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www.ildialogo.org Una spirale da spezzare,di Gian Mario Gillio

Una spirale da spezzare

di Gian Mario Gillio

Roma (NEV), 21 novembre 2012 - Sull'attuale conflitto tra Israele e Palestina proponiamo in anteprima l'editoriale di Gian Mario Gillio che verrà pubblicato sul prossimo numero del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi “Riforma” (www.riforma.it). L’autore è direttore del mensile di fede, politica e vita quotidiana “Confronti”.

Tel Aviv: “Ha un’arma?”, mi chiesero facendo passare il metal detector sul mio corpo. Entravo in un bar per prendere un caffè, in occasione di un seminario itinerante promosso dalla rivista Confronti. Perché chiedermi se ero armato? Ero appena sceso dall’autobus. Poi è giunta la notizia di un attentato avvenuto a pochi isolati da noi. In quel preciso istante ho capito quanto la paura per gli attacchi terroristici sia profondamente radicata nella società israeliana.

In quella Terra “Santa” e martoriata da oltre sessant’anni di conflitto, gran parte della popolazione israeliana sogna una pacifica convivenza tra i due popoli, i refusnik – obiettori di coscienza al servizio militare – aumentano anno dopo anno. I palestinesi – in maggioranza – si dichiarano disponibili al dialogo malgrado la costruzione del muro di separazione che avanza inesorabile inglobando terreni palestinesi e isolando piccoli villaggi, così come prosegue la costruzione di nuovi insediamenti israeliani a Gerusalemme Est. C’è una gran parte della società civile che sogna la pace e poi ci sono le scelte portate avanti dal governo israeliano e dalle Autorità palestinesi.

Le bombe che in questi giorni colpiscono Gaza riportano alla mente i fatti del 2008. La delegazione di Confronti decise di non avvicinarsi alla Striscia: era troppo pericoloso. Allora come oggi la dinamica dei fatti è la stessa: i missili Qassam lanciati da Gaza provocano la reazione israeliana che con i suoi armamenti, tecnologicamente e decisamente più avanzati di quelli palestinesi, risponde bombardando in modo “mirato”. I missili, sia da una parte che dall’altra, colpiscono però inevitabilmente chi non ha colpe: la società civile, le donne e i bambini. Una strage.

Hamas, filiale palestinese della fratellanza musulmana, oggi come allora e a intermittenza, da Gaza (365 chilometri quadrati con oltre un milione e mezzo di abitanti) colpisce Sderot, Ashkelon, Ashdod e altri insediamenti israeliani fino a quando il governo israeliano non decide di reagire per “dare una lezione” a Hamas. L’appuntamento elettorale di fine gennaio 2013 alla Knesset potrebbe aver spinto in questo caso Netanyahu a giocare proprio ora la carta militare per compattare il fronte interno e arrivare alle elezioni in posizione privilegiata.

Gaza, oggi come allora, è una prigione a cielo aperto per la popolazione palestinese e questo da quando venne presa la decisione unilaterale da parte di Sharon, nell’agosto del 2005, di rimuovere tutti gli abitanti israeliani dalla Striscia, sgomberandone gli insediamenti, generando, di fatto, un non luogo dove il rancore ha visto la sua naturale evoluzione e favorendo così tra Hamas e gli Hezbollah nuovi collegamenti e alleanze.

Le rivolte dei paesi arabi e la caduta di molti regimi come quello libico di Gheddafi e di Mubarak e l’attuale situazione siriana hanno cambiato gli scenari geopolitici dell’area mediorientale. L’Egitto, con l’elezione del suo nuovo leader Morsi, oggi si pone come interlocutore privilegiato per risolvere il conflitto. La situazione siriana, in parte oscurata dai media, è percepita dal governo israeliano “estremamente pericolosa” per le implicazioni politico-militari connesse all’Iran, che, come ben sappiamo, non perde mai occasione per ribadire la propria atavica avversione nei confronti di Israele.

Gli esperti di geopolitica, in questi giorni, propongono le loro analisi su questi nuovi scenari, che vanno certamente tenuti in considerazione. Oggi, come avvenne nel 2008, contiamo i numeri delle vittime di questo nuovo conflitto. Donne e bambini straziati dalle bombe vengono ritratti dai TG e la spettacolarizzazione della guerra segue, purtroppo, il suo corso. Irrita altresì la mancanza di pudore e l’impunità di alcune dichiarazioni tese a legittimare la guerra. Che da una parte o dall’altra della barricata non potrà mai trovare legittimazione.

Come se non bastasse, la sede giornalistica di Gaza è stata rasa al suolo e ciò rende difficile poter avere notizie dirette. Il presidente americano Obama, spesso in contrapposizione con il premier israeliano, chiede ancora una volta la pace, ma di fatto in questi anni ha sempre accettato l’intransigenza di Netanyahu. Tra schizofrenie e equilibrismi l’Unione europea, pare ancora una volta restare a guardare. Non può, anche in questo caso, chiamarsi fuori! Deve giocare il suo ruolo attivo: chiedere il cessate il fuoco immediato e porsi lei come mediatore di pace privilegiato. Soprattutto dopo aver ricevuto il Premio Nobel…

Solo pochi giorni fa il ministro Giulio Terzi ha descritto la situazione di Gaza riportando le parole usate dai portavoce delle forze armate israeliane: “Sulla regione meridionale di Israele sono stati lanciati negli ultimi giorni 120 missili Qassam con seri rischi per la popolazione”. In questo contesto di “forte tensione”, ha proseguito il ministro, “Israele ha reagito eliminando il comandante di Hamas Jaabari”. Eliminando. “Eliminare” (Israele) è parola deprecabile già troppe volte sentita da Ahmadinejad. Sarebbe ora di fare attenzione anche all’utilizzo delle parole. A Gaza si muore. La guerra non è mai una questione di tifoserie.



Sabato 24 Novembre,2012 Ore: 16:45
 
 
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