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www.ildialogo.org Usciamo dal silenzio,di Stephen Lendman

Usciamo dal silenzio

di Stephen Lendman

Ex soldati israeliani parlano delle vessazioni cui l’esercito sottopone, nella totale impunità, il popolo palestinese. Da Adista Contesti n. 33 del 22/09/2012


Tratto dal portale canadese Global research (30 agosto 2012). Titolo originale: Israeli Soldiers Break Silence

Breaking the Silence (Bts) è un’organizzazione di veterani israeliani che hanno servito l’esercito dall’inizio della seconda Intifada e che non vogliono più stare zitti.

Le loro testimonianze portano alla luce «la realtà di vita quotidiana nei Territori Occupati». Il loro proposito è stimolare il dibattito pubblico. Hanno rivelato abusi troppo atroci per essere occultati: come «il saccheggio e la distruzione di proprietà» e molti crimini assai peggiori. Con le loro parole hanno rivelato la deplorevole immoralità dell’occupazione militare israeliana.

La maggior parte degli israeliani ignora tutto questo. Chiude un occhio su tutto ciò che viene fatto in suo nome. «Per poter tornare a essere semplici civili, i soldati sono (anche) obbligati a ignorare ciò che hanno visto e fatto».

È da anni che Bts rivela verità inquietanti. Un articolo di qualche tempo fa su Global Research li citava: «Noi, ufficiali e soldati delle Forze di Difesa di Israele abbiamo servito al fronte. Siamo stati i primi a portare a termine missioni, leggere o pesanti (e lo abbiamo fatto) per proteggere lo Stato di Israele e rafforzarlo». «Abbiamo lavorato molte settimane all’anno, nonostante il costo elevato per le nostre vite personali, abbiamo fatto missioni come forze di riserva in tutti i Territori occupati, e abbiamo ricevuto ordini e direttive che non avevano niente a che vedere con la sicurezza del nostro Paese (ma che erano impartiti solo per perpetuare il nostro controllo sul popolo palestinese)». «Abbiamo visto il tributo di sangue che questa situazione comporta per entrambe le parti». «Gli ordini che riceviamo nei Territori occupati hanno distrutto tutti i valori (che abbiamo appreso) crescendo in questo Paese». «L’occupazione (debilita il) carattere umano delle Forze di Difesa di Israele e (porta alla luce) la corruzione di tutta la società israeliana». «Sappiamo che i Territori non sono Israele e che tutti gli insediamenti finiranno per essere evacuati». «Dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra degli insediamenti». «Non continueremo a combattere oltre le frontiere del 1967 per dominare, espellere, affamare e umiliare un intero popolo». «Dichiariamo che continueremo a servire le Forze della Difesa di Israele in ogni missione che miri alla difesa di Israele». «Le missioni di occupazione e oppressione non servono questo obiettivo e non vi parteciperemo».

Anche alcune donne soldato hanno parlato. Le loro testimonianze confermano quelle dei loro colleghi. Condannano lo stato di corruzione in cui versano le Forze armate israeliane. Non vogliono più partecipare agli orribili crimini commessi in loro nome.

Fino ad oggi, Bts ha raccolto più di 700 testimonianze che provengono da soldati di tutti i segmenti della società israeliana. Sono sinceri, audaci e coraggiosi. I fatti raccontati sono stati «scrupolosamente controllati» per verificarne l’esattezza. Sono stati confermati da ulteriori prove di testimoni oculari, così come da materiali d’archivio di organizzazioni dei diritti umani.

La maggior parte dei soldati mantiene l’anonimato per la sua sicurezza. Sono preoccupati per le possibili rappresaglie delle Forze armate e per le pressioni della società che altrimenti dovrebbero affrontare. Israele non prende alla leggera le critiche. Non vuole che qualcuno ostacoli o denigri la politica militare o governativa. Farlo può essere pericoloso. Essere ebreo non garantisce l’immunità. I soldati che assistono a orribili crimini sono molto preoccupati avendo prove concrete delle illegalità israeliane.

