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www.ildialogo.org È QUESTA L’INDIPENDENZA?,di Daniela Zini

È QUESTA L’INDIPENDENZA?

di Daniela Zini

bambini Congo
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha festeggiato, lo scorso 30 giugno, mezzo secolo di indipendenza.
Una celebrazione sfarzosa per una popolazione che non è mai stata così povera.
Generalmente, quando un paese ex-colonizzato festeggia l’anniversario della sua indipendenza, celebra le realizzazioni compiute in termini di edificazione di strutture politiche, di costruzione di infrastrutture e di sviluppo economico e sociale.
Dobbiamo avere il coraggio di porci la domanda:
“Dispiegando un tale sfarzo, che cosa ha celebrato la Repubblica Democratica del Congo, il 30 giugno?
L’indipendenza?”
Dobbiamo avere il coraggio anche di parlarne.
Il quotidiano congolese Le Potentiel ha appena sfiorato la questione, il 29 giugno, nel suo editoriale:
“Uscito dall’umiliante schiavitù colonialista, il congolese sempre più povero non vivrebbe sotto la dominazione arrogante di compatrioti sempre più ricchi?”
Il problema del congolese ora è molto più grave della semplice “dominazione arrogante di compatrioti sempre più ricchi”. In tutta onestà, se questo congolese guardasse, oggi, dietro di sé per valutare questo mezzo secolo di indipendenza, non avrebbe molto da celebrare.
Per schematizzare all’estremo, diciamo che mezzo secolo di indipendenza si divide in tre fasi distinte, una più rovinosa dell’altra:
-         prima fase: 1960-1965. Alla proclamazione dell’indipendenza, il 30 giugno 1960, l’ex-colonia belga precipita in una sanguinosa guerra civile, che durerà cinque anni e farà mezzo milione di morti.
-         seconda fase: 1965-1997. Il generale Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga (letteralmente “Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo”) finisce con l’imporsi come unico depositario del potere, nel 1965. Ha l’occasione di entrare nella storia dalla porta principale, costruendo il paese. La natura è dalla sua parte perché ha dotato il Congo di riserve minerarie tali da indurre gli economisti a parlare di “scandalo geologico”. Mobutu fallisce l’occasione facendo man bassa delle favolose ricchezze del paese, distribuendo briciole per acquisire le “lealtà” necessarie alla stabilità del suo regime. Tutto il resto va a rimpinguare i suoi conti in Svizzera, in Francia, in Belgio e Dio sa dove. Nei trentadue anni di regno, è difficile citare una sola realizzazione a favore del popolo. Lo Zaire di Mobutu ha vissuto più di tre decenni con il paradosso vergognoso di paese più ricco dell’Africa, in termini di risorse minerarie, ma tra i più poveri, in termini di infrastrutture economico-sociali e di reddito pro capite. A dispetto del carattere estremamente “deleterio” del regime politico, Mobutu beneficia della benevolenza delle grandi potenze perché ha saputo, nel contesto della guerra fredda, imporsi come “difensore dell’Occidente” in Africa e nemico dei regimi pro-sovietici africani. Con la fine della guerra fredda, lo Zaire perde ogni valore strategico e Mobutu è abbandonato dai suoi protettori di ieri, ciò che facilita grandemente il compito dell’Alliance des forces démocratiques pour la libération, guidata da Laurent Désiré Kabila, che mette fine, nel maggio del 1997, a un regime che ha succhiato il sangue al paese.
-         terza fase: 1997 fino a oggi. Laurent Désiré Kabila non ha il tempo per far regnare la pace e di iniziare un processo di sviluppo che tarda a esplodere. È assassinato, il 16 gennaio 2001, ed è suo figlio a sostituirlo. Lo Zaire, divenuto, nel frattempo, Repubblica Democratica del Congo (RDC), non conosce alcuna tregua. Le ribellioni e le guerre si succedono a ritmo infernale. I morti si contano a milioni. Le donne stuprate a centinaia di migliaia e i bambini arruolati a forza nella guerra a migliaia. Le guerre non-stop mietono il numero maggiore di vittime dalla seconda guerra mondiale e i 20.000 soldati del MONUC (Mission de l’Organisation des Nations Unies en République Démocratique du Congo), sopraffatti dalle proporzioni della violenza, non possono fare molto per arrestare la carneficina.
Tale è, in breve, lo stato di un paese dove, dopo mezzo secolo di indipendenza i due terzi dei 60 milioni dei suoi abitanti vivono sempre con un dollaro al giorno, nonostante le favolose ricchezze minerariedi cui dispongono.
Tale è lo stato di un paese che ha scelto di festeggiare sfarzosamente mezzo secolo di indipendenza.
L’indipendenza nella Repubblica Democratica del Congo, oggi, è tutto salvo una realtà sul terreno.
E se indipendenza significa benessere del popolo liberato dal giogo del colonialismo, resta alla Repubblica Democratica del Congo una semplice idea che attende da cinquanta anni di concretizzarsi.
Daniela Zini
Copyright © 2010 ADZ


Mercoledì 07 Luglio,2010 Ore: 21:10
 
 
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