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www.ildialogo.org L’IRRESPONSABILITA’ DELLA TECNOCRAZIA: FERMIAMO CHI SCHERZA CON IL FUOCO ATOMICO,di Alfonso Navarra

L’IRRESPONSABILITA’ DELLA TECNOCRAZIA: FERMIAMO CHI SCHERZA CON IL FUOCO ATOMICO

di Alfonso Navarra

Alfonso Navarra

vicepresidente Energia Felice (ARCI)

(www.energiafelice.it)
obiettore alle spese militari e nucleari
(www.osmdpn.it)
Il delirio di onnipotenza della CASTA AL POTERE, chiamiamola per comodità tecnocrazia, perché si presenta come governo dei tecnici ispirato dalla Scienza, non è da prendere sotto gamba ed il giocare a fare esplodere centinaia, fino ad oltre 2.000 bombe atomiche ne è stata una delle sue più irresponsabili e tragiche espressioni.
Se oggi gli Stranamore hanno smesso di fare esplodere le bombe “reali”, prima a cielo aperto, poi sotto terra, è perché hanno imparato a studiare le detonazioni atomiche simulate con i supercomputer: quindi la progettazione e la sperimentazione di nuove armi nucleari può benissimo andare avanti, come di fatto sta succedendo.
Gli scienziati, spronati dai politici, dai militari e dagli industriali al vertice, hanno giocato a sentirsi “divini”, nella sublime esaltazione di poter contemplare i colossali funghi incandescenti che riforgiavano il caos primigenio della materia. Pensiamo alla reazione di Robert Oppenheimer, il direttore scientifico del Progetto Manhattan, quando vi fu il primo test esplosivo riuscito, il Trinity Test (16 luglio del 1945, nel poligono di Alamogordo, deserto del Nuovo Messico) . Citando la Bhagavad-Gita esclamò: "Now I am become Death, the destroyer of worlds." Cioé: “Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi”.I tecnocrati, dell’Est o dell’Ovest, ed ora anche del Sud, non importa, disponendo di finanziamenti statali senza limiti, potevano far scoppiare incessantemente i loro ordigni, incuranti di far piovere sull’intero genere umano tonnellate di residui radioattivi.
La menzogna dell’atomo di pace - lo si è appena spiegato – fu propalata fin dall’inizio per dare una parvenza di senso umano a questa “follia”. Un intero capitolo di “Nucleare a chi conviene”, di Gianni Mattioli e Massimo Scalia, mostra che il programma “Atoms for Peace”, che “narrativamente” avrebbe donato ai popoli della Terra energia elettrica quasi gratis, aveva invece coperto la proliferazione di reattori nucleari finalizzati alla fornitura di plutonio per gli arsenali militari.
Sul sito scientifico “Chimica e ambiente” scrive Paolo Cortesi in "Test nucleari: giocare col plutonio":
“Si diceva che l'energia nucleare sarebbe stato un potentissimo alleato dell'uomo, uno strumento benefico di straordinaria efficacia per domare la natura e migliorare la vita. L'uso militare - si diceva - era solo un aspetto dolorosamente necessario, tragicamente inevitabile (ma perché?) di quella che era "una meravigliosa risorsa costituente patrimonio comune dell'umanità"; "una vera e propria rivoluzione scientifica e industriale, non meno profonda di quella che si determinò nell'Ottocento, forse capace di liberare l'uomo dal bisogno". "Oltre che per la produzione di forza motrice in quantità sufficiente per tutte le esigenze e ad un costo irrisorio, l'utilizzazione dell'energia atomica si dimostra ancora più promettente per fugare lo spettro della fame".
Ciascuna delle affermazione precedenti racchiuse tra virgolette è falsa".
(Vai alla URL: http://www.minerva.unito.it/Chimica&Industria/MonitoraggioAmbientale/A2/TestNucleari1.htm)
Concordo, da “anti-esperto”, con questo giudizio dello scienziato critico. Possiamo costatare infatti – e sono passati quasi 70 anni! - che nessuna delle previsioni citate si è avverata. E possiamo scommettere che non si avvererà entro un tempo storico ragionevole.
Questa visione pacifica, persino poetico/magica, dell'energia atomica è irreale, lo è sempre stata e gli addetti ai lavori lo hanno sempre saputo, anche se il solo metterlo in dubbio era un'eresia, l'affronto al dogma della nobiltà sublime della scienza tecnocratica nel suo servizio disinteressato al progresso umano. Troppi interessi legavano fin dagli inizi delle ricerche atomiche gli scienziati al potere, ed il potere, nella storia della tecnologia nucleare, si è sempre espresso con una pervicace volontà di potenza militare. Di solito, una strumentalizzazione perversa della scienza da parte del potere è stata la spiegazione corrente per la costruzione della prima bomba atomica. Forse questo è stato il caso di Albert Einstein che cadde nella trappola dei militari che, tramite Leo Szilard, gli fecero firmare, spaventandolo con notizie esagerate sulle ricerche tedesche per la reazione a catena, la famosa lettera a Roosvelt (era il 2 agosto 1939), in cui il padre della relatività, abbandonò le sue posizioni pacifiste per chiedere al governo di impedire la vendita alla Germania dell’uranio e un appoggio massiccio alla ricerca sull’energia nucleare. Di fatto si trattò dell’avallo alle pressioni che venivano esercitate sul presidente USA per fare partire il Manhattan Project.
