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www.ildialogo.org CARLO GESUALDO: il segno dell’uomo… il segno del tempo  ,di <i style="font-size: 13px;">Michele Zarrella</i>

CARLO GESUALDO: il segno dell’uomo… il segno del tempo  

di Michele Zarrella

Carlo Gesualdo morì a Gesualdo (AV) l’8 settembre 1613 e ivi fu sepolto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. Iniziare a parlare del Principe dei musici partendo dalla data della morte e dal luogo della sepoltura è emblematico. Lo facciamo perché quest’anno si celebra il quarto centenario della morte e perché quasi tutti gli studiosi concordano nell’affermare che la salma del Principe non è stata più rimossa.

Su Carlo Gesualdo si è scritto tanto e di più. Ma al di là di tutto, oggi, se ne parliamo è perché, a quattro secoli di distanza, resta il segno dell’uomo che ha superato il segno del tempo. Secondo Igor Stravinskij, è uno dei più grandi e più originali musicisti mai nati. Che Gesualdo sia stato un geniale musicista e che la sua musica e la sua vita abbiano interessato quasi tutti i campi dell’arte lo dimostrano, la schiera di musicisti, compositori, registi, attori, pittori, cantanti, letterati, storici, docenti, studenti, appassionati di musica polifonica che vengono a Gesualdo e nei feudi del Principe a vedere i luoghi ove il principe visse e compose gran parte delle sue opere. Ne ricordiamo alcuni: I. Stravinskij, R. Craft, E. Durante, A. Martellotti, A. Vaccaro, R. Brancati, G. Watkins, G. Chiarella, L. Di Gianni, W. Witzermann, G. Iudica, W. Herzog, K. Toma, P. Misuraca, J. Crayton, R. De Simone, S. Sciarrino, E. Reder…

Quando si entra in Gesualdo si può leggere l’omaggio del paese al grande compositore: Benvenuti nella città di CARLO GESUALDO Principe dei musici. L’espressione Principe dei musici è da intendere nel suo duplice significato: l’eccezionale talento artistico con qualità superiori rispetto agli altri, ma anche in senso proprio di erede del titolo nobiliare. In effetti, in Carlo convivevano entrambi gli aspetti perché si tratta di un principe che è anche musicista. Alla fine del Cinquecento, le due funzioni creavano difficoltà a convivere in una sola persona. A quei tempi, il musico era pagato al pari di un artigiano, e la sua opera era richiesta per rallegrare i convivi. La musica faceva parte dell’organizzazione ludica della vita sociale, pertanto si addiceva solo alla gente comune e non ai nobili. Quest’ultimi se avessero voluto praticare l’arte della musica dovevano farlo con distacco e sotto l’etichetta di dilettanti.

Siamo nel 1566.

 Geronima Borromeo nella lettera del 21 febbraio (Bibl.Ambrosiana F.Inf.107 n.185) annuncia al fratello Carlo l'imminenza del parto e il proposito di mettere al nascituro il nome Carlo, in suo onore, qualora sarà maschio.

 «[…] Io sto di dì in dì a partorire se io farò figlio Maschio V.S. Ill.ma se ne deve rallegrare più de l’altri, poiché ce lo destinato per servitore lo meterò nome Carlo per amor de V. S. Ill.ma.

Di Venosa, alli 21di Febraio 1566 »                

Da Roma, Pietro Pusterla, curatore degli interessi ecclesiastici e patrimoniali dei Borromeo, scrive al cardinale (Biblioteca Ambrosiana F. Inf. 108 n. 229-230), dicendo di essere stato a Napoli e che  «[…] D. Fabricio Gesualdo, all’8 del presente ebbe un putto dalla sra Dona Jeronima qual fu batezato per nome Carlo et i tutti stano benissimo.

Di Roma, alli 30 marzo 1566 »

Grazie a queste due lettere rintracciate da Padre Osvaldo Carrabs si è potuto stabilire la data di nascita di Carlo: Venerdì 8 marzo 1566.

