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www.ildialogo.org QUARTO MANDATO PRESIDENZIALE PER CHÁVEZ. UNA VITTORIA PER IL POPOLO POVERO,da Adista Notizie n. 37 del 20/10/2012

QUARTO MANDATO PRESIDENZIALE PER CHÁVEZ. UNA VITTORIA PER IL POPOLO POVERO

da Adista Notizie n. 37 del 20/10/2012

36884. CARACAS-ADISTA. Per tanta stampa internazionale (a cominciare da quella italiana), le presidenziali venezuelane del 7 ottobre avrebbero dovuto essere, malgrado i sondaggi dicessero tutt’altro, «elezioni al cardiopalma», con i due contendenti separati appena da una manciata di voti: uno, Henrique Capriles Radonsky, il candidato dell’oligarchia, giovane e arrembante («generoso e coraggioso sfidante» lo definisce Pierluigi Battista sul Corriere della Sera del 9/10), l’altro, Hugo Chávez, malato e sul viale del tramonto politico (ma, sempre secondo Battista, spadroneggiante «come un despota»). Ovviamente, non è andata così: se un dubbio c’era rispetto all’esito elettorale, questo riguardava solo l’entità della vittoria del leader bolivariano. E la vittoria è stata netta, con oltre dieci punti di differenza tra Chávez e Capriles: 55,15% contro 44,25%. E con un’affluenza di tutto rispetto: oltre l’80%. Alle presidenziali del 2006, è vero, la distanza dall’avversario (Manuel Rosales) era stata ben più rilevante (62,8% contro 37,2%), ma il numero dei voti pro-Chávez è cresciuto rispetto ad allora, sfondando per la prima volta il muro degli otto milioni (ne aveva presi 7.309.080 nel 2006), contro i poco meno 6 milioni e mezzo dell’opposizione (risultato comunque nettamente migliore rispetto ai 4 milioni e 300mila voti del 2006). E nessuno stavolta (ad eccezione di Gianni Riotta, che su La Stampa dell’8/10 parla di «ombra dei brogli», oltre che di «macchina di mazzette, raccomandazioni e paura») ha potuto agitare lo spettro delle frodi, essendo notoriamente il sistema elettorale venezuelano tra i più avanzati e affidabili del mondo intero (per ammissione dello stesso Centro Carter).

Ancora Chávez, dunque, per la quarta volta e per altri sei anni, fino al 2019 (salute permettendo).

La dignità dei poveri

La frase più bella gliel’ha rivolta la presidente argentina Cristina Kirchner: «Hai arato il terreno, lo hai seminato, lo hai irrigato e ora ti godi il raccolto». Ma è un po’ tutta l’America Latina (con l’ovvia eccezione dei governi filostatunitensi) a festeggiare la vittoria di Chávez – a cui lo scorso maggio, si ricorderà, la stampa internazionale dava due mesi di vita – nella convinzione che in gioco, in queste elezioni, non ci fosse solo la continuità del progetto bolivariano, ma il futuro stesso del processo di integrazione in corso nella “Patria Grande”, di cui il Venezuela è stato il motore principale (v. Adista n. 31/12).

Ben altra aria si respira invece in Europa (e negli Stati Uniti), dove del presidente venezuelano viene solitamente trasmessa solo una grottesca caricatura. Il capo di Stato «senza dubbio più diffamato al mondo» lo definiscono Jean-Luc Mélenchon e Ignacio Ramonet (La Jornada, 5/10), ricordando come, fin dal principio, Chávez si fosse impegnato a lavorare a beneficio dei poveri e come, a differenza di quel che avviene normalmente con le promesse elettorali, abbia «mantenuto la parola», come gli riconoscono i poveri che lo hanno votato e rivotato per 14 volte. Senza entrare nel dettaglio delle ormai celebri missioni sociali, delle nazionalizzazioni, dei risultati ottenuti nei diversi ambiti della riforma agraria, dell’alimentazione, della politica abitativa, delle pensioni, del salario minimo e via dicendo, il governo di Chávez (che Gianni Riotta liquida come «caudillo reduce da 14 anni di malgoverno») dedica, secondo Mélenchon e Ramonet, «il 43,2% del bilancio statale alle politiche sociali», con il risultato che «il tasso di mortalità infantile è stato dimezzato. L’analfabetismo sradicato. Il numero di insegnanti moltiplicato per cinque (da 65mila a 350mila)». Ancora, il Paese «presenta il miglior coefficiente Gini (l’indice che misura il tasso di disuguaglianza) dell’America Latina» e, «nel suo rapporto del gennaio 2012, la Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal) stabilisce che il Venezuela è il Paese sudamericano che, insieme all’Ecuador, ha ottenuto, tra il 1996 e il 2010, la più decisa riduzione del tasso di povertà».

Non solo: l’istituto statunitense Gallup, che certo non può essere tacciato di filochavismo, «presenta il Paese di Hugo Chávez come la sesta nazione più felice del mondo». Si potrebbero ancora menzionare i primi passi verso la creazione di un nuovo tipo di Stato, nel quadro del cosiddetto Socialismo del XXI secolo, attraverso il sostegno a forme, oggi ancora embrionali, di autogoverno popolare. E, infine, il risultato in assoluto più importante: la conquista di una nuova consapevolezza da parte del popolo povero, la coscienza della propria insopprimibile dignità.

