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www.ildialogo.org «NESSUN GOLPE»: ANCHE IN PARAGUAY L’ISTITUZIONE ECCLESIASTICA NON SI SMENTISCE,di Adista Notizie n. 26 del 07/07/2012

«NESSUN GOLPE»: ANCHE IN PARAGUAY L’ISTITUZIONE ECCLESIASTICA NON SI SMENTISCE

di Adista Notizie n. 26 del 07/07/2012

36772. ASUNCIÓN-ADISTA. I golpisti, in America Latina, si sono fatti più furbi. Sanno bene, oggi, quali strade seguire, nascondendosi dietro i rispettivi congressi e salvando quanto più possibile le apparenze istituzionali. Ad inaugurare il nuovo corso è stata l’oligarchia honduregna (opportunamente spalleggiata dagli Stati Uniti), anche se con qualche sbavatura, come per esempio quella di permettere ai militari di prelevare il presidente Manuel Zelaya in pigiama, di notte, e di condurlo fuori dal Paese. Ma dimostrando in fondo che il golpe paga: dopo tanto protestare, i governi latinoamericani hanno finito per riconoscere il governo di Porfirio Lobo, sorto dalla frode elettorale disposta dai golpisti. Ed è così che i responsabili del colpo di Stato, invece di finire in galera, si sono ripresi il potere e se lo sono tenuto.

In Paraguay, però, sono stati ancora più bravi: la destituzione del presidente Fernando Lugo – decisa dal Senato, il 22 giugno scorso, con 39 voti contro 4 (v. Adista Notizie n. 25/12) – è avvenuta secondo il procedimento previsto dalla Costituzione, salvando quindi la forma. Ma calpestando senza riguardo la sostanza: quella dell’infondatezza delle motivazioni e della rapidità lampo (30 ore appena) in cui si è svolto tutto, senza garantire a Lugo la reale possibilità di difendersi dall’accusa di cattivo adempimento delle sue funzioni, lanciata in seguito al massacro di Curuguaty in cui hanno perso la vita 11 contadini e 6 poliziotti (massacro addebitato dalle destre all’incapacità del presidente di difendere adeguatamente il sacro diritto alla proprietà, ma in realtà riconducibile ad un preciso disegno di destabilizzazione da parte dell’oligarchia; v. Adista Notizie n. 25/12). E ciò a dimostrazione di come il processo di impeachment fosse in realtà preparato da lungo tempo e di come bastasse appena un pretesto per metterlo in pratica, a dispetto della presenza ad Asunción dei ministri degli Esteri dell’Unasur (l’Unione delle Nazioni Sudamericane) e delle manifestazioni in appoggio a Lugo. Il quale, in realtà, ha molto da rimproverarsi riguardo alla sua gestione presidenziale, avendo speso le sue energie, come opportunamente segnala, tra gli altri, il sociologo Atilio Borón, a fare una concessione dopo l’altra a una destra che non ha mai rinunciato all’idea di rovesciarlo, anziché cercare il sostegno del popolo che lo aveva votato, accogliendone le rivendicazioni storiche (a cominciare da quella di una più che indispensabile riforma agraria). Così come su tale sostegno non ha fatto leva neppure dopo la destituzione, accettando passivamente – in maniera ben diversa dalla strenua resistenza opposta in Honduras dal presidente Zelaya – la sentenza del Congresso (in tal modo scoraggiando la possibile reazione dei suoi sostenitori), e accennando ad atti di resistenza solo a giochi ormai fatti.

In attesa che le elezioni – che si svolgano nell’aprile del 2013, quando sarebbe scaduto il mandato di Lugo, o che vengano anticipate per far fronte alle condanne internazionali, ma in un caso come nell’altro ora facilmente controllabili dall’oligarchia – rimettano le cose “a posto” esattamente come è avvenuto in Honduras, a esercitare la presidenza del Paese è il vicepresidente Federico Franco, del Partido Liberal, il quale, nell’immediato, si suppone che non avrà proprio una vita facile. Il 24 giugno, infatti, è scattata la sospensione del Paraguay dal Mercosur (il Mercato comune del Cono Sur, di cui fanno parte anche Brasile, Argentina e Uruguay), e un analogo provvedimento, a meno che le resistenze di Cile e Colombia non si rivelino decisive, verrà con tutta probabilità adottato dall’Unasur, che, già prima della sentenza del Congresso, aveva parlato della «minaccia di rottura dell’ordine democratico», per il mancato rispetto delle garanzie «procedurali e democratiche» previste dalla Costituzione.