Le loro testimonianze sono inattaccabili. Rivelano il vero Israele. Distruggono il mito di uno Stato democratico, libero, aperto e giusto. Durante tutta la sua storia è stata l’inclemenza a definire la sua politica.

Il militarismo è una forma di vita. Gli arabi sono considerati esseri inferiori. I palestinesi occupati sono perseguitati perché non sono ebrei.

Edward Said (scrittore palestinese naturalizzato statunitense morto nel 2003, è stato docente di inglese e letteratura comparata alla Columbia University, ndt), lo ha spiegato con grande precisione. I suoi libri, i suoi articoli e la sua franchezza testimoniano decenni di orribile trattamento.

Descrisse il “male Sharoniano” che, tra gli altri crimini, ha massacrato bambini. Ha trasformato la Palestina in una prigione isolata. Ha utilizzato carri armati e caccia F-16 contro civili.

Sharon, i suoi predecessori e i suoi successori hanno commesso praticamente tutte le atrocità immaginabili. Netanyahu supera il suo estremismo. Lui, Barak e tutti i sostenitori della linea dura rappresentano il male.

I palestinesi sono perseguitati per la loro fede, etnia e per il fatto stesso di esistere. Sono oggetto di un interminabile ciclo di violenza, depravazione e degrado. A Gaza il lento genocidio si converte in politica.

In Cisgiordania e Gerusalemme Est i soldati israeliani operano come nazisti. Hitler aveva un problema con gli ebrei. Israele ha un problema con i palestinesi. Non se ne può liberare e quindi li maltratta senza pietà.

I soldati di Bts vogliono svelare queste verità scioccanti. Tutti hanno il diritto di sapere. Gli israeliani devono sapere in che società vivono. Il cambiamento è possibile se tutto questo viene alla luce del sole.

I media statunitensi occultano. In Europa lo fanno molto spesso. Le eccezioni sono rare. Confermano la regola. La corrispondente del Guardian di Londra, Harriet Sherwood, ha usato il titolo “Ex soldati israeliani rivelano maltrattamenti di bambini palestinesi” e dice: appartenenti di Bts «descrivono pestaggi, intimidazioni, umiliazioni, insulti e arresti notturni».

Generalmente accusano i bambini di lanciare pietre. Di solito non hanno fatto niente. O comunque non hanno fatto danni. In ogni caso possono andare incontro a prigione e torture. Sono trattati orribilmente, come se fossero adulti. Sherwood ha pubblicato esempi grafici delle testimonianze dei soldati.

Lo stesso ha fatto il giornalista dell’Independent di Londra, Donald MacIntyre. Ha usato il titolo “Israele rompe il silenzio sugli abusi dell’esercito” e dice: l’adolescente «Hafez Rajabi è rimasto segnato per sempre dal suo incontro con i soldati israeliani». Le sue cicatrici testimoniano gli abusi. Lo hanno terrorizzato e maltrattato. Era «sicuro che lo avrebbero ucciso».

È uno dei tanti. A un bambino «hanno dato una bastonata». Lo stesso è successo ad altri. Durante la detenzione li torturano affinché confessino anche se sono innocenti. Avvocati britannici hanno accusato Israele di «serie violazioni del diritto internazionale nel trattamento di bambini detenuti dai militari».

Bambini di 10 anni o più piccoli vengono traumatizzati. Alcuni non si riprendono più. La maggior parte è totalmente innocente. Essere palestinesi li mette in pericolo. I soldati si abituano alla violenza mentre i comandanti la ordinano.

Disumanizzazione, abbrutimento, umiliazione e molestie sono all’ordine del giorno. L’impunità è la politica ufficiale. La crudeltà istituzionalizzata passa inosservata. Succede con gli omicidi e praticamente con ogni tipo di abuso.