La direzione della ricerca, che concentrò in massa nel laboratorio di Los Alamos tutti i migliori fisici del tempo, venne affidata a un Military Committee con prevalenza numerica – lo dice il nome stesso - degli uomini in divisa rispetto ai tecnici. Ma se la rassegnazione fatalistica e tormentata di Einstein è credibile (“dobbiamo, a malincuore, farlo, se no arriva prima Hitler!”), lo stesso non vale per buona parte dei suoi colleghi, che la bomba atomica non la vedevano affatto come una amara necessità, ma come un’occasione di prestigio e di potere ardentemente ambita e ostinatamente perseguita. L’animo reale di questa “ciurma intellettuale” si disvelò nella discussione se impiegare o no un ordigno che, in un attimo, avrebbe incenerito decine di migliaia di persone. Consultati dai responsabili politici e militari, ad opporsi furono in pochissimi, tra i quali lo stesso Einstein (e Szilard con lui); e furono ancora pochi a cercare soluzioni meno cruente (“buttiamo la Bomba nell’Oceano, non sulle città”); i più “votarono” per il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Enrico Fermi non ebbe dubbi e perorò il lancio sulle città giapponesi: "Lasciatemi in pace coi vostri rimorsi di coscienza! È una fisica così bella!". Questo sciocco ed arrogante cinismo, da bambino che - godendo del suo potere distruttivo - si diverte a strappare la coda alla lucertola, è il livello di sensibilità morale dello scienziato tecnocrate: è bene sempre tenerlo presente.
L’argomento “il nazismo, gli scienziati e la Bomba” è trattato, con le ultime ricerche storiche in materia, dal libro di Philip Ball “Al servizio del Reich. Come la fisica vendette l’anima ad Hitler” (Einaudi, 2015).
Vi si parla del “progetto dell’uranio” promosso da Werner Heisenberg, uno dei fondatori della meccanica quantistica: avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un reattore e di un’arma nucleare.
Vincenzo Barone, presidente della Società Chimica Italiana, recensisce il lavoro di Ball sul “Sole 24 Ore” del 12 aprile 2015.
Leggiamo nell’articolo intitolato: “Hitler e i fisici della zona grigia”:
“L’obiettivo (della bomba atomica – ndr) non fu raggiunto, e quando, alla fine della guerra, i fisici tedeschi, rinchiusi nella residenza di Farm Hall in Inghilterra, seppero di essere stati superati dagli americani, che avevano costruito e fatto esplodere la bomba, rimasero increduli, incapaci di riconoscere la propria inferiorità. Nacque allora il mito dell'auto-sabotaggio: gli scienziati avrebbero volontariamente rallentato il proprio lavoro per non mettere nelle mani di Hitler il terribile ordigno. In realtà, come si evince nelle conversazioni a Farm Hall, Heisenberg e colleghi non erano neanche riusciti a calcolare correttamente la massa critica necessaria per fare avvenire la reazione a catena".
Secondo Philip Ball, gli scienziati “collaborazionisti” con il regime hitleriano più che al tipo fanatico di “Stranamore” rispondevano al tipo burocratico individuato da Hannah Harendt con la “banalità del male”: non furono né pro né contro il nazismo ma credetettero colpevolmente di poter servire la Germania senza al tempo stesso servire Hitler. Pensavano di poter separare, nel contesto di un potere criminale, la scienza dalla politica, “dimenticando che fare politica – come scrisse una volta Einstein a Max von Laue, l’unico vero antinazista tra i fisici tedeschi rimasti in patria – significa
L’indifferenza etica, insomma, accomuna i “fanatici” alla Edward Teller, l’inventore della Bomba all’idrogeno, ai “burocrati” del tipo di Heisenberg, Planck, Debye: l’incapacità o addirittura il rifiuto di affrontare la dimensione morale, sociale e umana, delle loro azioni.
Ball, secondo Vincenzo Barone, ne trae una lezione generale: “La neutralità della scienza non deve diventare un alibi per il disimpegno: la comunità scientifica può e deve organizzarsi per massimizzare la sua capacità di agire collettivamente e - quando è necessario - politicamente".
Ma torniamo a ragionare sulla nocività del “fanatico” che, anche se numericamente inferiore, tende a dominare sul “burocrate”.