Come già avvenuto con il golpe in Honduras, anche stavolta, insomma, i Paesi latinoamericani hanno fatto la voce grossa, timorosi di possibili contagi (soprattutto in Bolivia, dove la sollevazione di alcuni gruppi di poliziotti è stata definita da Evo Morales come un tentativo di golpe). Quanto avvenuto va oltre il presidente Lugo, ha detto per esempio Cristina Kirchner (molto più decisa, è sembrato, della brasiliana Dilma Rousseff): «È un attacco alle istituzioni che richiama situazioni di un passato che pensavamo totalmente superato». E il presidente Hugo Chávez ha annunciato la sospensione del rifornimento di petrolio al Paraguay (che è pari alla metà di tutto il petrolio consumato dal Paese): prima sanzione commerciale decisa contro il governo di Federico Franco.

Ma proprio come dimostra il precedente honduregno – quell’accordo firmato nel maggio del 2011 tra Zelaya e Lobo, con la mediazione di Hugo Chávez e del colombiano Juan Manuel Santos e sotto l’attenta regia degli Stati Uniti, che ha portato alla riammissione dell’Honduras nell’Oea (Organizzazione degli Stati Americani) e con essa alla legittimazione del regime a livello internazionale – non c’è da farsi troppe illusioni sulla fermezza che mostreranno a lungo termine i Paesi latinoamericani. E intanto Federico Franco ha già ricevuto tre visite importanti: quella scontata dell’ambasciatore Usa James H. Thessin (delle relazioni più che amichevoli di Franco con l’ambasciata Usa riferisce con estrema chiarezza Wikileaks), quella dell’ambasciatore tedesco Claude Robert Ellner e quella, prima in assoluto, del nunzio apostolico Eliseo Ariotti, che poi ha celebrato una messa in cattedrale alla presenza del nuovo e illegittimo presidente. Da che parte stesse l’istituzione ecclesiastica – la quale dal fallito golpe in Venezuela nel 2002 al riuscito colpo di Stato in Honduras, sembra mostrarsi decisamente a proprio agio con i golpisti – era risultato chiaro già di fronte alle pressioni esercitate su Lugo dalla Conferenza episcopale, perché rinunciasse ancor prima del “giudizio politico”. Ma ci ha pensato poi il presidente dell’episcopato mons. Claudio Giménez a mettere il carico da novanta: «Normalmente – ha detto –, quando un’impresa va male, ne è responsabile in ultima istanza l’amministratore. In questo caso, se la sicurezza è venuta meno, è il potere esecutivo il responsabile ultimo». E come prima di lui l’arcivescovo filo golpista di Tegucigalpa, il card. Oscar Rodríguez Maradiaga, anche Giménez si è affrettato a scartare ogni ipotesi di golpe: «Non c’è alcun dubbio che si sia proceduto nel rispetto della Costituzione».

Diversi dagli accenti della Conferenza episcopale (con la solita esortazione «alla pacificazione e alla salvaguardia della vita umana come valore supremo», l’invito ad un rigoroso rispetto della Costituzione, l’appello alla prudenza e all’equilibrio), sono apparsi quelli della Conferenza dei Religiosi, secondo cui il pur costituzionale procedimento di impeachment è stato condotto in modo tale da destare «fondati sospetti di manipolazione», «compromettendo gravemente» il processo democratico. È sorprendente, commentano i religiosi, come proprio gli screditati e corrotti parlamentari si siano eretti «a giudici assoluti, presentandosi come difensori della Patria». E c’è anche una voce fuori dal coro all’interno dell’episcopato: quella di mons. Mario Melanio Medina, vescovo di Misiones y Ñeembucú, che ha definito «golpe parlamentare» la decisione del Senato di destituire il presidente, motivandola con l’impegno di Lugo a favore dei poveri e dell’equità sociale. (claudia fanti)

Articolo tratto da
ADISTA
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Giovedì 05 Luglio,2012 Ore: 20:11
 
 
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