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Marocco: dinamismo democratico o assolutismo riformato?

dal sito Medarabnews

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Marocco: dinamismo democratico o assolutismo riformato?

Posted By Redazione On 13 luglio 2011 @ 07:00 In Italiano, Marocco: dinamismo democratico o assolutismo riformato?, Morocco, intro | No Comments

In un anno di rivolte e sollevazioni popolari senza precedenti in tutto il mondo arabo, in cui soprattutto le repubbliche sono state travolte o sono giunte sull’orlo della guerra civile, mentre le monarchie si affannano tuttora a contenere le proteste e ad “evitare il contagio”, il Marocco spicca a prima vista per l’attivismo riformatore che ha contraddistinto la monarchia marocchina.

Sotto la spinta del “Movimento 20 febbraio” – così chiamato dal grande giorno di protesta che ha dato avvio alle rivendicazioni popolari nel paese – il re Mohammed VI nell’ormai famoso discorso del 17 giugno ha annunciato la stesura di una nuova Costituzione, che è stata poi approvata a larghissima maggioranza tramite un referendum popolare svoltosi il 1° luglio.

Il referendum è stato salutato con favore da molti marocchini, e la nuova Costituzione è stata lodata dagli Stati Uniti e dai governi europei, con cui la monarchia del Marocco ha stretti legami economici  e commerciali. Il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha elogiato il nuovo testo costituzionale definendolo “un passo verso la realizzazione delle aspirazioni e dei diritti di tutti i marocchini”.

E tuttavia, sebbene anche i partiti tradizionali del paese – l’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP), il partito conservatore “Istiqlal”, e il partito islamico “Giustizia e Sviluppo” – abbiano appoggiato la riforma, il Movimento 20 febbraio, che è stato in questi mesi il motore della protesta marocchina, ed altre formazioni dell’opposizione non ufficiale come il movimento islamico ‘fuorilegge’ “Giustizia a Carità”, hanno scelto di boicottare il referendum.

Secondo questi gruppi, le modifiche costituzionali, pur contenendo l’enunciazione di alcuni principi generali certamente condivisibili, sono in realtà puramente ‘cosmetiche’ poiché il potere reale rimane concentrato nelle mani del re.

Gli attivisti democratici marocchini hanno anche denunciato una massiccia campagna mediatica, da parte dei mezzi di informazione filogovernativi, volta a mobilitare i marocchini a sostegno della riforma costituzionale, e diverse irregolarità durante le operazioni di voto.

Alla condanna espressa dal movimento democratico marocchino si affiancano le perplessità manifestate da diversi analisti e osservatori delle questioni marocchine, i quali hanno ricordato come, malgrado la volontà di re Mohammed VI di presentarsi come un riformatore e un sovrano illuminato, in concreto i progressi sociali, economici e politici del paese siano quantomeno opinabili e contraddittori.

IL “PARADOSSO” MAROCCHINO

Così come, all’indomani dell’approvazione referendaria della nuova Costituzione, molti hanno indicato il Marocco come un “modello virtuoso” nel frastagliato panorama della Primavera Araba, incuranti del fatto che diversi analisti hanno messo in guardia che tale Costituzione – ben lungi dal promuovere le riforme – potrebbe uccidere le speranze di una maggiore liberalizzazione democratica del Marocco, allo stesso modo negli anni passati il carattere “riformatore” della monarchia marocchina era stato lodato da più parti in Europa e negli Stati Uniti, pur in assenza di una reale democratizzazione nel paese.

Nei primi giorni della Primavera Araba, diversi osservatori si erano chiesti se il Marocco avrebbe seguito le orme [1] della Tunisia, visto che il paese ha problemi anche più gravi di quelli che hanno prodotto la sollevazione popolare tunisina.

Se la Tunisia occupa l’81° posto nella più recente classifica relativa all’indice di sviluppo umano, e la vicina Algeria l’84° posto, il Marocco si trova considerevolmente più in basso, occupando la 114ª posizione. In base all’ultima classifica stilata dall’ ‘Intelligence Unit’ dell’Economist riguardo all’indice di democratizzazione, il Marocco occupa il 116° posto su 167 paesi. Le ultime elezioni legislative, nel 2007, hanno visto la partecipazione di appena il 37% degli aventi diritto al voto, a testimonianza della scarsa fiducia che i marocchini nutrono nel sistema politico del paese.