La luce del sole è il miglior disinfettante. I soldati di Bts la approvano pienamente. Invitano altri a unirsi a loro. Di seguito riportiamo alcuni stralci delle loro dichiarazioni. Bisognerebbe moltiplicare ognuna per mille se tutti i soldati parlassero liberamente.

Crescere in Palestina significa vivere con la minaccia del terrore di Stato. Pochi bambini gli sfuggono: ci si scontrano mentre crescono e da adulti. L’occupazione militare lo rende certo.

Un soldato con base a Hebron ha detto: «Non conosco i loro nomi, non parlo mai con loro, piangono sempre, se la fanno nei pantaloni… Sono brutti momenti quando devi procedere agli arresti e non c’è posto alla stazione di polizia, così che semplicemente porti via il bambino con gli occhi bendati, lo metti in una stanza della caserma e aspetti che la polizia venga a prenderlo il mattino dopo. Si sente come un cane…».

Racconta un altro soldato di un bambino steso a terra «che implorava per la sua vita. Aveva nove anni. Voglio dire: un bambino deve implorare per la sua vita? Con un fucile puntato alla tempia deve chiedere clemenza? È un’esperienza che lo segnerà per sempre. Poi penso che se non fossimo entrati nel villaggio in quel momento, il giorno dopo avrebbero potuto lanciare pietre e che qualcuno avrebbe potuto morire o essere ferito».

Un altro ricorda: «Eravamo indifferenti. Diventa un’abitudine. Si picchiava ogni giorno. Lo facevamo sul serio. Bastava che ci guardassero in un modo che non ci piaceva, direttamente negli occhi, e li colpivamo. Versavamo in un tale stato ed eravamo stanchi di stare lì».

Un altro racconta: «Il comandante gli disse: “Vattene!”. Si avvicinò, caricò il suo fucile. Lei si spaventò. (Lui gridò): “A chiunque si avvicina lo uccido. Non ho pietà. Lo uccido”. Era davvero al limite. Ovviamente lo avevano già picchiato ma comunque gli ha gridato: “Andate al diavolo!” e si è scatenato l’inferno. Il suo naso stava sanguinando. Lo avevano davvero picchiato selvaggiamente».

Un altro: «Spesso provocavamo disordini (a Hebron). Andavamo in pattuglia, camminando per il paese, ci annoiavamo e così distruggevamo negozi, picchiavamo qualcuno, sai com’è. Cercare, distruggere tutto. Volevamo una rivolta? Andavamo alle finestre di una moschea, distruggevamo i vetri, lanciavamo una granata per stordire, provocavamo un’esplosione e ottenevamo la rivolta». «Ogni volta diamo la caccia a bambini arabi. Li catturiamo e premiamo i fucili contro il loro corpo. Non si possono muovere, sono completamente paralizzati. Dicono solo: “No, no, esercito”. Si vede che sono pietrificati. Vedono che siamo furiosi, che ce ne freghiamo di loro e li colpiamo duramente tutto il tempo». «E tutti quei sassi che volavano. Li catturi così, vedi? Eravamo veramente cattivi. Solo molto tempo più tardi, quando ho cominciato a pensare a queste cose ho capito che avevamo perso ogni tipo di pietà».

Più di 700 testimonianze dicono le stesse cose. Se rese pubbliche, in migliaia potrebbero ripeterle. Si tratta di crimini seri e non provocati. Raramente sono perseguiti. Le pene non sono altro che tirate d’orecchie. I comandanti godono di totale impunità.

Lo Stato di diritto israeliano dice che i palestinesi non contano. Li tratta come bambole di pezza. Neanche ai cani randagi si riserverebbe un trattamento simile. I soldati israeliani hanno praticamente carta bianca per fare quello che vogliono.

L’impunità li protegge. I comandanti ordinano di essere più duri. Lo stesso fanno i rabbini estremisti. I soldati di Bts testimoniano il lato oscuro di Israele. Quell’unico lato che i palestinesi sopportano ogni giorno.

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Giovedì 20 Settembre,2012 Ore: 16:56
 
 
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