Ma il luogo? Per Padre Osvaldo non ci sono dubbi: il luogo è Venosa perché è improbabile che una donna incinta si mettesse in cammino 15 giorni prima del parto. Considerando anche i mezzi di locomozione di quei tempi, effettivamente questa tesi è plausibile, salvo che Fabrizio non abbia desiderato di voler far nascere il proprio figlio a Napoli o a Calitri, al cui castello era molto affezionato tanto da ritirarsi nel suo ultimo periodo di vita. Resta il fatto che il Pusterla li ha incontrati a Napoli nel mese di marzo. La domanda è: « La famiglia Gesualdo si è portata a Napoli prima o dopo il parto? » Se si fosse messa in cammino prima del parto il luogo di nascita sarebbe ancora incerto.

Carlo è il secondogenito. Il primo è Luigi, l’erede del titolo e porta il nome del nonno paterno. In qualità di secondogenito cresce in un ambiente culturale, religioso e musicale essendo il padre un mecenate che ospitava i migliori maestri di quell’epoca. Studia, gioca, ma la sua vera passione diventa la musica. Nel 1584 accadono tre eventi che cambieranno la sua vita. Muoiono il nonno Luigi IV, il fratello Luigi e lo zio Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Costretto da tali eventi Carlo diviene l’erede del titolo di principe, ma la sua passione per la musica oramai gli è nel sangue. Nel 1585 il maestro Stefano Felis inserisce nel II libro dei Mottetti a 5 voci un mottetto di Carlo dal titolo Ne reminiscaris Domine delicta nostra (Perdona Signore i nostri peccati), dimostrando la capacità del giovane compositore di esprimersi molto bene in musica. Nel 1586, il maestro Jean de Macque accoglie tre composizioni di Carlo e le pubblica. In una lettera, Jean de Macque scrive che le composizioni di Don Carlo dimostrano la sua “perfetta cognizione della Musica… ma anco l’Eccellenza di tante virtù singolari”, testimoniando un’altra volta e ancor più la passione e le capacità del bravo compositore.

Quello stesso anno, per assicurare al Casato un erede, viene combinato il matrimonio con la cugina Maria d’Avalos. Era interesse di entrambe le famiglie questo matrimonio. Ai d’Avalos, perché Maria avrebbe sposato un principe fra i più ricchi e potenti dell’epoca; alla famiglia Gesualdo urgeva assicurare la continuazione del Casato e Maria aveva già dato capacità procreatrici nei suoi due precedenti matrimoni. Con dispensa del Papa Sisto V, il matrimonio fu celebrato a Napoli nella chiesa di S. Domenico Maggiore. Carlo aveva vent'anni e Maria ventiquattro. Dal matrimonio nacque Emanuele, e alla famiglia Gesualdo fu assicurato l’erede.

Un’altra svolta nella vita di Carlo si ebbe a causa della relazione d’amore della moglie Maria con Fabrizio Carafa. Lunedì 15 ottobre 1590 il Principe avverte Maria che andrà a caccia con i servi nel bosco degli Astroni e resterà lontano due giorni. Era la conclusione di un preciso piano per giustiziare gli amanti preparato in ogni minimo dettaglio: il 13 ottobre 1590 c’era stata luna piena, i cardini della porta della camera da letto di Maria erano stati allentati, gli zoccoli dei cavalli furono avvolti con stracci, Carlo avrebbe agito con l’aiuto di alcuni servi e della luce della Luna che splendeva all’89% nella costellazione del Toro. Quella sera, Maria, sicura della lontananza del marito, accoglie Fabrizio in casa. Ma nottetempo Carlo rientra con i servi. I due amanti vennero colti in flagrante adulterio e uccisi secondo una prassi fatta di urla e di brutalità di cui abbiamo ripetuti esempi nelle cronache dell’epoca.

L’ambasciatore di Venezia comunica al senato: « Don Carlo Gesualdo, figliolo del prencipe di Venosa et nipote dello illustrissimo cardinale, appostatamente salito martedì alle sei ore di notte con sicura compagnia alla stanza di donna Maria d’Avalos, moglie e cugina sua carnale, stimata la più bella signora di Napoli, ammazzò prima il signor Fabricio Caraffa, duca d’Andria, che era con essa, et lei appresso, di questa maniera vendicando l’ingiuria ricevuta. […] »

Su questo stralcio si possono fare tante considerazioni. Per brevità ne esaminiamo solo su due.

