamico- Dalle origini a Bin Laden”, Editori Riuniti, Roma, 2001.



Martedě 30 Agosto,2011 Ore: 17:31
 
 
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