Malgrado lo sviluppo economico degli ultimi anni, i tassi di povertà e le sperequazioni sociali sono rimasti estremamente elevati. Gran parte della ricchezza del paese è concentrata nelle mani della famiglia reale e di ristrette élite politiche ed economiche. Al di fuori di questa limitata cerchia, l’analfabetismo è tuttora dilagante e la disoccupazione tocca punte elevatissime tra i giovani.

Il fatto che, malgrado questo quadro poco confortante, la monarchia goda di una buona immagine in Occidente – e anche presso molti dei suoi sudditi – è uno degli aspetti non secondari di quello che potrebbe essere definito il “paradosso” marocchino.

Altri aspetti possono riassumersi nel fatto che, rispetto alla Tunisia dell’era Ben Ali, il Marocco possiede maggiori valvole di sicurezza a livello politico e sociale, con una parvenza di pluralismo e uno Stato di polizia meno soffocante di quello tunisino.

E’ opinione di diversi analisti che la longevità politica della monarchia marocchina sia dovuta alla sua capacità di contenere il malcontento attraverso la gestione pluriennale di un superficiale processo di riforma “dall’alto”, di cui la casa reale controlla saldamente orientamenti ed esiti.

UN LUNGO PROCESSO DI RIFORME… SULLA CARTA

Hassan II, padre dell’attuale re Mohammed VI, dichiarò la monarchia marocchina uno Stato “costituzionale, democratico e sociale”, gestendo però un sistema di condivisione del potere – designato dai marocchini con il termine “makhzan”– limitato alla casa regnante, al partito “Istiqlal” espressione principalmente dell’élite urbana, all’esercito e ai residui dell’élite rurale.

Hassan II creò così una struttura clientelare mantenuta in piedi attraverso un sistema di cooptazione e intimidazione, non disdegnando i metodi brutali laddove le altre tattiche fallivano.

Mohammed VI ereditò l’abilità politica del suo predecessore, ma cercò di liberarsi del pesante fardello di torture, abusi e prigioni segrete lasciatogli da quest’ultimo. Egli si presentò come un riformatore, promuovendo una Commissione di riconciliazione che, pur con tutte le sue mancanze, ebbe il merito di gettar luce su alcuni dei crimini commessi sotto il regno di suo padre.

Nel 2003 egli avviò la riforma del codice di famiglia marocchino promuovendo la cosiddetta “mudawwana”, il nuovo codice sullo statuto personale che introduceva innovazioni sociali e religiose, in particolare migliorando i diritti delle donne (innalzamento a 18 anni dell’età del matrimonio, miglioramento delle condizioni del divorzio, ecc.). Tale riforma ha incontrato però enormi difficoltà di implementazione.

Più di recente, il Marocco era andato incontro a quello che alcuni hanno definito un processo di “benalizzazione [2]” (in riferimento allo strapotere soprattutto economico della famiglia Ben Ali in Tunisia prima della rivoluzione), caratterizzato da un controllo sempre più stretto di ampi settori dell’economia da parte della famiglia reale e dall’ascesa del Partito per l’Autenticità e la Modernità (PAM), fondato nel 2008 da Fouad Ali al-Himma, ex viceministro degli interni e stretto amico del re.

Il PAM, il cui destino potrebbe ora essere reso più incerto dal recente movimento di protesta popolare, fino a poco tempo fa controllava 55 seggi nella camera bassa del parlamento (essendo divenuto il partito di maggioranza relativa), e la presidenza della camera alta, sebbene solo tre dei suoi membri fondatori fossero stati eletti alle legislative del 2007. Gli altri parlamentari erano “migrati” nelle file del PAM lasciando le vecchie formazioni politiche, poiché avevano compreso che il nuovo partito tacitamente appoggiato dal re sarebbe probabilmente andato incontro a un radioso futuro politico.

Ciò dimostra fino a che punto la politica marocchina sia controllata dal Palazzo.