1. La lettera fissa la data e l’ora del duplice omicidio: martedì alle sei ore di notte. Il 16 ottobre 1590 era di martedì, ma le sei ore di notte a cosa corrispondono? A quel tempo, come mi spiegava il prof. Tonino De Donato, studioso del computo del tempo nelle varie epoche, il giorno finiva quando finiva la luce del sole. Le 24 ore si computavano a partire da quando faceva buio. A Napoli (40° 50’ N 14° 15’ E), il 15 ottobre il Sole tramontò alle 17:25 ora solare. Ponendo che il buio si ha 30 minuti dopo il tramonto possiamo stabilire che la prima ora iniziava, alle 17:55 e finiva alle 18:55 e sei ore di notte corrisponde all’ora che va dalle 22:55 alle 23:55. Quindi il duplice omicidio è avvenuto nella notte fra il 15 ottobre 1590 e il 16 ottobre 1590 prima di mezzanotte.

2. …di questa maniera vendicando l’ingiuria ricevuta. A quel tempo l’adulterio era considerato un’ingiuria che andava lavato col sangue. L’omicidio per adulterio non era reato per la legge, anzi era ritenuto legittimo e addirittura dovuto. Insomma, per la morale del tempo, quel tipo di delitto era un diritto che doveva essere esercitato pena la derisione della gente.

La Gran Corte della Vicaria apre l’atto istruttorio il 17 ottobre. Furono interrogati solo due testimoni: Silvia Abana serva di Maria e Pietro Marziale detto Bardotto, guardarobiere di Carlo Gesualdo da oltre un ventennio, il quale dichiara che dopo il quietarsi del trambusto quando tutto era silenzio ha sentito i rintocchi della settima ora. Quindi il duplice omicidio è avvenuto prima delle 23:55. Accertato l’adulterio, l’atto istruttorio venne archiviato, per ordine del Viceré, con la seguente motivazione: « […] stante la giusta causa dalla quale fu mosso Don Carlo Gesualdo ad ammazzare sua moglie e il duca d’Andria. »

L’essersi fatto aiutare dai servi fece infuriare i parenti delle vittime. In attesa che si calmasse l’ira dei parenti, Carlo si allontanò da Napoli. Fra i 98 feudi della famiglia scelse quello di Gesualdo, perché gli garantiva maggiore sicurezza in quanto situato su uno spuntone di roccia al culmine di una collinetta dove lo sguardo si fa più libero, si apre sulla valle e spazia su ricchi boschi e verdi colline fino alla catena degli Appennini Picentini che circondano e chiudono il bellissimo panorama. Il castello è naturalmente difeso da due rivellini ed è molto difficile da attaccare. Inoltre con alcuni accorgimenti fatti realizzare dal principe divenne ancora più sicuro e, praticamente, quasi inespugnabile. Per sentirsi più sicuro da eventuali attacchi, per avere un orizzonte più libero e vasto, si ritiene che Carlo abbia ordinato il taglio di un intero bosco di querce e di abeti che ammantavano di verde la prospiciente collina. Tutto ciò non gli restituì la serenità che oramai avrà perso per sempre, perché, come dice lo storico greco Polibio, «non c’è nessun testimone così terribile, nessun accusatore così implacabile come la coscienza che abita nel cuore di ogni uomo.» Oltre un anno dopo, accertatosi che il risentimento delle famiglie d’Avalos e Carafa si era smorzato, tornò a Napoli.

Dopo tre anni e quattro mesi dal duplice assassinio, si reca a Ferrara per unirsi in matrimonio con Eleonora d’Este. Tale matrimonio fu combinato dal cardinale Alfonso Gesualdo e dal vescovo di Modena che rappresentava il duca di Ferrara Alfonso II d’Este, cugino della futura sposa. Questo matrimonio ai Gesualdo conviene perché si imparentano con una delle più prestigiose corti dell’Italia settentrionale. Gli Este, dal canto loro, miravano ad ottenere l’appoggio dei potenti cardinali: Federico Borromeo e Alfonso Gesualdo, nella speranza che intervenissero a favore di casa d’Este qualora il ducato di Ferrara, per mancanza di eredi, fosse dovuto essere riannesso al dominio della Chiesa. Ma le speranze di entrambe le casate non si realizzarono.

