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www.ildialogo.org Atwood, Benetton e la Patagonia. Storia di una strana mostra,di Mimmo Limongiello

Atwood, Benetton e la Patagonia. Storia di una strana mostra

di Mimmo Limongiello

29-08-2017
L’altro giorno leggendo su “La Lettura-Corriere della Sera” della mostra Great and North (“Grande e Nord”), organizzata a Venezia dalla Fondazione Benetton, abbiamo fatto un salto sulla sedia.
L’esposizione, che si apre oggi a Palazzo Loredan, coinvolge 759 artisti statunitensi e canadesi, con ben due sezioni dedicate, udite, udite, all’arte delle popolazioni native nord-americane: Land of Artic Ice (“La terra del ghiaccio artico”), in cui sono esposte opere degli Inuit, e Native Art Visual Visions (“Visioni dell’arte visiva dei nativi”), sull’arte degli indigeni del Nord America. E già basterebbe a farci venire l’orticaria, pensando alle vicende che da decenni in Patagonia contrappongono i Mapuche argentini al gruppo veneto, i cui proprietari, cosiddetti “imprenditori illuminati”, evidentemente sanno bene che gli indiani canadesi non possono dare fastidio alle loro pecore - troppo distanti! - ma solo a chi costruisce oleodotti.
Come se non bastasse, nello stesso foglio trova largo spazio la notizia che all’iniziativa prende parte, con un piccolo autoritratto, anche la celebre scrittrice canadese Margaret Atwood, che nell’intervista della pagina accanto, dal titolo “C’è un altro Nord”, si diffonde in una appassionata e giusta analisi dell’America trumpiana.
Dice di non essere certa di che cosa significhi lo slogan Make America Great Again, “A quale parte della storia americana ci si riferisce? Alla schiavitù? Alla guerra civile? Al massacro della popolazione nativa, come in California? …O a che cos’altro? Cosa significa “grande”? Grande dovrebbe essere un luogo dove tutti possono vivere insieme in un modo o nell’altro, senza che ciò implichi che l’uno calpesti e sottometta l’altro. Giusto?”. Continua dicendo che pur non considerandosi una vera artista ha contribuito con un autoritratto ironico alla mostra dei Benetton.
Restiamo basiti. La Atwood è universalmente conosciuta come attivista di Amnesty International e intellettuale impegnata da sempre a favore dei diritti delle donne e degli indigeni. Nel suo celebre romanzo Alias Grace, che racconta una storia vera da sempre nella memoria collettiva del Canada, tocca temi sensibilissimi e drammatici di stretta attualità: la convivenza delle culture; il fallimento dell’ideologia del pioniere americano, metaforizzato dal fallimento esistenziale del personaggio maschi- le, il Dottor Jordan, incapace di accettare la diversità. E utilizza persino la forza simbolica delle riproduzioni di trapunte tradizionali degli indigeni dell’Ontario poste all’inizio di ogni capitolo del libro.
E allora? Come si concilia tutto questo con la partecipazione all’iniziativa veneziana?
Facciamo un rapido giro di telefonate e ci rendiamo conto che non se ne sa molto. Contattiamo la redazione de “il manifesto”, vedremo se almeno loro vorranno occuparsene.
La Benetton possiede 900mila ettari di territorio ancestrale dei Mapuche nella Patagonia argentina. L’immensa proprietà - grande all’incirca come le Marche - fu acquistata dalla società veneta nel 1991 per 50 milioni di dollari dal colosso Tierras de Sur Argentino. Poco dopo, come nella migliore prassi neo-colonialista, iniziò lo sfruttamento dell’area completamente disboscata, e coltivata per sfamare le 260mila pecore che producono 1 milione 300 mila chili di lana all’anno con destinazione Italia, dove vengono trasformati in maglioni. Tutto questo comportò l’espulsione dei Mapuche dalla terra che abitavano da millenni. Il loro diritto all’autodeterminazione fu, al solito, biecamente calpestato. Migliaia di famiglie indigene disperate, senza più mezzi di sussistenza, violate, come sempre, nella loro identità culturale, iniziarono una lunga lotta nonviolenta a difesa dei loro diritti. Ancora nel gennaio scorso, dietro denuncia della Benetton, la gendarmeria argentina ha di nuovo attaccato con estrema violenza gruppi di Mapuche, colpevoli soltanto di aver ripreso possesso di alcuni dei loro territori. Attivisti indios sono stati brutalmente picchiati, legati e trascinati; le loro abitazioni sono state incendiate senza pietà, e i loro animali abbattuti.
Negli anni molte sono state le controversie giudiziarie che hanno contrapposto questo popolo coraggiosissimo al colosso italiano. E a nulla sono valse le proteste internazionali, le lettere aperte del Nobel Perez Esquivel, gli appelli alla ragionevolezza. Più volte il presidente della Benetton ha dichiarato che “il diritto di proprietà rappresenta il fondamento stesso della società civile”. Vorremmo ricordare, ancora una volta, al potente imprenditore che esistono documenti ONU che sanciscono il diritto per tutti i popoli a perseguire in piena libertà il loro sviluppo economico, sociale e culturale, e che inoltre per i Mapuche, che vivono in una cultura comunitaria, è incomprensibile il concetto di proprietà privata, con buona pace dei neo-colonizzatori del terzo millennio.
La Atwood sicuramente ignora, in buona fede, tutto questo. Certamente non sa che già in passato la Benetton ha cercato di cambiare le carte in tavola con altre iniziative simili alla mostra allestita a Venezia. Come quando decise di donare alla cittadina di Leleque, nella provincia argentina del Chubut, un museo delle tradizioni e della storia locali.
Informeremo di tutto questo la scrittrice canadese. Siamo sicuri che, come noi, sa quanto sbagliano tutti quelli che ancora credono di potersi liberare di 400 milioni di nativi del mondo - combattivi difensori delle loro identità e grandi custodi della Terra - riducendoli a reperti culturali di un insignificante passato.



Martedì 29 Agosto,2017 Ore: 21:55
 
 
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