Malgrado le promesse di liberalizzazione e di promozione delle libertà civili, i giornalisti vengono tuttora regolarmente arrestati in Marocco, con l’accusa di aver infranto uno dei numerosi tabù – l’inviolabilità della monarchia, l’integrità del territorio nazionale (in riferimento alla questione del Sahara occidentale), ecc. – la cui violazione comporta la persecuzione di Stato.

Il Marocco ha poi partecipato attivamente alla “guerra al terrore” promossa da Bush, ed è stato una delle mete delle cosiddette “extraordinary renditions”. Le sue carceri sono tuttora piene di centinaia di prigionieri politici: islamici, berberi, sahrawi, a cui bisogna aggiungere gli attivisti per i diritti umani e i sindacalisti arrestati negli ultimi mesi di proteste.

L’ILLUSIONE DI UNA MONARCHIA COSTITUZIONALE

Il Movimento 20 febbraio, che ha promosso le recenti proteste in Marocco, nasce dalle contraddizioni del “paradosso” marocchino e dalle mancate promesse del pluriennale e spesso inconsistente processo di riforma sponsorizzato dal re – in altre parole, da ragioni non dissimili da quelle che hanno originato manifestazioni e sollevazioni popolari in altri paesi arabi.

Tale movimento riunisce un variegato insieme di sindacati, organizzazioni per i diritti umani, associazioni studentesche, gruppi berberi e islamici, i quali hanno dato vita a questo movimento unitario a prescindere dalle proprie divergenze ideologiche. Esso è riuscito a mobilitare decine di migliaia di manifestanti sia nelle città che nelle campagne.

La pressione di queste proteste ha convinto il re che era il momento di dare inizio a un nuovo processo di riforme [3] “controllate dall’alto”. Contrariamente al desiderio dei manifestanti, i quali avrebbero voluto una commissione democraticamente eletta, egli ha nominato direttamente una commissione di esperti per redigere una nuova Costituzione che – secondo le parole del sovrano – costituisse “uno spartiacque nel completamento della costruzione di uno Stato basato sulla supremazia della legge e sulle istituzioni democratiche”.

Il nuovo testo costituzionale è stato reso noto all’opinione pubblica solo due settimane prima del voto referendario. Le manifestazioni organizzate dal movimento di protesta per invitare a boicottare il referendum sono state duramente affrontate dalla polizia e da contro-manifestazioni di “sostenitori” del referendum, paragonati da molti osservatori alle bande di teppisti che in Egitto sono state scatenate contro gli attivisti democratici prima e dopo la caduta di Mubarak.

Il movimento popolare ha denunciato diverse irregolarità nelle operazioni di voto – tra cui tacite intimidazioni dei marocchini residenti all’estero, e servizi di autobus governativi per portare in massa gli elettori a votare in alcune città e villaggi – ma soprattutto ha contestato la percentuale di affluenza alle urne (pari al 72,65%, secondo i dati ufficiali – con una percentuale di “sì” del 98,5 % – ma non superiore al 50-60% secondo altre stime).

Al di là dell’affluenza, poi, gli attivisti sottolineano che solo 13 milioni di cittadini, su un potenziale corpo elettorale di circa 22 milioni, si erano del tutto registrati al voto.

La nuova Costituzione introduce senza dubbio dei principi importanti, a partire dall’enfasi ufficiale posta sulle diverse componenti dell’identità marocchina: araba, islamica, berbera e sahariana, con influssi africani, andalusi, ebraici e mediterranei. La Costituzione riconosce la lingua tamazight (ovvero la lingua berbera) come lingua ufficiale accanto all’arabo.

Il testo costituzionale sottolinea poi i principi di “partecipazione, pluralismo e buon governo”, definisce il Marocco “una monarchia costituzionale, democratica, parlamentare e sociale”, e stabilisce che la sua organizzazione territoriale è basata sulla “decentralizzazione e regionalizzazione”.

Si tratta di principi fondamentali che contribuiscono ad alimentare il mito dell’ “eccezionalismo” marocchino nel panorama di un mondo arabo dominato da dittature più o meno brutali.

Tuttavia, l’illusione di una “monarchia costituzionale”, chiesta a gran voce dal movimento democratico marocchino, svanisce non appena si prendono in esame le prerogative che la nuova Costituzione attribuisce al re [4].