Mezzi di disinformazione

E il presunto deficit di democrazia su cui la stampa pone con tanta enfasi l’accento? Se, spesso e volentieri, i media locali e internazionali lamentano la mancanza di libertà di espressione in Venezuela («Chávez ha, come sempre, negato par condicio televisiva al rivale, controllando l’informazione», scrive per esempio Riotta), in realtà l’80% della stampa scritta è nelle mani dell’opposizione, la quale controlla anche 61 canali televisivi su 111, con un audience che supera il 61%.

Ma la cattiva pubblicità assume anche aspetti paradossali. Nel 2008 – ricorda Pascual Serrano (Público, 7/10) – la stampa spagnola dava ampio risalto a un rapporto del gruppo bancario spagnolo BBVA, presentato dinanzi alla Commissione del Mercato dei Valori degli Stati Uniti, sui rischi relativi alla situazione economica venezuelana. Ebbene, sottolinea Serrano, di lì a poco l’esplodere della crisi dei mutui subprime rivelava che era, al contrario, la situazione economica statunitense a destare preoccupazione, proprio «mentre il governo venezuelano destinava 236,7 milioni di dollari a 1.547 progetti socio-produttivi comunitari». E, quattro anni dopo, a collassare non è stata certo l’economia venezuelana, ma quella «del Paese della banca che diffondeva questo rapporto e dei media che diligentemente ne davano notizia».

È la stessa stampa, del resto, sottolinea Serrano, che nel 2007, ai tempi del referendum sulla riforma costituzionale, bocciata per un soffio dagli elettori (l’unica sconfitta subita da Chávez, e serenamente accettata; v. Adista n. 88/07), deplorava la pretesa del leader bolivariano di imporsi come presidente a vita quando in gioco c’era solo la possibilità di ricandidarsi senza limiti di mandato (al di là della sua discutibile opportunità). La stessa stampa che, tra altri innumerevoli esempi, riportava la notizia del divieto della Coca Cola in Venezuela, quando ad essere proibito era appena l’edulcorante ciclammato contenuto nella Coca Cola Zero, peraltro vietato anche negli Usa.

Tanta disinformazione stronca ovviamente ogni possibilità di utili confronti: come sottolinea il politologo spagnolo Juan Carlos Monedero (Público, 9/10), di fronte alla «perdita dello Stato sociale e di diritto sofferta dall’Europa sotto i colpi del modello neoliberista, potrebbe essere interessante sapere come l’America Latina sia passata per la stessa strada 30 anni fa» e come ne sia uscita «attraverso processi costituenti che stanno ponendo le basi di un nuovo patto sociale». Un confronto a cui si richiamava, alla vigilia delle elezioni, anche il gesuita Miguel Matos (Adital, 1/10), mettendo in guardia i sostenitori di Enrique Capriles dal pericolo di «assistere nel nostro Paese allo stesso spettacolo trasmesso dai notiziari di Spagna, Grecia, Cile, Italia», prodotto dall’applicazione delle solite misure, «quelle che cerca ora di imporci il nostro ineffabile Enrique». Un grido di allarme, il suo, accompagnato da un durissimo atto di accusa contro i vertici ecclesiastici, che egli definisce «irresponsabili, complici, antievangelici, anticristiani», perché «loro sì che conoscono bene i pericoli a cui stiamo andando incontro».

E allo stesso modo, dalla Spagna, il teologo Benjamín Forcano, in un articolo significamente intitolato “La rivoluzione bolivariana in sintonia con il Vangelo” (Redes Cristianas, 6/10), poneva l’accento sul «progetto liberatore» portato avanti in Venezuela a favore dei poveri, «di quelli di cui per tanto tempo altre politiche, e oggi la cinica politica neoliberista, non hanno mai voluto neppure sentir parlare».

Contraddizioni di un progetto liberatore

Ma, se i media vedono tutto nero, non si può nemmeno dire che sia tutto bianco. I problemi ci sono, eccome, come ha riconosciuto esplicitamente lo stesso Chávez, impegnandosi a diventare «un presidente migliore in virtù dell’esperienza accumulata»: l’inefficienza dell’apparato burocratico, la corruzione dilagante, la violenza (il tasso di omicidi per 100mila abitanti è passato da 6 nel 1989 a 44 nel 2009). O problemi che, sottolinea il politologo Iván Miranda, «colpiscono direttamente la media, come i blackout elettrici causati dalla crisi energetica nel Paese, la criminalità, l’inflazione e le carenze del sistema sanitario».

Ma anche contraddizioni più profonde: se, come segnala Aldo Zanchetta nel numero 27 del Mininotiziario America Latina dal basso (www.kanankil.it/aldozanchetta@gmail.com), «il famoso socialismo del XXI secolo è ancora una nebulosa», un motivo di forte preoccupazione viene dalla «crescente marginalizzazione, all’interno del PSUV, il partito sostenitore di Chávez, della componente più democratica, favorevole alla diffusione verso il basso del potere nell’economia e nella politica, e ciò a tutto vantaggio della componente burocratico-militare», la quale «ha portato nel tempo all’allontanamento di figure di rilievo e di certa fede progressista», come l’ex ministro del commercio Eduardo Samán, avversario tra i più decisi delle oligarchie nazionali e del grande capitale. (claudia fanti)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Sabato 20 Ottobre,2012 Ore: 15:29
 
 
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