A Carlo andò incontro il conte Alfonso Fontanelli, compositore e diplomatico di casa d’Este, che ci dà questa immagine del principe: di aspetto poco imponente, piuttosto accigliato, meridionalmente indolente, e pieno di affettazioni di grandezza e di galanteria di gusto spagnolesco. Si anima per discorrere con irrefrenabile loquacità di musica e di caccia; … ama suonare il liuto e la chitarra spagnola, e lo fa con gran maestria e con intensità espressiva sottolineata dal continuo atteggiare e muoversi. Allo sposo Eleonora donò un’opera d’arte: un’armatura cavalleresca dorata, magistralmente cesellata da Pompeo Cesa milanese, che oggi è esposta nel castello dell’arciduca Francesco Ferdinando nipote di Giuseppe I imperatore d’Austria, oggi museo di Konopiště, a circa 40 chilometri da Praga, giuntavi dopo aver lasciato Gesualdo con Eleonora ed essere stata a Modena fino al 1858, anno della seconda guerra di indipendenza, e poi in Austria.

A Ferrara fece stampare quattro libri di madrigali, donando al mondo intero la sua arte. Nel marzo del 1596 lasciò Ferrara per stabilirsi, a giugno, definitivamente a Gesualdo nel castello avito che, con le varie ristrutturazioni, andava sempre più perdendo il rude aspetto di fortezza per divenire una bellissima dimora. Lo seguirono nel 1597 Eleonora e il piccolo Alfonsino.

Nei diciassette anni vissuti a Gesualdo, Carlo compose e mise a punto per le stampe le sue composizioni che lo hanno reso immortale. Nell’ottobre del 1600 muore Alfonsino. Da questo momento abbandona la musica profana per dedicarsi a quella sacra. Scrive due raccolte di Sacræ Cantiones a cinque, a sei e a sette voci. Nel 1611 fa trasferire nel castello di Gesualdo il tipografo G.G. Carlino e, accanto ai cupi Responsori per la Settimana Santa, fa stampare il quinto e il sesto libro di madrigali.

Dopo la morte di Alfonsino il Principe comincia ad interrogarsi sul senso della vita e sul mistero dell’aldilà. Pensieri e preoccupazioni gli causano malesseri psicofisici, cambiamenti nei suoi stati d’animo, nella salute e nei comportamenti. Lo tormentano preoccupazioni di tipo umano e religioso. Brama il perdono e la salvezza eterna. Lo provano le elargizioni fatte per costruire chiese e conventi, le sofferenze autoinflitte come via per la purificazione, le numerose lettere inviate al cardinale Federico Borromeo con la richiesta di reliquie dello zio Carlo, la realizzazione della pala del Perdono dipinta nel 1609 dal pittore fiorentino Giovanni Balducci, i lasciti con la clausola di preghiere durante le messe.

Il 21 agosto 1613, il Principe, affranto dalla notizia della morte del suo unico erede Emanuele, a seguito di una duplice caduta da cavallo durante una battuta di caccia (v. A. Cuoppolo Il gigante della collina, Delta3, 2013), si chiude nella camera ‘del zembalo’ e, dopo 18 giorni, muore in penosa condizione di salute afflitto da malattie e turbe psichiche.

Quella sera, in cielo, in un tramonto di nuvole bianche e rosa, stagliate contro un cielo blu scuro che annunciava la notte e che di lì a poco si sarebbe riempito di brillanti stelle, cinque pianeti (Nettuno, Venere, Giove, Marte e Mercurio) allineati nella costellazione della Vergine, cinque lagrime lucenti, in 47 minuti dal tramonto del sole, scesero sotto l’orizzonte accompagnando la fine della vita del grande compositore Carlo Gesualdo.




Mercoledì 11 Settembre,2013 Ore: 19:33
 
 
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