Secondo il nuovo testo costituzionale, il re continua a nominare il primo ministro, scegliendolo nelle file del partito di maggioranza (come già avviene di fatto), approva il governo, può destituire i ministri e sciogliere il parlamento, nomina i governatori e gli ambasciatori, approva la nomina dei giudici e presiede la magistratura, è il comandante supremo dell’esercito, presiede il Supremo consiglio degli ulema (i dotti religiosi) e il Supremo consiglio della sicurezza, è al tempo stesso “principe dei credenti” e supremo rappresentante dello Stato e simbolo dell’unità nazionale, e la sua persona è inviolabile.

L’autorità del sovrano dunque rimane indiscussa e incondizionata. La concentrazione di poteri nelle sue mani fa sì che si rimanga ben lontani da un modello di “monarchia costituzionale”. Per contro vi è il rischio concreto che i nuovi principi di uguaglianza e di rispetto della diversità introdotti nel testo costituzionale rimangano lettera morta, come è accaduto per buona parte delle riforme precedenti.

I MOLTEPLICI “DESTINATARI” DELLA RIFORMA MAROCCHINA

La nuova Costituzione, dunque, si inserisce nel tradizionale processo di riforma originato e diretto dal Palazzo [5], che di fatto apporta cambiamenti limitati a livello sociale e dei diritti politici e civili. Secondo alcuni, tale processo ha il merito di avviare il Marocco lungo un percorso istituzionale che, per quanto fallato e inconcludente, dovrebbe essere in grado di allontanare il paese dal baratro della violenza in cui sono precipitate altre nazioni arabe.

Secondo altri, tuttavia, il processo avviato divide il Marocco invece di unirlo. Esso è certamente appoggiato dalle élite liberali e istruite, ma non dà risposte alle masse diseredate del paese. In altre parole, si tratterebbe di un’operazione di “maquillage” che non cura i mali profondi del paese, gli enormi squilibri sociali, la sconvolgente povertà di estese fasce della popolazione.

Secondo i più pessimisti, tale processo rischierebbe addirittura di creare una frattura [6] fra la componente araba e quella amazigh (ovvero berbera) del Marocco, se al riconoscimento formale di questa seconda componente dell’identità marocchina all’interno della nuova Costituzione non seguirà un riconoscimento reale di una pari dignità di tale componente accanto a quella araba.

L’accademico americano Paul Silverstein ha inoltre osservato [7] che il popolo marocchino è solo uno dei numerosi destinatari di questa operazione di riforma puramente “cosmetica”, sottolineando che in molti punti il nuovo testo costituzionale esprime – più che un modello di governo – un “manifesto”, una dichiarazione di intenti ad uso della comunità diplomatica e affaristica internazionale.

La promessa di rispettare i criteri della democrazia, delle libertà civili e del buon governo è necessaria per assicurarsi i fondi degli organismi finanziari internazionali. La nuova Costituzione fa poi attenzione a porre l’enfasi sul rispetto delle regole di mercato, prodigando allo stesso tempo garanzie di stabilità e sicurezza, per rispondere ai requisiti richiesti dal capitalismo globale.

Ciò è importante in particolare per far sì che riprenda vigore il flusso degli investimenti stranieri (principalmente europei e dei paesi del Golfo) allo scopo di dare ossigeno all’economia marocchina (il cui settore statale è stato ampiamente privatizzato).

Secondo alcuni, il processo di “maquillage” avviato dal re è poi necessario per rendere il Marocco nuovamente “appetibile” al turismo internazionale (che costituisce la principale entrata del paese), trasformandolo in un “prodotto esotico” da vendere ai ricchi turisti occidentali – così come ai ricchi arabi del Golfo – i quali affollano i centri storici restaurati delle più famose città marocchine e i lussuosi centri di villeggiatura.

Le sacche di ricchezza legate al turismo e al settore privato, tuttavia, rappresentano altrettante isole in un mare di povertà e di emarginazione, dove migliaia di poveri e diseredati vivono ammassati in miserabili baraccopoli prive di ogni forma di servizi.

La gran massa della popolazione indigente e priva di istruzione rimane tagliata fuori dal processo politico ed economico del Marocco, mentre i giovani marocchini continuano a cercare di fuggire dal paese andando ad alimentare l’immigrazione clandestina in Europa.

