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www.ildialogo.org CILE: LA BACHELET CHIEDE PERDONO AI MAPUCHE,di Mimmo Limongiello

CILE: LA BACHELET CHIEDE PERDONO AI MAPUCHE

di Mimmo Limongiello

25-07-2017
“Abbiamo fallito come paese. E così oggi qui nella veste di Presidente chiedo solennemente e umilmente scusa al popolo Mapuche per gli errori e gli orrori commessi da parte dello stato cileno nei suoi confronti”. Con queste parole, il 23 giugno scorso, la presidente socialista cilena Michelle Bachelet ha riconosciuto, nel corso di una cerimonia solenne per la presentazione a La Moneda del Piano di sviluppo della Araucanìa, le atrocità commesse per secoli dai cileni sui Mapuche, popolazione nativa della Regione a 670 chilometri a sud di Santiago di cui rivendica il possesso in quanto suo territorio ancestrale. La storia dei Mapuche è quella di una comunità, la più numerosa e tra le più povere e discriminate del Paese, in lotta da centinaia di anni per la difesa del diritto all’autodeterminazione fin dall’arrivo dei conquistadores del 1535, a cui si oppose eroicamente. A fine 800 lo stato cileno occupò i territori indigeni creando insediamenti di coloni tedeschi che imposero una violenta cilenizzazione. Solo piccole aree agricole, inutilizzabili, furono lasciate ai nativi, che con la perdita dell’amata Madre Terra videro minacciato anche il loro antichissimo universo culturale. L’esproprio dei terreni e lo sradicamento della cultura indigena, a cominciare dalla lingua Mapudungun, proseguì per tutto il XX secolo, con la sola eccezione della parentesi democratica della presidenza Allende. Il governo di Unidad Popular varò una riforma agraria che permise alle comunità Mapuche di riappropriarsi di 700.000 ettari di territorio, e promulgò una legge che riconobbe ai nativi non solo la legittima proprietà delle terre ancestrali, ma anche numerosi diritti sociali e culturali, tra cui quelli sanitari e al libero insegnamento della lingua Mapudungun. Ma due anni dopo con il sanguinoso golpe di Pinochet, i diritti acquisiti dal popolo Mapuche furono cancellati. Il dittatore salito al potere chiarì subito che “non esistono popolazioni indigene, siamo tutti Cileni”, e, coerentemente, diede inizio a una violenta repressione. L’esercito distrusse centinaia di villaggi, torturando e uccidendo leader e militanti indios. Tutte le organizzazioni indie che tramandavano forme di vita collettive e di autogoverno furono cancellate. Con le nuove leggi sulla proprietà, che frammentarono ulteriormente i terreni sottraendo alle famiglie le risorse per la sopravvivenza, si colpì di nuovo l’identità dei nativi nel tentativo di cancellarla definitivamente. Alla caduta del regime di Pinochet le comunità Mapuche da oltre 2000 si erano ridotte ad appena 650. Con il ritorno della democrazia, per cui i gruppi indigeni di resistenza avevano attivamente collaborato, la condizione di marginalità e di estrema indigenza del coraggioso popolo Mapuche continuò ad essere inaccettabile. Anche quando i governi democratici si impegnarono per il riconoscimento dei loro diritti, raramente le promesse si tradussero in seri programmi politici. Lo impedirono le fortissime resistenze di gran parte della società, che in perfetta sintonia con l’ideologia pinochettista si è da sempre rifiutata di riconoscere le culture native come componenti fondamentali della storia cilena. La legge antiterrorismo, di cui si servì la dittatura militare per la persecuzione dei democratici e delle minoranze, mai revocata, ancora oggi è il principale strumento di repressione della resistenza indigena: nei decenni scorsi centinaia di indios sono stati uccisi, migliaia arrestati e detenuti illegalmente e in condizioni inumane; altri, processati in base ad accuse di “testimoni” a cui la legge consente di restare anonimi, in seguito sono stati assolti grazie all’impegno di giuristi democratici che ne hanno assunto la difesa. Tutto questo nonostante le proteste di Ong, organizzazioni di tutela dei diritti dei nativi e delle stesse Nazioni Unite.
Più volte l’Alto Commissariato per i Diritti Umani ha condannato le leggi antiterrorismo cilene in quanto strumenti giuridici di repressione contrari ai più elementari diritti universali. Peccato che tutto questo la presidente Bachelet, ancora una volta, ha dimenticato di dirlo. Del resto il personaggio non è nuovo alle amnesie. Anche all’indomani del suo primo mandato elettorale si impegnò a difendere i diritti degli indigeni, guardandosi però bene dall’abrogare le norme antidemocratiche. Spesso la violenza di stato si confonde con quella degli squadroni assoldati dai proprietari terrieri e dai grandi gruppi industriali, molti stranieri, che continuano ad avere il controllo di buona parte dei territori ancestrali strappati ai nativi cinque secoli fa. E, con il tacito assenso dei governi succedutisi nel tempo, seguitano a sfruttare la Madre Terra sotto l’ombrello protettivo del feroce liberismo internazionale, che nelle culture indie, portatrici di valori radicalmente contrari all’ideologia occidentale la condivisione dei beni, l’armonia sociale, il rispetto assoluto per la Terra vede un pericoloso nemico.
Per questo non sorprende che le destre e gli ambienti imprenditoriali cileni hanno accolto male le dichiarazioni della Presidente, e che molti deputati dell’Aracunìa hanno disertato in segno di protesta la cerimonia a La Moneda. La Bachelet ha promesso di inserire nella Costituzione, prima della scadenza del suo mandato, una serie di diritti proposti dal Piano dei popoli Indigeni anche a tutela dei loro territori: risarcimenti per le vittime di violenza, rappresentanza dei Mapuche al Congresso, creazione di un ministero dei popoli indigeni e investimenti per le infrastrutture. Prima però dovrà fare i conti con i veri padroni delPaese. E poiché dichiara di voler tutelare seriamente pure il diritto allo studio gratuito per i nativi, farebbe bene a ricordarsi dell’impegno preso nel 2014 con i giovani cileni sulla riforma dell’istruzione, che se ha consentito negli ultimi due anni l’accesso all’università di 260 mila ragazzi, è ben lontana dal realizzare un ordinamento scolastico gratuito realmente universale come promesso. Gliel’hanno rammentato, il 21 giugno, decine di migliaia di studenti in marcia a Santiago e in altre città cilene. Manterrà il primo presidente donna del Paese almeno gli ultimi impegni solennemente assunti?
E’ in gioco il destino democratico del Cile, e non solo.



Mercoledì 26 Luglio,2017 Ore: 17:14
 
 
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