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www.ildialogo.org LA SVOLTA DEL SUDAN DOPO LA FINE DELLE SANZIONI USA, LA STRATEGIA DEI DUE FORNI,DI GIANNI BALLARINI, REDATTORE DI NIGRIZIA, FEBBAIO 2018, A CURA DI CARLO CASTELLINI.

LA SVOLTA DEL SUDAN DOPO LA FINE DELLE SANZIONI USA, LA STRATEGIA DEI DUE FORNI

DI GIANNI BALLARINI, REDATTORE DI NIGRIZIA, FEBBAIO 2018, A CURA DI CARLO CASTELLINI.

LA SITUAZIONE OGGI.
Khartoum ha gravi problemi di tenuta interna e di tensione con i vicini regionali. Ma a livello internazionale sta capitalizzando la sua rendita di posizione. E' diventato un paese cruciale per molti interlocutori, anche in competizione tra loro. Oltre alla Cina con la Russia e la Turchia.
L'ANNO DELLA SVOLTA.
Il 2017 ha segnato un cambiamento per il Sudan. Finiti i vent'anni di quarantena imposta dalle sanzioni americane, il paese sta riscoprendo un dinamismo politico e diplomatico, ambito da molti governi. Anche occidentali. Sta capitalizzando la sua rendita di posizione, cerniera tra l'Africa medio-orientale e Africa Subsahariana, in virtù della sua centralità strategica per migrazioni e terrorismo. Una spinta decisiva gliel'hanno data gli STATI UNITI che a ottobre, dopo 16 mesi di trattative, hanno posto fine alle sanzioni imposte durane al seconda amministrazione CLINTON. E a novembre, in occasione della sua visita a KHARTOUM, il vice segretario di stato americano JHON SULLIVAN, si è pure spinto ad aprire una breccia sulla possibilità di rimuovere il Sudan dalla black-list dei paesi sponsor del terrorismo.
Chiuso il ciclo delle manette economiche, il regime ha così ritrovato una libertà di movimento, che non ha portato tuttavia, benefici concreti (anzi) alla popolazione sudanese. Il vero volto del potere è quello della brutale repressione delle RIVOLTE DEL PANE, scoppiate il 5 gennaio per l'imponente aumento del COSTO DELLA VITA.
Un regime sdoganato a livello internazionale, ma che resta allergico al dissenso domestico, chiusi 6 quotidiani e arrestati diversi leader dell'opposizione. La fine dell'ostracismo inernazionale ha reso flebile all'estero l'eco delle violenze e perfino della condanna, ancora in essere, del presidente-dittatore OMAR HASSAN EL-BASHIR per genocidio e crimini di guerra da parte della CORTE PENALE INTERNAZIONALE. Gira impunito per il mondo a stringere mani e a firmare accordi.
BILANCIO FALLIMENTARE.
La grammatica e la sintassi geo-politica talvolta sono difficili da decifrare. Soprattutto se l'attore principale in scena è il SUDAN: un TITANIC che sta navigando in acque perigliose. E' il secondo paese africano più pesantemente indebitato (50 miliardi di dollari): un bilancio che soffre terribilmente la riduzione (due terzi) delle entrate petroliferre, dopo la SECESSIONE DEL SUD; un'inflazione al 25% e una svalutazione della moneta passata da 7,08 sterline sudanesi per 1 dollaro del gennaio 2017 alle 18,76 di inizio 2018 (ma al mercato nero 1 dollaro viene scambiato anche a 28 sterline).
Misure, compreso il taglio delle sovvenzioni statali, imposte dal FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE e dalla BANCA MONDIALE al fine di concedere ulteriori prestiti al paese. Lo sdoganamento occidentale consente a KHARTOUM, però, di battere cassa su più tavoli. Se ad agosto il paese ha accolto la visita del vicepresidente cinese ZHANG GAOLI e se a ottobre c'è stato il sostanzioso taglio delle sanzioni americane, a novembre EL-BASHIR si è recato per la prima volta in RUSSIA, e a dicembre ha accolto la prima visita ufficiale dal 1956, (anno dell'indipedenza), in Sudan, di un premier turco. Un'azione diplomatica, quella del regime, che ha interessato l'Europa, pronta a sostenere il SUDAN se indossa i panni del gendarme contro i migranti. Un accresciuto dinamismo che mostra però, palesi contraddizioni. Solo apparenti in realtà. Nascondono infatti una consumata abilità politica di KHARTOUM: servirsi cinicamente al tavolo dove le conviene di più. Un tempo si chiamava POLITICA DEI DUE FORNI.
L'abbraccio con Mosca e il patto di ferro con la Turchia, ne sono due esempi.
ARMI E NUCLEARE DALLA RUSSIA.
