- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (231) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org RIVOLTE ARABE, L’OPINIONE DI UN SOCIOLOGO IRACHENO,

RIVOLTE ARABE, L’OPINIONE DI UN SOCIOLOGO IRACHENO

LE PARTICOLARITÀ DELLA QUESTIONE LIBICA


Intervista ad Adel Jabbar dell'Agenzia MISNA


Immaginiamo un triangolo che abbia su un lato il despotismo secolare che si è fatto forte della paura della gente, sul secondo lato il fanatismo religioso che non è riuscito costruire un progetto valido e sul terzo le ingerenze di paesi stranieri che hanno sostenuto governi corrotti e ingiusti: ecco, la società araba è stata negli ultimi 30 anni prigioniera all’interno di questo triangolo che ora sta scuotendo, mandandolo in frantumi come successo in Tunisia ed Egitto”: Adel Jabbar, sociologo e saggista di origini irachene che da tempo vive in Italia, usa questa immagine per rendere anche visivamente quanto sta avvenendo nel mondo arabo.

Libertà, giustizia e dignità – dice alla MISNA che lo raggiunge telefonicamente - sono le tre parole chiave delle proteste e delle sollevazioni popolari che stiamo vedendo e che si coniugano di volta in volta in maniera diversa a seconda del paese, al di fuori di schemi ideologici. Inoltre, ci sono diversi tratti comuni che possiamo individuare e che fanno da decisivo sfondo: sono paesi con un alto tasso di corruzione, con dittatori che a volte governano da decenni, con politiche di liberalizzazione che a partire dagli anni ’80 hanno accresciuto i divari tra ricchi e poveri eliminando o affievolendo lo stato sociale”.

Un paradigma ricorrente che, nel caso della Tunisia (“il paese con il regime poliziesco più repressivo”) e dell’Egitto, si è scontrato con una società civile che ha coscienza di sé: “Ci siamo trovati di fronte – continua il sociologo – a sollevazioni popolari che hanno coinvolto in maniera trasversale classi sociali diverse, uomini e donne, musulmani e cristiani, con un elevato senso di responsabilità e forti di uno spirito non violento”.

Un movimento spontaneo ma non improvviso. “Almeno dal 2008 - aggiunge Jabbar – sia in Tunisia che in Egitto si è assistito a un crescendo di rivendicazioni sociali, con le proteste dei lavoratori di Gafsa e Mahalla al-Khubra che hanno dato vita a movimenti come quello egiziano del 6 Aprile. Alla fine, quando è venuta meno la paura nei confronti del regime e dei suoi strumenti di repressione, è venuto meno anche uno dei pilastri su cui i regimi si poggiavano”.

Naturalmente, con percentuali di giovani che raggiungono anche il 60% della popolazione, strumenti forniti da Internet come i social network sono divenuti essenziali: “In paesi in cui c’erano limitazioni a potersi riunire e fare attività politica, la rete ha fornito luoghi di incontro virtuali dove era possibile scambiare in libertà opinioni e informazioni. Il passaggio da internet alla piazza è stato poi quello immediatamente successivo” argomenta l’interlocutore della MISNA secondo cui c’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione. “Internet - dice – ha consentito le comunicazioni tra chi era rimasto nel proprio paese e chi era stato costretto all’esilio per motivi politici, un ponte tra generazioni diverse alle prese con gli stessi problemi; ha poi favorito lo scambio di opinioni non solo tra gli egiziani o i tunisini, ma tra tutti gli arabi, in virtù di una storia, di una cultura e di una lingua comuni”.

E questo, aggiunge Jabbar, è sintomatico della rinascita o della ripresa di un sentire mai del tutto spento: “Sicuramente c’è un sentimento arabo su cui a metà Novecento si è costruito un’ideologia (l’Arabismo); negli anni l’ideologia si è indebolita, ma il sentimento è rimasto e ciò ha determinato il replicarsi delle proteste in molti paesi, proprio perché questi paesi – e torniamo all’inizio del discorso – presentano quei tratti comuni che sono regimi polizieschi, corruzione e un neoliberismo responsabile di divisioni e fratture tra i ceti”.

Tunisia ed Egitto hanno aperto la strada, con conseguenze già visibili nel cambio di marcia di molti paesi arabi: sussidi alla disoccupazione e nuovi posti di lavoro in diversi paesi del Golfo, fine dello stato d’emergenza in Algeria, aperture all’opposizione in Giordania, spinte riformiste in Iraq. Cambiano i tempi e i modi, non tutti hanno società dinamiche come quella egiziana e tunisina, ma tutti sono interessati dal vento del cambiamento e la Libia è una questione con sue caratteristiche specifiche.

Sono due gli elementi propri del caso libico” dice alla MISNA Adel Jabbar. “La presenza del petrolio, fattore di attrazione per potenze che vogliono posizionarsi per il dopo-Gheddafi, è il primo e spiega le differenze fatte dalla comunità internazionale rispetto per esempio allo Yemen che vive una situazione per alcuni aspetti simile ma non ha la stessa attenzione mediatica né subisce le stesse interferenze. In Libia, inoltre – aggiunge il sociologo – c’è meno società e più comunità con l’interesse particolare che spesso prevale su una visione di insieme”. La stessa opposizione libica, prosegue lo studioso, non esprime quella coscienza e consapevolezza viste in Tunisia ed Egitto, non ha prospettive ampie e, anche per questo motivo, sta chiedendo l’intervento di potenze straniere”.

L’eventualità di un intervento militare, paventato in queste ore dalla diplomazia occidentale, avrebbe secondo Jabbar tre possibili conseguenze: “Una deriva di tipo somalo, con un paese in preda all’anarchia; una replica dell’Iraq, con un governo corrotto e incapace di governare, privo di una visione di insieme; la riproposizione di un modello di Stato ricalcato sulle monarchie del Golfo con l’impiego dei proventi del petrolio in infrastrutture e grandi opere”.

Sulla Libia, è il parere dell’esperto sentito dalla MISNA, c’è stata in effetti tanta disinformazione, soprattutto nelle prime settimane, veicolata da alcuni canali televisivi satellitari arabi che hanno messo in circolazione notizie poi non confermate e anzi chiaramente false: “Ma Gheddafi – aggiunge – ha fatto il suo tempo, non gode più di sostegno all’estero, ha governato 40 anni e il suo modello di un potere gestito dai comitati popolari è fallito”. E in effetti, conclude Jabbar, “la rivolta libica non parte da motivazioni economiche, ma dal desiderio di alcuni gruppi di contare di più a livello decisionale, da rivendicazioni di potere”.

Copyright © MISNA Riproduzione libera citando la fonte. Inviare una copia come giustificativo a: Redazione MISNA Via Levico 14 00198 Roma misna@misna.org www.misna.org



Mercoledì 09 Marzo,2011 Ore: 14:23
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
No guerra

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info