La desecretazione avvenuta con il passar del tempo ci consente oggi di accedere a documentazione che può farci comprendere quanto la sperimentazione scientifica, guidata dai “fanatici”, giocasse allora con il fuoco. Ma - si chiede Cortesi - come spiegare le teorie rassicuranti di scienziati non governativi? La sua risposta induce ad inquietanti riflessioni su coloro nei quali gran parte del pubblico tende a riporre una docile fiducia.
“Credo che in questi casi si debba tener presente la formazione accademica di questi studiosi. La loro cultura è sempre stata tecnocratica. Essi sono stati educati nella fede ad alcuni assiomi tecnocratici: la scienza e la tecnologia sono benefiche, la ricerca scientifica giustifica e deve ammettere ogni esperimento, la santa causa del progresso assolve ogni peccato e merita ogni sacrificio. Per questi "tecnocrati in buona fede", gli allarmi degli scienziati ambientalisti sono una snobistica forma di oscurantismo, che esagera, demonizza, fraintende, enfatizza, sparge sfiducia e discredito.
Gli scienziati tecnocrati non hanno categorie mentali capaci di considerare, ad esempio, la sottomissione alla grandezza del pianeta di cui sono ospiti. Per costoro, le astrazioni teoriche del calcolo sono altrettanti lasciapassare per le avventure più rischiose, per le decisioni più arbitrarie: accadde cinquant'anni fa con l'ubriacatura atomica; sta accadendo oggi con il nuovo gingillo tecnocratico, la biotecnologia”.
Io sono diventato Morte, rimugina tra sé Oppenheimer: cioè sento un grande potere distruttivo nelle mie mani e manipolarlo mi salva dall’angoscia personale di essere polvere e di tornare polvere (che mi tormenta a livello inconscio e che quindi non riconosco). Trafficare con questo immenso potere può creare rischi e problemi ma per me è più importante l’adrenalina e la soddisfazione che il fatto narcisisticamente mi procura. Preferisco non pensare agli orrori che sto preparando e con i quali i miei prossimi dovranno coesistere e forse – alla lunga – morire.
L’ego tecnocratico non sa vedere al di là del “gioco delle perle di vetro” scientifico; non può capire nulla che non sia implicato nei suoi testi canonici; non è in grado di prevedere niente che non sia anticipato nei simboli delle formule riconosciute dalla comunità degli iniziati. Ciò che gli scienziati tecnocrati ancora non conoscono, deve immancabilmente adattarsi alle schematizzazioni dei loro saperi, anche quando si confrontano con realtà e fenomeni inauditi, magari provocati ex novo dallo stesso intervento umano sulla natura. Bisogna osare, bisogna rischiare, bisogna puntare alto, rien ne va plus, la fortuna della scoperta aiuta gli audaci! Pensare negativo, quindi prendere delle precauzioni, anzi affidarsi al principio di precauzione porta alla paralisi e quindi all’insuccesso: meglio escludere in partenza le conseguenze indesiderabili di certi esperimenti. Un esperimento nucleare diffonde nuovi isotopi radioattivi? Escludiamo subito che questo porti a gravi problemi. Dite che cesio, polonio e stronzio con pesi atomici strani possono fare male? Ma no, è meglio stare tranquilli, anche se certa roba è stata creata proprio dai test e non esisteva prima di essi!
Così conclude Cortesi, al cui filo di ragionamento sono rimasto agganciato:
“Se io mi portassi a casa un animale sconosciuto, e aspettassi immobile di vedere se è mansueto o feroce, sarei saggio o imbecille? Se mangiassi un fungo sconosciuto e aspettassi tranquillo di morire avvelenato o sopravvivere, sarei saggio o cretino? Questo è stato, per decenni, il modulo di pensiero degli scienziati tecnocrati. E c'è il serio timore che si continui così; anche per la biotecnologia. Fermiamoli, finché siamo in tempo”.
In questo impegno per isolare gli scienziati “tecnocrati” (fanatici e burocrati) e per fare avanzare una scienza al servizio dell’umano e della Vita abbiamo bisogno di allearci con i “critici e responsabili” alla Joseph Rotblat, il fisico polacco, premio Nobel per la pace 1995, che fu l’unico, nel 1944, ad abbandonare il Progetto Manhattan: uno scienziato obiettore di coscienza!
Per quanto se ne sa, fu lui a dare un contributo decisivo alla stesura del Manifesto del 1955, noto come Russell-Einstein:
"(...) Si apre di fronte a noi, se lo vogliamo, un continuo progresso in felicità, conoscenza e saggezza. Sceglieremo invece la morte, perché non sappiamo dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, come esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se vi riuscirete, si apre la via verso un nuovo paradiso; se no, vi è di fronte a voi il rischio di morte universale”.



Martedì 14 Aprile,2015 Ore: 22:31
 
 
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