Silverstein, poi, ha anche osservato che l’enfasi sulla sicurezza – la quale nel preambolo della Costituzione precede i principi di libertà, uguaglianza e giustizia sociale – fa riferimento non solo a possibili minacce terroristiche, ma anche a qualsiasi minaccia all’ “integrità territoriale” del paese. Questa enfasi, affiancata all’introduzione della cultura sahariana fra le componenti dell’identità marocchina, lascia ben poche speranze sulla possibilità di un futuro referendum per l’indipendenza del Sahara occidentale [8], previsto dalle risoluzioni dell’ONU.

E’ dunque opinione diffusa che la riforma costituzionale, imposta in tempi così affrettati al paese, rappresenti una mossa della monarchia finalizzata ad emarginare il movimento di protesta e a procedere a una rapida normalizzazione.

A livello internazionale essa può certamente servire a “tranquillizzare” i governi e gli investitori occidentali ed arabi.

In particolare, per quanto riguarda i rapporti con i paesi del Golfo, tale riforma può certamente garantire una ripresa degli investimenti delle ricche monarchie della penisola araba in Marocco, pur rendendo più difficile un ingresso del paese nell’esclusivo club del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) – come era stato recentemente proposto in base a un’alquanto bizzarra iniziativa [9] dell’Arabia Saudita volta a formare una sorta di “club delle monarchie arabe” in grado di opporsi ai venti di cambiamento che soffiano in Medio Oriente.

I paesi del Golfo vedono come “fumo negli occhi” perfino una riforma di facciata come quella marocchina, volta a limitare solo nominalmente i poteri della famiglia regnante. Ma in ogni caso, data la distanza geografica e culturale del Marocco dal Golfo Persico, e visti i suoi stretti legami con l’Europa, la proposta di un ingresso nel GCC era stata comunque accolta con un certo scetticismo a Rabat. E, ad ogni buon conto, il probabile venir meno di questa prospettiva non impedisce un rafforzamento dei rapporti economici, di cui il Marocco ha invece estremamente bisogno.

Il nuovo Marocco sembra dunque pronto a contenere il dissenso interno attraverso un assolutismo riformato in cui i cittadini assoggettati alla monarchia sono “liberi” di praticare i propri diritti e di realizzare la propria dignità nella misura in cui viene loro consentito dalle enormi disparità e ingiustizie presenti nel paese, e nella misura in cui non vengono lesi i principi di unità nazionale e di inviolabilità della figura del re.

Resta tuttavia da vedere se, in un paese che ha una storia di proteste popolari e di battaglie per i diritti, ciò sia sufficiente a scongiurare un reale cambiamento democratico – un cambiamento che la monarchia potrebbe prima o poi vedersi costretta ad accogliere in via definitiva.

Article printed from Medarabnews: http://www.medarabnews.com

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[1] seguito le orme: http://www.medarabnews.com/2011/03/11/per-quanto-tempo-ancora-marocco-e-algeria-possono-rimanere-un%E2%80%99eccezione/

[2] benalizzazione: http://www.medarabnews.com/2011/02/03/marocco-dopo-la-%E2%80%98benalizzazione%E2%80%99-la-%E2%80%98tunisizzazione%E2%80%99/

[3] nuovo processo di riforme: http://www.medarabnews.com/2011/07/13/marocco-apertura-a-livello-dei-diritti-chiusura-a-livello-politico/

[4] attribuisce al re: http://www.medarabnews.com/2011/06/30/perche-rifiuto-la-nuova-costituzione-marocchina/

[5] originato e diretto dal Palazzo: http://www.medarabnews.com/2011/07/13/la-liberalizzazione-in-marocco-delude-le-aspettative/

[6] creare una frattura: http://www.medarabnews.com/2011/07/13/marocco-riformare-la-costituzione-frammentando-le-identita/

[7] ha inoltre osservato: http://www.merip.org/mero/mero070511

[8] Sahara occidentale: http://www.medarabnews.com/2011/05/06/sahara-occidentale-%E2%80%93-ricordare-una-guerra-dimenticata/

[9] bizzarra iniziativa: http://www.medarabnews.com/2011/06/03/c%E2%80%99e-posto-per-il-marocco-nel-gcc/



Luned́ 18 Luglio,2011 Ore: 16:26
 
 
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