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www.ildialogo.org ORE CONTATE PER IL PRESIDENTE LUGO? IN PARAGUAY SI PROFILA UN GOLPE ISTITUZIONALE,di Adista Notizie n. 25 del 30/06/2012

ORE CONTATE PER IL PRESIDENTE LUGO? IN PARAGUAY SI PROFILA UN GOLPE ISTITUZIONALE

di Adista Notizie n. 25 del 30/06/2012

36766. ASUNCIÓN-ADISTA. Il tanto temuto “golpe istituzionale” pare stia diventando realtà in Paraguay. Con 76 voti a favore e uno contro, il Congresso, grazie a un accordo bipartisan tra il Partido Colorado (per 61 anni ininterrottamente al potere, 35 dei quali trascorsi sotto la feroce dittatura del generale Alfredo Stroessner) e il Partido Liberal (fino a quel momento parte della coalizione di governo), ha infatti deciso di porre il presidente Fernando Lugo in stato di accusa, in risposta al più tragico caso di conflitto per la terra registrato nella storia del Paese, il massacro avvenuto a Curuguaty, nel dipartimento di Canindeyú (vicino alla frontiera con il Brasile), il 15 giugno scorso, con il bilancio di 17 morti – 11 contadini e 6 poliziotti – e di decine di feriti. Meno di 24 ore di tempo sono state concesse al presidente per preparare la sua difesa nel processo di impeachment, il cui verdetto verrà reso pubblico già questo venerdì 22 giugno.

Impossibile non pensare ad una riedizione dei fatti honduregni (v. Adista nn. 83, 100, 105, 114 e 126/09), a conferma di quanto fosse fondato l’allarme lanciato a suo tempo dal presidente deposto Manuel Zelaya, oltre che dai movimenti sociali dell’intero subcontinente latinoamericano, sul rischio che lo “schema Honduras” potesse far scuola. La modalità seguita dall’oligarchia paraguayana – e tentata del resto già in passato, immediatamente dopo il colpo di Stato honduregno (v. Adista n. 117/09) – è infatti, proprio come avvenuto con successo in Honduras, quella di far leva su un Congresso controllato dalla destra per destituire Lugo, a nove mesi dalla naturale scadenza del mandato, e sostituirlo con il suo vice, il reazionario Federico Franco (evitando magari gli errori commessi nel Paese centroamericano, a cominciare da quello di prelevare il presidente in pigiama di notte per condurlo in un altro Paese).

Ed, esattamente come in Honduras, l’istituzione ecclesiatica ha capito esattamente da che parte stare: incontrando Lugo il 21 giugno, il presidente e il vicepresidente della Conferenza episcopale paraguayana, mons. Adalberto Martínez e mons. Edmundo Valenzuela, lo hanno sollecitato a presentare la propria rinuncia, per evitare così possibili esplosioni di violenza. «Consideriamo – ha dichiarato Valenzuela in conferenza stampa – che esiste un bene maggiore, che è la pace, la tranquillità, l’ordine costituzionale, e un male che bisogna evitare, che è dato dalla violenza e dallo spargimento di sangue».

Ma di rinunciare Lugo non ha voluto saperne, dichiarando di essere pronto ad affrontare il giudizio politico e appellandosi al popolo, nel suo discorso a reti unificate, affinché non permetta che venga interrotto il processo democratico e sociale avviato il 20 aprile del 2008. E da tutti i dipartimenti del Paraguay sono infatti in viaggio verso la capitale migliaia di contadini, allo scopo di sostenere il presidente, il quale ha anche ricevuto l’appoggio dei ministri degli Esteri dell’Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane), giunti ad Asunción il 21 sera, direttamente dalla Conferenza per lo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro, per una riunione di emergenza sul tema della crisi paraguayana.

La legge del latifondo

Che il massacro di Curuguaty – addebitato dall’oligarchia all’incapacità di Lugo di assicurare un’adeguata difesa del sacro diritto alla proprietà privata – vada ricondotto ad un preciso disegno di destabilizzazione da parte delle destre è persino superfluo rimarcarlo, di fronte all’infondatezza della versione della polizia, ampiamente rilanciata dai mezzi di comunicazione, in base alla quale un gruppo di agenti incaricato dello sgombero di un’occupazione di senza terra nella proprietà di Blas Riquelme – imprenditore immensamente arricchitosi all’ombra della dittatura –, sarebbe stato ricevuto a colpi di armi da fuoco da contadini armati fino ai denti. In realtà, sulla base di quanto è stato ricostruito dalle organizzazioni popolari e dai familiari delle vittime, e ribadito poi dal capo del gabinetto presidenziale Miguel López Perito, sarebbero state persone estranee all’organizzazione contadina a provocare lo scontro con gli agenti del Geo (Gruppo Speciale di Operazioni della polizia nazionale, i cui membri sono stati in maggioranza addestrati in Colombia sotto il governo di Álvaro Uribe), allo scopo di scatenare una crisi politica.

