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www.ildialogo.org INVECE DELLA GUERRA,di Raniero La Valle

Sulla guerra alla Libia
INVECE DELLA GUERRA

di Raniero La Valle

 Che cosa si poteva fare prima o invece di scatenare la guerra alla Libia?
Prima di tutto ciò che lo stesso Statuto dell’ONU, in nome del quale è stato condotto l’attacco, prescrive. Nel prevedere al cap. VII l’ipotesi che si debbano prendere misure coercitive per il mantenimento o il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale, la Carta delle Nazioni Unite pone precise condizioni per garantire che gli interventi armati non siano effettuati per interessi di parte e non assumano mai la forma della guerra, che dalla Carta è considerata un “flagello”. Secondo lo Statuto dell’ONU le azioni implicanti l’impiego della forza armata non possono essere compiute se non dopo aver esperito, anche da parte dello stesso Consiglio di Sicurezza, tutti i tentativi per una composizione pacifica, e dopo aver posto in atto azioni non militari di coazione come l’interruzione delle comunicazioni, dei rapporti economici e delle relazioni diplomatiche. Inoltre le operazioni militari devono avvenire sotto la responsabilità non di uno Stato, per quanto grande e potente, e tanto meno della NATO, ma del Consiglio di Sicurezza e sotto la direzione strategica del Comitato dei capi di Stato Maggiore dei cinque membri permanenti, e devono essere compiute da forze armate tratte dagli eserciti nazionali ma messe a disposizione del Consiglio di Sicurezza in base ad accordi permanenti tra questo e gli Stati. Tutto ciò non è avvenuto; e il fatto che questa parte dello Statuto dell’ONU non sia stata mai attuata, non solo è stata la causa delle sconsiderate guerre del passato fatte per “scopi umanitari”, ma è anche la causa del caos, della improvvisazione e degli altissimi costi morali e politici dell’attuale intervento contro la Libia.
Ciò che si poteva fare da parte dell’Italia, era di rispettare le clausole del trattato di “amicizia e partenariato” stipulato da Berlusconi. Una di queste impegna le Parti a rispettare la loro uguaglianza sovrana, nonché il diritto di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale. Un’altra dice che le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte. Un’altra dice che le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte, e che l’Italia non permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia. Un’altra dice che le Parti definiscono in modo pacifico le controversie, favorendo l’adozione di soluzioni giuste ed eque, in modo da non pregiudicare la pace e la sicurezza regionale e internazionale. Tutto questo non è stato osservato, nonostante i baci di Berlusconi a Gheddafi e le lezioni di Corano che gli sono state fatte fare in Italia. Si dirà che tutte queste promesse e garanzie vengono meno di fronte a una violazione dei diritti umani compiuta da una delle Parti; ma allora bisognerebbe essere più cauti nel giurarsi eterna amicizia con partner di questo tipo, se non si vuole poi passare per traditori.
Ciò che ancora si poteva fare per evitare la guerra con la Libia, in realtà secondo il vicario apostolico a Tripoli, mons. Martinelli, già si stava facendo ma è stato bruscamente interrotto. In una intervista alla Radio Vaticana e in un’altra al “Foglio”, il vescovo a Tripoli ha contestato la legittimità dell’attacco aereo. “Di legittimo – ha detto – c’era soltanto la mediazione che tutti qui stavamo cercando di mettere in campo perché non si arrivasse alla guerra civile. Da fuori Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia e tutti coloro che stanno partecipando a questo attacco dovevano soltanto accodarsi a questo nobile tentativo per cercare di arrivare a una soluzione il più possibile condivisa. E invece si è deciso altrimenti e soprattutto con scarso tempismo. Perché?”. Mons. Martinelli ha aggiunto che ciò che serve è una tregua che consenta di esplorare ogni possibile strada negoziale. E che “l’Italia può ancora fare un passo indietro, un gesto di riconciliazione”.
In questa situazione è difficile giustificare tutto in nome di una “politica umanitaria”. Piuttosto c’è da dire che il termine “umanitario” applicato a una politica, è fuorviante, se non addirittura espressione di un’ideologia perversa. Esso suppone infatti che la qualità umanitaria rappresenti una eccezione o una sospensione o una particolarità della politica, che di per sé avrebbe tutt’altre finalità. Nella nostra concezione, al contrario, la politica deve sempre essere umanitaria, cioè ordinata al bene degli uomini e delle donne in quanto cittadini, non importa se del proprio o degli altri Stati; e basta leggere l’art. 3 della nostra Costituzione, allargato poi nell’articolo 11, per vedere come a questo punto dell’incivilimento umano la politica non può che essere pensata come rivolta alla piena realizzazione delle persone umane e a un ordine di giustizia e di pace tra le nazioni.
Se ciò vale per la politica, tanto più vale per la guerra, che non può essere umanitaria nemmeno come eccezione. E infatti, a questo stadio della civiltà, essa è bandita, oggetto di ripudio all’interno e messa fuori legge sul piano internazionale.
L’unica cosa giusta, in questa avventura militare, è il punto di partenza, ossia la decisione della comunità internazionale di impedire gli eccidi in Libia, come avrebbe dovuto fare, e non fece, per porre termine al genocidio in Cambogia (e ci dovette pensare il Vietnam). Ma tutto il resto è sbagliato, a cominciare da quella “fretta della guerra” che è stata denunciata da un’altra voce coraggiosa e illuminante levatasi dall’interno della Chiesa, quella del vescovo Giovanni Giudici presidente di Pax Christi.
E sbagliatissime e addirittura letali (per noi) sono le scelte fatte dal governo italiano. Se pur sono scelte! Repentine e contraddittorie, annunciate e smentite, fedeli e infedeli ai patti sottoscritti, tali da fare ancora una volta dell’Italia un Paese non affidabile, ondivago, esposto agli ultimi venti, come il re travicello che, come dice la poesia di Giusti, “là là per la reggia dal vento portato, tentenna, galleggia, e mai dello Stato non pesca nel fondo: che scienza di mondo! che Re di cervello è un Re Travicello!”. Non c’era alcun bisogno di fare i primi della classe “offrendo” la disponibilità delle basi italiane, peraltro da tempo appaltate ad americani e alleati, e operative senza che nessuno ce ne chieda il permesso (di questi trattati le clausole sono segrete); e non c’era bisogno di mettere subito in pista i Tornado, anche se l’ideologia del 36° Stormo della base di Trapani è stata da sempre l’odio per Gheddafi. C’era infatti una ragione assai forte per la quale l’Italia non avrebbe dovuto impugnare le armi contro la Libia, e questa era data dalle atroci responsabilità del colonialismo italiano nei confronti di quel Paese. Se l’Italia avesse avanzato questa ragione, tutti avrebbero potuto capirlo, e non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere al gioco delle tre carte degli aerei che sorvolano ma non sparano, o del dirsi disponibili a una guerra comandata dalla NATO ma non dalla Francia, o del “vorrei ma non posso”, se no arrivano migliaia di profughi e di terroristi a Lampedusa. Questa è purtroppo la corruzione della politica italiana che, già operante nella politica interna, si è ora pienamente manifestata nella politica estera. Ed è ancora più grave dei vecchi giri di valzer.
Pudore avrebbe voluto che venendo la squilla alla guerra, l’Italia piuttosto che correre al fronte, avesse tentato quella mediazione politica che i suoi speciali rapporti con la Libia le avrebbero consentito, e che del resto sarebbe andata a vantaggio anche degli insorti.
Raniero La Valle

Articolo tratto da:

FORUM 253 (25 marzo 2011) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Venerd́ 25 Marzo,2011 Ore: 17:05
 
 
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