A SOCHI il 23 novembre dopo aver stretto la mano a VLADIMIR PUTIN, EL BASHIR ha dichiarato:”Siamo contrari alle interferenze americane negli affari interni dei Paesi arabi”. Non solo. Ha precisato che “il suo paese ha bisogno di essere difeso dalle azioni aggressive degli Stati Uniti”, che ha intenzione di dividere il Sudan in 5 stati, dopo avere alimentato la secessione di JUBA. Dichiarazioni pronunciate a poche settimane dalla fine della quarantena americana e che hanno colto con la guardia abbassata l'amministrazione TRUMP. A SOCHI EL BASHIR si è gettato a corpo morto nelle braccia dello zar, ringraziandolo per aver sempre difeso internazionalme il SUDAN e pomettendogli non solo di arricchire la sua industria bellica, ma di lasciargli via libera per la costruzione di una base militare sul MAR ROSSO e perfino di una centrale nucleare. Notizia quest'ultima passata sotto silenzio. Ma è un progetto serio: il 19 dicembre, a KHARTOUM, si sono presentati i vertici di ROSATOM, la compagnia energetica russa,“per colloqui sull'utilizzo pacifico dell'energia atomica”. E un primo accordo è stato firmato tre giorni dopo. Il progetto dovrebbe prendere il via entro il 2018.
L'alleanza sudanese con Mosca risale ai tempi dell'indipendenza. Ed è sempre stata cementata con le armi. “La maggior parte dell'arsenale in dotazione all'esercito sudanese, è di fabbricazione sovietica. Molte armi sono state acquistate negli anni '60 e il fatto che siano ancora in uso dimostra la loro qualità”. Parole di ABDERRAHMANE AL-HADJ, rappresentante dell'indusria bellica sudanese, pronunciate a febbraio 2017 all'agenzia di stampa russa RIA NOVOSTI. Nell'intervista AL-HADJ già preannunciava la richiesta sudanese di nuove forniture di armi a Mosca. Richiesta giunta dopo la firma dell'accordo tra i due paesi, nel settembre del 2016, per l'acquisto di 150 carrarmati T-72 che sarebbero andati ad aggiungesi ai 300 T-54 e T-55 già in dotazione alle forze armate sudanesi e costruiti dall'URSS tra gli anni '/ '70-80.
Ad aprile 2017 poi, sempre RIA NOVOSTI informava che il Sudan avebbe acquistato un numero imprecisato (ma almeno una qindicina) di nuovi aerei di caccia russi SUKHOI SU-35, jet da guerra che armano tuttora le aviazioni di 15 paesi sub sahariani. Acquisti confermati a SOCHI, dove EL BASHIR non ha chiesto solamente SU-35, ma anche SU-30. La giustificazione del presidente- dittatore per questa scorpacciata bellica è stata:”Non abbiamo alcuna intenzione di subire aggressioni dall'estero”.
I GIOCHI TURCHI.
E di sistemi di difesa EL BASHIR ne ha parlato anche co RECEP TAYYIP ERDOGAN, il presidente turco in visita a KHARTOUM, dal 24 al 26 dicembre. Un incontro che ha destabilizzato gli equilibri dell'area, scossa da continui sismi geo-politici che ne stanno componendo e ricomponendo il profilo. Il “sultano” da anni sta lavorando a suon di costruzioni di basi militari, infrastrutture e progetti di cooperazione di difesa. E' giunto a KHARTOUM per definire l'ennesima casella quella del MAR ROSSO; ha ottenuto dal Sudan l'affitto dell'isola di SUAKIN, che si trova proprio davanti all'Arabia Saudita, non lontano da EGITTO, YEMEN, e dalle rotte petrolifere. L'antico porto ottomano è un luogo evocativo per le reminiscenze imperiali, appoggiato da ERDOGAN: storica base di transito per i pellegrini turchi diretti alla Mecca. L'obiettivo ora è quello di ripristinare il molo per renderlo accessibile a navi militari e civili turche.
Con il MEDITERRANEO in ridefinizione e ANKARA ormai ponte dell'asse RUSSIA-IRAN, è tutto fuorchè rassicurante la presenza turca a SUAKIN. In particolare per l'EGITTO, che teme per la sicurezza del CANALE DI SUEZ, e per la presenza militare, a poche miglia, di militari di un paese con cui ha forti tensioni dal 2013, anno della deposizione del presidente MORSI, affiliato ai FRATELLI MUSSULMANI, e appoggiato da ERDOGAN.
L'accordo sull'isola di SUAKIN ha alimentato ulteriori nervosismi tra Egitto e Sudan, i cui rapporti sono già in fibrillazione per l'uso delle acque del Nilo (Khartoum si è schierata con Addis Abeba sulla controversa costruzione della Grande Diga del rinascimento etiopico) e per la riaccesa disputa sul Triangolo di Hala'ib, territorio di confine amministrato dal Cairo, ma rivendicato dal Sudan.
Rassicurazioni, carezze politiche. Ma la strategia dei due forni sudanese non dovrebbe rasserenare del tutto Riyadh. (GIANNI BALLARINI, REDATTORE DI NIGRIZIA, a cura di Carlo Castellini).



Venerdì 09 Marzo,2018 Ore: 15:02
 
 
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