Crisi che il presidente ha cercato di tamponare con la nomina come nuovo ministro degli Interni, al posto del destituito Carlos Filizzola, del rappresentante del Partido Colorado Rubén Candia Amarilla, ex procuratore generale con precedenti ben poco rassicuranti sul fronte della persecuzione della lotta sociale e del sostegno ai repressori del regime di Stroessner. Una misura, questa, che tuttavia non ha prodotto altro risultato che quello di irritare il Partido Liberal, inducendolo infine a voltare le spalle a Lugo, e di creare indignazione tra la base elettorale del presidente.

Il nuovo ministro, infatti, non ha perso un minuto di tempo, annunciando subito l’eliminazione di quel Protocollo che obbligava la polizia a stabilire un dialogo con gli occupanti prima di procedere allo sgombero, dando così il via libera all’impiego diretto della forza in difesa della proprietà privata. Compresa quella di coloro che hanno beneficiato dell’illegale distribuzione di terre, dette per questo “malhabitas” – quasi sette milioni di ettari, pari a circa il 19% della superficie di tutto il Paese, secondo il rapporto della Commisione di Verità e Giustizia del Paraguay – operata dal regime di Stroessner a favore di militari ed esponenti dell’alta borghesia. Come, per l’appunto, Blas Riquelme, o come il brasiliano naturalizzato paraguayano Tranquilo Favero, esponente di punta dei cosiddetti brasiguayos, i ricchi produttori di soia del Brasile insediatisi negli ultimi 40 anni nelle terre più fertili del Paese, e convinto sostenitore della necessità della repressione nei confronti di contadini “ignoranti”: «La Diplomazia – per citare una delle sue perle di saggezza – si può usare con persone colte. È noto il detto popolare: la donna del malandrino obbedisce solo al bastone. Le persone con cui abbiamo a che fare sono così ignoranti che la diplomazia non risolve niente».

Sulla natura del massacro, peraltro, non aveva avuto alcun dubbio Martín Alamada, il più prestigioso difensore dei diritti umani del Paese, il quale aveva subito ricondotto quanto accaduto a una precisa strategia dei latifondisti: «Vogliono che Lugo cada. Il latifondo e i grandi produttori di soia brasiliani non vogliono che il presidente riesca a concludere il suo mandato, nel 2013» (Carta Maior, 18/6).

Importa poco che Lugo – primo vescovo in America Latina, se non nel mondo, ad assumere la presidenza di uno Stato (prima che il Vaticano si decidesse a restituirlo allo stato laicale; v. Adista nn. 3, 19/07, 35 e 60/08) – si sia rivelato del tutto incapace di intaccare strutture di potere consolidate da decenni: basta e avanza all’opposizione il timore che le sue pur timide aperture possano creare le condizioni di una crescita della sinistra nel Paese.

Votato principalmente dai contadini, con i quali si era impegnato a promuovere la riforma agraria e a risolvere il problema delle terre “malhabitas” in un Paese in cui l’80% della terra è in mano al 2% della popolazione, Lugo non si è di certo mostrato all’altezza delle aspettative che aveva suscitato la sua elezione nel 2008 (analogamente a quanto avvenuto in diversi altri Paesi guidati da governi cosiddetti progressisti), provocando un crescente malessere tra le organizzazioni popolari: «Abbiamo smesso di credere al presidente: non sta tenendo fede alle sue promesse», ha affermato Damasio Quiroga, del Movimiento Campesino Paraguayo (Página12, 18/6), denunciando in particolare la nomina di «personaggi corrotti e con cattivi precedenti», a cominciare proprio da quella del nuovo ministro dell’Interno. Tuttavia, di fronte al tentativo delle destre di rovesciare il governo Lugo, il movimento popolare è ben deciso a difendere la continuità del processo democratico faticosamente avviato nel Paese con l’elezione di Lugo. (claudia fanti)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Mercoledì 27 Giugno,2012 Ore: 20:05
 
 
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